mercoledì 30 aprile 2014

A la guerre, a la guerre, c'est l'Europe: lo scontro tra le due Italie.


"Non mi stupisce l'esistenza della violenza criminale. Non mi colpisce l'idea che esista la corruzione politica. Non mi sorprende l'esistenza del malaffare e dell'illegalità. Ciò che mi addolora, mi angoscia, e non riesco davvwro ad accettare, è il silenzio di milioni di persone oneste, per bene, che tacciono per paura".

                                                                   Rev. Martin Luther King. Memphis. 1964





di Sergio Di Cori Modigliani

Meno male che il martedì sera, in televisione, c'è il calcio internazionale. 
E' la mia droga preferita per combattere i danni nefasti dei talk show italioti, risparmiandomi così l'atroce masochismo della rassegnazione che colpisce chi, invece, li segue.
Grazie Cristiano Ronaldo! (comprensibile soltanto a chi segue la gloria del pallone).

Chissà che cosa facevano, gli italiani, la sera, a casa, nel 1943, quando sul nostro paese volavano i bombardieri inglesi pronti a sganciare tonnellate di bombe e a terra c'erano i nazisti a far razzia tra la popolazione civile. Allora, la televisione non esisteva, il medium per eccellenza era la radio, completamente assorbita dalla propaganda di regime, e la preoccupazione principale consisteva nel salvare la pelle, trovare del pane, evitare di essere arrestati, torturati e uccisi. Quindi, l'energia veniva investita su eventi reali, tangibili, mentre la classe dei disagiati aumentava in maniera incredibile e consentiva un nuovo modello di socialità. Accanto ai poveri storici, infatti, comparivano famiglie della buona borghesia, un tempo abbienti, che si ritrovavano all'improvviso sfollati in mezzo alla strada, senza più una casa nè una protezione, oppure -se antifascisti- costretti a nascondersi per non essere arrestati, magari nel seminterrato di una casa di campagna dove nascevano conoscenze, amicizie. In alcuni casi anche degli imprevisti amori tra cittadini del regno che un tempo non avrebbero mai avuto la opportunità nè la circostanza di potersi incontrare, perchè appartenenti a un censo diverso.
Erano due Italie: le consuete rotaie del binario nazionale.
Da una parte i furbi, gli avidi, i paurosi, i pusillanimi, gli opportunisti, i delatori, che cercavano di approfittare della situazione di emergenza per vendere un panetto di burro a venti volte il suo valore standard, o chiedere cifre astronomiche per nascondere qualcuno in cantina.
Dall'altra parte, c'era la grande massa di chi cercava di ritrovare un Senso Umano a quella immane tragedia, di consolidare un nuovo modello di socialità condivisa (ritrovata grazie a quella tremenda circostanza) perchè consapevoli -magari inconsciamente- che quella jattura sarebbe finita e scomparsa per sempre non soltanto quando le bombe non sarebbero più piovute dal cielo nella notte e i tedeschi sarebbero ritornati a casa loro, bensì quando un nuovo modello di umanesimo condiviso, di esistenzialità solare, si sarebbe affermato diventando l'humus necessario per rigenerare la nazione e restituire un significato alla vita, sia individuale che collettivo. Senza più paura.
La guerra, come ogni concetto estremo, nella sua follia, produce una sua forma intrinseca di verità perchè smaschera le psicologie, denuda il carattere, evidenzia il valore dell'anima delle persone. E' sempre stato così, ed è il suo macabro fascino, quello che ci porta a seguire sempre con commovente attenzione i grandi filmoni di guerra pieni di eroi. Insulsi ometti e donnette irrilevanti, all'improvviso, si trasformano in veri e propri giganti dell'anima; mentre, contemporaneamente, delle personalità di spicco, riverite, omaggiate e stimate pubblicamente, rivelano lo squallore della loro infima natura interiore, celata soltanto da una apparenza ricca e colta che ne aveva coperto le mestizie e gli obbrobri psicologici.

Noi, oggi, ci troviamo nella stessa identica situazione dei nostri genitori, nonni e bisnonni, vissuta nel 1943.
E' una guerra post-moderna, con tutte le caratteristiche delle società cosiddette avanzate.
E' reale ma non dichiarata ufficialmente per iscritto.
E' vera e consapevole, ma chi si trova sotto le bombe, molto spesso non lo sa. Perchè oggi, 2014, gli aerei sono silenziosi, sono invisibili, così come lo sono le truppe schierate: a questo serve (anche) l'alta tecnologia: a condurre guerre chirurgiche senza che esistano testimoni in grado di provare l'esistenza di crateri a terra, paesi rasi al suolo, vite distrutte, esistenze condannate, lutti e dolori collettivi. Ricordate nel luglio del 2011 quando l'allora Ministro della Difesa Ignazio La Russa si sperticava alla tivvù nell'esaltare e celebrare l'uso da parte dell'Italia di "bombe intelligenti" sganciate sulla popolazione libica.? Erano intelligenti, sì, per chi le buttava, ma certamente non per chi stava sotto a vedersele piovere in testa. Ma la voce dei cittadini di Tripoli non contava, e nessuno l'ha mai nè sentita nè ascoltata.
Oggi è uguale.
Un gruppo di avidi speculatori, opportunisti e immorali, sostenuti da gruppi finanziari stranieri internazionali, si è mangiato e si sta letteralmente spolpando l'intera Repubblica Italiana. 
E' una vera e propria razzia bellica. 
E' la guerra tra i custodi del privilegio e la cittadinanza attonita.
Bugie, falsità, menzogne, illusioni, tutto viene usato per vincere la guerra.
A questo serve la cupola mediatica nella società attuale dell'alta tecnologia: a non farvi capire che vi hanno dichiarato guerra, e non si fermeranno finchè non la vincono o non la perdono.
La vittoria -per l'attuale classe politica dirigente e la criminalità organizzata che detta loro l'agenda degli affari- consiste nell'affermare il principio collettivo per cui i cittadini sono sudditi passivi, il cui compito consiste nel pagare tasse e godersi la vita con giocattoli di consumo accessibili alla massa: tablet, 800 canali tivvù, spettacoli di vario genere, la possibilità di viaggiare a costi minimi, consumando prodotti che loro producono. Basta. E' l'unica cosa che vogliono e pretendono: che voi li votiate così loro seguiteranno a sterminare la vostra anima. Voi dovete lavorare alle loro condizioni belliche, pagare le tasse che loro impongono, e dovete entrare dentro la mentalità della sopravvivenza (ringraziando quindi il cielo se siete ancora vivi e avete anche un tetto che vi protegge dalle intemperie) accettando eventi, accadimenti, e persone, inconcepibili in una situazione di pace.
I disagiati, i disoccupati, gli afoni, i senza nulla, sono il corrispondente odierno dei deportati di allora: vengono usati come spauracchio e avvertimento per diffondere paura, chiusura, egoismo: "se non fate come diciamo finirete anche voi così".
L'altra Italia, che si oppone a questo disegno, ha capito che c'è la guerra.
La vive sulla propria pelle ogni santo giorno, e ne denuncia l'esistenza, cerca di spiegarne la tessitura, la conformazione, smascherando la natura dei belligeranti che è feroce e spietata.
Gli altri italiani sono la maggioranza, ma sono afoni, non hanno potere e hanno paura.
E' comprensibile.
Le bombe, lo sfollamento, la precarietà, il disorientamento provocato quando il potere si manifesta, determina una reazione di avvilimento che nutre lo sconcerto e lascia a bocca aperta perchè ci si trova dinanzi a eventi inauditi, episodi estremi, efferatezze impensabili.
E la natura della guerra: essa è estrema per definizione.
Così, il paese accetta i comportamenti di Berlusconi & co. entrando in un universo mentale in cui l'illegalità, la mancanza di Senso, l'ipocrisia, la falsità, sono diventate norma.
Sull'edizione cartacea de Il Fatto Quotidiano di oggi, Marco Travaglio presenta l'elenco di persone impresentabili (indagate, condannate, inseguite dalla Giustizia) candidate in Forza Italia, nel PD, nel Nuovo Centro Destra, in Lista Civica, in Fratelli d'Italia.
Questo lo considero, per l'appunto, un evento bellico.
 I giornalisti li intervistano, chiedono le loro opinioni, li promuovono, e in tal modo contribuiscono a diffondere l'idea che tutto ciò sia normale.
Così accade che su Rainews24, la capogruppo del partito di Alfano, Nunzia de Girolamo, presentandosi come paladina del buon governo dichiari "Magari fossimo come la Gran Bretagna", dimenticando che se fossimo come la Gran Bretagna lei sarebbe stata costretta a ritirarsi a vita privata per sempre, scomparendo nel nulla. Capita così che un certo Magdi Allam, nato e cresciuto in Egitto da genitori egiziani e nonni egiziani e kenyoti, sia candidato nella lista Fratelli d'Italia con lo slogan "Gli italiani prima". Capita che un folto gruppo di aderenti a Sel che si sono gettati dentro la Lista Tispras, dichiarino e sostengano la propria distanza da Vendola perchè vogliosi di appoggiare ufficialmente Matteo Renzi e sostenere il PD, partito contro il quale sostengono di combattere nella sezione europea.
E' una realtà senza senso, priva di coerenza e di logica.
A meno che non si comprenda che siamo in guerra.
L'altra Italia l'ha capito e se ne rende conto.
E il panico comincia a serpeggiare tra i governativi: non capiscono come sia possibile che giorno dopo giorno, nonostante il bombardamento capillare mediatico, il M5s aumenti i consensi, e comincino a manifestarsi le prime defezioni all'interno dei partiti. Anche nel 1943, i tedeschi non capivano come fosse possibile che, nonostante il terrore che loro avevano imposto, ci fossero in giro persone disposte e disponibili a rischiare la vita per combatterli.
Eppure era così.
L'attuale potere usa l'arma del cinismo per far credere che non esiste alternativa a loro. Vogliono far credere che l'onestà sia una utopia e non un evento reale.
Vogliono far credere che la politica sia uno sporco affare privato e non la gestione della cosa pubblica nel nome del bene comune.
Vogliono far credere che non esiste, in Italia, nessuna possibilità di poter coltivare alcun ideale, idea, progetto, ambizione, al di fuori della logica mercantile dei soldi che deve rimanere il primo Valore in assoluto: dovete parlare sempre solo e soltanto di danaro.
Vogliono far credere che il problema sia il costo del lavoro, non è così. Il lavoro è un capitale sociale di investimento, ben altra cosa. E' la stessa differenza che c'era nel 1943 tra chi pensava di appartenere a una razza geneticamente superiore e gli altri.
Vogliono far credere che rifiutarsi di aumentare la tassazione allo 0,8% della popolazione (quei 500 mila che nel 2013 hanno dichiarato più di 5 milioni di euro all'anno di entrate nette) non servirebbe in alcun modo ad aumentare il gettito per l'erario.
Vogliono far credere che sia "impossibile" abolire domani mattina i vitalizi parlamentari con decreto urgente e immediato.
Vogliono far credere che sia "impossibile" ridurre i costi del personale burocratico politico che costa a noi contribuenti intorno ai 50 miliardi di euro all'anno, facilmente riducibili a 5.
Vogliono far credere che sia "impossibile" protestare il contratto sugli F35 approfittando del fatto che perfino la commissione difesa del Senato Usa li ha definiti "una tragica carretta dell'aria" imponendo al governo americano di non accettare la commessa, poi passata a colonie popolate da abitanti intellettualmente inferiori, come l'Italia.
Vogliono far credere che la Legge è uguale per tutti, e così, mentre il pregiudicato Berlusconi è tutti i giorni in televisione a spiegare perchè la magistratura è immonda, il sindacato di polizia applaude gli agenti responsabili di aver massacrato di botte il cittadino Aldrovandi. 
Vogliono far credere che non esiste alternativa al potere di Berlusconi, al potere della criminalità organizzata, al potere del PD, al potere della burocrazia, non c'è: prendere o lasciare.
Vogliono far credere che -parole di una dirigente del PD- se esistono persone senza reddito è perchè nella vita "hanno combinato davvero poco, altrimenti non si troverebbero in quella condizione".
Vogliono far credere che stanno pagando i debiti alle imprese. Non è vero.
Vogliono far credere che la crisi dipende dalla scarsa produttività italiana. Non è vero. La produttività è scarsa perchè l'Italia è la nazione d'Europa che, tra il 2004 e il 2014, ha speso la cifra minore in assoluto per ricerca scientifica, innovazione, istruzione e cultura. E' diventato un paese intellettualmente flaccido e privo di vigoria, così lo si controlla meglio.
Vogliono farvi credere che viviamo in pace e che "L'ordine regna in Italia".
Non è così.

Il voto europeo del 25 maggio è una bella occasione per dire la propria in questo referendum di guerra. 
Gli italiani hanno la possibilità e l'opportunità di uscire fuori dal consueto meccanismo ideologico, trucco da baraccone che non funziona più: non esistono fascisti e comunisti, non esistono più neppure liberisti e keynesiani, neanche europeisti ed anti-eruopeisti.

Esistono soltanto due categorie di persone: da una parte, chi ha capito di essere vittima di falsità, di menzogne, di falsi quotidiani, e si rifiuta di essere trattato e considerato come un suddito passivo: costoro hanno deciso di ribellarsi. 
Dall'altra, ci sono invece quegli italiani che preferiscono mentire a se stessi, sapendolo, perchè preferiscono fingere che non c'è la guerra per bieco opportunismo, e dicono a se stessi che le personalità al governo stanno lì perchè sono i migliori, i più competenti e si occupano del bene comune. 
Chi il 25 maggio voterà, a destra o a sinistra, per uno dei partiti storici che insieme gestiscono l'apparato dello Stato e del mercato, è un collaborazionista.
"Le due Italie" non sono quella settentrionale e quella meridionale.
Sono l'Italia che si è svegliata e quella che dorme, o per ipocrisia o per ignoranza.
La possibilità di poter combattere contro questa impresentabile e oscena classe politica dirigente c'è, eccome, basta diventare elettori attivi con la consapevolezza di star partecipando a una guerra autentica.
Non esistono più scorciatoie, mediazioni, compromessi.
Ormai i giochi sono chiari a tutti.
La cittadinanza s'è svegliata e sta irrompendo sullo scenario politico nazionale.
E ha tutta l'intenzione di andare a portare la notizia nel cuore dell'Europa a Bruxelles.
E' l'unica possibilità per restituire un Senso alla vita sociale e pubblica.
Per dare un significato alla partecipazione di tutti.

Il referendum è su questo: o noi o loro.

lunedì 28 aprile 2014

Cinecittà compie 77 anni, mentre in Italia si cerca di inventare una nuova stagione di illusioni, sogni, finzioni per evitare l'annunciato tracollo del regime alle elezioni europee.


di Sergio Di Cori Modigliani

Sui media, di ieri e di oggi. 
E sulle prospettive, elettorali e non, del nostro immediato futuro.

Oggi, Google inventa un suo doodle per celebrare il 77 anniversario di Cinecittà.
Il 28 aprile del 1937, infatti, il fascismo lanciava gli stabilimenti cinematografici romani come punta di diamante della modernità di allora.Così, almeno, lo presentava il regime.
In verità, l'Italia arrivava all'appuntamento con almeno dieci anni di ritardo, ma le comunicazioni allora erano molto scarse e soprattutto lente, quindi poco o niente si sapeva di ciò che accadeva nell'industria cinematografica statunitense, inglese, francese, russa.
Il cinema era il medium d'avanguardia negli anni'30, ma non soltanto per il fatto che fosse una novità e il luogo di socialità per eccellenza, ma per un fatto prettamente economico.
In Usa, negli anni'30, era diventata la prima industria nazionale, l'unica a essere rimasta immune dal crollo disastroso di Wall Street. Non solo. Basti pensare che nel 1930 erano emigrati a Los Angeles, provenienti da ogni stato della confederazione, circa 5 milioni di persone in cerca di lavoro, in ogni settore dell'industria. Si assumevano architetti, falegnami, disegnatori, ingegneri, medici, infermieri, contabili, sarti, scrittori, attori, agricoltori, veterinari. Era l'Eldorado dei disoccupati. E i finanzieri che avevano perso tutto nel crollo della borsa spostarono i loro capitali a Hollywood. Nel 1931, i più importanti studios avevano acquistato a poco prezzo diversi ettari di terreno nella zona di Ventura County dove avevano chiamato migliaia e migliaia di contadini per produrre la frutta e la verdura necessaria per sfamare una impressionante quantità di persone che contribuiva e collaborava a produrre e realizzare sogni, favole e illusioni per tutti quanti, inventando un mercato che funzionava.
In Italia, il fascismo ne colse gli aspetti propagandistici necessari per promuovere il regime e fondò gli stabilimenti dando vita a una industria nazionale che rimase però ancorata e subalterna alle sovvenzioni governative. La grande fortuna di Cinecittà arrivò qualche decennio dopo, verso la metà degli anni'50, quando si affermò come una potente industria nazionale arrivando alla sua punta massima nel 1975, seconda al mondo, quando a Roma si dava lavoro a circa 300 mila persone e il cinema era diventata la terza industria nazionale, dopo quella metalmeccanica e agricola. Poi,alla fine degli anni'70, memore dell'eredità fascista, volutamente mai alchemizzata in Italia, la classe politica -soprattutto i democristiani e i comunisti- ci misero le mani sopra fagocitandola e distruggendola. Oggi, la produzione cinematografica italiana è considerata minore e irrilevante, si aggira intorno al 27esimo posto nel mondo, e non produce nè lavoro nè occupazione nè creatività, a meno che (si intende) non si sia iscritti al PD o a Forza Italia, aziende private pagate dagli ignari contribuenti, i quali foraggiano (senza saperlo) delle società che controllano attraverso cinque marchi tutto il mercato, impedendo qualunque forma di espressione al di fuori del controllo capillare partitico. Basterebbe pensare che negli ultimi 20 anni l'Italia non è stata in grado di produrre una scuola, un filone, un modello, scegliendo di rintanarsi dentro un'ottica provinciale, fuori e lontano dai mercati internazionali, da usare al proprio interno esclusivamente secondo un'ottica propagandistica a uso e consumo dei partiti.
La distruzione di Cinecittà è il simbolo e l'emblema della totale mancanza di una politica industriale autoctona, ed è la prova più chiara e lampante dei risultati oggettivi prodotti da una classe di funzionari delle aziende-partito il cui obiettivo non è mai stato quello di produrre lavoro e occupazione, bensì mantenere una solida corte di clientele deferenti e servili.
Buon compleanno, quindi.
Grazie per aver distrutto un grande patrimonio industriale, avvilendo la creatività, impedendo in tutti i modi l'affermazione di forme libere di espressione, e soprattutto annullando il merito e la competenza tecnica, due elementi senza i quali non è possibile realizzare un buon film. 
Alla distruzione dell'industria cinematografica si accompagna su un binario parallelo l'annientamento dell'industria editoriale, ormai incapace di produrre cultura e diffondere il sapere: era l'obiettivo primario delle banche che possiedono il 92% delle case editrici italiane, a differenza degli Usa, Francia, Germania, Gran Bretagna dove esistono ancora produttori, editori puri e dove i dati di mercato indicano un aumento esponenziale degli indici di lettura e una fortissima ripresa della produzione nazionale, sia quella cinematografica che editoriale.
Esattamente il trend opposto a quello che si sta verificando nel nostro paese.
Azzerato il cinema e la letteratura  -i due più potenti veicoli di divulgazione massificata- l'attuale classe politica dirigente ha così gioco facile nel poter imporre un sistema di comunicazione che ruota esclusivamente intorno al totem televisivo. 
Si è trattato di un vero e proprio genocidio culturale di cui gli imprenditori sono stati i principali complici responsabili.
In Italia non esiste più la cultura del rischio, è stata sostituita dalla cultura del controllo pilotato.
In tal modo è stato un gioco facile ed elementare far passare dei parametri e degli schemi mentali di totale assuefazione alla dipendenza e al servilismo.
Gli ultimi tre premier in carica (Monti, Letta, Renzi) non hanno mai speso neppure una frase o un rigo -e quindi tantomeno soldi- a favore del rilancio culturale italiano, intervenendo con una adeguata politica nazionale in campo editoriale e cinematografico.
Non lo vogliono: lo temono.
Più siete ignoranti, meglio è per loro.
Meno romanzi leggete, tanto più aumenterà l'impossibilità di fare connessioni, elemento fondamentale oggi per annacquare, svilire e deprivare di valore il web. Perchè la rete potrebbe essere pericolosa, poichè contiene voci diverse, le più disparate (quindi anche antagoniste) ma se non si comprende come effettuare le connessioni, è inutile. 
E' come avere un computer molto efficiente ed efficace, senza l'Adsl o il wi-fi. Non serve.
Così il potere si è sostituito agli artisti, dopo averli eliminati dal mercato.
Berlusconi e Renzi, ormai, scrivono il romanzo delle vostre esistenze senza raccontarvi la trama e interpretano il film dell'esecutivo presentando la finzione come se fosse realtà.
Gli italiani non hanno più bisogno nè di libri nè di film, perchè ormai sono stati abituati ad ascoltare e guardare e leggere le storie che raccontano ogni giorno i leader dei partiti.
Come accade in Corea del Nord.
Sono per l'appunto sceneggiature, rappresentazioni virtuali che pescano nell'immaginario collettivo e vengono selezionate spacciandole per reali.
Così, come nelle favole, la gente è convinta che Matteo Renzi abbia fatto una riforma al mese da quando è diventato premier ed è convinta che abbia cambiato il paese. E' convinta anche che sia normale il fatto che dal momento esatto in cui è iniziata l'applicazione della sentenza ai danni di Berlusconi, lui sia sempre in televisione intervistato da qualcuno. Considera normale il fatto che Nunzia Di Girolamo -obbligata alle dimissioni da ministro - sia diventata capo gruppo del Nuovo Centro Destra e sta sempre in televisione, ma non c'è mai nessun giornalista che ricorda la vicenda e chiede spiegazioni. E' considerato normale il fatto che coloro i quali hanno voluto, votato e accolto il Fiscal Compact, oggi vanno in giro a sostenere che andrebbe abolito, come se -a votarlo- fossero stati altri e non loro. Proprio come nelle favole. In tal modo è possibile dire e fare ogni cosa.

Per fortuna c'è una parte del paese che dà segni di risveglio. Per istinto.
Poco a poco, quella parte sta crescendo, si sta accorgendo dell'esistenza della realtà, e comincia a premere, sempre di più.
Quindi, si accelera la produzione favolistica per impedire che le persone facciano le dovute connessioni. Ciò che conta è che non si parli degli eventi reali, bensì di quelli evocati, di quelli immaginati, come nella pubblicità. 
Accade pertanto che la notizia più importante dal punto di vista politico -vero e proprio terremoto- passi completamente inosservata e non venga neppure contemplata, come è accaduto in questi giorni. La notizia, sul mio quotidiano surrealista, sarebbe apparsa ieri così raccontata in prima pagina: "Berlusconi rompe il patto con Renzi. Napolitano convoca il primo ministro. Salta la legge elettorale".
E' accaduto esattamente questo, ma nessuno ci ha fatto caso.
L'Italicum, vero obbrobrio sotto forma di truffa legale, non vale più. Era stato ideato dai due marpioni per evitare legalmente la possibilità che il M5s -terza forza politica.- potesse essere contemplata e accettata come interlocutore accettabile.
Il fatto è che tutti i sondaggi sono molto espliciti.
Il M5s viaggia intorno al 27% mentre Forza Italia si affanna intorno al 18%.
Quindi, avendo capito che in caso di elezioni politiche Forza Italia non andrebbe mai al ballottaggio, Berlusconi ha dichiarato formalmente a Porta a Porta che "l'italicum sta lì fermo in Senato perchè è chiaro non verrebbe accettato dalla corte costituzionale, non ha valore". Quindi, è finito.
Renzi sostiene di aver varato la legge elettorale insieme a Berlusconi.
I sondaggi lo danno in calo perenne e quindi -dal suo punto di vista, giustamente- Berlusconi lo boccia perché non gli conviene.
Ma agli italiani non viene spiegato.
E così, Napolitano convoca Renzi per capire come stanno le cose.
Anche in questo caso, non viene riferito nulla.
Perchè la situazione è la seguente, in termini di realtà: Berlusconi non ci sta più , una parte del PD neppure. E' saltato l'accordo. Lo sanno tutti, ma non lo possono dire.
Renzi e Berlusconi hanno fatto un patto tra di loro pensando che poi avrebbero raccontato una bella favola agli italiani che se la sarebbero bevuta.
Invece gli italiani hanno capito che queste elezioni europee sono in verità un referendum, come quelli del giugno 2011, in cui si è chiamati a scegliere tra la favola e la realtà.
E i dati sono impietosi.
Il PD arretra.
Forza Italia va sempre più indietro.
Il M5s avanza.
E così, l'Italicum scompare.
Ma non se ne parla.
In teoria è stato approvato a febbraio, è morto tre giorni fa.
Non c'è stato neppure bisogno di opporsi o fare denunce.
Si sono incartati da soli.
Tanto -loro pensano- la gente non capisce, non  ricorda, non fa domande, non fa connessioni.
Non riescono ad accorgersi che "la gente", nel frattempo, si è stufata.
L'intelligenza collettiva comincia a serpeggiare, a dispetto della cupola mediatica.
Ci hanno tolto prima i film, poi i romanzi.
E' arrivata la realtà, senza illusioni.
E il paese, per conto suo, se ne sta andando da un'altra parte.
E' per questo che devono per forza riportarci indietro.
Se andiamo avanti, per questa gente non ci sarà più spazio operativo.
Lo sanno molto bene.
Il maquillage mediatico, come nei film horror, comincia a liquefarsi.
E mostra il vero volto della nostra classe dirigente per ciò che davvero esso è: obsoleto, vecchio e rugoso, malato,  repellente.

Il Bel Paese, finalmente, si accorge di aver bisogno di una Nuova Estetica.

E non si tratta, per fortuna, di ideologia.
E' il vantaggio dei momenti di grave crisi anche economica: o si cambia oppure si affonda.






giovedì 24 aprile 2014

A quando la rivoluzione, in Italia?



di Sergio Di Cori Modigliani

Quand'è che si verifica una rivoluzione?
E come si fa, a innescarla, una rivoluzione?

La parola "rivoluzione" non viene dalla politica, bensì dall'astronomia. E' stata giustamente presa in prestito perchè identifica con esattezza uno specifico processo. Indica il movimento dei corpi celesti che ruotano su se stessi e fanno un giro intorno alla stella cui fanno riferimento.Quando ritornano nella posizione originaria, sono diversi, anche se magari non sembra, proprio perchè si è verificata la rivoluzione. La si usava anche per indicare i giri che i dischi al vinile compivano sul piatto d'acciaio: 78 rivoluzioni al minuto, oppure 33, più tardi anche 45.
La caratteristica della rivoluzione, che la rende un concetto così affascinante, consiste nel fatto che vince sempre.
Tanto è vero che si sa con matematica e millimetrica certezza che "si è verificata una rivoluzione" soltanto dopo, mai prima. Nessuno, a meno che non sia un pazzo o un mitomane, può pensare di sè (o dirlo o scriverlo) di essere un rivoluzionario durante il percorso, o prima. Se vince, allora è diventato un rivoluzionario.
Se non vince, è rimasto un rivoltoso.
Le rivolte sono tutte rivoluzioni mancate.
Non è mai esistito, nella Storia dell'umanità, il ricordo di una rivoluzione che non abbia vinto, altrimenti non sarebbe tale.
Il rivoluzionario, quindi, è un vincente. Sempre. Ma lo sa dopo, a giochi fatti. Finchè dura la partita corre sempre il rischio di essere un semplice rivoltoso, il che è tragico.
Per comprendere e definire questo concetto, basterebbe pensare alla frase di George Bush sr., allora direttore della CIA, nel 1978, quando, dopo una riunione con i vertici della sua agenzia con i quali stava affrontando la crisi iraniana da loro sottovalutata, disse imprecando: "Cazzo! Questa non è una rivolta, ma è una rivoluzione. Imbecilli che non siete altro!".
Lo aveva capito. E aveva ragione. 
Gli iraniani non lo sapevano ancora, negli ultimi 30 anni avevano vissuto ben sei rivolte, nessuna delle quali era riuscita a diventare una rivoluzione.Se ne sono accorti cinque minuti dopo, come avviene sempre nelle rivoluzioni.
La rivoluzione politica, quindi, si realizza quando si verifica un cambiamento epocale che modifica l'asse strutturale di una società, riportando l'equilibrio solo e soltanto dopo che si sono verificate delle trasformazioni impensabili fino a poco prima.

Tutto ciò per introdurre il tema del post: tutte queste chiacchiere sulle cosiddette o -ancora peggio- presupposte riforme, le trovo (oltre che noiose da morire) ridicole e fuorvianti. 
La situazione dell'Italia è talmente disastrosa che nessuna riforma, ormai, in nessun campo, sarebbe in grado di poter risolvere alcun problema strutturale.
Per cambiare il paese in meglio, è necessaria una rivoluzione.
Ne esistono di due tipi: una violenta e sanguinosa, che abbatte il sistema politico vigente e lo sostituisce con uno diverso, come sono state quelle castrista, cinese, sovietica, francese, inglese, americana. Non mi piace, non la auspico, non la voglio.
L'altra, invece, è di tipo pacifico e armonioso, quella mi piace e la voglio.
Ma non voglio una rivolta, bensì la rivoluzione.
Quella che si manifesta senza colpo ferire, senza neppure una vittima, un incendio, un incidente, che opera nella realtà e la cambia, perchè va a incidere nella struttura reale della società. Galileo Galilei è stato, ad esempio, un grande rivoluzionario; anche il Dottor Fleming (colui che ha scoperto la penicillina) lo è stato; anche Dante Alighieri, Dostoevskij, Le Corbusier, Enrico Fermi, Alessandro Volta, i fratelli Meliès, ecc.
 Il mondo è pieno, grazie a Dio, di rivoluzionari. 
La rivoluzione pacifica, in ambito politico, comporta -altrimenti rimaniamo nel campo della mitomania o della rivolta e quindi ci si condanna alla sconfitta e alla perdizione- una modificazione comportamentale di 360 gradi, per ritornare alla posizione di equilibrio ma su basi diverse. Per dirla in altre parole : rivoltati come un calzino.
La differenza tra il rivoltoso e il rivoluzionario consiste nel fatto che il rivoltoso è mosso dalla rabbia, dal livore, dalla disperazione e ha un'idea molto chiara in testa: la realtà che sta vivendo lo ripugna, lui è indignato, non ne può più, vuole abbattere tutto, senza avere la minima idea di dove andrà a parare; il rivoluzionario, invece, pensa al dopo, ovvero alla progettualità, alla strategia, al cambiamento operativo pragmatico che vuole attuare secondo modalità che il sistema appena abbattuto non consentiva.

Detto questo, mi sembra che non vi sia ombra di dubbio sul fatto che l'Italia è (forse in tutto l'occidente) il paese più lontano in assoluto da qualunque forma di rivoluzione necessaria.
Ne parlano, si usa il termine, ma l'effetto, o il fine, consiste nell'usurare la parola, svilirla, disossarla. 
Gli italiani, per motivi ancora non del tutto chiari fino in fondo, hanno deciso di bersela. 
Lo hanno fatto con Berlusconi, con Prodi, con Monti, con Letta e adesso con Renzi.
Lo avevano fatto anche con Berlinguer. 
Tutte queste persone elencate, sono state citate, vissute, e identificate come rivoluzionari.
Il che è falso. Sono tutti dei falliti,  in quanto rivoluzionari, ma hanno avuto un enorme successo come rivoltosi, ciascuno a proprio modo.
I conti con le rivoluzioni si fanno dopo: non esistono rivoluzioni abortite, rivoluzioni a metà, rivoluzioni così così, mezze mezze. O la rivoluzione c'è o non c'è.
A questo punto è immancabile l'intervento di qualcuno che dice: "eh! Si sa, il mondo va così, le rivoluzioni non esistono più ormai".
Non è vero. 
Esistono eccome, e seguitano a esistere.
Il fatto che non le si conoscano non vuol dire che non ci siano.
Le rivoluzioni si possono anche esportare, mai imporre. Si esporta il modello che serve come stimolo, il cui fine consiste nell'alimentare l'ispirazione che poi produce cambiamenti autoctoni.
I Beatles, ad esempio, sono stati dei rivoluzionari, non vi è alcun dubbio. 
In America (per gli americani) lo è stata a suo tempo anche Madonna perchè il modello identificativo proposto ha comportato un radicale mutamento nella comportamentalità degli statunitensi, soprattutto di genere femminile.
Gli americani, in questo momento, stanno vivendo una fase molto interessante del loro percorso e da oltreoceano arrivano di continuo segnali confortanti (per loro) che indicano un cambiamento di rotta epocale, per alcuni tratti rivoluzionario. Qui, non se ne parla neppure. Basterebbe porsi una domanda secca: "Come mai noi italiani dagli Usa abbiamo sempre importato soltanto il peggio? Come mai noi ci ingozziamo come tacchini di tutte le schifezze colonialiste che l'America produce e ci impone con la violenza e il ricatto ma non siamo capaci e in grado di importare anche il loro vento rivoluzionario quando esso si manifesta? Perchè ci becchiamo soltanto gli osceni F35 ma non gli scatti evolutivi e risolutivi?".
In California stanno avvenendo diversi episodi di grande rilevanza dal punto di vista sociale, iniziati alla fine dell'autunno del 2012.
La California è da sempre un gigantesco laboratorio sperimentale.
In Usa si dice: "Quando arriva una novità dalla California, esultano il diavolo e il buon Dio: sanno che uno dei due vincerà di sicuro".
Perchè il peggio e il meglio della civiltà occidentale, negli ultimi 50 anni, è venuto da lì.
Noi, qui, importiamo soltanto la parte diabolica, quella mercatista, consumista, la peggiore.
Raccontai l'episodio cardine quando si verificò, il 5 novembre del 2012, ma non ebbe alcuna risonanza. L'Italia è molto lontana da quella modalità d'approccio.
Ecco il fatto:
la California è uno stato molto ricco, contribuisce per il 22% al pil nazionale. Se fosse una nazione, sarebbe la quinta potenza al mondo. Il loro pil è pari a quello dell'Italia, Spagna, Portogallo e Grecia messi insieme, intorno ai 3.500 miliardi di dollari l'anno. Nel 2012, in seguito alla crisi, il bilancio statale ha sofferto di una crisi di liquidità che ha spinto il governatore ad attuare tagli lineari nell'istruzione pubblica, nella ricerca scientifica e negli incentivi per giovani laureati provenienti da famiglie disagiate. Si è scatenato un grande dibattito tra le forze politiche e intellettuali californiane che ha dato vita a un referendum votato il 4 novembre del 2012. Il testo diceva: "Siete favorevoli o contrari all'aumento fiscale di un'aliquota una tantum, nell'ordine del 12%, per tutti i residenti i cui introiti superino 1 milione di dollari all'anno, con la specifica che la somma ottenuta verrà investita al 100% per impedire la privatizzazione dell'istruzione, impedire la chiusura di 450 centri universitari consentendo di elargire 25.000 borse di studio a giovani laureandi meritevoli e d'eccellenza?". I primi sondaggi (effettuati alla fine di settembre) davano il 70% a coloro che erano contrari alla tassazione. 
Nessuno va a votare per un aumento delle tasse, era dato per scontato. L'astensione era data intorno al 65%.. 
Ma a ottobre avvennero episodi inauditi.
Le più ricche e famose famiglie di Los Angeles, Santa Monica, Malibu, a proprie spese, cominciano a fare campagna elettorale a favore della tassazione, soprattutto attrici e attori di Hollywood, da George Cloonery a Jane Fonda, da Sigourney Weaver a  Matt Damon, da Steven Spielberg a Nicholas Cage, i quali spiegavano in televisione che per loro era inaccettabile l'idea di vivere da super ricchi circondati da un insostenibile disagio esistenziale. Negli altri stati, soprattutto a New York e in Florida, li prendevano in giro con accanimento sostenendo che in California si era diffusa una nuova droga che dava allucinazioni. Il referendum ha visto l'abbattimento dell'astensionismo e la vittoria della mozione pro-tasse con il 59% dei voti. Una settimana dopo, il governatore annunciava di aver radunato 24 miliardi di dollari grazie all'esito referendario, sufficienti a salvaguardare l'intero sistema di gestione dell'istruzione pubblica sia umanistica che scientifica fino al 2017. 
Nessun media ha neppure parlato dell'argomento, considerata una stranezza californiana.
Ma due mesi dopo, i più attenti, si sono resi conto che era stato piantato il germe di una rivoluzione pacifica. 
E come in ogni rivoluzione che si rispetti, lo si sa sempre dopo.
Quell'evento ha determinato un cambiamento radicale di ottica e di prospettiva che ha incentivato gli investimenti restituendo ottimismo pragmatico perchè il dibattito è passato dalla discussione su "come abbattere il debito pubblico dello Stato" a quello, invece reale "come affrontare il problema della re-distribuzione della ricchezza".
Questa è la rivoluzione.
Perchè questo è l'unico vero problema.
Non 80 euro regalati a un mese dalle elezioni, che valgono quanto la carità vaticana nel 1500.
Sarebbe possibile cominciare a parlare in Italia di eventi simili, copiabili?
Non credo.
Papa Francesco ha suggerito di "mettere in campo la creatività per affrontare i gravi problemi del disagio sociale".
La creatività è questa, inventata nel luogo che ha inventato il tablet, yahoo, amazon.
Serve un nuovo parametro sociale, un nuovo approccio sicologico, una diversa comportamentalità esistenziale.
Servirebbe un sindacato che annuncia con geniale creatività rivoluzionaria di aver scelto di restituire collettivamente allo Stato gli 80 euro con la dizione "non vogliamo la carità, vogliamo una strategia strutturale" e quindi aprire un dibattito tra tutte le forze politiche per andare a riempire il tragico e gigantesco vuoto prodotto dal genocidio culturale perpetrato negli ultimi 25 anni. 
Ci vogliono idee operative, immediate, efficaci ed efficienti.
Un grado e un grammo di meno portano indietro il paese.
Buon Senso e Buona Volontà -valori della tradizione moderata italiana- paradossalmente sono diventati in questo paese il vero nutrimento della rivoluzione di cui abbiamo bisogno.
O cambia il comportamento esistenziale dal punto di vista psicologico di tutti, a cominciare dalla classe dirigente, imprenditoriale, sindacale, oppure seguiteremo a passare da una illusione a un'altra, da una mossa truffaldina a un'altra mossa truffaldina.
E se alle prossime elezioni europee vinceranno ancora Berlusconi, Renzi e i soliti noti, allora vorrà dire che gli italiani, in realtà, non esistono più.
E' nata una nuova etnia, ignorante e poco intelligente, cosa che gli italiani non erano.
Come sosteneva Charles Darwin, "la specie che si evolve, non è la più forte o la più sana, ma quella che più di ogni altra è in grado di sapersi adattare ai cambiamenti".
Quindi, ci si adatta al cambiamento e si evolve. Tutti insieme.
Oppure ci si adatta alle chiacchiere degli imbonitori di turno, Berlusconi o Renzi, l'uno vale l'altro. Si salveranno in pochi, pochissimi.
A mio avviso, non si tratta di soldi, di qualche euro in più o in meno.
Si tratta della sopravvivenza di una intera civiltà.
Tutto qui.
California dreaming!

Festeggiare il 25 aprile come data della liberazione dall'invasione nemica e come la fine della guerra, a me sembra un ossimoro pornografico che mi indigna e mi scandalizza.
Nella guerra ci siamo dentro fino al collo: è lo scontro tra chi vuole imporre una idea monarchica della vita, pretendendo dai propri sudditi deferenza e riverenza, e i cittadini ai quali dare la guazza di qualche briciola, purché se ne stiano buoni e zitti.

Intanto, sul pianeta Terra, c'è già chi ha capito come fare e cosa fare per evolversi verso nuove forme di sopravvivenza collettiva, esistenzialmente sostenibili, spiritualmente forti, culturalmente corpose.

Perchè non cominciamo anche noi a pretendere di andare verso il futuro?
Se non cambiamo noi, dentro, come possiamo pretendere che cambi la nostra realtà? 

buon week end a tutti.




mercoledì 23 aprile 2014

Ma lo sappiamo dove stiamo andando? E a fare che?


di Sergio Di Cori Modigliani

Alla fine degli anni'70, per l'ultima volta nel secolo XX, in Usa si scatenò un forte e succoso dibattito culturale relativo all'imminente futuro della cultura occidentale e dei destini della cittadinanza. Nonostante il comunismo sovietico fosse ancora "ufficialmente" in buona salute e molto saldo, era ormai chiaro a tutti che stava iniziando il suo totale declino e sarebbe imploso prima della fine della successiva decade. Ci si interrogava, dunque, su come la società si sarebbe evoluta e come sarebbe stato affrontato il dibattito politico, sia in usa che in Europa, una volta mandata in pensione la guerra fredda. Mentre i liberal della sinistra affilavano le loro armi, la destra conservatrice si fondeva compatta intorno a Milton Friedman, ai cosiddetti Chicago boys, e gettava le basi per costruire il mondo nel quale oggi ci troviamo a vivere.
Noi siamo il sogno realizzato di quella strategia: questo era il mondo che volevano costruire.
Come aveva già sentenziato, un secolo prima, il grande scrittore francese Victor Hugo: "L'inferno quotidiano dei poveri e dei disoccupati è il paradiso giornaliero delle ricche oligarchie del privilegio garantito".
Oggi, anche la massa comincia ad acquistare sempre di più la consapevolezza dello stato delle cose attuali.
Fu la pubblicazione, nell'autunno del 1978, di un eccezionale e visionario saggio di uno dei più profondi e creativi sociologi del tempo, Cristopher Lasch, vero maitre a penser della intellighenzia statunitense dell'epoca, a dare il via.  "The culture of narcissism" (tradotto in italiano con il titolo "L'età del narcisismo")  arrivò in libreria lanciando il dardo incandescente che accese la polemica. Basterebbe già il titolo per comprendere l'esattezza della sua tragica previsione, a meno che non si fosse subito corso ai ripari. Ma ormai era troppo tardi. 
In un celebre editoriale pubblicato per l'occasione sull'inserto domenicale del New York Times, il pensatore americano parlava dell'Italia, degli italiani, del modello sociale italiano, descrivendo la nostra nazione come la punta d'avanguardia di un gigantesco laboratorio civile che ben faceva sperare. Il nostro paese era, allora, considerato la punta più avanzata, la più sveglia, la più creativa, la più colta, la più stimolante, e quindi anche la più caotica (qui inteso in senso positivo) dalla quale prendere esempio per andare a costruire un sistema evolutivo del prossimo futuro. Lasch paragonava i dati dei valori consolidati delle due nazioni, laddove in Italia al primo posto c'erano l'erotismo e la sessualità, seguito dalla libertà civile, dall'autonomia, dalla cultura, dalla famiglia, dall'eleganza, e infine al settimo posto il danaro. 
In Usa, invece, per la prima volta dopo 50 anni, il danaro era finito al primo posto, seguito al secondo posto da una novità per quei tempi inconcepibile (motivo che aveva stimolato in lui l'ispirazione per scrivere quel bel testo): la visibilità e il culto dell'immagine; al terzo posto l'idea del sogno americano, al quarto posto la libertà d'impresa.
Da allora, sono trascorsi quasi 40 anni, e le cose -grazie al successo del piano operativo della P2 orchestrato e pianificato proprio in Usa-  non sono andate come il prof. Lasch auspicava, o meglio, paventava, pensando -da grande utopista meritevole- che la gente avrebbe capito in tempo i rischi del trionfo dell'interpretazione liberista di un mondo mercatizzato. Oggi, purtroppo per noi (dato che stiamo in Italia) le parti si sono rovesciate. Per il terzo anno consecutivo, in Italia, il danaro rimane consolidato al primo posto dei valori cardine dell'esistenza, seguito dal cibo, dal lavoro con contratto indeterminato, dalla famiglia, dalla fama e notorietà, dai viaggi, con l'erotismo e la sessualità scesi al settimo posto.
In Usa, invece, per il terzo anno di seguito, il danaro (dal primo posto che occupava dal 1980 al 2011) è sceso al quarto posto. Al primo c'è la piena occupazione, ovvero il lavoro ma a condizione che sia per tutti; al secondo l'indipendenza e l'autonomia, al terzo la felicità degli affetti e del sentimento,.e al quarto resta ancora solida la notorietà legata alla propria immagine,  
La rivoluzione esistenziale, in America, è stata lanciata da un poliziotto. Incredibile ma vero.
E da quel passaparola è nato occupywallstreet, il movimento politico senza leader che ha iniziato a sconvolgere i trionfali piani dell'oligarchia finanziaria.
L' ho già raccontato in un vecchio post. E' accaduto nell'agosto del 2011, quando un sergente della contea di Dade, nello stato della Florida, è andato con i suoi agenti a buttar fuori di casa degli inquilini perchè la banca glie l'aveva pignorata. Davanti a quella tragedia esistenziale, il poliziotto si rifiutò di eseguire l'ordine. Nel suo rapporto ai superiori, che preparò per il processo -dopo essere stato licenziato per insubordinazione al comando- scrisse "fuck the money". L'aspetto decisivo che agì da detonatore sociale fu il fatto che il giudice della modesta contea lo assolse, dato che la banca pretendeva da lui i danni. E così la notizia uscì in un giornale di New York, a Manhattan, sul The New York Post, e una settimana dopo iniziavano i primi sit in a Broadway, davanti all'ingresso di Wall Street.

Questa era una necessaria premessa per commentare due dichiarazioni di carattere economico della giornata. La prima relativa  all'Italia, dato che l'Istat ci ha informato che dal 2009 a oggi le famiglie italiane hanno perso circa 70 miliardi di euro complessivamente; che la disoccupazione aumenterà nel 2014 toccando la punta del 14,2%, ma (secondo loro sarebbe una bella notizia) nella seconda metà del 2015 comincerà a scendere. La seconda notizia riguarda gli Usa dove, questa mattina, la governatrice della Banca Centrale Janet Yellen ha dichiarato in conferenza stampa "L'obiettivo prioritario del mio ufficio è la piena occupazione; entro la fine del 2015 prevediamo di portarla al di sotto del 5%. Consideriamo il lavoro e un mercato che offre occupazione molto più importante del debito pubblico, che in questo momento non interessa al mio ufficio. Quando avremo raggiunto di nuovo la piena occupazione, allora possiamo riparlarne". Fine del comunicato.

Non c'è da meravigliarsi. 
In Italia, ormai, si parla solo e soltanto di danaro, anche -direi soprattutto- in parlamento. Non esiste nessuna organizzazione politica che investa una giornata per affrontare temi che non siano legati ai soldi. Iniziano il mattino presto con i seguitissimi talk show mattinieri dedicati al danaro dove partecipano politici che si affrontano tra di loro e parlano soltanto di soldi. Dopo, verso mezzogiorno, dai soldi si passa ai cuochi: fine dell'offerta culturale italiana.

Osservando e analizzando i media, si comprende perchè il paese sia messo così male.
I soldi fanno audience, in Italia. Il danaro è diventato gossip: quello vero per chi ce l'ha e ne vuole ancora di più. Quello fantasticato, da chi non ce l'ha ma lo vorrebbe e non vede l'ora di averlo. 
La campagna elettorale per le europee è di una volgarità al ribasso allarmante: ruota solo e soltanto intorno a questioni di soldi, aliquote, percentuali, grafici, e agli italiani è stato fatto credere che il paese cambierà se passerà una "certa" linea economica, se verranno spostati dei soldi dal punto A e trasferiti al punto B:  come farlo, quando e dove. E' diventato un paese di ragionieri contabili, di fiscalisti, di consulenti del lavoro. I commercialisti hanno sostituito i fotografi paparazzi e i promoter. Questa agghiacciante variazione dello stesso tema ha fatto pensare che il berlusconismo sia finito e mandato in pensione, dato che invece di ascoltare l'idea del mondo raccontata da Lele Mora o Fabrizio Corona, la si ascolta raccontare a qualcuno -membro della consorteria dei cosiddetti esperti opinionisti- che ci spiega come il 2% in più o in meno cambierà la vita quotidiana di tutti noi. Non si parla di nient'altro.
E' una vita mercatizzata: esattamente ciò che ha voluto Berlusconi e coloro che lo hanno sostenuto.
Ma il paese sembra non rendersene conto, o- il che è peggio- sembra sguazzarci dentro rassicurato dal fatto che invece di perdere tempo a parlare dei grandi numeri si parli dei piccoli numeri.
Seguendo questa strada, l'Italia forse si riprenderà pure un giorno, io questo non lo so, ma non sarà più l'Italia, sarà un qualchecosa di diverso, snaturata nella propria mancanza di identità.
Ricordo i racconti dei miei genitori e dei miei nonni sull'Italia nel 1946 quando di soldi ce n'erano davvero molto ma molto pochi e per pochissimi, quindi ce n'era un grande bisogno. Loro, a quei tempi, non parlavano sempre di soldi, perchè sentivano emotivamente che il peggio stava alle loro spalle: le bombe, la guerra, i morti, la disperazione e quindi non vedevano l'ora di metterci una pietra sopra e piroettarsi nel futuro.
Volevano prendere le distanze dal passato.
La mia idea sugli italiani di oggi è (da cui i topi di laboratorio del precedente post) che in verità vivono tutti immersi in una angosciante nostalgia e vogliono ritornare al passato, altrimenti non si spiegherebbe l'attuale promozione della versione odierna della Democrazia Cristiana. Forse vogliono anche i fascisti e anche i comunisti, così, tanto per gradire.
Invece di prendere atto che l'attuale fallimento è il prodotto di perduranti errori compiuti nei decenni precedenti, si cerca di riannodare le fila di quei decenni per ritornare a un tempo che fu. E così facendo, senza accorgersene, il paese si sega le gambe da solo.

Si cambia e si migliora soltanto se si va verso il futuro.
Con tutti i rischi che comporta, ben vengano.
E senza idee, senza progettualità, senza cultura, senza istruzione, senza competenze, non esiste nessun futuro. Si è condannati a scannarsi per delle briciole ricavate da piccole fette di torta cotte a puntino da chi vuole che si parli soprattutto di danaro, che è il loro cavallo di battaglia perchè di questo vivono. Sulla pelle di tutti.

Dobbiamo cambiare tutti ottica e prospettiva, altrimenti, se non si interviene sul dibattito quotidiano delle esistenzialità ritornando a dibattere sui diritti, sulla cultura, sull'arte, sull'amore, sull'erotismo, sulla fantasia, sull'immaginazione, sulla passione, sul sogno, che sono il pane di ogni impresa e di ogni investimento di ricerca, si finirà per credere che se a settembre in busta paga ci saranno 93 euro invece che 80 oppure 57 invece che 80, allora sarà diverso.
Perchè mai dovrebbe essere diverso se gli italiani sono uguali?
Perchè mai dovrebbe esserci un cambiamento se a decidere sono i custodi del passato?
Perchè mai si dovrebbe andare nel futuro se si seguono indicazioni di persone venute dal passato, che guardano al passato, che sono figlie del passato, e pensano di darla a bere a una intera nazione soltanto perchè usano i mezzi di comunicazione tecnologica trendy?
Si chiamano "mezzi" proprio per questo: sono strumenti piatti e niente di più.
Uno scemo che usa il web e twitta, rimane uno scemo. 
Stanno facendo credere al paese che il cambiamento passa attraverso la scelta dei mezzi.
E così, i topi non pensano più ai fini.

A me, personalmente parlando, interessa dibattere e discutere dei fini, non dei mezzi.

Io ho voglia di andare nel futuro.






venerdì 18 aprile 2014

Uomini e topi: la vera scelta esistenziale.

"Ogni tempo ha il suo fascismo: se ne notano i segni premonitori dovunque la concentrazione di potere nega al cittadino la possibilità e la capacità di esprimere ed attuare la sua volontà....
A questo si arriva in molti modi, non necessariamente col timore dell'intimidazione poliziesca, ma anche negando o distorcendo l'informazione, inquinando la giustizia, paralizzando la scuola, diffondendo in molti modi sottili la nostalgia per un mondo in cui regnava sovrano l'ordine, ed in cui la sicurezza dei pochi privilegiati riposava sul lavoro forzato e sul silenzio forzato dei molti
."


                                                                                                               Primo Levi



Post pasquale. 
Dedicato a tutti coloro che credono in una possibile Resurrezione del proprio Sè umano.

Ieri notte, lo scrittore Gabriel Garcia Marquez se n'è andato per sempre.
In Colombia, dov'era nato e vissuto, il governo ha dichiarato il lutto nazionale per tre giorni.
Sulla sua tomba, come da lui richiesto, verranno messe due fotografie: quella di Mercedes, la sua fedele compagna di tutta la vita, e l'immagine della squadra di calcio del Medellìn l'ultima volta che ha vinto lo scudetto, essendo lui un accanito tifoso di questo sport.
A Buenos Aires, Lima, Montevideo, Città del Messico, L'Avana, in tutto il continente americano di lingua spagnola, la radio e la televisione hanno interrotto le trasmissioni correnti per dare l'annuncio della sua dipartita verso il Grande Mistero Terrestre.
Lo piange, a ragione, un intero continente.

Perchè Gabriel Garcia Marquez li ha sdoganati, imponendo all'attenzione planetaria l'esistenza di quella cultura, di quei popoli, di quelle etnie, e tutti i governi -consapevoli di questo fatto- glie lo riconoscono oggi ufficialmente.
Il libro che lo ha proiettato alla curiosità mondiale era un romanzo, si chiamava "Cent'anni di solitudine" e venne pubblicato a Bogotà nell'aprile del 1967, quasi cinquant'anni fa.
Fino a quel momento, il Sud America non esisteva nella consapevolezza e nell'immaginario collettivo dell'Europa e degli Usa, i veri produttori di trend, mode, ideologie, passioni collettive.
I due più importanti scrittori sudamericani,  Cortazar e Borges (entrambi argentini) erano apprezzati, riveriti e seguiti, soltanto da un ristretto numero di lettori colti, di cui pochi nel continente americano, anche perchè Cortazar abitava per lo più a Parigi dove si occupava di surrealismo e Borges amava soggiornare a Londra dove teneva delle conferenze per lo più parlando dell'Iliade e di esoterismo alchemico. 
Marquez seguiva un altro percorso, fedele ai quattro cardini propulsivi della sua vita, come lui ci ha confessato "le quattro grandi passioni che mi hanno da sempre animato e sorretto: le femmine, la politica, la letteratura, il calcio".
Nel febbraio del 1966, quando l'America, dal Messico al Polo Sud, era in grande ebollizione sociale e si stava diffondendo una massiccia coscienza collettiva anti-imperialista, un mattino, Marquez aveva annunciato alla sua fidanzata Mercedes "Vado a Parigi a scrivere un libro, un passaporto per tutti noi, ho bisogno di mettere una distanza tra me e la mia America: vado a mettere la testa nella bocca del leone aristocratico. Se mi aspetti, quando torno, ti sposo".
Lei gli disse:"Va bene, se  per te è così importante, vai pure. Ti aspetterò un anno".
Undici mesi dopo, le spedì un telegramma: "Torno tra una settimana per cercarmi un editore, la moglie l'ho già trovata: prepara pure le carte e dai l'annuncio alla tua famiglia".
Il suo romanzo venne tradotto subito in tutto il mondo, ottenendo un enorme successo dovunque.
E il Sud America, grazie a quel libro, finì sulle prime pagine di tutti i giornali del pianeta.
Fino a quel momento, la lettura di quel continente era stata sempre e soltanto di matrice europea e statunitense, con un santino collettivo autoctono -il dottor Ernesto Guevara, detto "El Che"- che era diventato un'icona pop del marketing giovanile, un manifesto da incollare al muro sopra al letto, accanto a quelli di John Lennon, Jimmy Hendrix, il generale Giap e Lenin. 
Quel romanzo, invece, proiettò sulla scena mondiale, per la prima volta, l'idea della diversità globale, l'esistenza di una cultura territoriale che era stata capace e in grado di coltivarsi, di affermarsi nei secoli, alchemizzando dentro di sè l'eredità del colonialismo europeo accompagnata dalla consapevolezza di essere niente di più che schiavi poveri, ma regalandole il recupero di una tradizione autoctona che la critica definì "realismo magico".
Aprì una nuova stagione della cultura politica occidentale, quella che, di lì a breve, avrebbe portato l'intero continente sudamericano alla rivolta e all'aperta ribellione contro i colossi della finanza globale anglo-franco-italiano-statunitense, finita nei primi anni '70 in un bagno di sangue, perchè il Sud Aamerica stava diventando un pericoloso esempio di una alternativa possibile, reale e realistica, alla logica del capitalismo consumistico euro-atlantico.
Marquez fu il collante di quella grande epopea, il grande megafono, la voce del popolo, di quelli che lui amava definire "i grandi afoni cancellati dall'aristocrazia europea". Da allora, fu sempre protagonista della scena politica e della cronaca, anche quella gossip, come nel 2001 quando per mesi e mesi in tutto il Sud America si parlò di un piccolo evento, accaduto a Bogotà, ma che divenne il nutrimento di una gigantesca polemica collettiva sui diritti civili, animata dalla femministe sudamericane: in un settimanale locale pop, infatti, nella rubrica degli annunci era comparso il seguente trafiletto: "Scrittore molto famoso, che va per gli 80 anni, cerca femmina armoniosa e sensuale, di etnia sudamericana doc, disposta ad accompagnarlo per andare ad assistere agli allenamentri della squadra di calcio della nazionale". I giornalisti colombiani impiegarono molto poco tempo per capire che era lui e il fatto divenne di pubblico dominio. Intervistarono la sua compagna che dichiarò "Cosa volete che vi dica? C'è chi prende il viagra o la cocaina e c'è invece chi mette annunci, i maschi sono bambini fatti così". Ancora ne parlano, in certi ambienti.
Qualche mese fa, quando presenziò alla festa di lancio ufficiale dei mondiali di calcio gli chiesero quali fossero gli eventi più importanti avvenuti nel secolo XX in Colombia.
Marquez rispose: "Non vi sono dubbi: la pestilenza della colera nel 1922, l'esplosione de La Violencia nel 1948, la pubblicazione del mio romanzo nel 1967 e la vittoria della Colombia per 5-0 contro l'Argentina nel 1993. Il fatto è che tutto ciò è assolutamente vero e documentato".
Il Sud America piange, oggi, la sua dipartita.

C'era un tempo in cui esistevano gli scrittori.
"I tempi sono cambiati, gli scrittori non servono più" sostengono alcuni.
Non sono d'accordo.
I tempi non sono cambiati affatto, sono identici al 1967, al 1754, al 1306, al 162.
Sono cambiate le mode, gli stili, le abitudini, le comunicazioni, le modalità, gli usi e i costumi.
Ma la Specie Umana è rimasta al palo, altrimenti sarebbe per noi incomprensibile la lettura della Antica Bibbia, mentre invece la si può godere ancora oggi, leggendola, coma la cronaca attuale del costante dissidio tra l'arroganza di un ristretto gruppo di arroganti prepotenti privilegiati e il resto dell'umanità -cioè la maggioranza- che si ribella a questa idea.
Noi siamo in grado di divertirci, ancora oggi, quando leggiamo Otello di Shakespeare, perchè esiste ancora il femminicidio e le donne vengono strozzate senza alcun motivo, così come esiste ancora, nel meccanismo sentimentale dei potenti, la diabolica ipocrisia dei Jago di turno. 
A questo servono gli scrittori.
A ricordare alla gente come siamo, che cosa siamo, da dove veniamo, ma soprattutto dove stiamo andando e dove possiamo andare, mantenendo intatta la gloriosa speranza di poter arrivare un giorno a fare quel salto che renderà l'epopea di Caino e Abele un evento del nostro passato collettivo di specie: per il momento stiamo ancora lì, alla pagina tre della Bibbia.

Non esiste, e non è mai esistita, nessuna società che a un certo tempo si sia evoluta, abbia realizzato un piccolo passo avanti, sia progredita, senza avere dietro una poderosa classe intellettuale di scrittori, di artisti, di pensatori, soprattutto di narratori.
Nella sua monumentale e splendida autobiografia, Harry Truman raccontava come, una sera, parlando con Roosevelt e Keynes, il presidente Usa avesse loro confessato: "Siamo sinceri, non ce l'avremmo mai fatta se non fosse stato per Dos Passos, Saroyan, Caldwell, soprattutto Steinbeck. Senza di loro, l'America non avrebbe capito. Soprattutto non lo avrebbe mai saputo".
Così come Marquez sconvolse in positivo il popolo sudamericano nel 1967, così, esattamente 30 anni prima, nel 1937, la società americana era rimasta sconvolta dalla lettura del romanzo "Uomini e topi" di John Steinbeck. Era la prima volta che i reietti dell'umanità diventavano protagonisti assoluti di una storia popolare in Usa, bianchi di pelle, provenienti tra l'altro da quella classe media che aveva creduto nel paese del sogno e delle opportunità, falcidiati dalla speculazione dei colossi della finanza che nel 1929 avevano fatto implodere la nazione provocando una catastrofe economica planetaria. Uomini ormai privi di dignità e di identità, costretti a vivere come topi,l'animale più vorace e bulimico esistente sul pianeta, che si intrufola dovunque pur di mangiare, che si adatta a ogni circostanza, a ogni ambiente, e che porta nel suo bagaglio genetico super immunizzato i germi di malattie contagiose in grado di sterminare l'umanità. "Siamo uomini o topi?"  scrisse il giovanissimo Walter Cronkite sul New York Times "condannati alla mera sopravvivenza deambulando in cerca di cibo o meritevoli della dignità che solo e soltanto dal riconoscimento della nostra espressione nel lavoro ci può essere garantita?". Il dibattito intellettuale dell'epoca ruotò di 180 gradi e passò d'un colpo dall'economia ai diritti civili, alla discussione sulla salvaguardia della propria Cultura, come sarebbe accaduto 30 anni dopo in Sudamerica dopo il libro di Marquez. 
Hollywood saltò subito in groppa al trend lanciando una nuova star, Henry Fonda, nel film tratto dal romanzo. Uscì l'anno dopo anche in Italia, nonostante lo sbarramento del fascismo dinanzi alla produzione letteraria oltreoceano. Fu grazie all'elegante attività di un nobile dell'epoca (sia di censo che di animo) il conte Valentino Bompiani, il quale chiese al ministero il permesso di tradurlo, dando la commessa "a una delle migliori intelligenze fasciste in circolazione", ottenendolo immediatamente. Uscì in una mirabile versione, per i tipi di quella casa editrice alle prime armi, tradotto da Cesare Pavese, noto a tutti, negli ambienti colti, per essere un intellettuale anti-fascista della buona borghesia torinese.
Approfittando della mancanza di informazioni dell'epoca, il regime italiano lo presentò sostenendo che si trattava della descrizione della povertà della vita americana, una società descritta allora da Telesio Interlandi su "La difesa della razza" come un mondo "ormai giunto al declino e alla fine ingloriosa e vile della loro parabola storica". Ma il romanzo cominciò a circolare e a essere discusso da menti pensanti che sapevano come presentarlo e pochi mesi dopo venne tolto dalla circolazione. Il conte Bompiani fece in tempo a fuggire a Parigi prima di essere arrestato. Nel 1940 veniva bollato come "romanzo pericoloso per la cultura nazionale".

Quaranta anni dopo, nel 1977, presentando a Dallas, nel Texas, il suo programma di "rinnovamento planetario per il risveglio delle coscienze d'occidente" un senatore del Partito Repubblicano Usa, Powell, diffondeva il suo "memorandum", di cui consiglio a tutti, caldamente, la lettura (lo trovate dovunque in rete sotto la dizione di memorandum di Powell) nelle cui pagine spiegava la fondamentale importanza che aveva assumere il controllo mediatico del pianeta, occupare i centri nevralgici universitari, impossessarsi dei quotidiani e delle televisioni e comprare con danaro sonante gli intellettuali e gli artisti per impedire che producessero materiale di strumentazione critica che potesse stimolare il ragionamento. In quella occasione si parlò anche dell'Italia, considerata la piattaforma ideale, vero e proprio laboratorio. I grossi colossi finanziari dell'epoca erano disponibili a sostenere l'enorme sforzo economico richiesto. Il piano relativo al nostro paese venne affidato quindi, nella sua esecuzione piatta, a un materassaio di Frosinone, Licio Gelli, che provvide a costruire la rete italiana, affidando all'inizio, dal mio punto di vista, a Maurizio Costanzo il compito ufficiale di idiotizzare la massa, prima attraverso il lancio sperimentale di un quotidiano popolare ad altissima tiratura, da lui diretto, che si chiamava "L'Occhio", e poi attraverso la televisione. 
E infatti avvenne, per filo e per segno.
Il resto è storia nota a tutti.
Così, poco a poco, l'Italia ha cominciato a trasformarsi disossandosi, snaturando la propria ricca e invidiabile tradizione culturale. Per diventare il paese che è oggi, la nazione più ignorante e dormiente di tutto l'occidente, la più corrotta di tutte, quella più deprivata di competenza professionale, quella con il più alto tasso di analfabetismo di ritorno, con il più basso indice di lettura e un trend attuale verso il peggioramento, con un sistema editoriale finanziato e sorretto da enti statali e governativi presieduti da funzionari di partito che quel piano dovevano portare avanti. Un paese privo di editori pensanti e competenti, divenuti impiegati di consorzi bancari, ma soprattutto un paese dove non esistono quasi più intellettuali critici, artisti, scrittori, disposti a svolgere la propria mansione e funzione interpretandola come responsabilità civile, dediti soltanto alla deferenza servile, peraltro ben pagata. 
Un paese privo di megafoni, è condannato a produrre un esercito di eroi afoni, dediti a una inutile divulgazione, perché quando non ci sono più voci, anche l'udito si adatta e quindi si spegne. 
Se nessuno parla più né scrive, poco a poco scompaiono le orecchie e il pubblico.
E' l'offerta culturale che crea e determina la qualità della domanda.
Il senatore Powell a Dallas, a metà degli anni'70, lo spiegò con accurata precisione chirurgica.
Così ci hanno trasformato in topi.
E' ciò che siamo diventati.
Topi di destra, topi di sinistra, topi credenti, topi atei, del nord e del sud, maschi e femmine.
Pronti a reagire come nei laboratori di ricerca alla banalità dello stimolo-risposta, sempre a caccia di cibo, irretiti nella bulimia del narcisismo, senza più storie interessanti da ascoltare, senza più storie istruttive da leggere.
Possiamo uscire dall'euro domattina, o restarci per altri 22 anni, non cambia nulla.
Possiamo tenerci Matteo Renzi per altri quattro anni, oppure sostituirlo con un altro tra sei mesi, come ha fatto lui con Enrico Letta e come aveva fatto Letta con Mario Monti, non accadrebbe nulla. Sono intercambiabili. 
Si nominano tra di loro.
Si chiama Sindrome MM, acronimo che sta per Maquillaje Mediatico.
L'altra faccia della medaglia, che è speculare, sta per Mafia Mentale.
Comprensibile per chiunque abbia la voglia e la volontà di voler comprendere.
E' così, ed è inutile illudersi che possa essere diverso, si andrebbe incontro a cocenti delusioni. L'unica modalità scientifica per evitare una delusione consiste nel non covare illusioni, bensì lavorare sulle certezze. 
E noi italiani, volendolo, ne abbiamo eccome!
Un paese che candida alle elezioni indagati, condannati, ignorantoni, individui privi di ogni merito e di ogni competenza tecnica, indifferentemente maschi o femmine, settentrionali o meridionali, si condanna da solo al suo inevitabile tramonto.
E' di una banalità quasi ovvia.

Questo post è dedicato a tutti i miei connazionali cristiani per celebrare la Santa Pasqua.
Al di là della scampagnata e degli aspetti spiritualmente intrinsechi della festività, sarebbe bello cogliere anche la grande metafora che si nasconde dietro l'immagine della resurrezione del Cristo.
Per farla nostra.
E accettare, come nuovo percorso unificante, in grado di accoglierci tutti, al di là delle differenze e delle ideologie di provenienza, l'idea di identificare come unica strada possibile quella che passa attraverso la inderogabile necessità di una Resurrezione Culturale della nostra etnia, come popolo, come nazione, come individui pensanti.
Per avere il coraggio di morire come topi.
E risorgere come uomini e donne.
Gli italiani non pensano più. I topi neppure.
Con l'augurio di cuore che vi venga all'improvviso una insopprimibile voglia di avere tra di noi degli Steinbeck e dei Marquez, per squarciarci il cuore e la mente.
Senza quell'ausilio, siamo diventati i topi di Licio Gelli, e topi di laboratorio rimarremo.
Sarebbe ora che pretendessimo tutti di voler ritornare a essere di nuovo umani.
Squisitamente Umani.
Solo questo, di per sè, sarebbe già l'inizio della necessaria rivoluzione di cui abbiamo bisogno.
Altro che riforme!

Buona Pasqua a tutti.