venerdì 31 agosto 2012

la Chiesa Cattolica si schiera a fianco di Paul Ryan e benedice i repubblicani conservatori. Inizia la battaglia politica decisiva.



di Sergio Di Cori Modigliani


Alcune riflessioni e spunti da week end, relativi al fronte attuale della Guerra Invisibile.
E quindi, oltre al fronte interno italiano, anche quello degli Usa e del Sudamerica.
L’attuale guerra in corso è globale, perché il fine ultimo è il controllo delle risorse del pianeta e la sottomissione dei popoli e delle nazioni tutte, nessuna esclusa, raggruppate a seconda dei continenti. Noi siamo in occidente e quindi a me preme comprendere e dibattere sul teatro di guerra come si manifesta in occidente, che comprende due continenti ed è già piuttosto complesso e faticoso.
Ma non è che l’Africa, l’Asia e anche l’Oceania stiano a guardare.
Per il momento possiamo però dire che tra tutti i cinque continenti –è la mia ferma opinione geo-politica- il primo a porsi come il più evoluto e libero e aperto (in questo momento) in tutto il pianeta, sia il continente dell’Oceania, il più piccolo tra tutti.
Non è certo un caso che Julian Assange sia australiano.
Il loro isolamento geografico dal resto del pianeta li situa in una posizione avvantaggiata.
Per noi europei, e soprattutto italiani, non è così.
Noi siamo nell’occhio del ciclone, con un netto peggioramento della situazione dovuto al fatto (qui lo accenno e basta, eventualmente se ne parlerà in un altro post futuro) che l’oligarchia finanziaria planetaria ha incassato una grandiosa vittoria (per loro) nell’estate del 2011, da cui l’accelerazione della cosiddetta crisi finanziaria, grazie alla guerra libica. Per dei motivi geo-politici complessi, Gheddafi era diventato la punta di diamante della riscossa e di una profonda trasformazione evolutiva del continente africano in chiara funzione antagonista delle oligarchie finanziarie europee, quindi andava eliminato, senza dare alcuna informazione (ma davvero nessuna) su tutto ciò che c’era dietro. Ancora oggi, a un anno di distanza, la stragrande maggioranza degli occidentali, anche i più disincantati, ignorano perché ci sia stata quella guerra. Non sanno neppure quale sia stato l’esito. Diciamo che è stata la grande vittoria di Mario Draghi. E l’inizio della catastrofe per noi.

E’ iniziata la campagna militare d’attacco della destra oltranzista, così si apre l’autunno, decisi ad andare verso l’affondo finale. Era stato previsto.

E’ un po’ come fu nel 1941 quando i nazifascisti in Europa e il Giappone in Asia dilagavano, ormai convinti di riuscire a farcela per costruire il Nuovo Ordine Mondiale. Soltanto dopo il 7 dicembre del 1941, in seguito all’attacco di Pearl Harbour, quando gli Usa chiusero la parentesi dell’astensione pacifista ed entrarono in guerra con tutto il loro potenziale, il teatro cominciò a cambiare. E ci vollero ben quattro anni, lunghi e dolorosi, e circa 100 milioni di morti per porre la parola fine a quello scontro.

Oggi, 2012, in piena era post-moderna, dove l’alta tecnologia e la cupola mediatica suonano la musica che noi balliamo, il teatro è “apparentemente” diverso. In quanto “invisibile” la guerra, oltre a non essere “ufficialmente” dichiarata, non è palpabile; estremamente difficile da decrittare, decodificare e decifrare, perché le masse nel 2012 sono molto più vaste di 60 anni fa, le comunicazioni sono in tempo reale e quindi velocissime, e basta davvero poco, pochissimo, per spingere l’esito della guerra da una parte o dall’altra: certe “notizie”, certe “informazioni”, certi “teatri” se smascherati e resi pubblici possono essere in grado di smuovere intere nazioni sconquassando la finanza. E’ fondamentale quindi, per gli oligarchi, che le informazioni vengano deformate, che il Senso non si affermi (e quindi mettere le persone in condizione di “non poter comprendere il significato”) e fare in modo che la gente finisca per impaludarsi in localismi inutili, teatri fittizi, battaglie inutili; la finanza deve usare “la rete”, ovvero il più importante dispositivo planetario di diffusione della realtà vera, a suo vantaggio: annebbiandola. Una volta dentro la nebbia, ci si perde. Si naviga a vista, non si sa dove si va a parare, ed essendo il regno del virtuale poliedrico e multiforme, è davvero cosa difficile districarsi nei nodi che compongono la rete, per capire. Dalla rete al cartaceo, la traduzione avviene secondo paradigmi ben delineati da appositi software orchestrati dalla finanza che foraggia, ecco perché è essenziale imbavagliare la classe intellettuale (comprandola, corrompendola, isolandola) e che la truppa mediatica si attenga agli ordini.
 Quando la massa (a seconda dei momenti e delle situazioni) comincia ad essere allertata e lo scenario sociale si arroventa, allora scatta la confusione, la conflittualità, la divisione finchè le opposizioni antagoniste vere non si riconoscono più: viene alterato l’ago della bussola.

Questa fase mi è apparsa molto chiara dalle reazioni di un incredibile numero di persone al mio post sull’Ecuador e a qualche notiziola davvero spicciola che ho fornito sul Sudamerica. In Italia si scopre oggi ciò che in Sudamerica è avvenuto nel 2007. Ci si accorge oggi che nel 2008, 2009 e 2010 si era scatenata una furibonda battaglia tra l’Europa e il Sudamerica (gestita in maniera perdente dal Fondo Monetario Internazionale e dalla Banca Mondiale) e che circa un miliardo di persone, nel nome del libero mercato, dello Stato di Diritto, e dell’applicazione del principio di auto-determinazione dei popoli, in maniera pacifica, se ne sono andati verso la strada opposta a quella praticata in tutto il continente europeo. Precedente pericolosissimo: gli europei non dovevano sapere. E infatti non l’avete saputo. La gente ha scoperto che in rete ci sono ben pochi links, ben pochi siti, ben poco materiale su questa faccenda. Non ci si rende conto che parte dell’annebbiamento consiste nell’aver fatto credere alle persone che “se non c’è il link, e wikipedia non ne parla esaustivamente, e non ci sono informazioni al riguardo, allora non può esistere”. Esistono dei post succosissimi di Beppe Grillo, pieni di notizie utili e fondamentali (soprattutto del 2009, anno per lui di grande ispirazione, per motivi che io ignoro) di cui non trovate alcuna menzione in rete, nessun link, nessun riferimento.
La rete non è altro che lo scalino più avanzato della comunicazione rispetto ai tempi berlusconiani quando gli italiani abboccarono al “se non lo dice la televisione allora non è vero; se non vi arrendete alla visibilità e quindi non apparite in televisione allora non avete mercato” (c’è ancora chi lo pensa, e quel che è peggio, c’è ancora chi lo pratica). Berlusconi è caduto (per sempre, checché lui ne pensi) perché era obsoleto e non era più funzionale al nuovo sistema oligarchico: non aveva capito che c’era la Rete dopo la televisione, così come i militari fascisti americani non capirono nel 1964 che c’era la televisione dopo la radio, e vedere alle ore 20 la sera, a casa, i propri soldati che massacravano intere comunità di inermi contadini tra le sperdute risaie del sudest asiatico, avrebbe provocato una rivoluzione culturale nel popolo americano.
Con la Rete è uguale, con diverse differenze.
E’ totale ed è inter-attiva, quindi in “teoria” più profonda e immediata della tivvù. Ma ha un difetto, insito nella sua natura: la miriade di informazioni a disposizione non servono a nulla se non si è in grado di poterle e saperle elaborare. Quindi è necessario impedire l’elaborazione. Basta quello, per loro, per chi la controlla. Tant’è vero che (lo avrete notato) sui giornali cartacei non ci sono più notizie, ma soltanto analisi, opinioni, interpretazioni, che finiscono tutte con lo stesso refrain: c’è una grande confusione in giro, non è chiara la situazione, non si capisce che cosa sta accadendo, nessuno può dire che cosa accadrà. La paura, l’incertezza, la confusione, sono le tre armi più importanti della cupola mediatica. A quel punto, qualunque sia la qualità e la quantità di informazioni a disposizione, la comprensione sarà impossibile: vince la nebbia.

Tre le notizie belliche, dal fronte Usa, Sudamerica e Italia.

Veniamo all’Italia. Una necessaria premessa. Invece del link (che non esiste) c’è la citazione da fonte diretta della mia memoria esistenziale, relativa a una conversazione che ebbi circa 15 anni fa con il Dott. Antonio Ingroia. In quell’occasione, lui mi chiese se io sapessi perché la mafia veniva chiamata “la piovra”. Risposi subito, con arroganza, che lo sapevo.
“Ma certo. Si chiama così perché è tentacolare, come la piovra. Si piazza sul territorio e poi con le sue spire avvolge tutta la realtà intorno”.
“No, non è per quello” rispose Ingroia. “La motivazione è un’altra. Deriva dalla caratterialità originale della piovra, dalla sua natura. Quando la piovra sente che si avvicina un predatore o un pesce pericoloso e si sente minacciata, allora, a quel punto, per via della sua intrinseca natura ittica, eietta una sostanza nera, molto viscosa, spessa, che l’avvolge tutta, spruzzando dovunque. I pesci intorno vengono accecati e per una manciata di secondi perdono completamente l’orientamento, non possono più contare sulle bussole naturali. Quando la corrente fa diradare la nebbia, la piovra è sparita; velocemente ha nuotato da un’altra parte, si è dileguata”.

La mafia è la più importante arma di distrazione di massa dell’etnia italiana, per tradizione storico-culturale-politica.

Tutto ciò che sta accadendo in questi giorni (vedi polemiche relative alla trattativa stato.-mafia) altro non è che la nebbia viscosa della piovra.

In tal modo si creano teatri alternativi (scenari completamente inutili) che vanno a coprire le vie di fuga della piovra (riassestamento della presenza della finanza oligarchica in Italia e nel mondo) delegittimando la magistratura. In questo teatro, sostenere un punto di vista o l’altro, diventa irrilevante. Ciò che conta è creare confusione, incertezza, disorientamento. Quanto più se ne parla, tanto più aumenta la confusione. Si finirà per non parlarne più. Quando avranno smesso di parlarne, vorrà dire che la piovra si è già sistemata da un’altra parte ben protetta.
La nebbia era necessaria in questo momento, in Italia.
L’uscita di Panorama (ho controllato l’esatta data dell’immissione della notizia on line) è avvenuta alla stessa identica ora in cui, sulla prima linea del fronte, si verificava un importante evento, unico nel suo genere, destinato a provocare un gigantesco scossone tellurico in tutto il continente americano, dall’Alaska al Polo Sud. Era estremamente importante che non se ne parlasse in Italia, che non si dibattesse sull’argomento. Infatti, nessuno ne ha parlato. L’evento, di per sè, appare piccolo piccolo, quasi privato.
E’ avvenuto in Florida, Usa, alla convention repubblicana.
Per la prima volta nella storia bicentenaria di quella importante nazione, la Chiesa Cattolica si è schierata, rompendo il patto di “non schieramento” con la realtà politica nazionale statunitense. Fu l’unica cosa che non riuscì al vecchio Kennedy, nel 1960 quando gestì la campagna elettorale di suo figlio John Fitzgerald: gli mancò l’appoggio ufficiale di Roma, nonostante fosse il primo candidato cattolico alla presidenza.
E’ avvenuto l’altro ieri, quando il più potente cattolico d’America, l’arcivescovo di New York, Theodor Dolan, l’uomo di Tarcisio Bertone e punto di riferimento dello Ior, si è presentato alla convention repubblicana e ha benedetto sia il mormone Mitt Romney che il candidato alla vice-presidenza Paul Ryan, cattolico oltranzista, rappresentante dell’ala più conservatrice e retriva d’America, chiarendo “ufficialmente” lo schieramento ufficiale della Chiesa di Roma nelle fondamentali elezioni presidenziali del 6 novembre. In Italia, Dolan è il punto di riferimento di due persone chiave dell’attuale schieramento politico: Giuliano Ferrara e Paola Binetti. L’uno, diabolica mente pensante del PDL, l’altra, già senatrice del PD nella circoscrizione IV della Lombardia per il PD, membro importante dell’opus dei, leader del gruppo “Te Deum”. Nel febbraio del 2010 si è dimessa dal PD ed è passata all’Udc. L’impegno di entrambi (Ferrara e Binetti) consiste –è dichiarato, noto e pubblico- nel trasferire ogni risorsa finanziaria da parte dello stato nel campo dell’istruzione e della ricerca scientifica, dell’innovazione e dell’alta tecnologia, a quello privato controllato dall’opus dei attraverso i gruppi Te Deum e Memento Domini. Con l’incondizionato appoggio del PDL, del PD e dell’Udc.
Questa è la ragione per la quale il Foglio adesso è schierato su posizioni ultra-filo-montiane. L’elefantino è ritornato adolescente. Indossa di nuovo la divisa di colonnello che esegue gli ordini del comitato centrale in maniera piatta, disciplinata e diligente.
L’evento è scoppiato come una bomba in Usa.
Nel 1960, in Florida i cattolici erano il12% della popolazione; in California il 20% e in Illinois il 20%.
Nel 2012 i cattolici in Florida sono il 55%, in California il 70% e in Illinois il 50%.
Rispetto alle ultime elezioni i cattolici (tra i votanti) sono aumentati del 32%.
Al 95% sono tutti emigrati di lingua ispanica.
Da cui la sicumera di Ferrara che negli ultimi sei giorni per ben quattro volte, alla tivvù, ha spiegato che Romney vincerà di sicuro e Obama non ha alcuna chance.
La notizia ha avuto una potentissima onda d’urto in tutto il continente americano di lingua ispanica, soprattutto in Venezuela, Ecuador, Uruguay, e Argentina, le nazioni più cattoliche del continente, dove lo Ior concentra il 65% delle sue attività finanziarie e dove la Chiesa Cattolica si sta spaccando in due perché i governi socialisti sudamericani hanno iniziato l’attacco all’illegittimo  potere temporale della Chiesa sull’istruzione pubblica e sulla ricerca scientifica. In Venezuela ci saranno le elezioni il 7 ottobre, e in tutto il continente, la destra più aggressiva, da una settimana a questa parte, contando sull’appoggio incondizionato della Chiesa di Roma è partita all’attacco; con violenza in Venezuela, con virulenza culturale in Argentina, con diffamazioni e attacchi personali in Ecuador contro l’attuale presidente (cattolicissimo) Rafael Correa. L’aspetto positivo dal fronte bellico consiste nell’esistenza di un gigantesco fronte radicale di coloro che si richiamano alla cosiddetta “Teologia della Liberazione”, cattolici combattenti, che si rifanno alla teologia di San Tommaso D’Aquino, il quale nei suoi scritti prevede il concetto di tirannicidio e la rivolta armata contro chi pratica il dispotismo, lo schiavismo e l’annullamento della volontà degli esseri umani perché annulla in loro la possibilità di esercitare il libero arbitrio.
Sembrano lotte e battaglie medioevali.
Lo sono.
Siamo, infatti, nel medioevo.
O meglio: è dove ci vogliono portare, cinesizzando il mercato.
Questo è uno dei fronti bellici attuali.
Esultano le borse e i mercati finanziari per l’accordo politico Goldman Sachs-Ior in tutto il continente americano, dal Canada al Polo Sud.

In Europa vanno in brodo di giuggiole.

Dal 1 settembre del 2012, su decisione presa dall’ufficio internazionale dell’ONU contro il crimine organizzato, diventa operativa la presenza a Ciudad de Guatemala di un nucleo investigativo operativo e avanzato contro la criminalità organizzata composto da super segugi, perché quella è una roccaforte e punto di incontro tra l’uomo più ricco del mondo, il re dei media planetari, il messicano Cisneros, lo Ior, i narcos colombiani, la ‘ndrangheta calabrese e la mafia siciliana.
Lì arriva il Dott. Ingroia.
Secondo i più scriteriati, scappa via.
Secondo la mia opinione personale, invece, con illuminante coraggio e abnegazione, ha scelto di andare a prestare servizio in prima linea, al fronte.
Sulla linea del fronte della guerra vera.
Come ha detto ieri sera in televisione, a proposito dell’Italia “non ci sono ancora le circostanze, non è ancora il momento”.
E chi vuol intendere, intenda.
A nome di tutti gli italiani per bene, gli auguro un buon viaggio, buon lavoro e buona fortuna.
Per quanto riguarda noi che stiamo qui, oh beh.
Dipende da noi, da tutti noi, fare in modo che l’Italia “diventi il momento giusto” e si “creino le circostanze giuste”.
Bando alle ciancie, quindi.
Perché la destra oligarchica finanziaria sta schierando il suo esercito più micidiale.
Se la Chiesa di Roma ufficializza la propria posizione a fianco della finanza oligarchica speculativa, senza il benché minimo pudore, vuol dire che siamo a quella che –per loro- è la battaglia finale. In Cile lo scontro tra il movimento studentesco e la Chiesa si sta radicalizzando in questi giorni in maniera molto forte. A Buenos Aires anche: vogliono privatizzare l’intero sistema d’istruzione e della ricerca scientifica in tutto il continente sudamericano. Ma non ci riescono. Hanno i governi contro, questa volta.
La battaglia laica e socialista, la battaglia contro il liberismo oltranzista e contro la privatizzazione dell’istruzione, al soldo del privilegio aristocratico di un’oligarchia, si combatte in Usa, a Caracas, a Buenos Aires, a Montevideo, a Santiago, per il momento.
Da noi, silenzio totale.
In Spagna pure.
Ma se vogliamo, anche noi possiamo fare la nostra parte.
Non è più necessario dire “basta informarsi”. Non è così.
Bisogna cominciare a fare collegamenti, a unire i puntini giusti per vedere la figura.
Ciò che è importante non è più la notizia, dove sta e qual è e chi ci arriva prima.
Questo è il Grande Paradosso oggi.
La notizia vera che interessa a tutti noi, oggi, è la “notizia che non c’è”.
Altrimenti, non si chiamerebbe Guerra Invisibile.






mercoledì 29 agosto 2012

Sostenere Beppe Grillo? Contrastarlo? Rimanere indifferenti? Dove sta la Politica?



di Sergio Di Cori Modigliani


“Non c’è vento che tenga, per il marinaio che non sa dove andare”.

                                                                                                                                Seneca.


Ogni tanto c’è qualcuno che mi scrive e si lamenta, sostenendo che io faccio propaganda. Il che è vero.
Io faccio sempre propaganda.
Perché vivo la realtà della cronaca, dell’attualità e della Politica, sia nazionale che internazionale, con passione e non con interesse cinico. Nessuno mi paga, infatti.
Ed è quello che cerco di instillare in chiunque: la passione.
Lo faccio da sempre, per carattere. Se vedo un film o leggo un libro, comincio a scocciare tutti, a tamburo battente, perché vadano a vedere quel film o leggano quel libro. Come fa ogni persona innamorata. Quando un nostro amico inizia una nuova relazione d’amore, diventa automaticamente – e naturalmente- un “costante propagandista del suo partner, finchè gli amici non ne possono più e dicono basta, ci hai scocciato, l’abbiamo capito, lui/lei è meraviglioso/a, unico/a, eccelso/a.

Anche la pubblicità segue lo stesso identico principio, con la differenza che il suo scopo è il profitto economico. Se non altro, è dichiarato ed è ovvio.

Senza Passione non esiste Politica.
E andando soltanto contro, non esiste né Passione né Politica. L’insulto e l’odio producono solo sfogo di rabbia, scarico di energia, ma non porteranno mai all’innamoramento né alla passione che, per definizione, è agli antipodi.

Seguiterò, quindi, a far propaganda sempre a tutto e tutti coloro che io sento, penso, e ritengo che mi appassionino nel processo di formazione politica. Non appena la persona o quell’idea o quel movimento o quel gruppo non mi appassiona più, smetto la propaganda. Se poi, finito l’innamoramento, si smascherano altarini, allora scatta la funzione critica. Quando Mario Monti è diventato primo ministro, mi sono messo a fargli propaganda: avrebbe potuto – avendo tutta la strumentazione possibile- fermare l’affossamento della nazione operato da Berlusconi e dare inizio alla svolta. Se l’avesse voluto. Dodici giorni dopo, la propaganda è finita, ed è iniziato il lavoro di critica, denuncia, smascheramento e smantellamento della sua persona, perché l’ho identificato immeritevole di rispetto civico nazionale, e meritevole, invece, di denuncia pubblica in quanto nemico del popolo e propugnatore degli interessi privati di una oligarchia finanziaria aristocratica internazionale, lesiva dell’interesse della libertà politica, della salute economica e del progresso sociale.

I tifosi, invece, non fanno propaganda perché sono innamorati.
Fanno propaganda perché sono tifosi (cioè accecati). Sono acritici. Sempre.

Noi, in Italia, viviamo questo clima politico: tifo da stadio.

E’ il trionfo del berlusconismo, il quale ha applicato la tecnica della pubblicità marketing per imbavagliare la nazione, riuscendoci, grazie al consociativismo collettivo corrotto.

Tra propagandista e tifoso c’è una differenza abissale.

Politicamente (e culturalmente) parlando non faccio il tifo per nessuno. Mai fatto.
Faccio propaganda a ciò (e a chi) ritengo  utile per migliorare la situazione collettiva della nazione. Se non è più utile, scatta la funzione critica. Così vivo io la Politica.

Ho fatto propaganda, dichiarata e schierata, per Grillo e il M5S, lo scorso maggio, perché ritenevo che fosse utile un grande scossone per la nazione. Nella mia ingenuità pensavo che sarebbe stato vissuto dalla sinistra democratica come una sveglia utile per il cambiamento. Non è stato così, anzi. Il che ha confermato che era giusto propagandarlo.

Seguiterò (nel caso di elezioni) a fare propaganda per lui se la situazione dovesse rimanere così com’è, dato lo stato immondo della classe politica attuale.

Nel frattempo, mi riservo il  diritto alla critica (mia opinione personale) perché il movimento cinque stelle lo trovo fantasticamente presente e davvero divertente nella fase dei picconatori di un sistema marcio (utilissimo, quindi: benvenuti) paurosamente latitante nella fase costruttiva del progetto culturale. C’è un ritrovarsi insieme unificati dalla disperazione e dalla considerazione dello schifo attuale, ma non c’è formazione. Soprattutto non c’è “ricerca di formazione”. C’è costante, contundente, perdurante, ossessiva “ricerca di informazioni”. E sapete come la penso al riguardo, il mio lemma è il solito di sempre “Che ci facciamo con le informazioni se non siamo in grado di elaborarle? Se non siamo formati a sufficienza?”. Non c’è neppure la voglia di formarsi, né è richiesta dal gruppo dirigente; perché non c’è un gruppo dirigente, appunto. Non c’è una linea politica, io non la vedo. E non esiste una linea culturale evidente. Beppe Grillo è il Grande Megafono, poi, da lì in poi c’è un software che gestisce la suddivisione del lavoro in gruppi che parlano di questioni tecniche e affrontano tematiche di mostruosa complessità come se si trattasse di una riunione di condominio allargata. Il blog di Beppe Grillo è sempre pieno (soprattutto quelli vecchi di archivio) di informazioni preziose su diverse questioni nazionali. Nessuna di queste preziose informazioni ha mai superato la soglia di un libro pubblicato da Grillo e Casaleggio.  Non è mai accaduto che un post abbia dato inizio a una qualche nascita di gruppi specifici formati in maniera specialistica su quell’argomento, costruendo una “battaglia politica” ideale che poco a poco, si diffonde, si afferma, si effonde e comincia a delinearsi come la spina dorsale e il dna del movimento.
E’ la differenza, ad esempio, tra Grillo e Barnard, un altro osso duro.

In quanto a rabbia e schiuma alla bocca se la battono sul filo di lana.
Ma Paolo Barnard si sente lontano un miglio che è innamorato della MMT, si farebbe fucilare all’alba domattina, se necessario. E la sua ansia, continua, costante, perdurante, è sempre relativa all’ assoluta necessità della formazione interiore di tutti affinchè ciascuno diventi un autonomo, indipendente e solido essere umano libero-pensante. Il suo innamoramento è furioso e lo porta, infatti, a ritenere che se uno pensa – in maniera libera e non servile o interessata- automaticamente comprende da solo che il liberismo economico aggressivo è davvero “il più grande crimine”, senza neppure doversi impegnare a leggere il suo libro. Il suo sogno (per quanto sia egocentrico, maniacale e narcisista) è davvero quello di aver dieci, cento, mille Barnard innamorati ossessivi come lui della teoria post-keynesiana avanzata.
Se uno vota per Paolo Barnard (nel senso che segue la sua attività di formazione) lo fa per amore. Perché è innamorato di quell’idea, la sostiene, la veicola.
E io sono per la assoluta necessità della FORMAZIONE.

Ai tifosi di Grillo, quindi, dico chiaramente: non preoccupatevi e state calmi, qui avete un amico, un esule in patria e finirò, giocoforza, per votare per voi e per cercare di far votare per voi.
E come me tanti milioni di persone.
Ma lo faremo per disperazione. Tutti quanti. Forse, voi non lo sapete. Noi votanti, sì.
E non per amore.

Noi votanti consapevoli, siamo come i minatori sardi a 400 metri di profondità, cui dovrebbe andare tutto il nostro rispetto e la solidarietà umana civile. Disperati.

Qui di seguito il contributo di due  intellettuali  innamorati.
Entrambi, come ogni innamorato, con la bava alla bocca.
Due momenti dell’Italia a 50 anni di distanza.
Uno è Paolo Barnard, la data è il  2009.
L’altro è Pier Paolo Pasolini.
In questo caso è agghiacciante la data: 1963, sembra scritto ieri. Perché parla dell’oggi.


“In Italia da qualche anno si era formata una Società Civile Organizzata che prometteva bene. Si trattava di una miriade di organizzazioni con al seguito schiere di cittadini attivi potenzialmente capaci di formare un esercito di creatori di consenso in grado proprio di aiutare gli italiani a fare ciò che ho appena descritto – aiutare, lo ripeto, chi non ha il tempo, il denaro, l’autostima per informarsi, per capire, per intervenire; aiutarli a fare quelle tre cose affinché un giorno si riescano a mettere al centro, a sentirsi imprescindibili e infine a cambiare questo Paese. Se questo esercito avesse lavorato diligentemente, pazientemente, capillarmente, e soprattutto orizzontalmente, avremmo visto in Italia un inizio di cambiamento verso una cittadinanza onesta, consapevole e capace di partecipare. Capace infine di spazzar via ogni Casta politica o mediatica, poiché le Caste sono solo il riflesso di una cittadinanza disonesta, inconsapevole e incapace di partecipare. Sarebbe stato il primo passo verso il goal di cui sopra. Era una promessa, l’unica rimasta.
Invece altro è accaduto, purtroppo. La Società Civile Organizzata si è voluta munire di Guru, Personaggi, Star, in tutto e per tutto replicando le strutture verticali e vippistiche del Sistema massmediatico commerciale. L’ipertrofismo di questi nuovi Guru, come ho già scritto in passato, ha finito per annullare ancor più la capacità di azione dei singoli cittadini attivi, rendendoli dipendenti dal carisma, dalle proposte, e dalla presenza di quelle Star. Infatti oggi in assenza del carisma, della presenza e delle indicazioni di quei Guru pochissimi cittadini agiscono, e all’indomani della feste di piazza, delle serate col personaggio o delle manifestazioni, poco o nulla accade.
Per cambiare questo stato di cose, per cioè riportare i cittadini attivi all’essenziale ruolo di formatori di consapevolezza nei milioni di cittadini passivi, dovrebbe idealmente accadere che i primi si scuotessero dal torpore e dall’adorazione acritica dei loro Guru. Lo auspico.
Nel frattempo però codesti divi dell’Antisistema potrebbero dare una mano compiendo un atto di responsabilità che sarebbe storico, in particolare nell’ambito proprio dell’informazione e di come essa va ottenuta da parte del cittadino. Lo sintetizzo in una battuta: devono sgonfiare se stessi e aiutare le persone a ingrandirsi.
La prima cosa che questi ipertrofici personaggi dovrebbero fare è di restituire alla gente il potere di informarsi. Lo si fa innanzi tutto incoraggiandoli a coltivare l’abitudine al dubbio, ovvero il dubbio che ciò che gli stessi Guru scrivono o proclamano possa essere parziale, miope, sbagliato, addirittura manipolatorio. Il messaggio di apertura nel rapporto col loro pubblico dovrebbe sempre essere: siamo solo fonti di notizie, non oracoli, ascoltateci, ma a debita distanza, fra le tante altre fonti che ascolterete. Così facendo restituirebbero al pubblico il suo ruolo di protagonista che deve farsi la verità da solo, e non apprenderla pedissequamente da un Personaggio visto come un Vate. Si comincia così. Poi ci si rifiuta di fare i Vday, di avere i megablog, di essere fissi in prima serata Tv come Guest Stars, di fare il club esclusivo dei divi antagonisti, di pavoneggiarsi nelle pagine delle opinioni di riviste patinate, e si dismette interamente quell’abito da eroi della nuova resistenza che così tanti vestono oggi con orgasmo. Gli odierni divi della controinformazione dovrebbero lavorare proprio per ottenere che il pubblico non si relazioni più col giornalista Personaggio/divo/esperto, ma che lo veda sempre come un suo piccolo consulente di informazioni fra i tanti. Per far comprendere a chi legge quale dovrebbe essere l’atteggiamento esteriore e interiore di una cittadinanza sana nei confronti di chi li informa, chiuque egli/ella sia, vi chiedo di immaginare come il top management di un gigante industriale – per es. la Microsoft Corporation – si relazionerebbe con un loro consulente. Lo convocherebbe, gli direbbe senza troppe storie “Prego si faccia avanti, ci dica”, lo ascolterebbe e poi “Bene, grazie, si accomodi”. Punto. E il consulente saluta e si mette da parte piccolo e secondario, per lasciare ai manager l’importante compito esecutivo. Ora, un pubblico di cittadini sani dovrebbe sentirsi come il management, cioè al centro del potere e delle decisioni, e gli odierni giornalisti/divi/esperti si dovrebbero ridurre al ruolo del consulente. Questo dovrebbero fare i Travaglio, Guzzanti, Grillo, Barbacetto o Gomez ecc.
Oggi purtroppo accade l’esatto contrario: il giornalista/divo/esperto troneggia, sentenzia e lancia il diktat, e il pubblico piccolo piccolo lo adora, lo ammira, e peggio, si raggruppa in fans club e ‘parrocchie’ dal seguito quasi sempre acritico. Ed è tristemente emblematico che l’immaginario colloquio che ho sopra descritto sia nella realtà di oggi esattamente il modo in cui, al termine della serata-dibattito con l’esperto/divo, viene invece accolto il pubblico quando chiede timidamente la parola: “Prego si faccia avanti, ci dica”, e poi “Bene, grazie, si accomodi”, cioè torni piccolo piccolo.
In questo modo la gente è solo sospinta a rimanere secondaria, cioè si annulla e non crescerà mai. Così l’Italia non cambierà mai. L’informazione italiana meno che meno.”

Paolo Barnard [tratto da L'informazione & la deriva dei 'nuovi paladini dell'antisistema'. 2009]

Ed ecco il testo classico di Pasolini che da questo articolo in poi (questa è la trascrizione di una registrazione dal vivo, poi pubblicato sul settimanale Panorama) comincia a diventare fastidioso a tutti. Era stato invitato a parlare di “cultura e spiritualità” a proposito dei Vangel,i in un liceo classico fiorentino.

 «L’Italia sta marcendo in un benessere che è egoismo, stupidità, incultura, pettegolezzo, moralismo, coazione, conformismo: prestarsi in qualche modo a contribuire a questa marcescenza è, ora, il fascismo.

Essere laici, liberali, non significa nulla, quando manca quella forza morale che riesca a vincere la tentazione di essere partecipi a un mondo che apparentemente funziona, con le sue leggi allettanti e crudeli. Non occorre essere forti per affrontare il fascismo nelle sue forme pazzesche e ridicole: occorre essere fortissimi per affrontare il fascismo come normalità, come codificazione, direi allegra, mondana, socialmente eletta, del fondo brutalmente egoista di una società.

Non esiste solo il potere che si esercita nelle decisioni, ma anche un potere meno visibile che consiste nel fatto che certe decisioni non sono neanche proposte, perché difficili da gestire o perché metterebbero in questione interessi molto stabili.

La grande differenza tra i valori proclamati e i valori reali della società, l’omologazione, fanno pensare veramente a una società totalitaria. Quello che importerà nel futuro sarà il comportamento della più grande forza mai conosciuta: la massa omologata dei consumatori, la stragrande maggioranza degli esseri umani, non più l’ingegno delle élites culturali o l’attività dei politici.

L’identikit di questo volto ancora bianco del nuovo Potere attribuisce vagamente ad esso dei tratti “moderati”, dovuti alla tolleranza e a un’ideologia edonistica perfettamente autosufficiente; ma anche dei tratti feroci e sostanzialmente repressivi: la tolleranza è, infatti, falsa, perché in realtà nessun uomo ha mai dovuto essere tanto normale e conformista come il consumatore; e quanto all’edonismo, esso nasconde evidentemente una decisione a preordinare tutto con una spietatezza che la storia non ha mai conosciuto. Dunque questo nuovo Potere non ancora rappresentato da nessuno e dovuto a una «mutazione» della classe dominante, è in realtà – se proprio vogliamo conservare la vecchia terminologia – una forma “totale” di fascismo. Ma questo Potere ha anche “omologato” culturalmente l’Italia: si tratta dunque di un’omologazione repressiva, pur se ottenuta attraverso l’imposizione dell’edonismo e della 'joie de vivre'.

Una visione apocalittica, certamente, la mia. Ma se accanto ad essa e all’angoscia che la produce, non vi fosse in me anche un elemento di ottimismo, il pensiero cioè che esiste la possibilità di lottare contro tutto questo, semplicemente non sarei qui, tra voi, a parlare.»

Pier Paolo Pasolini, 1963

martedì 28 agosto 2012

Grillo o Bersani? Siete proprio sicuri che non c'è alternativa? E quale il fronte?



di Sergio Di Cori Modigliani


La rissa tra Pierluigi Bersani e Beppe Grillo è il sintomo, fin troppo ovvio, del degrado culturale dell’Italia di oggi.
Hanno perso entrambi.
O meglio: abbiamo perso tutti noi.
Loro due, invece, hanno vinto. Ma soltanto loro.
Vincono i tifosi da stadio,  i non pensanti, il gregge, la truppa al seguito, i daje all’untore, i viè qui che te meno, l’esibizione muscolare di chi ha scelto (in maniera consapevole) di non avere in mano argomentazioni politiche, soprattutto culturali.
Uno scontro tra un fallito e un narcisista.
Tra l’ignoranza e l’affabulazione demagogica.
Per noi cittadini affranti, spettatori passivi di un gioco “altro”, ci rimane la paletta da quiz mediatico che ci hanno messo in mano: abbasso l’uno o viva l’altro.
Bella alternativa!
Mi sembrano entrambi pesci che galleggiano nell’acquario di T.I.N.A.

Ecco perché:

Siamo dentro una Guerra Invisibile, ma i combattenti, o meglio, i generali, non dicono quale guerra sia. Non sarebbe Invisibile, altrimenti.

Bersani (e il PD) accusano Grillo (e Di Pietro) di essere un “fascista del web” perché usa il termine “zombie” e l’espressione “vi seppelliremo vivi”.
Penso che si tratti di piatta e banale ignoranza usata, con ingegno, a fini elettorali.
L’espressione zombie, per indicare l’attuale classe politica, non è di Di Pietro; neppure di Grillo.
Non potrebbe essere di Di Pietro, valente ex magistrato, che si è costruito una carriera come "quasi" ministro degli interni di Berlusconi prima, per proseguire come ministro di Prodi poi, e che mai si sarebbe sognato di usare questo termine, essendo (tragicamente per lui) auto-referenziale. Cavalca la protesta e non sa neppure che sta facendo una citazione colta, è semplice ignoranza. Doppia. Primo perché non sa chi ha “coniato” il termine per definire la classe politica al comando (penso davvero che non lo sappia); secondo –che è una conseguenza dell’iniziale ignoranza- non spiega che il successo del termine “zombie” è relativo al fallimento socio-economico della teoria neo-liberista già voluta da Monti-Draghi Berlusconi e poi rivoluta da Monti-Draghi-Bersani, come è stato “tenicamente” spiegato da due valenti premi nobel dell’economia, nel 2010 e nel 2011. Non spiega neppure (siamo i soliti squallidi provinciali di sempre) che il termine nasce dalla cultura pop americana, divenuta in Usa un termine “bellico” per identificare i rappresentanti, discepoli e seguaci di Milton Friedman, diabolico inventore della teoria del mercato libero e dell’egemonia necessaria della finanza sulla produzione di merci.
“Occupy wall street” è nato da lì. Il termine è stato usato, elaborato, argomentato e poi lanciato a livello di massa quando (a metà del 2010) è scoppiata in tutta la sua virulenza la guerra in usa tra Keynes e Friedman. L’autore di questo neologismo metaforico cinematografico è il premio nobel per l’economia Paul Krugman, il quale, nell’autunno del 2010, si assunse la responsabilità di essere il leader antagonista (sezione politica dell’economia) che scendeva in campo per combattere i conservatori oltranzisti della destra radicale Usa dei tea party. Ecco che cosa scriveva allora nel celebre editoriale pubblicato sul New York Times che ha introdotto il termine reso celebre dal filmaccio “La notte dei morti viventi”:

Per prendere in prestito il titolo di un libro recente dell'economista australiano John Quiggin sulle dottrine economiche che la crisi dovrebbe aver definitivamente sepolto ma che invece vivono, noi siamo ancora -e forse più che mai- governati dall'economia zombie. Perché? Parte della risposta, di certo, è che coloro che avrebbero dovuto sopprimere le idee zombie hanno invece cercato di scendere a compromessi.

E poi, da lì, una lunga, dotta e colta analisi sia macro-economica che geo-politica –con furibondo attacco ad Obama-  annunciando che ci si trovava nell’occhio del ciclone “non di una crisi finanziaria” (FALSO TOTALE) bensì dell’attacco politico-culturale dei conservatori liberisti contro i progressisti keynesiani. Quattro mesi dopo quest’articolo, gli ultra-conservatori vanno all’attacco della scuola economica della Columbia University, con violentissimi attacchi personali contro Nouriel Roubini, Jospeh Stieglitz e il prof. Noam Chomsky. Nel corso di una sua lezione rimasta celebre, il premio nobel per l’economia Joseph Stieglitz, un carro armato del progressismo sociale statunitense, e fiero sostenitore della immediata necessità di varare un New Deal rooseveltiano in Usa e in tutta l’Europa occidentale, si scatena contro “i fascisti liberisti del tea party che verranno sepolti vivi dall’inevitabile insorgenza dello spirito democratico e libertario che sancirà il totale e definitivo fallimento della teoria iper-liberista, anticamera del fascismo, della proletarizzazione del ceto medio e della schiavizzazione annunciata nel mondo del lavoro….” e poi una lunghissima dissertazione colta, tecnicamente molto argomentata nella sezione prettamente economica, che si concludeva con un richiamo alle virtù della democrazia rappresentativa e quindi il “sacrosanto diritto dei tecnocrati fascisti ad essere sepolti vivi nel dimenticatoio della Storia: laddove riposano coloro che sono falliti, coloro che vogliono portarci  al fallimento e chi vuole far fallire lo spirito della democrazia: hanno il diritto di vivere, di parlare e della libertà di stampa e di aggregazione. La democrazia la garantisce a tutti ed è giusto che sia così. Nessuno escluso. Per l’appunto: è ciò che difendiamo. Noi difendiamo anche il diritto dei sepolti vivi ad essere ascoltati”.

Quindi Bersani accusa i due premi Nobel Krugman e Stieglitz di essere due fascisti.
Personalmente penso che Bersani sia in buona fede: notizia tragica.
Si tratta di semplice ignoranza. Lui rappresenta gli interessi di una neo-tecnocrazia liberista che interpreta la salvaguardia dei privilegi di una oligarchia finanziaria planetaria, ma lo fa a sua totale insaputa. A lui interessa soltanto salvaguardare la sua baracca di burocrati.
Rivela, quindi, (sempre nella migliore delle ipotesi che si tratti di buona fede) di aver promosso come classe dirigente una pattuglia di analfabeti di economia, e di persone completamente inconsapevoli del fatto che siamo in guerra. Non sanno neppure che si devono schierare.

Non così per Beppe Grillo, il quale, invece, notoriamente è uno che studia e legge molto.
Penso che Grillo non sia stato in grado di rispondere per le rime con la solida argomentazione nel sostenere le interpretazioni socio-politico-economiche di Krugman e di Stieglitz per ovvie necessità narcisistiche. I suoi seguaci pensano che il linguaggio da lui usato sia originale. Non sanno che è preso da discorsi, letture, convegni, seminari, lezioni e articoli dell’opposizione americana, divenuto ormai mainstream dal 2010 in poi. Anche lui deve fare i conti con il consenso elettorale e finisce per far privilegiare la voglia matta dell’intera collettività nazionale di poter urlare “andate tutti a casa, ci avete imbrogliato”. Ma allo stesso tempo, Grillo rivela di essere compagno di merende e di merengue, di Bersani (a sua insaputa, mi auguro) perché non chiarisce con argomentazioni solide lo schieramento bellico attuale tra post-keynesiani (e quindi esistenzialmente solidali) da una parte e tecnocrati iper-liberisti dall’altra. Perché non lo fa?
Io non lo so, il perché: chiedetelo a lui.

La mia personale idea è che non lo può fare.

Perché lui è un tecnocrate.
Simpatico, avvolgente, affabulatore, carismatico, ma pur sempre tecnocrate.
Tant’è vero che la “summa teorica” della sua attività politica è ben descritta nel testo scritto da lui e Roberto Casaleggio e pubblicato da Chiarelettere che si chiama “Siamo in guerra” dove non parla della Guerra Invisibile(Keynes-Friedman, conservatori-progressisti, oligarchici-democratici) bensì di un’altra guerra (falsa), tutta marketing, tutta interna al movimento tecnocratico internazionale, visto che sostiene “c’è una guerra tra il web e il mondo morto dei giornali, delle televisioni, dell’editoria” ecc.
Questo è “culturalmente” un FALSO:
Il web non è un fine, bensì un mezzo.
E chi sostituisce un mezzo con un fine o è in malafede oppure ha le idee poco chiare.
Chi ha frequentato qualche volta le riunioni dei movimenti grillini sa che la loro caratteristica principale consiste nel loro essere robotici e nel far di tutto per impedire qualsivoglia aggregazione di umanità, di incontro tra esseri umani. Il tutto deve avvenire sempre e soltanto e comunque in rete, nella rete, dentro il software, non si può sgarrare. Perfino lo scambio di numeri di telefono tra partecipanti non è ben visto. E’ un rullare continuo di esaltazione del nuovo Moloch del terzo millennio , il che, culturalmente parlando, lo situa tutto dentro la visione del mondo iper-liberista dei tecnocrati.

Mentre Bersani rivela il tragico vuoto culturale di una classe dirigente analfabeta intorno a lui, Grillo rivela il tragico vuoto tout court intorno a lui, perché la classe dirigente neppure esiste. E’ stata sostituita da un eccezionale software: ciò che conta è adorare il nuovo Totem del gregge post-moderno.

La loro rissa quindi, mi lascia indifferente.
E’ tutta roba dentro il mondo dei tecnocrati.

E’ roba che esclude la svolta vera di cui ha bisogno l’Italia: l’affermazione di un nuovo principio di affermazione della narrativa esistenziale, nuove modalità di aggregazione , e mobilitazioni in carne e ossa che spezzino il cancro dell’isolamento, dell’individualismo coatto narcisista, dell’uscita allo scoperto dai lager illusori che la tecnologia propone e dispone purchè la gente non si incontri, non si veda, non si confronti, non dibatta, fondamentalmente NON si appassioni nello scambio dell’umanità vera, perché tuttora l’arma migliore di opposizione consiste nella diffusione capillare della Cultura attraverso lincontro umano consistente,  per costruire delle nuove modalità avanzate ed evolute di solidarietà, condivisione, evoluzione, per l’affermazione di una società diversa.

La rivoluzione esistenziale di cui noi abbiamo bisogno è ritrovare la passione civile umana.
Un software non basta.
E’ necessario schierarsi, perché la guerra è già iniziata.
E’ troppo tardi per poter dire a se stessi: non la voglio fare.
Intendiamoci, “non sembra che sia così”. Appunto. Non sembra perché non si vede, altrimenti non sarebbe una Guerra Invisibile, però c’è. Secondo nuove modalità.
E per capire dov’è esattamente dislocata la “linea del fronte” bisogna guardare la esistenzialità di singoli individui, i quali, collegati tra di loro finiscono per comporre il corpus sociale. Perché la guerra è tra le persone, individui, gruppi sociali di gente vera, che vuole una vita diversa più umana e solidale e autentica, in ultima istanza “veritiera”, e coloro che, invece, pensano che basti attuare dispositivi tecnici per determinare un cambiamento.
E’ la guerra vera tra tecnocrati e umanisti.

Questo vuole il liberismo di Friedman, sostenuto in Italia da Monti-Bersani: l’abbattimento dell’individualità e la cancellazione del potere della narrativa esistenziale.
Non sarà mai il web a liberarvi: il web né vi libera né vi imprigiona, it is just a media.
Il web è neutro.
Gli Esseri Umani non lo sono mai.
Quando lo sono, allora vuol dire che sono dei robot.

Che ci faccio con centinaia di milioni di informazioni al giorno se non sono in grado di elaborarle?
Come faccio a sapere quali sono le notizie che non mi danno, dato che –proprio perché non me le danno- non posso sapere che esistono?
Lo sapevate che il Brasile ha applicato la MMT dimostrando che può funzionare in pratica?
Lo sapevate che l’Argentina ha applicato il bilancio sociale dimostrando che funziona?
Lo sapevate che il Giappone ha un debito pubblico di 4.100 miliardi di euro (il doppio dell’Italia) con un pil di 3.200 miliardi di euro (il doppio dell’Italia) e un differenziale negativo di -132%, una inflazione al 2%, disoccupazione all’1,5%, O povertà e il loro debito pubblico aumenta aumenta aumenta… ma la ricchezza collettiva pure?
Come mai in Giappone funziona? Perché non farlo funzionare anche in Italia, allora.
In rete, del Giappone, non se ne parla mai.


Osservando in televisione i reportage da Taranto, di fronte all’Ilva, da Cagliari dove gli operai dell’Alcoa si tuffano in mutande in mare, purchè si sappia che loro esistono; sempre in Sardegna dove i minatori si trincerano a 400 metri di profondità con decine di chili d’esplosivo perché vogliono lavorare;  con gente che si uccide davanti al parlamento bruciandosi viva; famiglie sfrattate, intellettuali indigenti, un’agghiacciante solitudine sociale priva di solidarietà umana, tutto ciò, nella mia mente, si trasforma ”in scene di ordinaria follia dal fronte bellico interno”.  Sono i nuovi deportati nei silenziosi e invisibili lager del “perenne vuoto culturale e della disinformazione bellica”.
Le guerre nascono per i motivi più disparati, ma le ragioni dietro sono sempre le stesse: economiche, di territorio, di interpretazioni del mondo incompatibili.

Nell’attuale Guerra Invisibile i due schieramenti (sezione economia) sono rappresentati dallo scontro definitivo tra John Maynard Keynes e Milton Friedman, entrambi deceduti. Non sono possibili mediazioni né compromessi –altrimenti non staremmo in guerra- perché (entrambi celebri economisti vissuti a distanza di 50 anni l’uno dall’altro) l’uno (Keynes) situa “il bene comune, la società e gli individui che la compongono” come il punto di riferimento di ogni progetto economico di investimento mentre l’altro (Friedman) non prende neppure in considerazione né le persone né il sociale definendo la società civile “come il luogo in ultima istanza al quale vanno gli usufrutti delle scelte operate sul mercato delle merci e nel mondo della finanza”. Per Keynes la crescita economica è sempre e comunque “allargamento dello spettro sociale come quantità di soggetti operanti e aumento nella produzione della ricchezza collettiva di una nazione”, per Friedman, invece, consiste “nell’aumento della capacità di controllo e di gestione del mercato delle merci da parte della finanza che investe risorse per lo sviluppo”. Per uno (Keynes) “l’economia deve avere come obiettivo primario quello di salvaguardare tutte le persone che compongono ogni singolo ceto presente nella società civile” per l’altro (Friedman) “l’economia deve occuparsi della gestione della stabilità della finanza che diventa tutela della massima libertà operativa del mercato, non più soggetto a legami infruttuosi imposti dallo stato centrale”. Sono due idee del mondo contrapposte. E’ lo scontro tra la finanza oligarchica e l’imprenditoria che produce merci e dà lavoro. O vince l’una o vince l’altra. Questo è lo scopo della guerra in atto. Se vince l’uno (Keynes) si ritorna alla Politica. A quel punto, tutti i rappresentanti delle singole parti sociali dovranno vedersela con lo Stato che funge da arbitro e controllore della finanza e si assume l’onere sociale del debito collettivo pompando sul mercato risorse d’investimento che creano lavoro, occupazione, crescita collettiva. Se vince l’altro (Friedman) viene abolita per sempre la Politica. Vengono cancellate le classi sociali e la società assume una nuova forma appiattita, con due uniche classi informi come nel medioevo: da una parte il predominio della finanza che decide chi produce come quando quanto e per quanto, usando i partiti che diventano funzionari d’esercizio delle loro attività mercantili (classe dei privilegiati). Lo Stato diventa il semplice garante militare del nuovo equilibrio senza intervenire mai sul mercato occupandosi (grazie all’appoggio dei burocrati dei partiti) di evitare rivolte sociali. I ceti medi vengono proletarizzati, il lavoro perde la dimensione di valore, e la società civile si trasforma in un gigantesco bacino d’utenza di forza lavoro a costo molto basso; la novità storica e paradossale consiste nel fatto che nell’abbattimento di tutte le classi si realizza la cosiddetta “rivoluzione sociale liberista” e imprenditori e salariati finiscono dalla stessa parte, entrambi impiegati della finanza che deciderà le rispettive mansioni d’impiego. In tal modo viene ricostruita la piramide verticale del medioevo: l’aristocrazia che comprende i signori, i vassalli, i valvassori, i valvassini; poi il clero; e infine il cosiddetto terzo stato che comprenderà tutti, operai.e intellettuali, imprenditori e commercianti, salariati e precari: i nuovi schiavi del terzo millennio. Che sappiano di essere schiavi, o non lo sappiano, è irrilevante, sempre schiavi saranno.
La Guerra Invisibile, oggi, pertanto, è la guerra tra il “neo-colonialismo mediatico post-moderno della tecnologia schiavista” da una parte e “la salvaguardia dell’autonomia delle proprie risorse e il diritto all’autodeterminazione dei popoli, nell’esercizio dello Stato di Diritto, con una pianificazione economica da parte dello Stato che ponga al centro diritti e doveri, bisogni ed esigenze dell’intera collettività, applicando la norma del bilancio sociale equo-sostenibile”.
O si sta da una parte o si sta dall’altra.
Basta saperlo.
Sono due concezioni del mondo diverse.
Non è lo scontro tra due scuole economiche teoriche.
E’ la differenza tra Roosevelt e Hitler.
Tra Thomas Hobbes e John Locke.
Tra Gesù Cristo e il Grande Inquisitore.
E ancora…tra Sabrina Began ed Emma Bonino.
In ultima istanza, tra la Conservazione e l’Evoluzione.
E’ una Guerra Culturale, pertanto.
Perché è la Guerra tra tue idee del mondo completamente diverse.
La volgare e penosa zuffa tra Bersani e Grillo ci fa comprendere che siamo finiti dalla parte sbagliata del fronte.
Così facendo “tutti perderemo la guerra”.
Basta con la pubblicità mediatica e i trucchi da baraccone.
E’ necessaria una mutazione culturale individuale e collettiva per riappropriarsi del Senso.
Perché la differenza sostanziale è tra Simone Veil “la Cultura è un’arma: affilatela con cura” e Joseph Goebbels: “Quando sento parlare di Cultura, io metto mano alla fondina e impugno la pistola”.
Questa è la Guerra che stiamo vivendo.
Basta con la tecnologia coatta.
Rivoglio gli Esseri Umani in carne e ossa.
Non voglio partecipare a movimenti politici in rete o via e-mail; voglio guardare in faccia e leggere gli occhi di coloro che combatteranno insieme a me, voglio sapere delle loro vite e mettere la mia a disposizione della loro curiosità.
A meno che non si voglia una rivoluzione virtuale.
Io la voglio, invece, reale.
Quindi, deve avvenire e manifestarsi nella realtà.
Se bisogna crepare, preferisco essere fucilato all’alba piuttosto che essere infilato nel forno crematorio del vuoto culturale perenne.

Io, per il momento, sto dalla parte di Paul Krugman e di Joseph Stieglitz.

P.S. Ho corretto il titolo dove c'era un errore di grammatica, e la frase che attribuiva a Di Pietro un ministero, è stato un altro errore per l'enfasi. In verità, Di Pietro fu "quasi ministro".