di Sergio Di Cori Modigliani
Vivere o sopravvivere?
Un quesito, questo, fino a poco tempo fa (diciamo 50 anni fa) del tutto estraneo alle culture del mondo occidentale. Tutte le nazioni, etnie, gruppi, società, geograficamente sistemate dalla California a Mosca puntavano tutte le proprie energie in una consapevolezza collettiva che ci si ingegnava per "migliorare la qualità della vita"; anche in Urss e nei paesi del blocco orientale, nonostante la gravosa cappa del comunismo di Stato e la spada di Damocle dell'olocausto nucleare.
Poi, lo sfruttamento delle risorse energetiche del pianeta hanno alzato il livello di consapevolezza generale fino alla soglia lmite alla quale, pericolosamente quanto superficialmente, ci stiamo avvicinando sempre di più.
Il pianeta -cioè, noi specie umana che lo componiamo- si è reso conto, si sta rendendo conto, che se non si attuano alcuni dispositivi immediati, ben presto la razza umana, tutta, nessuno escluso, si troverà immersa in uno stato primitivo regredito: si ritorna a lottare per la sopravvivenza. Come accade ai più disgraziati in gran parte del continente africano. Invece di europeizzare l'Africa con il benessere diffuso, stiamo africanizzando l'Europa con la disperazione esistenziale.
La partita mondiale, dunque, la si gioca tutta su questo quesito neo-amletico:
è possibile sottrarsi a questa angosciosa prospettiva e ritornare a pensare che dobbiamo vivere, investendo energie sulla qualità della vita e non soltanto sulla sopravvivenza?
In Italia la situazione è molto pesante.
Ormai cominciano a capirlo in molti. Le persone responsabili, tutte.
Rimangono ancora delle sacche di ingenuità e di incoscienza narcisista, nonchè di alcune frazioni di delinquenti -tipo quelli che mentre il Titanic affondava cercavano di portarsi via gioielli e danaro contante senza accorgersi che si stavano immergendo in un abisso ghiacciato- ma la collettività generale ha ormai incorporato un senso di inquietudine, come dinanzi a qualcosa di gravosamente ineluttabile.
E' necessario (per poter aspiare a ritornare a vivere) alleggerirsi.
Senza leggerezza, non c'è vita.
E la leggerezza è il pensiero creativo, è la Cultura. E' l'Arte.
La grande truffa mediatica consiste nell'identificare la cultura e i suoi processi formativi come un evento "pesante" perchè pedante e noioso: ma questa è l'interpretazione degli ignoranti, per l'appunto.
Soltanto una società leggera pensa a vivere e soltanto una società leggera pensa alla sua qualità.
Ci conforta il pensiero di Italo Calvino e le sue splendide lungimiranti analisi scritte in "lezioni americane: sei proposte per il prossimo millennio" datate 1985 quando stava andando a Harvard per leggerle.
"Esiste una leggerezza della pensosità, così come tutti sappiamo che esiste una leggerezza della frivolezza; anzi, la leggerezza pensosa può far apparire la frivolezza come pesante e opaca".
Splendida visione: basterebbe paragonare la pesantezza del bunga bunga alla leggerezza aerea di una ballerina classica ispirata da Delibes per comprendere il valore di quest'affermazione.
E ancora, sempre Calvino:
"Per affrontare la precarietà dell'esistenza tribale e combattere quindi contro siccità, malattie, influssi maligni, lo sciamano risponderà annullando il peso del suo corpo, trasportandosi in volo in un altro mondo, in un altro livello di percezione, dove può trovare le forze per modificare la realtà....così come le streghe volavano di notte sui manici di scope e anche su veicoli più leggeri come spighe o fil di paglia".
Ben vengano, quindi, sciamani e streghe. E' ciò di cui abbisogniamo per alleggerirci.
Tutto ciò per introdurre una riflesione nata da un evento della realtà di cui avevo parlato qualche giorno fa.
Ricordo brevemente la notizia: un pinguino (vivono soltanto nell'antartide ghiacciata) per la prima volta nella storia ha nuotato per 4500 chilometri, è approdtao su una spiaggia assolata della Nuova Zelanda, la spiaggia di Pek Pek, e in perfetta salute è stato scoperto e immediatamente aiutato da zoologi ed esperti di biologia marina. Io l'avevo definito "il pinguino sognatore".
Avevo evocato l'idea romantica e leggera che il pinguino volesse conoscere un altro mondo, perchè curioso.
Chiacchierando con due studiosi di cui mi fido, sia per la loro competenza che per intelligenza (un biologo e un antropologo) ho capito, invece, che stiamo assistendo a un evento pressochè unico nella Storia: un potenziale salto evolutivo.
L'interpretazione degli studiosi, infatti, è quasi unanime: "è molto probabile che questo pinguino rappresenti un salto evolutivo rispetto al milione di suoi compagni. Ha "geneticamente" registrato il fatto che, in seguito allo scioglimento della calotta polare dell'Antartide, entro cinquant'anni, moriranno tutti e scompariranno. Lui è l'avanguardia. E' venuto a vedere se è possibile adattarsi a un nuovo ambiente. Presto, riteniamo ne arriveranno altri: i più forti, si intende, quelli in grado di non soffrire di nostalgia per aver abbandonato il branco e in grado di nuotare per 5000 chilometri senza problemi. Dovrebbe farci riflettere".
C'è qualcosa di più leggero e armonioso di un pinguino -il più pacifico tra tutti gli animali- che voga sfruttando le onde dell'oceano per andare a raggiungere uan spiaggia del sud come fece Paul Gauguin quando abbandonò ricchezze e privilegi per andare a dipingere i nativi?
la riflessione ruota intorno a due concetti:
A). Gli animali cominciano a comprendere che il pianeta rischia di fottersi. E i più lucidi cercano una salvezza.
B). Chi vuole salvarsi e vuole avere una vita, deve avere il coraggio di lanciarsi in una avventura che il branco considera folle, irrealizzabile, impossibile, insostenibile. Ma è necessario fare il salto.
Alleggeriamoci.
Seguiamo il consiglio di Italo Calvino e del "pinguino sognatore".
Meglio Carla Fracci di Ruby.
Chi riesce a sentirlo dentro di sè, sta sulla buona strada per vivere.
Di sicuro sopravviverà alla insostenbile pesantezza dell'essere italiani, oggi.
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