di Sergio Di Cori Modigliani
Mi manca l'Argentina.
Mi manca Buenos Aires.
Un po' difficile, forse, da comprendere per un italiano.
Quando si dice Argentina, in Italia si pensa ai gauchos, al calciatore Messi, alla squisita carne, al ballo del tango, alle pampas sterminate e ai pinguini. La cosa finisce lì.
Sono rientrato in Italia circa un anno fa, dopo una permanenza a Buenos Aires durata un anno e mezzo. Quando gli amici mi scrivevano mi chiedevano "ma che stai a fa' laggiù? Balli il tango?".
Io non sapevo mai che cosa rispondere.
Era un po' come se uno, dalla Corea del sud, scrivesse a un amico che da un anno sta a Roma e gli chiedesse "ma che cosa fai lì, mangi i bucatini all'amatriciana tutto il giorno?"
Forse, c'è anche qualcosa d'altro.
Due anni e mezzo fa sono andato in Sud America per essere presente a una mostra dei miei quadri.
Pensavo che ci sarei rimasto due mesi al massimo.
Ce ne sono voluti diciotto, prima che riuscissi ad andarmene via ritornando in Italia.
Un giorno -ero lì da qualche settimana- è entrato in galleria il regista de "Il padrino", Francis Ford Coppola. Gli ho chiesto come mai stesse a Buenos Aires, se stava per caso girando un film.
"Io qui ci abito. Ho comprato casa dietro l'angolo. Questa è l'ultima città al mondo, oltre a Berlino, dove esiste ancora l'arte visiva e la letteratura. Sa, di questo ci nutriamo noi registi cinematografici".
Dopo un mese, una sera, è entrato Al Pacino, che sei mesi fa ha sposato una scrittrice argentina.
Anche lui si è trasferito a vivere a Buenos Aires.
Non sono gli unici.
Dopo sei mesi che stavo lì ho visto i manifesti per strada che annunciavano l'inizio della Fiera Internazionale del libro. Durata: 15 giorni. La più lunga tra tutte. 179 nazioni partecipanti. Italia, unica nazione -tra quelle importanti- a non aver partecipato; si vede che i consulenti super pagati dell'industria editoriale che conta si erano dimenticati di riferire alla sezione marketing che la lingua spagnola, scritta e parlata, dopo il cinese, è la lingua più diffusa nel pianeta terra: la parla e la legge un intero continente, un importante pezzo d'Asia e un paese europeo membro dell'euro, circa un miliardo e mezzo di persone.
Alla Fiera del libro circa un migliaio di scrittori argentini hanno venduto la media di circa mille copie del loro ultimo romanzo venduto.
A Buenos Aires, nel 2009 hanno aperto i battenti circa 1.250 librerie indipendenti e il volume di affari relativi alla vendita di libri è in continua espansione.
E' l'unica città al mondo d'occidente dove esiste e resiste e persiste la cultura del caffè letterario.
Soltanto nella città di Buenos Aires abitano circa 2500 scrittori di professione che vivono piuttosto bene grazie ai proventi dei loro scritti, delle loro conferenze, dei loro laboratori di scrittura.
Soltanto nel quartiere di Palermo e di San Telmo hanno aperto circa 500 gallerie d'arte nell'ultimo anno con un volume d'affari complessivo (due quartieri di una città) pari a quello realizzato in tutta la Repubblica Italiana nell'ultimo triennio.
Esiste la più importante scuola di psicoanalisi del mondo.
L'investimento nella ricerca scientifica è aumentata del 154% rispetto al biennio precedente.
Paese cattolico molto praticante e devoto, ha varato la legge sul matrimonio per i gay diciassette mesi prima di New York.
Sono cinque anni che regolarmente il governo riesce a pagare la propria quota di debito al Fondo Monetario Internazionale.
Eppure, noi, qui lo consideriamo Terzo Mondo.
Ogni anno, a Buenso Aires, si girano circa 500 film, di cui una ottantina tutti argentini. Vengono distribuiti in tutto il mondo, soprattutto Usa, Asia, Spagna e l'intero continente americano. Fanno tutti profitto.
In Italia non ne è arrivato neppure uno negli ultimi cinque anni.
Sta fiorendo una industria della moda prodotta soltanto con tessuti eco-sostenibili che provengono da aziende agricole a produzione bio-integrata: hanno ormai raggiunto il 73% dell'agricoltura nazionale.
Dall'Europa ci sono prenotazioni fino al 2015 per le dodici cliniche private dove eccellenti medici argentini lavorano a pieno ritmo.
In Italia chiudono ci cinema. A Buenos Aires li aprono. Così le librerie. Così i centri culturali.
I sei più importanti docenti di filosofia, psicologia, economia aziendale, marketing internazionale dell'Università Sorbonne di Parigi sono andati a Buenos Aires a fare delle conferenze nel 2009 e nel 2010, ma non sono venuti in Italia.
Ancora "sentono" dentro, gli argentini, un senso di inferiorità rispetto al "primo mondo" che saremmo noi italiani, che lì abbiamo prosperato contribuendo a produrre ricchezza, lavoro e cultura.
Ma sempre di meno.
Basterebbe ascoltare con scrupolosa attenzione ciò che dice Enrique Mejia Campos, importante economista argentino (insegna anche a Harvard, in Italia neppure lo conoscono) "In alcuni paesi dell'Europa occidentale si è verificata una tragedia economica di insospettate dimensioni epocali che prosegue nel suo trend, peggiorata dal perdurante falso ideologico di cui le popolazioni sono vittime: hanno fatto creder loro che sono in presenza di una crisi economica. Non è così. Non c'è nessuna crisi nè in Italia, nè in Spagna, nè in Portogallo, nè in Francia. E', invece, l'inizio di un ciclo storico durato cinquecento anni. E' l'inizio di una decadenza epocale. Dal punto di vista macro-economico è paragonabile soltanto alla crisi verificatisi in Europa intorno al VI secolo d.C. quando crollò l'Impero Romano d'Occidente. Difficilmente riusciranno a invertire la tendenza. Cercando di tappare un buco pensando che ci sia una falla, mentre si tratta di una voragine, non contribuerà certo a un risanamento in tempi brevi".
Noi insistiamo nel considerare gli argentini come dei selvaggi con la piuma in testa bravi a produrre calciatori, ballerini di tango e una manciata di pinguini in antartide.
Non è così.
Non a caso, gli ultimi indici statistici elaborati dall'osservatorio dell'Unesco rivelano che gli argentini -rispetto agli europei occidentali- sono, nel 78% dei casi "più felici, risolti, ottimisti ed equilibrati".
"Sono un paese proiettato verso il futuro" sostiene il Fondo Monetario Internazionale.
Che anche quest'anno gli ha rinnovato la fiducia.
Senza fare tanto clamore.
Senza dirlo in giro.
Senz'altro meno ricchi di noi, molto ma molto molto meno ricchi.
Ma non per molto.
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