venerdì 28 giugno 2019

Il de profundis della sinistra italiana.






di Sergio Di Cori Modigliani


Quest'immagine è la sintesi iconica e il simbolo assoluto dell'evaporazione sistemica della sinistra progressista italiana.
E' così che è andata in fumo negli ultimi decenni.
Che rimanga impressa per sempre nelle coscienze degli italiani sensibili e pensanti.
All'inconcepibile dolore dei parenti, amici, amanti dei 43 innocenti assassinati dall'incuria, corruzione, sciatteria, menefreghismo, cinismo e indifferenza criminale, si affianca l'immagine della sconfitta della nostra generazione di ipocriti pusillanimi.
E' il simbolo del consociativismo diabolico e perverso tra finanza facile e sinistra compiacente, soddisfatta di aver aggiunto una "a" satanica alla propria storia: un tempo notoriamente schiva, ha scelto invece di virare diventando schiava della dittatura del denaro e degli interessi finanziari.
Fare nomi è ormai esercizio infantile e inutile.
Ma la memoria dei misfatti ci accompagna insieme al doveroso culto di quei 43 morti innocenti.

Una comunicazione, però, è necessaria.
Ed è da qui.
Da questo punto, e soltanto da questo punto, che i liberali progressisti italiani possono ripartire verso il cambiamento:
da oggi, la famiglia Benetton è eticamente espulsa per sempre dalla coscienza progressista delle persone libere, indipendenti e intellettualmente oneste.
La ferita del ponte Morandi si rimarginerà, ma non verrà mai dimenticata.
E chi non acceta questo principio, firma la propria resa complice.

In memoriam di quelle quarantatrè animucce.

mercoledì 26 giugno 2019

Le ragazze salveranno il mondo.






di Sergio Di Cori Modigliani


Un paese in cui i media riescono a insozzare tutto, è destinato al marciume che si merita.
Questa immagine si riferisce alla calciatrice Aurora Galli, astro nascente della nazionale italiana, dopo il bel goal che ha segnato ieri alla Cina, chiudendo la partita.
E' una atleta di 22 anni, legatissima sia al fratello che alla sorella, insieme ai quali è cresciuta stabilendo un fortissimo equilibrio dell'intimità emotiva, fondamentale per uno sportivo.
Dopo la rete è andata a baciare la sorella che era andata a Montpellier con un pullman di tifosi proveniente da Tromello, in quel di Brianza, provincia di Pavia.
Evento normale e consuetudinario, per chi segue il calcio.
Eppure, questa fotografia dell'Italia che vince, dei giovani che si affermano agli occhi del mondo non per i soldi, senza malleverie politiche, al di fuori dei circuiti egoici e narcisisti dei talk show, ha disturbato la serena idiozia di un numero eccessivo di importanti testate giornalistiche, che hanno scelto di lanciare un delirante allarme di surrealtà regressiva, sostenendo che le lesbiche vogliono prendere il potere in Italia, chiedendo di non sostenere il calcio femminile perchè è dannoso far vedere ai giovinetti le lesbiche innamorate che si baciano davanti a tutti.
Diffondendo una notizia non veritiera, quindi falsa.
Era un gesto di affettività parentale, essendo la sorella.
Sarebbe il caso di soprassedere, pensando "è meglio lasciar perdere, fa troppo caldo".
E invece no: è bene parlarne.

E' un indice dei nostri tempi bui.
Perchè l'odio livoroso contro l'irruzione del calcio femminile nell'agone della più vasta platea globale del mondo, non ha soltanto a che fare con lo scontro di genere (di per sè bastevole per giustificare una fresca indignazione) bensì con una piaga ben più purulenta: la distanza cosmica tra il calcio maschile (fatto di miliardi, perversioni, mafia, criminalità organizzata, corruzione a cielo aperto, scommesse truccate su partite decisive, appiattimento dei valori fondativi dello sport) e quello femminile, oggi ai suoi albori, fatto di agonismo, possanza atletica, fresca irruenza, passione condivisa.
Tutto ciò che il calcio maschile sta distruggendo (e a scrivere questo è un maschietto super tifoso) assassinando la festa di centinaia di milioni di persone al mondo.
Il calcio femminile rappresenta quindi un pericolo socio-politico per i poteri forti (quelli veri, quelli della finanza e della gestione delle scommesse farlocche on-line) perchè risveglia in tutti lo sbiadito ricordo dell'autentica passione calcistica, basato sull'atletismo identitario e non sulle mazzette.
Fa quindi venir voglia di rivedere il bel calcio pulito, quindi va penalizzato, e annacquato per evitare il contagio.
Perchè ci restituisce la cifra autentica della passione calcistica.
Il sito bufale.net, che di solito si occupa di questioni ben più serie, si è sentito costretto ad intervenire pubblicando la vera storia di quel bacio, denunciando il tutto.
Venti minuti dopo, i farlocchi bufalari (parlo qui anche di siti di testate pluri-decorate famosissime) si affrettavano a cancellare le tracce della loro infantile e stupida cattiveria ideologizzata.
Forse, chi lo sa, non tutto è perduto.
Forse, saranno le ragazze a salvare il mondo.

lunedì 24 giugno 2019

Vince a Istanbul la voglia del cambiamento. Grazie, anche, a questa coppia.




di Sergio Di Cori Modigliani

Questa coppia che vedete qui sotto (da noi, in Italia, ignota) sono il simbolo della costruzione del nuovo immaginario collettivo turco, basato su un'idea fortemente europeista, progressista, femminista, laica e libertaria.
Sono stati fondamentali nel nutrire l'humus che ha sedotto ed esaltato i giovani millennials votanti di Istanbul, una platea mediterranea dalla quale diversi tra i nostri giovani avrebbero molto da imparare.

Lei si chiama Hulya Ozkan.
Ha, oggi, una sessantina d'anni, ed è figlia di emigranti turchi.
Da sempre in Germania, a Dusseldorf e poi a Berlino, ha lavorato per molti anni nei media teutonici, prima come presentatrice televisiva in lingua turca e tedesca, poi divenuta produttrice. Agli inizi dei 2000 ha esordito con una serie di romanzi polizieschi fortunati e, nel 2008, ha conquistato sia le platee che il marketing mondiale con la sua mitica serie televisiva "Squadra Omicidi Istanbul", trasmesso anche in Italia (rai2 alle ore 14) dal 2014.

Lui si chiama Erol Sander, anche lui figlio di emigrati turchi in Germania. Pescato, circa 25 anni fa, dall'intelligenza degli scout di Giorgio Armani, come testimonial, per fare concorrenza a Hugo Boss nel mercato tedesco, è diventato il simbolo assoluto della grande casa di moda italiana e il più famoso modello maschile del mondo.
Nel 2008, accetta l'offerta (una vera sfida) da parte della televisione tedesca e diventa attore, interpretando il personaggio del commissario nella serie scritta dalla Ozkan.
E' un seriale televisivo bellissimo che regala l'immagine di una società turca complessa, variegata, multiforme, ricca di contraddizioni, scritta, girata e recitata con grande intelligenza, fascino e competenza.

Entrambi vengono studiati, come modelli simbolici, in tutti gli istituti di sociologia d'Europa.
Da noi sono sconosciuti.

La bella vittoria di Imamoglu è anche merito loro.
Bravissimi.
Noblesse oblige.

giovedì 20 giugno 2019

Quando l'ottusità ideologica rovina tutto il bello che c'è.







di Sergio Di Cori Modigliani

A proposito delle azurre di calcio.

Ieri mattina, l'ente ufficiale Auditel, che registra e segnala gli indici di gradimento delle trasmissioni televisive italiane, ha diffuso i dati relativi al n. di telespettatori per l'incontro dello scorso mercoledì tra Italia e Brasile: parliamo del calcio femminile.
Ed è subito record.
Supera del 15% l'indice dei telespettatori relativo alla partita ufficiale di calcio maschile Italia-Bosnia di qualche settimana fa, e si attesta intorno al 30% (circa 7 milioni di persone) massimo risultato storico mai raggiunto da un evento sportivo femminile.
Mi sembra una bellissima notizia per tutti.
E così andrebbe accolta in un paese civile, perchè si tratta di una vittoria "nazionale", quindi non divisiva, ma unificante.
E' ciò di cui ha bisogno oggi il paese.
Pessime le notizie, invece, nel campo dei media.
Tralasciamo "Libero", qui siamo nel folclore crozziano.
Sull'importante quotidiano "Il Foglio" (sedicente liberale, liberal e libertario) è comparso un editoriale firmato nel quale il giornalista gridava allo scandalo, definendo la performance delle azzurre un evento ignobile "essendo il calcio femminile un atto contro-natura" e identificando l'atto in sè come un segnale dell'inarrestabile declino del paese: un autentico delirio ideologico, forse dovuto a un colpo di calore. Le femmine, infatti (secondo la testata) dovrebbero stare a casa e non occuparsi di sport che è soltanto per noi maschietti.

Tranquilli, cari feisbucchiani anti-fascisti, ce n'è per tutti.
Sulla testata "corriere della sera" è apparso un articolo (sempre sullo stesso tema) a mio avviso di gran lunga peggiore e ben più pericoloso. Firmato da una donna, convinta di star esprimendo un pensiero femminista innovativo, senza rendersi conto, invece, che stava lanciando una campagna negazionista elencando uno sciocchezzaio ideologico, direi davvero atroce,
La malcapitata, invece, spiegava che le azzurre in campo sono in realtà le avanguardie dell'anti-fascismo militante, e quindi la partita in sè non doveva essere considerata come un gioco, bensì come l'ardente "risposta politica collettiva delle donne a nome di tutte" contro il maschilismo governativo: anche in questo caso siamo in pieno delirio ideologico, con l'aggravante di essere per davvero contro la libertà delle femmine, a tal punto ottusa da non rendersi conto di aver sottratto alle azzurre l'unica loro pretesa: avere il diritto di essere riconosciute come persone/atlete. Ma la nostra ideologa della sinistra festivaliera è andata anche oltre. Non contenta del pilotto anti-libertario, ci ha tenuto a specificare che le azzurre rappresentavano una bandiera dell'anti-fascismo dato che Mussolini era contro la libertà delle femmine. Sbagliato! Grave errore, anzi gravissimo, perchè si dice (e si scrive) il falso storico annebbiando quindi la mente di giovani spaesate. Non si fa il negazionismo ideologico.
Per il fascismo, la promozione della donna nello sport fu un evento fondamentale e perno fortissimo della propaganda del regime. Grazie al lavoro clandestino dell'intellettuale aristocratica ebrea Margherita Sarfatti (scrittrice, critica d'arte, maestra, musa, consigliera, editor e soprattutto amante fedele di Mussolini, (oggi si direbbe "la vera spin doctor del Duce, la sua guru personale") era stata istituita "l'Associazione Nazionale delle Giovani Italiane per lo sport", ente riconosciuto dal re, che nel 1932 godeva del più alto finanziamento e sovvenzione da parte dello stato. Nella celeberrima intervista radiofonica all'Eiar, nello stesso anno, il vate D'Annunzio così rispondeva alla domanda relativa alle donne nello sport "Amo la donna che guida l'automobile perchè non si fa trasportare, è lei a condurre e sa dove andiamo....amo la femmina che sempre corre, che sguscia via, che combatte e si batte, la femmina guerriera per antonomasia, la DIana dei boschi che ricorda alle giovani italiane di oggi che battersi a pallacorda e tirar di scherma porta in sè le vestigia e la memoria della grandezza eterna dell'Impero che fu. Giovani italiane: siate tutte Diana, scoccate le vostre frecce, e con i successi sportivi mostrate la grandezza del fascismo". Così erano, allora, così parlavano. Non raccontarlo, censurarlo e negarne l'esistenza, non aiuta la causa dell'anti-fascismo. Anzi, ne esaspera le sue pulsioni.
Infine, la rai: pessima, ma davvero pessima scelta.
Prendendo atto che viviamo in un regime di totale dittatura partitocratica che ci impone il politichese, nei 15 minuti precedenti l'incontro, quando la pubblicità fa il pienone, sarebbe stato intelligente e utile presentare al pubblico Maria Elena Boschi, Paola Taverna, Mara Carfagna, Lucia Bergonzoni e Giorgia Meloni, in rappresentanza, tutte e cinque, dell’intero arco parlamentare che conta, con l’accordo preventivo di non fare propaganda per la propria fazione, e parlare soltanto di questione femminile, sport delle donne, e diritto delle donne ad avere accesso alla diffusione, visibilità e sostegno sia finanziario che mediatico dell’attività sportiva agonistica.
E invece, chi c’era?
Pablito Rossi, un anziano ex calciatore (nessuno che abbia meno di 45 anni sa chi sia e chi sia stato) che per la milionesima volta parlava di se stesso e della sua impresa in Ispagna nel lontanissimo 1982 e dei maschi.
Come si fa essere così miopi e ottusi?

Questa è l'Italia, oggi.
A tutti questi giornalisti consiglio la lettura del libro fortemente voluto, editato, sponsorizzato e presentato da Monica Bertolini, allenatrice della squadra nazionale femminile italiana di calcio. E'uscito nel 2015. Si chiama "Giocare con le tette".
Ve lo consiglio caldamente.

domenica 16 giugno 2019

Quando l'Italia ci sapeva fare ed era leader nel mondo. In memoriam



di Sergio Di Cori Modigliani



In memoriam.

sottotitolo:
"quando l'Italia era davvero un grande paese e sapeva aprirsi i mercati mondiali a colpi di qualità, creatività, abilità, gusto.
Ma soprattutto: imbattibile talento".


E' morto Franco Zeffirelli.
Aveva 96 anni.
I giovani millennials di oggi, è molto probabile non sappiano neppure chi fosse.
E leggendo la valanga di elogi funebri ci si può fare l’idea di un artista molto famoso, pluripremiato dovunque, da noi (in Italia) accettato perché famoso, ma inviso alle direzioni galattiche della cultura gestite dalla sinistra festivaliera. Macchiato di indelebile colpa mediatica (non era di sinistra e detestava la cultura di massa) era stimato e riverito fino all’inverosimile molto di più all’estero che non in patria, dove –caso più unico che raro- non era accettato di buon grado neppure dalla destra, poiché detestava Berlusconi e aveva definito Gianfranco Fini “un cameriere che, secondo me, non sa neppure servire il thè”.
Se si parla della sua vasta e ricca produzione oggi, si corre il rischio di essere riduttivi e ridondanti: ha lasciato la sua indelebile firma dovunque.
E comunque.  
Io lo voglio ricordare oggi, condividendo con voi uno specifico momento della sua prestigiosa e lunga carriera, che è anche una citazione biografica, ma soprattutto una memoria di quando l’Italia era ancora una grande potenza economica che sapeva (e poteva) imporre nel mondo il prodotto made in Italy, grazie alla nostra migliore e imbattibile qualità, quella che stiamo perdendo giorno dopo giorno: il plusvalore della migliore sintesi europea tra competenza, talento, creatività e cultura dell’impresa.
L’evento cui mi riferisco si è verificato nella terza settimana del mese di settembre dell’anno 1997.
A New York, nel cuore della Manhattan che allora contava.
Era un anno decisivo. Ci si stava lanciando verso la globalizzazione e l’industria tessile cinese e l’industria della moda statunitense avevano deciso di scendere in campo in maniera massiccia lanciando la sfida (nel tessile) all’Italia e (nella moda) a Parigi e Milano, le uniche due capitali che contavano. A Manhattan, in quel mese, si stava svolgendo la fiera mondiale del tessile, e contemporaneamente la settimana della moda, la prima veramente importante per gli Usa.
Stavano tutti a New York.
Allora abitavo a Manhattan e lavoravo come giornalista; tra le mie varie collaborazioni ce n’era una per un meraviglioso settimanale del gruppo Rizzoli (“Il Mondo”) che non esiste più dove mi occupavo di geo-politica e cultura d’impresa.
Quel giorno, un mercoledì mattina, avevo un appuntamento alle ore 12 all’Ice (Istituto Italiano del Commercio con l’Estero) con il responsabile organizzativo dell’ente. Lo dovevo intervistare su due argomenti che avevamo già concordato: che cosa stava facendo l’industria della moda e del tessile italiana per vincere la concorrenza sia degli americani sia della novità cinese, e come l’Italia intendeva gestire l’immagine del proprio paese all’estero per mantenere la propria indiscussa leadership nel settore.
Era una splendida mattina di autunno, soleggiata, un po’ ventosa, il momento climatico migliore per passeggiare a New York. Poiché avevo delle piccole commissioni da sbrigare (posta, banca, commercialista) ero uscito di casa molto presto per evitare di arrivare tardi. Ero invece in netto anticipo. Alle 10.45 avevo già finito le mie incombenze. E così, invece di prendere il solito taxi, decisi di andarci a piedi attraversando il centro della città. Uscendo dall’ultimo appuntamento, a pochi metri da lì, vedo uscire una coppia molto elegante che aveva in mano una bandierina tricolore dell’Italia. L’immagine non mi colpì più di tanto. Dopo un centinaio di metri, vedo uscire da un lussuoso condominio un gruppo di giovani, vestiti molto alla moda, e tutti con una bandierina tricolore italiana che sventolavano con aria allegra e rumorosa. Mi sembrò davvero una curiosa coincidenza. Dopo dieci minuti, vedo la stessa scena con altre persone e dopo cinquecento metri, passando per caso davanti alla celeberrima agenzia di modelle Ford, vedo un nugolo di splendide ragazze ciacolanti che sventolavano delle bandierine tricolori italiane in attesa che arrivasse il pullmino limousine. Evidentemente, pensai, è accaduto (o sta accadendo) qualcosa che io non so. Accelerai il passo e il numero di persone che camminavano agitando bandierine tricolori italiane aumentava sempre di più. Morivo dalla curiosità di sapere che cosa stesse accadendo e quindi feci gli ultimi 200 metri quasi di corsa (a New York è normale, tutti corrono da qualche parte) per andare all’Ice e chiedere che cosa stesse accadendo. Arrivai con un anticipo di circa mezz’ora. Mi presentai alla segretaria e il direttore arrivò immediatamente. Portava con sé un voluminoso pacco malamente incartato. “Meno male che è qui in netto anticipo, è fantastico. Volevo avvertirla ma non sapevo come fare; l’ho chiamata a casa ma lei era già uscito”. Mi prende per il gomito e mi spinge verso l’ascensore. “Andiamo su, abbiamo fretta, dobbiamo correre”. Arriviamo giù al pianterreno e senza darmi il tempo per parlare mi spinge verso l’esterno. “Dobbiamo andare a piedi, è qui vicino, non più di 500 metri. E’ una sorpresa. Si fidi. Non faccia domande. Vedrà, vedrà!”. Lo seguo morendo dalla curiosità. Arriviamo nella zona del cosiddetto “garment centre” un mini quartiere dove sono concentrati tutti i magazzini, depositi, show room, di imprese e aziende operanti nel tessile. Arriviamo a un incrocio e giriamo per un vicolo. Entriamo attraverso una porticina di ferro pesante e saliamo su un enorme ascensore monta-carichi. “noi stiamo su, al 24 esimo piano, e un piano più su c’è la terrazza dove stiamo andando”.  Una volta arrivati, entriamo in un gigantesco loft, circa 400 metri quadri, pieno zeppo di casse di legno, la maggior parte delle quali erano aperte con una trentina di persone che andavano avanti e indietro prendendo i pacchi che c’erano dentro e portandoli verso un altro ascensore. “Questo è il nostro deposito, è proprietà del consolato, quindi siamo già in Italia. Qui arrivano tutte le merci degli espositori sia della fiera che delle sfilate di moda. Paghiamo tutto noi, abbiamo organizzato tutto noi”. Attraversiamo parte del loft e il direttore apre una piccola e pesante porta di ferro chiusa con pesanti chiavistelli. Oltre la porta c’era una scala a chiocciola. Ci inerpichiamo per la rampa e arriviamo sulla terrazza del palazzo. Usciamo all’aperto e il direttore mi fa: “Ha letto il Times, oggi?”. Gli rispondo “non ancora”. Prende il pacco voluminoso e lo appoggia per terra, lo apre e tira fuori due grossi involucri di pelle, dei porta binocoli, sui quali era stampato lo stemma della repubblica italiana. Prende una copia del giornale e me lo mostra. “Guardi qui, prima pagina” e mi mostra un articolo il cui titolo era “When Italians bring us to Paradise: the way things must be done” (trad.: “Quando gli italiani ci portano in Paradiso: questo è il modo in cui le cose vanno fatte”). Ed era un lungo articolo sulla prima al Metropolitan Opera House della Turandot di Puccini. Tenore: Luciano Pavarotti; regista, costumista e scenografo: Franco Zeffirelli; direttore d’orchestra della New York Symphonic Orchestra: Riccardo Muti. Era una lunghissima dichiarazione d’amore per il Bel Paese, con una speciale aggiunta relativa alla impeccabile e sontuosa messa in scena di Zeffirelli, la descrizione dei tessuti usati, il perché, da dove provenivano, chi li produceva, chi ci lavorava. Quella Turandot venne definita “la vetta sublime dell’arte del melodramma, coniugata al canto e alla direzione musicale prodotta da una nazione che oggi è leader nel mondo per gusto, cultura e stile”.
Il direttore mi strappa il giornale mentre sto leggendo. Mi mette in mano uno dei due porta binocoli. “Avanti su, è l’ora, andiamo”. Apro il contenitore di cuoio e tiro fuori un binocolo. Lui si avvia verso la fine della terrazza che dava proprio sulla Fifth Avenue, l’arteria che attraversa il centro di Manhattan. Una folla enorme di persone assiepata dietro le transenne, agitando le bandierine tricolori italiane. Il direttore guarda l’orologio “Ecco, stanno arrivando”. Sbuca da una curva una limousine scoperta dentro alla quale c’era il sindaco di New York che saluta con la mano. Dietro di lui un’automobile scoperta con il comandante dei vigili che saluta. Poi una ventina di poliziotti in motocicletta e infine, molto lentamente arriva una grande limousine scoperta. Davanti, accanto al guidatore, Luciano Pavarotti, in piedi, la mano sinistra  al tergi-cristallo, e l’altra che sventola un fazzoletto bianco salutando. Dietro, seduti, Riccardo Muti, immobile come una statua di pietra e Franco Zeffirelli con gli occhi gonfi come due cocomeri che piangeva spudoratamente con una copiosità che non pensavo potesse esistere. Dalle motociclette dei poliziotti c’erano degli altoparlanti che diffondevano l’aria “nessun dorma”.
La gente sembrava impazzita.
Il direttore aspetta che l’automobile sia sgusciata via, mi tocca il braccio e mi fa: “Questa è la risposta per l’intervista. Questo è ciò che facciamo e come lo facciamo. Questa è l’Italia: tre artisti, uno settentrionale, uno centrale e uno meridionale che hanno messo su tutto ciò. Oggi, l’Italia che produce ha Manhattan e il mondo che conta ai propri piedi, in adorazione. Grazie a loro stiamo ricevendo ordini e prenotazioni superiori del 350% alle più rosee previsioni. Abbiamo fatto un rapido calcolo: tutto ciò produrrà almeno un 10% del pil nel 1998. Questo gigantesco casino l’ha messo in piedi Franco Zeffirelli.  Sono 4 mesi che sta qui a rompere i coglioni a mezzo mondo, ci ha fatto diventare matti, ma valeva la pena. Pensi che ha fatto venire da Prato e da Arezzo 25 giovani operaie per far cucire a mano le gonne delle figuranti con tessuti molto pregiati non facili certo da vendere. Le sei aziende che producono quei tessuti, tutte qui presenti, hanno ricevuto ordini per il prossimo triennio e hanno già chiuso perché più di così non si può vendere. Eccolo, il nostro plusvalore. Ecco come si fa”.

In memoriam per la morte di un grande maestro.


mercoledì 12 giugno 2019

Il funzionamento dell'economia spiegata con divertente semplicità a el pueblo.






di Sergio Di Cori Modigliani


Circa 20 anni fa, alla fine degli anni'90, il prof. Franco Modigliani, premio nobel dell'economia, allora più che novantenne, intervenne in un nutrito dibattito televisivo americano relativo al concetto di "rapporto tra debito e credito nella società". 
In quel momento, infatti gli Usa stavano affrontando una forte polemica congressuale relativa alla necessità di mettere a posto i conti dello Stato, aggravato da un gigantesco debito.
Non si parlava d'altro.

Il professor Modigliani (dal 1946 trasferito a Cambridge, Massachussets, dove ha vissuto fino al giorno della sua morte nel 2003) abituato a insegnare a giovani studenti universitari, spiegò con una narrazione divulgativa come funziona l'economia nella nostra società.
Il suo racconto, nel tempo, è diventato una vera e propria leggenda metropolitana.
Ma la fonte originaria era quella.

Ventidue anni dopo, lo ripropongo per intero ai lettori di questo blog.

Eccola per voi:



"Jessica è la proprietaria di un bar, di quelli dove si beve forte.
Rendendosi conto che quasi tutti i suoi clienti sono disoccupati e che quindi dovranno ridurre le consumazioni e frequentazioni, escogita un geniale piano di marketing, consentendo loro di bere subito e pagare in seguito. 

Segna quindi le bevute su un libro che diventa il libro dei crediti (cioè dei debiti dei clienti).
La formula “bevi ora, paga dopo” è un successone: la voce si sparge, gli affari aumentano e il bar di Jessica diventa il più importante della città.

Lei ogni tanto rialza i prezzi delle bevande e naturalmente nessuno protesta, visto che nessuno paga: è un rialzo virtuale. 
Così il volume delle vendite aumenta ancora.
La banca di Jessica, rassicurata dal giro d’affari, le aumenta il fido. 
In fondo, dicono i risk manager, il fido è garantito da tutti i crediti che il bar vanta verso i clienti: il collaterale a garanzia.
Intanto l’Ufficio Investimenti & Alchimie Finanziarie della banca ha una pensata geniale. Prendono i crediti del bar di Jessica e li usano come garanzia per emettere un’obbligazione nuova fiammante e collocarla sui mercati internazionali: gli Sbornia Bond.
I bond ottengono subito un rating di AAA+ come quello della banca che li emette, e gli investitori non si accorgono che i titoli sono di fatto garantiti da debiti di ubriaconi disoccupati. 
Così, dato che rendono bene, tutti li comprano.
Conseguentemente il prezzo sale, quindi arrivano anche i gestori dei Fondi pensione a comprare, attirati dall’irresistibile combinazione di un bond con alto rating, che rende tanto e il cui prezzo sale sempre. 
E i portafogli, in giro per il mondo, si riempiono di Sbornia Bond.
Un giorno però, alla banca di Jessica arriva un nuovo direttore che, visto che in giro c’è aria di crisi, tanto per non rischiare le riduce il fido e le chiede di rientrare per la parte in eccesso al nuovo limite.
A questo punto Jessica, per trovare i soldi, comincia a chiedere ai clienti di pagare i loro debiti. Il che è ovviamente impossibile essendo loro dei disoccupati che si sono anche bevuti tutti i risparmi.
Jessica non è quindi in grado di ripagare il fido e la banca le taglia i fondi.
Il bar fallisce e tutti gli impiegati si trovano per strada.
Il prezzo degli Sbornia Bond crolla del 90%.
La banca che li ha emessi entra in crisi di liquidità e congela immediatamente l’attività: niente più prestiti alle aziende. 
L’attività economica locale si paralizza.
Intanto i fornitori di Jessica, che in virtù del suo successo, le avevano fornito gli alcolici con grandi dilazioni di pagamento, si ritrovano ora pieni di crediti inesigibili visto che lei non può più pagare.
Purtroppo avevano anche investito negli Sbornia Bond, sui quali ora perdono il 90%.
Il fornitore di birra inizia prima a licenziare e poi fallisce.
Il fornitore di vino viene invece acquisito da un’azienda concorrente che chiude subito lo stabilimento locale, manda a casa gli impiegati e delocalizza a 6.000 chilometri di distanza.
Per fortuna la banca viene invece salvata da un mega prestito governativo senza richiesta di garanzie e a tasso zero.
Per reperire i fondi necessari il governo ha semplicemente tassato tutti quelli che non erano mai stati al bar di Jessica perché astemi o troppo impegnati a lavorare.
Bene, ora potete dilettarvi ad applicare la dinamica degli Sbornia Bond alle cronache di questi giorni, giusto per aver chiaro chi è ubriaco e chi sobrio".

martedì 11 giugno 2019

Posano nude per attirare l'attenzione e denunciare la discriminazione.



Il 26 Giugno del 2011 pubblicavo un post su questo blog, sostenendo il calcio femminile e auspicando un sostegno da parte dei media nel nome della parità di genere. Fu un post che mi procurò dolore e anche alcune grane. Venni insultato a piene mani da diversi giornalisti e -per motivi che ignoro- soprattutto dal pubblico femminile.
Non riuscii mai a comprendere le loro motivazioni.
Oggi, è tutto un altro dire.
Faccio uno strappo al mio essere schivo e anche un po' timido e mi dichiaro orgoglioso di ricordare a me stesso di essere stato l'unica persona attiva nel mondo dell'informazione web e dei bloggers ad avere sostenuto l'irruzione delle calciatrici nel mondo sociale che conta, quello della realtà
Non quello dei social.
Se si è pazienti e si attende con calma, la realtà tangibile ti finisce sempre addosso.


di Sergio Di Cori Modigliani

pubblicazione originale: 26 Giugno 2011

Inizia questa sera, in Germania, il campionato mondiale di calcio femminile.
E’ un grande evento sportivo, e va da sè che l’impatto sul pubblico è minore rispetto al campionato mondiale maschile. Ma per I tedeschi, gli americani e gli inglesi non è proprio così. Lo è per italiani, spagnoli, francesi, portoghesi e sudamericani –tutte le culture latine- e guarda caso proprio quelle dove il calcio maschile è sentito con maggiore vigore.
E’ una grande festa dello sport che nessun media, nessuna televisione italiana (e nessun blogger nostrano) ha enfatizzato o neppure accennato.
Nel nostro paese, sempre sensibile a qualsivoglia polemica, anche di minimo rango, relativo agli eventi più marginali della quotidianità, nessuno ha neppure osato emettere qualche commento a proposito della decisione presa tre settimane fa da cinque componenti della squadra femminile di calcio tedesca, le quali hanno scelto di posare nude su Playboy per pubblicizzare l’evento.

“Noi vogliamo attirare giovani donne, il nostro obiettivo è mostrare quanto sia bello il nostro sport e quanto la pratica del calcio giocato sia compatibile con la femminilità e quanto le calciatrici possano essere delle brave atlete senza per questo essere considerate meno erotiche o meno femminili” ha dichiarato Kristina Gessat centravanti del prestigioso club Bayern Munich, una delle calciatrici che ha posato su Playboy “siamo ghettizzate in una nuvola di pregiudizi e molte di noi vengono schivate e discriminate proprio perché siamo calciatrici. Non è certo un caso se nessuno vuole parlare di noi, nonostante dei 900 mila biglietti a disposizione per le partite ne siano stati venduti già 800 mila. Amiamo il calcio, siamo belle come le altre ragazze, e pretendiamo di essere trattate alla pari. Io sono orgogliosa di essere un’atleta e se per far pubblicità a questo bellissimo sport bisognava passare per Playboy, ben venga. E’ stata una nostra scelta e la difendiamo”

Alla conferenza stampa che si è svolta a Berlino non c’era nessun giornalista italiano. Non c’erano neppure gli spagnoli nè I brasiliani o gli argentini o i portoghesi. Le cinque atlete che hanno posato per Playboy sono state contestate ma la responsabile della FIFA è stata molto esplicita al riguardo. “Ogni atleta ha il diritto di presentare se stessa come vuole” ha detto Tatjana Haenni, della federazione russa “per non parlare del fatto che nella nostra federazione non esistono scandali legate alle scommesse, non esiste corruzione. E poi, lasciatamelo dire: arrivando in treno alla stazione di Milano si esce all’aperto e ci si imbatte in un gigantesco cartellone pubblicitario nel quale si vede il grande calciatore David Beckham disteso su un canapè praticamente nudo con indosso soltanto un minislip che reclamizza Giorgio Armani. Nessuno ha avuto niente da ridire. E osate attaccare noi perchè cinque belle ragazze che tutti prendono in giro perchè hanno dei bei solidi polpacci hanno voluto mostrare la loro bellezza posando nude su Playboy? Siete un branco di ipocriti, questa è la verità”.

Possiamo darle torto?

Salutiamo quindi l’inizio del campionato mondiale dei calico femminile che si apre in Germania.

Peccato che non avremo la possibilità di vederlo in televisione.
In Italia nessuno ha acquistato i diritti.

Ci tenevo soltanto a ricordarlo sul mio blog.

domenica 9 giugno 2019

"El Patacòn": questo sconosciuto!






di Sergio Di Cori Modigliani


Si chiamava "El Patacòn", una moneta parallela creata in Argentina in piena tragedia economica agli inizi del millennio. Erano "ufficialmente" garantiti dallo Stato, e i giornalisti economici li definirono subito mini-bond.
Fu una catastrofe.
La mazzata definitiva per il paese.
Lo Stato non rimborsò un bel nulla, i "patacones" non li voleva più nessuno e diventarono carta straccia.
L'inflazione esplodeva a livelli inconcepibili e inimmaginabili per un europeo.
Proprio in quel momento, arrivai a Buenos Aires per un viaggio della memoria.

La sera, andai con alcuni amici in un ristorante in centro. Al tavolo c'era un apparecchietto quadrato con un orologio e un timer inserito, dotato di un display luminoso che forniva dei numeri a intermittenza. Chiesi al cameriere che cosa fosse. Mi spiegò che era il calcolatore dell'inflazione, motivo per cui il menù non era dotato di prezzo. In seguito alla comunicazione ufficiale del governo, infatti, "los patacones" erano diventati insolvibili e l'inflazione aveva raggiunto la media del 5/10% al giorno, ovvero la media del 200% al mese. Tradotto voleva dire che quando entravi in un ristorante, se la pizza e una birra costavano 12 euro alle ore 21, alle ore 23 potevano costare 14.
La vita quotidiana era un delirio surreale.
Due individui che fanno parte dell'attuale esecutivo italiano (niente nomi, please) hanno addirittura citato quell'esperienza come un modello positivo cui far riferimento ammettendo di aver preso l'idea da lì.

E' molto peggio del guaio dell'ideologia o della disinformazione.
Qui stiamo entrando in un quadro di totale squilibrio mentale.
E' come affidare la ricostruzione del ponte Morandi a Maurizio Crozza sostenendo che la gestione va affidata a un genovese doc.
Nel nome del sovranismo, si intende.

venerdì 7 giugno 2019

L'ultima grande occasione persa da Luigi Di Maio e dal M5s.






di Sergio Di Cori Modigliani



Non è certo una notizia (e tantomeno una novità) ricordare ai lettori che da almeno 50 anni, in Italia, la Fiat gestisce la più potente lobby italiana dell'informazione economica e politica.
Non c'è da sorprendersi, quindi, che l'intera classe politica dirigente italiana e quella mediatica (che io sappia, nessuno escluso) abbia commentato oggi la mancata fusione tra Fca e Renault come un insulto e una minaccia nei confronti del nostro paese, stabilendo che lo Stato francese è intervenuto bocciando la trattativa perchè i galli sono protezionisti e ipocriti sovranisti.
Ma, andando a spulciare nell'informazione -sia cartacea che televisiva che web- nelle tre Americhe, in Cina, in Gappone, in India e nell'intero continente asiatico, si riceve una informazione di tipo diverso e viene offerta una lettura altra, molto distante da quella italiana.
A cominciare dal Wall Street Journal e da China news, entrambe sempre molto ben informate, testate che godono di una credibilità acquisita e certificata.
Tenendo presente che asiatici e americani, nel complesso, rappresentano il 68% della popolazione mondiale, nonchè il 70% del pil planetario, mi sembra giusto condividere la loro idea con voi, sottolineando l'aspetto declinante del nostro fare informazione, della nostra marginalità provinciale, e dell'isolamento geo-politico totale.
Come è noto, circa 35 anni fa, la francese Renault, per volontà di Jacques Chirac, fece un accordo societario di partnership industriale con la nipponica Nissan. L'industria giapponese è -come è noto- all'avanguardia nello studio, progettazione e produzione di automobili NON alimentate da carburanti fossili. Stanno lì in prima fila, ad attendere (per ottenere il via) di riuscire a battere la più potente lobby del pianeta, quella dei petrolieri e della finanza a loro collegata (cioè arabi, iraniani, libici, russi e texani tutti sempre amorevolmente insieme). Nell'accordo siglato alla fine degli anni'80 tra la Nissan e la Renault esistono tre clausole specifiche relative a questo punto che consentono alla Nissan di occupare un solido posto nel consiglio di amministrazione avvalendosi della facoltà di veto riguardo all'assunzione di ogni nuovo socio. Non appena è arrivata la proposta ufficiale e formale da parte della Fca, i francesi hanno subito risposto perchè no? Ci sembra un'idea realistica e ottima, ma noi dobbiamo prima attendere il parere della Nissan.
La Fca, invece, non ha voluto attendere, e per motivi finanziari ha reso subito pubblico il varo della trattativa.
Giovedì mattina, la Nissan ha espresso parere fortemente negativo e contrario motivandolo con il fatto che la Fca -tra le grandi aziende- è l'ultima (nonchè perdente) nel pianeta per ciò che riguarda investimenti in ricerca e innovazione nel campo delle auto ibride, elettriche, solare e idrogeno, avendo scelto sei anni fa di votarsi al suv diesel per monetizzare nell'immediato subitaneo, rinunciando a una prospettiva di più ampio respiro. La Nissan considera se stessa un anello del futuro e considera la Fca un anello del passato. La Renault ha preso atto e lo ha comunicato agli Agnelli chiedendo tempo.
La Fca, invece, ha rotto e si è ritirata per scelta.
Questi sono i fatti oggettivi nudi e crudi.
Da cui le reazioni e i commenti di tutti.
Di Maio e il M5s si sono allineati.
In tal modo perdendo un'occasione davvero molto ghiotta (e aggiungerei forse unica) di prendere tre piccioni con una fava. Come?
Se Di Maio fosse stato uno statista e un solido politico abile avrebbe approfittato per applaudire sia la Nissan che la Renault, sottolineando con vigore l'ottusa miopia di Marchionne (geniale e imbattibile manager della finanza, ma del tutto indifferente all'ecosistema, all'ambientalismo, e all'ecologia) spezzando una lancia contro la mitomania dei diesel suv, sostenendo le nuove politiche energetiche di Macron e di Abe e ricordando alla Ue che il M5s ha sempre avuto come bandiera propulsiva del proprio consenso la difesa sacrosanta dell'ambiente. Se avesse fatto questo, i francesi e i giapponesi e i tedeschi lo avrebbero applaudito riconoscendolo come fratello nel bisogno (Italia, Giappone, Francia e Germania, tutte insieme non riempiono neppure una tanica di benzina, come è noto) e immediatamente sarebbero diventati più malleabili nel trattare le problematiche del nostro debito. Tutti i verdi europei e lo zoccolo duro del bacino elettorale pentastellato avrebbero applaudito recuperando la propria identità e, infine, Di Maio avrebbe avuto la opportunità di aprire un canale privilegiato di discorso con Francia, Germania, Giappone.
I mercati si sarebbero tranquillizzati, lo spread sarebbe sceso di almeno 25 punti e il M5s avrebbe ritrovato i suoi elettori.
Un gran bel colpo.
E invece no. Macchè.
Stiamo con i petrolieri texani (Steve Bannon li rappresenta in Italia) e con quelli russi via Marie Le Pen/Salvini, aiutando anche la Cina che non vede con favore nè l'ibrido nè l'elettrico nippo/francese, dato che in Asia i due giganti si odiano da circa 2000 anni.
E' andata così.

Qui di seguito pubblico la dichiarazione formale del ministro francese dell'economia che ha girato in tutto il mondo.
Tranne che in Italia, si intende.


Ha dichiarato Bruno Le Maire:

“La nostra prima esigenza era che questa fusione fosse siglata nel quadro dell'alleanza tra Renault e Nissan. Questo presupponeva che i rappresentanti di Nissan, presenti nel consiglio di Renault, votassero a favore del progetto. Mercoledì sera questa condizione non è stata rispettata: il nostro partner si sarebbe astenuto in caso di voto nel consiglio di Renault. Avremmo potuto prendere altro tempo per ottenere il suo appoggio necessario al lancio della fusione su basi chiare e solide. Oltretutto il mio viaggio in Giappone nel fine settimana, per il G20 finanziario, mi permetteva di proseguire le discussioni con i nostri partner giapponesi. Ma Fca ha fatto una scelta diversa. Da parte nostra, noi abbiamo agito sin dall'inizio con coerenza e fermezza. Per il futuro, chi lo sa"