mercoledì 23 gennaio 2019

Lino Banfi non è mio nonno, e io non sono suo nipote. Ben altra è la mia famiglia.






di Sergio Di Cori Modigliani


Il terrore dell'estetica orgogliosa del pensiero forte cede il passo e si arrende ormai davanti al terrorismo impudente dell'ignoranza.
Questa è la notizia del giorno.
Si leggono ormai dovunque i distinguo da parte di diverse persone che sottolineano il rispetto doveroso nei riguardi di Lino Banfi definito "il nonno d'Italia".
Mi fa orrore.
Conferma la mia scelta di auto-definirmi un esule in patria.
Se io avessi o avessi avuto un nonno così, sarei morto dalla vergogna.
La mia famiglia italiana è ben altra.
Sono identificato come cittadino italiano in ben altri valori.
E in quanto italiano pensante, mi sento nipote di ben altri nonni.
Certamente non di una persona che insieme a Emilio Fede ha fatto ai suoi tempi una strabordante campagna elettorale a favore di Berlusconi esaltandolo, perchè quelli sono sempre stati i suoi valori: soldi facili, servilismo totale e deferenza.
Con l'aggiunta di tette, glutei a gogo, e un'italianità deteriore, regressiva, pecoreccia e regredita, che ha sempre ruotato intorno al concetto totemico della femmina degradata, ridotta e sminuita a mero oggetto carnale da offrire in pasto a guardoni repressi travolti dall'ansia onanistica tipica dei frustrati.
Nel nome di Dio, Patria e Famiglia.
Non è mio nonno.
O meglio: io non sono affatto suo nipote.

venerdì 4 gennaio 2019

L'Orlando Furioso non mi piace.



di Sergio Di Cori Modigliani

La memoria non è un optional e, come è noto, per un Paese ammalato da almeno 30 anni di Alzheimer sociale, i temi di attualità arrivano, soprattutto ai giovani, in maniera degradata perchè privi della sostanza interna coltivata dall'analisi dei processi della Storia. Nasce così la confusione, la mancanza di punti di riferimento e la pubblicazione continua di notizie deprivate dei frammenti di verità collettive.
L'uscita di Leoluca Orlando, che in queste ore sta infiammando el pueblo unido, anzi meglio, le uscite di due campioni del populismo deteriore della sinistra festivaliera come De Magistris e Orlando, mi appaiono come una modalità propagandistica di chi -con agghiacciante cinismo- bada soprattutto ai propri elettori e non ai bisogni della collettività.
Leoluca Orlando non è, per me, un personaggio politico attendibile, sotto nessun punto di vista. E chi conosce bene la Storia d'Italia lo sa benissimo. Lo ricordo protagonista promotore di una vergognosa macchina del fango contro il giudice Giovanni Falcone nella tarda primavera del 1990, arrivando al punto tale di presentare un esposto contro il compianto magistrato, sostenendo (a quei tempi) che Falcone rappresentava un pericolo per la democrazia e andava rimosso dal suo incarico. Da quel momento, il partito di Orlando (si chiamava "La rete") inizia una furibonda campagna di attacco personale contro Giovanni Falcone, che è finito isolato ed emarginato. Ricordo una puntata a maggio 1990 della trasmissione Samarcanda dove questo potente democristiano (per l'appunto, Leoluca Orlando, il quale se ne va dalla DC alla fine degli anni'80 quando finisce la guerra fredda e fonda un suo personale movimento populista) compare in televisione e così, con enorme sorpresa di tutti, attacca frontalmente Giovanni Falcone. In quel momento, il giudice era sostenuto politicamente soltanto da tre importanti soggetti politici: il socialista Claudio Martelli, e i ministri democristiani Mino Martinazzoli e Sergio Mattarella. Era un momento delicatissimo della vita nazionale, e quell'attacco furibondo e frontale contro il giudice Falcone rimase (e tuttora rimane) scolpito nella memoria collettiva di chi ha seguito la vita politica di questo Paese.
Tutto ciò per dire che, il sottoscritto, non si fida del più violento populista italiano (Salvini, Conte e Di Maio sono novizi infantili in confronto) e, prima di saltare sul carro della chiamata alle armi di Leoluca Orlando, sarebbe il caso che el pueblo unido vada a controllare eventi, accadimenti e alleanze della biografia politica di chi (come appare chiaro) intende porsi come nuovo leader della sinistra populista antagonista.
Il sottoscritto, allora, era fortemente schierato dalla parte di Giovanni Falcone.
Lo è ancora.
La memoria non è un optional.



L'amore ai tempi della guerra fredda






di Sergio Di Cori Modigliani


E' possibile, oggi, ai tempi dei social media, riuscire a fare un film in cui si coniugano i temi della consueta tragedia classica di stampo romantico a quelli della denuncia sociale e della ricerca antropologica culturale di stampo etnico?
E se a questo aggiungessimo anche il dibattito sulle differenze sentimentali di genere, nonchè la pretesa di offrire una poesia visiva non prodotta da effetti speciali (fregandosene di pedinare l'audience) si troverebbe mai qualcuno disposto e disponibile a produrre un film così fatto, niente affatto leggero, con l'aggravante di dover rispettare la pretesa retro del regista che a tutti i costi lo vuol girare con un bianco e nero anni'50?

Sì, è possibile.
A condizione che il regista sappia che cosa sta facendo, dove vuole andare e dove intende portarci.
A condizione di appartenere a un paese della Ue che ha una solida tradizione cinematografica alle spalle e sa come utilizzare i fondi europei a disposizione del cinema come strumento culturale.
Per non parlare della condizione fondamentale di avere un attore maschio e un'attrice femmina (niente divi o nomi appariscenti) che devono essere dotati di più che solido impianto recitativo -entrambi davvero sexy al di là di ogni dubbio- pienamente integrati nel loro ruolo, in grado di regalarci emozioni, sensazioni e piacere visivo.
Se si è polacchi e ci si chiama Pavel Pawlikowski, Joanna Kulig e Tomasz Kot, allora è possibile.
Consiglio a tutti i cinefili di andare a vedere il film.

Per quanto riguarda lo stato della nostra nazione, rassegnamoci accettando ciò che siamo, oggi, nel mercato internazionale: all'ultimo glorioso posto tra quelli che contavano.
A Varsavia fanno la fila per andare a vedere i loro eroi.
Da noi, top leader Massimo Boldi e Christian De Sica.
A ciascuno il suo.