lunedì 28 gennaio 2013

Lo scandalo MPS e le domande che non vengono poste. Come mai?



di Sergio Di Cori Modigliani


Potrebbe (e a mio avviso dovrebbe) essere “la mamma di tutte le immondizie italiane”.
Parliamo qui, ancora, della vicenda relativa  a Monte dei Paschi di Siena.
Stanno già facendo tutto per annacquare la vicenda, camuffarla, nasconderla, occultarla e infine insabbiarla.
Tireranno fuori le notizie più strane, in questi rimanenti giorni di campagna elettorale, per distrarre l’attenzione e fare in modo che l’opinione pubblica non si interroghi e che la gente non pretenda di voler sapere.
Dipende da noi tutti agitare le acque in modo tale da inondare il territorio mediatico (quantomeno sul web) di una valanga di domande alle quali è nostro diritto esigere delle risposte immediate e pertinenti.
Senz’altro avremmo saputo qualcosa da Corradino Mineo su rai news 24. Non è più possibile: è candidato capolista per il PD in Sicilia.
Qualcosa di davvero intelligente (perché l’uomo lo è senz’altro e molto, oltre ad essere molto pertinente essendo uno dei più grossi esperti italiani dei meandri del potere del nostro sistema bancario) avremmo potuto sapere leggendo sul Corriere della sera gli entusiasmanti editoriali finanziari di Massimo Muchetti ma non sarà possibile perché è candidato capolista a Milano nelle fila del PD.
Avremmo (forse) potuto sapere qualcosa da altri 25, ma sono tutti candidati. Quindi staranno tutti zitti.
E’ per questo li hanno candidati(?)
Ed è per questo che sulla stampa mainstream non leggeremo e non sapremo nulla.
Basterebbe fare le domande giuste.
Perché nel campo specifico della professione giornalistica, ciò che conta per davvero consiste nella “qualità delle domande che si pongono”. E’ soltanto questa la differenza tra un bravo giornalista che onora la professione e i nostri impiegati della cupola mediatica.
Sono le domande, quelle che contano.
Domande che inchiodano, che obbligano a delle risposte che non possono essere evase.
Ecco le tre domande che andrebbero poste all’on. Silvio Berlusconi, presidente del PDL.
1) “Ci risulta, come confermato dagli atti ufficiali, che la società di intermediazione finanziaria statunitense Goldman Sachs abbia affidato al giornalista Gianni Letta, ai tempi deputato eletto nelle sue liste, la mansione di gestire, sovrintendere e chiudere la compravendita tra Monte dei Paschi di Siena e Banca Antonveneta. Come mai, non essendo l’on. Gianni Letta né un esperto di sistemi bancari, né un esperto in tecnica bancaria, né un banchiere, né ufficialmente parte in causa, è stato scelto per tale delicato lavoro che presuppone una corposa e specifica competenza tecnica?”
2). “Ci risulta, come provato da atti ufficiali, che, strada facendo, sia stata accorpata anche la società di intermediazione finanziaria statunitense J. P. Morgan, attraverso, pare, la partecipazione attiva e personale del direttore responsabile marketing per le operazioni europee, Mr. Monti jr. Come mai? Perché sarebbero state scelte queste due società straniere essendo l’Italia piena di eccellenti società di intermediazione finanziaria ad alti livelli sia di merito che di competenza tecnica garantita?”
3). “Come mai, essendo il Monte dei Paschi di Siena una banca di interesse nazionale, considerata “strategica” all’interno del mondo finanziario-economico italiano, l’on. Gianni Letta, venendo meno ai suoi obblighi di Legge, non ha riferito, punto per punto, l’intero percorso operativo al presidente della Consob, alla ABI (Associazione Bancaria Italiana) a Bankitalia, al Ministero del Tesoro, e –essendo coinvolte società non italiane in un ambito di rilevanza strategica- anche al Ministero della Difesa?”.
In seguito alla dichiarazione pubblica, rilasciata sabato 26 gennaio da Pier Luigi Bersani, che ha detto: “Se c’è qualcuno che osa sostenere che il PD c’entra in un qualunque modo in questa vicenda, ebbene, noi lo sbraniamo vivo” bisognerebbe porre le seguenti domande al Presidente del PD, on Rosy Bindi e quindi mettersi nelle condizioni di essere sbranato vivo:
1). “Sulla base di atti provati e già in possesso sia delle autorità finanziarie che della magistratura che sta indagando sulle dubbie operazioni finanziarie del Monte dei Paschi di Siena, risulterebbero le seguenti emissioni di bonifico bancario a favore del partito da lei presieduto: da parte di Giuseppe Mussari, presidente della banca, versamento di 246.000 euro; da parte del vice-presidente della banca Monte dei Paschi di Siena, Ernesto Rabizzi 125.000 euro. Da parte del presidente della società denominata “Monte dei Paschi di Siena Capital Service” la cifra di 176.063 euro destinata –nello specifico- alla federazione del Partito Democratico di Siena. Da parte di Riccardo Margheriti, presidente di “Monte dei Paschi di Siena Banca Verde” la cifra di 132.890 euro con la specifica destinazione per investimenti nel settore della green economy a fronte dei quali non esiste nessuna fattura emessa. Infine, da parte di Alessandro Piazzi, consigliere della Fondazione Monte dei Paschi di Siena, la cifra di 161.400 euro. Le domanda sono le seguenti: come mai sono stati versati questi soldi al PD? A quale titolo? A fronte di quali specifiche mansioni? Come mai risultano inviate ma non sono state immesse in bilancio? Come mai risultano incassate ma non sono state immesse nel bilancio del PD?”.
2). “Risulta agli atti che il presidente del Monte dei Paschi di Siena abbia provveduto a far avere al gruppo politico DS nell’arco di dieci anni, dal 1999 al 2009, la cifra complessiva di 682.000 euro. Come mai? In base a quale mansione specifica? Come mai non risulta iscritta in bilancio né in uscita presso la banca né in entrata presso il gruppo DS –tuttora esistente nonostante sia estinto- Tale gruppo estinto è confluito nel partito da lei presieduto, lei che cosa ha da dire al riguardo? Risulta, inoltre, che il presidente della fondazione bancaria abbia “personalmente” versato la cifra di 703.000 euro alla federazione del PD di Siena. A quale titolo? Come mai non sono stati conteggiati”.
Queste sono le domande (parliamo qui davvero di quisquilie e di robbetta) che andrebbero poste.
Non si tratta soltanto di curiosità.
Queste sono le attività di una banca nazionale strategica che è posseduta al 39,6% da una fondazione che è stata identificata e definita da atti parlamentari ufficiali come “ente benefico” e di conseguenza gode del diritto di non subire alcuna forma di tassazione.
Da cui se ne ricava la seguente situazione: l’Italia è una nazione –“ ed è ufficiale”- nella quale le banche possono non pagare le tasse se fanno beneficenza; tale beneficenza si manifesta nell’inviare dei bonifici bancari alle federazioni dei partiti direttamente da parte del management direttivo che considera tale pratica come norma consuetudinaria. Poiché non sono sottoposti ad alcun controllo, ritengono di non dover risponderne alla cittadinanza.
Con l’aggiunta della consueta pantomima elettorale mediatica, costruita per i gonzi, a firma del re degli imbonitori, il nostro Berluska, il quale –immagino- dinanzi al panico dei suoi amici e soci in affari (dal PD all’Udc, passando per tutti, nessuno escluso) deve averli tranquillizzati sostenendo il suo emblematico “ghe pensi mì”. E così, tira fuori una idiota gaffe da operetta a proposito del fascismo, con la cupola mediatica complice che si butta appresso riempiendo i giornali di opinioni, discussioni, distinguo, chiarimenti. Di tutto.
La mia serena opinione è che per tutti i grossi pescecani partitici, oggi, ciò che conta, è sviare l’attenzione dall’affaire Monte dei Paschi di Siena, “la mamma di tutte le immonde schifezze italiane”. Qualunque cosa purchè se ne parli sempre di meno. Qualunque diversivo, gossip, menzogna, fantasia. Va bene tutto. Basta che la gente non cominci a pretendere la verità su ciò che, ora dopo ora, comincia a delinearsi sempre di più come la autentica cassaforte del club dei club: il tavolo italiano dove la massoneria reazionaria, il vaticano, i partiti italiani e i colossi finanziari anglo-statunitensi, si sono sempre incontrati per decidere chi governa, come governa, chi deve contare, chi non lo deve. E soprattutto a chi è necessario dare soldi e quanti e quando e dove.
Perché, per loro, ciò che conta, in questa campagna elettorale è soltanto questo: il profitto netto che i partiti-azienda sono in grado di assicurarsi grazie al voto di chi crede in loro.
Questa è la realtà dei fatti, oggi.
Questa è la stessa banca che, nell’arco del solo 2012,  ha provveduto a negare crediti a circa 15.000 piccole imprese nel territorio della regione Toscana e in Emilia Romagna, le quali sono andate in liquidazione e sono fallite.
Una banca che ha prodotto dissesto e disoccupazione, in nome della beneficenza.
Abbiamo il diritto di esigere e pretendere il default immediato di questa classe politica indecente, perché se non vanno in default loro, ci andiamo noi.
Ultima domanda a tutti: “Come mai un ente benefico rifiuta il credito alle imprese che danno lavoro e occupazione ma regala dei soldi a un partito?”.
Il titolo di MPS va al rialzo e la borsa gongola.
Si sono fatti i loro conti.
Non sarebbe splendido, il 26 febbraio, poter dire: ”Signori, avevate fatto i conti senza l’oste”
Noi, siamo l’oste.
Non dimentichiamolo.
Buona settimana a tutti.

venerdì 25 gennaio 2013

Il caso Monte dei Paschi di Siena e il ruolo dell'Europa.




di Sergio Di Cori Modigliani


“Coloro che non possono ricordare il passato, sono condannati a ripeterlo”

                                                                                                             George Santayana. 1930


A proposito di Monte dei Paschi di Siena.

Sono sempre stato un europeista convinto.
Mi sento europeo e sono orgoglioso di esserlo.
Sono un profondo sostenitore degli Stati Uniti d’Europa, perché considero l’Europa un continente che ha prodotto nei secoli una immensa tradizione evolutiva in campo economico, culturale, artistico, scientifico, che ha dato un enorme contributo al miglioramento delle condizioni esistenziali delle persone.
Non questa Europa, si intende.
La grande truffa degli oligarchi reazionari consiste nell’aver inventato uno scontro tra europeisti e non europeisti, spingendo la gente –in maniera perversa e subliminale- a pensare che la BCE e il sistema bancario attuale “sia l’Europa”.
Non è così.
C’è anche un’altra Europa.
Ed è quella per la quale mi batto.
Caduti nella trappola  dell’Alzheimer sociale, ben rappresentato dalle trovate mediatiche di Silvio Berlusconi, gli italiani, oggi, sbigottiti, sono testimoni del terremoto finanziario prodotto dalle scelte amministrative del Monte dei Paschi di Siena, come se fosse una sorpresa, uno scandalo, qualcosa di cui stupirsi.
Considero questo “scandalo” uno splendido simbolo della enorme possibilità che tutti noi europei abbiamo in questo momento per poter ritrovare il Senso di una nuova identità europea, che prima di tutto deve essere esistenziale e culturale, economica e politica e poi, di conseguenza, anche finanziaria.
Perché l’Europa, cioè la prima costituzione degli Stati Uniti d’Europa, è nata dalla finanza, e con il suo fallimento, si spera che gli europei ritrovino la ragione.
E’ nata così l’Europa.
E fu proprio il Monte dei Paschi di Siena a inventare tutto ciò, molto ma molto tempo fa.
Perché le speculazioni finanziarie sui derivati non sono affatto una invenzione tecnologica,  ingegnosamente scoperta dagli analisti finanziari americani, bensì  sono un’idea finanziaria del Monte dei Paschi di Siena, che si è espressa 375 anni fa e che allora portò l’Europa alla catastrofe, seminando miseria, povertà e fame.
Se chiedete “quando è nata l’Europa?” vi sentirete dare risposte molto diverse. C’è chi sostiene con il Trattato di Lisbona, chi con quello di Maastricht, chi nel 2001 con il varo dell’euro, chi con il Trattato di Roma del 1957, chi con il manifesto di Ventotene del 1943 a firma Altiero Spinelli, chi con Napoleone Bonaparte, chi con la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo nel 1789,.
Forse hanno ragione tutti, sono stati piccoli tasselli intersecantesi l’uno con l’altro.
Ma il punto dolente rimane quello della “mancanza di memoria storica” a dimostrazione dell’autentica tragedia che noi tutti stiamo vivendo oggi in conseguenza dell’assassinio della Cultura e dell’Informazione.
Perché se fosse rimasta alta la bandiera della memoria storica collettiva, allora, i popoli avrebbero impedito a questi burocrati oligarchi criminali di fondare gli Stati Uniti d’Europa sulla finanza, dato che era stato già fatto quasi 400 anni fa portando il continente alla  catastrofe.
C’era, quindi, un precedente storico poderoso, fulminante, sul quale interrogarsi, da analizzare, sondare, elaborare, per trarne una lezione utile.
Tutto è avvenuto grazie al Monte dei Paschi di Siena, nel cuore dell’Europa mercantile, nei primissimi anni del secolo XVII, quando la banca senese “inventa” i derivati e provoca, guida,  determina, la più grande catastrofe economica che si sia mai realizzata nella Storia della Civiltà: il crollo della borsa di Amsterdam il 9 febbraio del 1637.
Ecco come andò.
Nei primi decenni del ‘600, grazie all’eccitazione mercantile dovuta alla scoperta dell’America e all’introduzione sui mercati europei di ingenti quantitativi di oro, argento e derrate alimentari, provenienti dal nuovo continente in via di espoliazione, gli europei creano “la borsa valori delle merci e dei preziosi” di cui Amsterdam diventa il centro propulsore. Il Monte dei Paschi di Siena, la più solida e antica banca europea (fondata nel 1472) diventa il più forte istituto di credito finanziario dell’epoca, luogo di incontro della finanza vaticana e delle rendite finanziarie delle oligarchie aristocratiche europee che lì si incontrano per scambiarsi i loro titoli e creare le grandi rendite patrimoniali europee.  Nel 1593, il Monte dei Paschi di Siena finanzia Johannes Van Bommel, un grande mercante dell’epoca, il quale importa dalla Turchia i bulbi di tulipano, investendo nella loro coltivazione. Qualcosa di inspiegabile però accade. Anche se da allora sono trascorsi 400 anni, seguita a rimanere un mistero della mente umana. I tulipani diventano ben presto una specie di feticcio della neo-nata classe borghese mercantile, dando vita a una gigantesca febbre collettiva che invade tutta l’Europa. Gli storici e gli antropologi inglesi hanno addirittura coniato il termine “tulipomania” parola che, da qualche anno, indica una specie di malattia dello spirito che porta gli individui a speculare in borsa su “qualcosa di evanescente che non esiste”. Poco a poco, in tutto il continente si diffonde la mania dei tulipani che diventano ben presto un vero e proprio social status. Dovunque, da Lisbona fino a Roma, da Glasgow fino alla lontana Varsavia, gli europei si gettano nell’investimento di azioni dei bulbi di tulipano e in tutto il continente si aprono agenzie di cambio locale, gestite in appalto dal Monte dei Paschi di Siena. Al mattino si apre la contrattazione ad Amsterdam e alle 15 partono a cavallo i corrieri con i risultati del giorno, attraversando tutta l’Europa per andare a negoziare i titoli nelle diverse capitali. Ben presto, l’Europa comincia a diventare piccola e le capitali entrano in veloce contatto tra di loro, dando vita alle prime società di trasporto continentali. Nel 1605 la domanda di bulbo di tulipano raggiunge livelli vertiginosi di costo. Vengono attribuiti nomi curiosi e strani ai bulbi e le famiglie di possidenti investono ingenti quantità di denaro su questo fiore. Nel 1623, un certo bulbo di tulipano, di un colore magari raro, arriva a costare il corrispondente di oggi di circa 50/70 mila euro. Il record viene toccato dal “semper Augustus” che viene contraccambiato nel 1630 per la cifra vertiginosa di 100.000 fiorini, pari a 250.000 euro odierni. In quell’anno, un certo Messer Cucinotti, ragioniere plenipotenziario di Monte dei Paschi di Siena nella sede di Amsterdam ha un’idea che seduce l’intera Europa: “la speculazione sui derivati finanziari” che lui inventa e codifica, in uno splendido testo di follia delirante finanziaria (si trovano i testi dell’epoca nella “Biblioteca pelagia di parte guelfa” a Firenze) con il termine “commercio del vento” o altrimenti detto “commercio finanziario delle nuvole”. Il Monte dei Paschi di Siena stampa dei contratti di assicurazione sul titolo dei bulbi e poi li assicura presso una loro filiale a Londra, la quale ne rivende –a prezzo maggiorato- il potenziale profitto di lì a sei mesi. Chi acquista quel titolo, lo rivende a un altro prezzo maggiorato e così via dicendo, per cui uno stesso titolo di possesso di un bulbo tocca il record nel 1632 di 186 proprietari della stessa azione a prezzi completamente diversi: la stessa azione vale 1 oppure 8 oppure 75 a seconda di quando è stata acquistata e da chi. La banca senese dà prestiti per acquistare bulbi di tulipano e raccoglie in garanzia proprietà immobiliari e terre coltivate, creando una massa finanziaria speculativa che nel dicembre del 1635 raggiunge una cifra pari a 15 volte l’intera ricchezza reale europea. Finchè alla fine del 1636 alcuni aristocratici, bisognosi di danaro in contanti per finanziare spedizioni navali o costruirsi un castello cominciano a vendere e si arriva al 9 febbraio del 1637 quando l’ondata di vendite si abbatte sul mercato provocando la più gigantesca catastrofe finanziaria che sia mai stata registrata nella storia. Il tutto avviene a una velocità inusitata per quei tempi, in pochissime settimane. E il mercato dei tulipani crolla. Migliaia e migliaia di famiglie si trovano sul lastrico perché il Monte dei Paschi di Siena attraverso le guardie reali olandesi requisisce le loro proprietà immobiliari date in garanzia per titoli di bulbi di tulipano che sulla carta valgono milioni ma che in realtà si rivelano semplice carta straccia. Nel solo mese di giugno del 1637, nella città di Amsterdam 15.000 persone travolte dal dissesto. La città di Arnheim diventa un enorme cimitero e così la città di Hannover, di Besancon, la lontanissima L’vov al confine tra la Polonia e l’Ucraina. L’Europa è travolta dal crollo della finanza sui derivati. Le famiglie rovinate abbandonano le loro terre che rimangono incolte provocando penuria e carestia nella popolazione. Nasce così la immensa ricchezza patrimoniale del Monte dei Paschi di Siena, che riesce a non fallire grazie all’intervento del Vaticano che accordandosi con il re d’Inghilterra dichiara “diabolici” i contratti stipulati dagli aristocratici di mezza Europa e confisca i beni dati in garanzia, identificati come “oggetti del diavolo”, di cui la banca diventa legittima proprietaria.
L’Europa finisce in miseria.
Nasce allora quella che con parole di oggi potremmo definire “la decrescita felice” e che gli storici chiamano “genesi dei movimenti pauperistici europei”, una miriade di movimenti autonomi dei cittadini che si contrappongono all’idea della finanza, del concetto di investimento di danaro, al consumo, agli status symbol ed esaltano l’austerità identificando nella povertà una scelta. Il Monte dei Paschi di Siena chiude tutte le sue filiali in Europa e rientra in Italia con un guadagno complessivo netto in 30 anni corrispondente alla cifra di oggi di circa 100 miliardi di euro che viene suddiviso tra le grandi famiglie aristocratiche delle signorie toscane e il Vaticano.
Il movimento pauperistico e la denuncia del lusso e del consumo viene capeggiato dal filosofo Baruch Spinoza, il quale aveva soltanto 5 anni quando c’era stato il crollo ma che era cresciuto in Olanda vivendo nell’atmosfera tragica del baratro finanziario nel quale era precipitata tutta l’Europa. Gli studiosi, i filosofi, gli intellettuali dell’epoca si confrontano e dibattono sulla follia collettiva che ha provocato la più grande tragedia sociale mai registrata nel nostro continente, e da questo humus intellettuale nasce l’Etica di Spinoza, colonna portante del pensiero libertario europeo, testo fondamentale che diventerà, di lì a breve, il pane quotidiano di Voltaire e dei grandi pensatori illuministi.  Quando esplode “la più grande bolla finanziaria dell’ultimo millennio” viene travolta anche il Regno di Gran Bretagna, perché a Londra falliscono decine e decine di piccole società di assicurazioni (che stavano allora nascendo) gestite da famiglie aristocratiche in vista e sostenute da un parlamento corrotto. Per far fronte ai giganteschi ammanchi, il governo inglese aumentò la tassazione ai produttori agricoli del 30% provocando malumori e rivolte, che cominciarono a crescere e dilagare fino alla rivoluzione condotta da Oliver Cromwell nel 1648: la prima rivoluzione popolare europea.
Ecco che cosa ha prodotto 375 anni fa l’Europa Unita della Finanza.
Fine della storia.
C’era quindi un precedente.
Noto a tutti coloro che hanno studiato la Storia d’Europa. Noto a tutti gli studiosi di Storia Economica. Noto a tutti coloro che hanno costruito, recentemente, l’Europa.
La prima fondazione degli Stati Uniti d’Europa, quella realizzata attraverso la borsa valori delle merci di Amsterdam nei primi decenni del 1600 è fallita. E’ esplosa, perché fondata sulla finanza, sulle banche, sulla speculazione, sui derivati, sul monopolio delle grandi famiglie aristocratiche e del Vaticano.
La Storia ci insegnava, quindi, che era l’ultima cosa da fare, l’ultima strada da seguire.
Possiamo dunque meravigliarci e stupirci che la stessa banca che ha provocato tale catastrofe nel 1637 provocando il suicidio (secondo gli storici) di circa 150 mila persone –una cifra allora immensa- il crollo di intere città e una depauperizzazione del territorio, che ha affamato l’Europa per circa 50 anni, abbia oggi fatto la stessa cosa?
No.
Non mi stupisce.
Perché lo statuto della Banca del Monte dei Paschi di Siena il 9 febbraio del 1637 è lo stesso del 25 gennaio 2013. Non è cambiato, sostanzialmente.
Questa è la lezione che va appresa, oggi, e che serve (e ci serve) per interrogarci sulla necessità di ritornare a leggere la Storia, a praticare la Cultura ma, soprattutto, a riannodare le fila della memoria storica collettiva, sottraendosi all’Alzheimer sociale voluto, imposto, e ottenuto da Berlusconi e dal berlusconismo.
Lo statuto è lo stesso.
Una fondazione detiene il 39% delle azioni dell’istituto.
Anche grazie a Mario Monti, tale fondazione non paga le tasse. Il suo governo ha scelto di esentarla “perché dedita alla beneficenza riconosciuta”.(decreto ministeriale del 29 maggio 2012).
La fondazione ha un consiglio di amministrazione.
I membri del consiglio vengono scelti non sulla base di una competenza tecnica bancaria rigorosa bensì secondo i seguenti canoni, noti, conosciuti e accettati da tutti, compresi tutti gli impiegati che ci lavorano (e che adesso non si lamentino): 16 persone vengono elette dal sindaco di Siena, attualmente un burocrate funzionario del PD, nei 25 anni precedenti un burocrate del PDS e del PCI; 10 membri vengono scelti da un “consorzio locale di imprenditori” che altro non è che il gruppo di tre logge massoniche senesi, una delle quali molto nota per essere stata molto vicina a quella del grossetano Licio Gelli; infine 2 consiglieri che operano anche come arbitri interni, scelti ed eletti dal Vaticano, uno di provenienza Ior e l’altro di provenienza territoriale cattolica confessionale, cosiddetti “azionisti curiali”.
Questo non è uno scoop, magari lo fosse!
Questo è il segreto di Pulcinella.
Ed è necessario, quindi, porsi delle domande.
Perché mai una banca deve avere un consiglio di amministrazione dove i consiglieri sono eletti da un sindaco? Che cosa ne sa un sindaco di tecnica bancaria? Quali sono le responsabilità del consiglio comunale? La scelta dei candidati è pubblica? E’ votata dall’intero consiglio comunale? Perché la curia vaticana deve fornire dei consiglieri di amministrazione? Non è forse l’Italia uno stato laico? Perché mai viene dato per scontato –come se fossero stati eletti- che a Siena, nel cuore della regione Toscana, le logge massoniche locali hanno addirittura la posizione ufficiale e riconosciuta di veri e propri committenti che forniscono i nomi dei consiglieri per andare a occupare dei posti nell’amministrazione di una banca accanto a dei nominati dal sindaco? Quali sono i rapporti tra i consiglieri eletti e il territorio? Come è possibile che una fondazione di tal fatta non paghi tasse ma nel suo bilancio ufficiale, nella sezione relativa alla cosiddetta “beneficenza nel territorio” (da cui l’esenzione dalle tasse) si trovano sponsorizzazioni annuali a pioggia dell’ordine di centinaia di milioni di euro a favore di onlus, cooperative, piccole società editoriali e mediatiche che in teoria si sarebbero dovute occupare della diffusione della cultura e che non hanno mai fornito uno straccio di fattura? Com’è possibile che una banca partitico-massonica-curiale (per statuto) abbia goduto, in extremis, lo scorso dicembre, di un ennesimo finanziamento da parte dello Stato dell’ordine di 3,9 miliardi di euro senza che sia stata richiesta nessuna garanzia?
Queste sono le domande che i cittadini elettori dovrebbero porsi pretendendo delle risposte adeguate.
E la stessa cosa per ciò che riguarda le fondazioni bancarie controllate dai leghisti e dai pidiellini nelle valli lombarde
E’ su questo che si gioca la partita della campagna elettorale, non sui programmi. Per loro, per il PD PDL Udc FLI Lega Nord, ciò che conta è garantirsi un numero di deputati e senatori eletti che garantiranno la prosecuzione di un simile stato di cose.
Le forze politiche che dichiarano di rappresentare i cittadini (e non gli interessi di bassa clientela omertosa) devono impegnarsi a chiedere IMMEDIATAMENTE al nuovo governo l’abolizione delle fondazioni bancarie, la  trasparenza dei bilanci e il divieto di investire i soldi dei correntisti in derivati finanziari senza prima averli informati per avere il loro consenso.
La impietosa logica dei mercati li sta smascherando.
Siamo ormai alla guerra per bande.
I banditi ci hanno rubato il territorio impedendoci di fare impresa.
Riprendiamocelo.
Nessuno è in grado di fornire inoppugnabile documentazione bancaria relativa alla reale quota di investimenti delle prime 100 banche italiane. Tradotto in termini sintetici vuol dire che in Italia le banche private non sono tenute a spiegare a nessuno come e dove e quando operano sul mercato e il loro management è composto da esponenti della politica e non da esperti tecnici in meccanismi finanziari bancari. Quando hanno bisogno di soldi in contanti li chiedono allo stato che paga passivamente.
E così, Monte dei Paschi di Siena si è presa a Natale i soldi dell’Imu.
Per investirli in bulbi di tulipani.
E infine la domanda di tutte le domande: perché mai bisogna salvare la banca?
Hanno un ammanco? Che falliscano.
Come la stessa banca ha spinto a fare alle migliaia e migliaia di piccole e medie imprese alle quali ha negato credito per seguitare a ballare il consueto minuetto che va avanti dal 1472.
Sono contro la nazionalizzazione di Monte dei Paschi di Siena, perché questa non è una nazione normale e non c’è quindi alcuna garanzia al riguardo.
Basta con il medioevo in Italia.
Il crollo finanziario dell’Europa nel 1637 provocò una nuova coscienza collettiva che ispirò il grande Spinoza a fondare la necessità dell’Etica come elemento unificante della cultura europea.
Il comportamento del Monte dei Paschi di Siena è indice di una idea a-etica dell’esistenza, basata sul principio tale per cui se qualcosa riesce e va in porto (oppure funziona) allora è giusto. E’ la base strutturale della mancanza dello Stato di Diritto e della mancanza di valori e di principi ideali. L’atteggiamento etico, invece, comporta l’idea di muoversi per eventi, idee, azioni che si sa dentro di sé, con certezza, che sono giuste. E ci si batte per quelle. E’ su questa base che è stato abolito lo schiavismo: perché era giusto farlo.
Queste sono le due europe.
Il Monte dei paschi di Siena appartiene a un’Europa degradata che sta crollando.
“Ce lo chiede l’Europa” è un mantra che va strappato dalla bocca di Mario Monti e noi abbiamo il dovere di riappropriarci di questo termine, coniugandolo con l’idea Etica che ha fatto grande questo continente
L’Europa delle nazioni e degli uomini liberi. Quella vera. Quella che funziona in modo equo, che si occupa delle esistenze e dei diritti civili, del lavoro e dell’istruzione, della diffusione di cultura e dell’investimento produttivo.
La parte vera dell’Europa che nell’attuale parlamento italiano non ha voce.
Dipende da tutti noi fare in modo che la Storia svolti da una parte o dall’altra.

lunedì 21 gennaio 2013

Chiacchiere e tessera: la nostra Italia che non cambia mai



di Sergio Di Cori Modigliani


C’è chi vuole fermare il declino, chi la valanga, chi il cambiamento che si profila all’orizzonte.
Per quanto mi riguarda, la mia posizione è più modesta, ma non per questo meno incisiva: “Voglio tentare di fornire un possibile contributo per evitare lo squallore corrente”.
Le campagne elettorali, si sa, sono dovunque e comunque intrise di passionalità civile, di una certa faziosità inevitabile che definirei fisiologica. Quando c’è da votare, anche nelle democrazie più avanzate ed evolute, si privilegia il fatto di lavare a casa i panni sporchi e si cerca di far quadrato tenendo presente l’obiettivo comune finale.
Ma questo, com’è noto, è un paese anormale.
Di conseguenza, è davvero impossibile auspicare comportamenti normali.
Il punto è proprio questo: “combattere per riuscire ad arrivare vicini alla prospettiva di un paese normale” (forse). Laddove, per “paese normale” si intende quello di una classe politica che rappresenta interessi specifici e identificabili ma soprattutto dichiarati; con schieramenti antagonisti il cui programma è chiaro e noto a tutti; con alleanze tra progressisti da una parte e conservatori dall’altra; tra riformisti da una parte e difensori dello status quo dall’altra  E così via dicendo..
Ci si azzuffa, ci si confronta, ci si scontra nel corso della campagna elettorale e ciascuno tira l’acqua al proprio mulino esponendo il proprio programma, nel tentativo di spiegare agli elettori che il proprio punto di vista è il migliore. Capita (nelle vere democrazie funzionanti) che un proprio oppositore abbia una buona idea, condivisibile, perché è efficace e, si capisce, va incontro a una esigenza collettiva. Quando ciò accade, di solito (ripeto: parlo qui di nazioni democratiche “normali”) esistono soltanto due tipi possibili di reazione: A) si fa in modo che non si parli di quello specifico argomento, lo si evita, lo si annacqua, si tenta di sminuirne la portata e, se non riesce, ci si arrende. B) ci si appropria di quell’argomentazione dichiarandolo in pubblico e in tal modo si ottiene un triplo risultato: 1) si va incontro a una esigenza collettiva; 2) si spunta un’arma dell’avversario; 3) ci si presenta all’elettorato come una compagine duttile, non faziosa, pragmatica, talmente aperta a una funzionalità operativa da accogliere anche una argomentazione dell’opposizione inglobandola nelle proprie, perché funziona ed è buona.
Ma il nostro non è un paese “normale”.
Ho seguito, nelle ultime settimane, con enorme interesse e attenzione la consultazione elettorale in Sassonia, in quel di Germania, nei limiti delle mie modeste possibilità, non essendo in grado di leggere né di capire il tedesco.
Che invidia!
Uno scontro tra opposte fazioni in un paese normale, dove si poteva toccare con mano la passionalità dei partecipanti: da una parte i sostenitori del rigore, dell’austerità, delle scelte univoche della BCE, e dall’altra chi invece prospettava una nuova visione più ampia per rifondare l’Europa secondo canoni post-moderni più umani, più condivisibili, sostenendo che sarebbero stati –oltre che più lungimiranti- anche più funzionali ed efficienti.
Perché i tedeschi, tutti -nessuno escluso- sono andati a votare pensando di eleggere dei rappresentanti che si occuperanno del bene comune e della collettività.
Da noi, invece, lo squallore è dilagato ormai dovunque, occupando l’intero panorama elettorale. E non è facile districarsi.
Ciò che conta, nel nostro paese anormale, è far vincere la propria lista (o quella in cui ci si identifica) a tutti i costi, usando ogni mezzo, laddove la falsità, la mistificazione, l’alterazione di dati oggettivi e inoppugnabili ha raggiunto un tale livello insostenibile, da mettere il cittadino nelle condizioni di incorporare il concetto tale per cui i programmi non contano, le idee ancora meno, le soluzioni pragmatiche neanche a parlarne, e il tutto si riduce nell’identificare il proprio oppositore come un mascalzone, un delinquente, delegittimando chiunque non la pensi come il proprio partito, la propria lista, il proprio capo bastone.
Ciascuno si sente autorizzato a dire A il lunedì, e poi il martedì sostenere B e il mercoledì C a seconda della cosiddetta audience, di ciò che dicono i sondaggi, pedinando le pulsioni più nefaste dei potenziali elettori. Monti, Bersani, Berlusconi sono identici, dimostrando di aver aderito in toto con il loro comportamento al “populismo e alla demagogia”, ovverossia sostenere dei punti di vista che –secondo loro- seducono lo stomaco dell’elettore, il cosiddetto “popolo”, stuzzicandone l’appetito vorace e analfabeta, eccitando la mente pigra con immagini surreali e promesse di un fulgido avvenire.
In tal modo stanno tutti contribuendo a sottrarre il Senso deprivandolo di ogni Significato.
Si basano sull’assunto che la gente è distratta, rincretinita, pigra, e invece di dire  ciò che pensano, ciò che vogliono, ciò che auspicano, scelgono di dire ciò che i consulenti hanno spiegato loro la notte prima “ecco che cosa la gente si vuol sentir dire”.
E’ il trasferimento in campo politico dell’idea berlusconiana (e anche piddina) del mondo e dell’esistenza, basata sul concetto di visibilità, sulla sostituzione dell’apparenza alla sostanza, sul pedinamento acritico della massa, sull’eccitazione dello stomaco; in sintesi: su una grande illusione collettiva che nulla ha a che fare con i problemi reali e la loro possibile soluzione.
In un mondo del genere, tutto è possibile.
Perché si vive in un territorio della Surrealtà, dove i codici non hanno riferimento reale.
Ragion per cui è considerato “normale” che Silvio Berlusconi dichiari “Marcello Dell’Utri è una persona onesta, per bene, ottimo amministratore, persona di grande intelligenza e cultura, ma io non lo candido” e nessun giornalista osa porgli la domanda “normale” che viene spontanea a chiunque: se è così meraviglioso perché sottrarre al proprio partito –e alla collettività- la possibilità di poter usufruire di tale campione civile?
E’ considerato “normale” che il deputato Cosentino alla due di notte irrompa a Palazzo Grazioli (accompagnato da testimoni in modo tale che la vicenda risulti pubblica) e dichiari “se non mi candidate capolista io vi rovino a tutti”.
Così come è considerato “normale” che il nostro bravo Scilipoti non abbia trovato un partito che lo candidi, poi viene adottato dal PDL, presentato, cancellato dopo due ore, riaccolto e spostato in Abruzzo, lì viene contestato, e dopo qualche ora trasferito altrove,mi pare in Calabria, perché è riuscito a rientrare dalla finestra.
Per quanto riguarda il PD, i suoi sostenitori vanno in giro a sostenere che D’Alema si è ritirato dalla vita pubblica parlamentare, ma allo stesso tempo tranquillizzano i propri elettori promettendo che gli è stato già garantito il posto di ministro degli esteri. Contemporaneamente il partito decide che essendo la propria presidente (Rosy Bindi) impopolare, allora è meglio che non si faccia vedere da nessuna parte, tantomeno in televisione.
I due partiti che reggono la vita politica di questa nazione sono: A) con un presidente che presiede il nulla e sta dovunque a dire tutto e il contrario di tutto senza dire nulla; B) con una presidente che presiede un partito che le ha spiegato (e lei lo ha accettato) che è meglio non si faccia né vedere né sentire né ascoltare. E’ diventata invisibile.
Nel frattempo, il popolo si lascia andare al tifo fazioso e all’odio.
E veniamo all’immagine in bacheca che ha stimolato e prodotto questo post.
Ho visto l’immagine che vedete e la mia reazione istintiva è stata “che bello sarebbe sapere che anche da noi è possibile”. Una grande invidia. E’ come far vedere a un carcerato l’immagine di un bambino che corre su un prato appresso a un aquilone. L’ho incorporata come una bella utopia, un viàtico, una speranza, un sogno di là da venire. L’ho postata e condivisa sulla mia bacheca di facebook dove ho diversi amici di provenienza diversa. Le reazioni sono state davvero sconcertanti. Hanno prodotto diverse lettere di persone che si sono sentite in diritto di comunicarmi la loro delusione per aver scoperto che ero diventato una specie di impiegato venduto a Goldman Sachs, pagato fior di soldoni da Oscar Giannino, visto che era ormai chiara la mia posizione di servo delle destre planetarie. Alcune persone che conosco mi hanno anche telefonato per sincerarsi del mio stato di salute mentale.
Da cui l’idea di questo breve post come riflessione sul nostro paese anormale.
Quel manifesto lo trovo bellissimo, efficace e pregno di una solida utopia positiva.
Il fatto che sia diventato l’emblema del movimento di Oscar Giannino, a me personalmente mi lascia indifferente se non per il fatto che lo accolgo come una bella notizia, perché abbiamo bisogno di belle immagini, di buoni input, di sognare, vagheggiare, VEDERE un po’ di normalità. Ci fa bene alla salute. Meno male che a destra c’è gente così e non soltanto Ignazio La Russa; il paese ci guadagna.
Qualunque cosa bella ci venga mostrata, va apprezzata, condivisa e sottoscritta.
E’ ciò di cui abbiamo bisogno per ritornare a essere “normali” e civili.
Se domani mattina Berlusconi dicesse in pubblico “ho buttato fuori dal partito Cosentino, Papa e Scilipoti perché non li stimo e li ritengo incandidabili” io applaudirei. Ma lui non lo farà.
Cambiare è doveroso per tutti noi.
L’obiettivo consiste nel ritornare a essere normali.
E si comincia dal comportamento individuale esistenziale.
Ho voglia di belle immagini, di input creativi, di sognare un’Italia migliore e normale.
E se per caso a migliorare l’Italia ci riesce qualcuno che non la pensa come me, a me va benissimo: ben arrivato, chiunque lei/lui/loro siano.
Delegittimare chi non la pensa come noi vuol dire partecipare a un atteggiamento mentale da omertosi che vivono in una perenne anormalità.
Ben venga tutto ciò che ci allontana dalle mummie, dai loro pensieri funebri, dai loro inesistenti programmi di vita, e dalla loro consueta tiritera di morte basata sul banalissimo principio di seguitare a sostenere lo status quo, per garantire le rendite al privilegio e assicurarsi che il prossimo ministro dei trasporti (chiunque di loro vinca) andrà in ufficio –quando e se ci va- scortato come se fosse la regina Elisabetta quando dal castello di Windsor si trasferisce a Buckingham Palace.
Tutto qui.
Si comincia da qui la fondazione di una ritrovata normalità democratica.
L’unico capitano che rispetto è quello della mia squadra di calcio, dove il tifo è consentito.
Per ciò che riguarda la politica, l’unica cosa che mi interessa per davvero è l’idea, l’immagine, il Senso di un capovolgimento epocale e strutturale e l’abbattimento di questo piattume deprimente e di un immobilismo che ci impedisce di crescere nella normalità.
Il resto sono chiacchiere e distintivo.
O meglio: chiacchiere e tessera.


domenica 20 gennaio 2013

Trionfano il web e i social networks che si abbattono come una mannaia sui partiti politici.



di Sergio Di Cori Modigliani


E’ la faccia virtuosa della rete, il capovolgimento del Senso, quella silenziosa rivoluzione civile di cui si parla spesso in maniera pomposa, accademica, a mo’ di statistica, vezzo high tech per vendere merci ai giovani e roba scontata per tutti. Evviva l’e-commerce.
E’ il virtuale che influisce sul reale.
E impone un cambiamento perché lo determina, per propria costituzione.
E’ la sconfitta dei reazionari nostalgici, dei luddisti, di chi si nasconde dietro il paludato e senescente “ai miei tempi sì che…” perché –da questa piccola grande vittoria- esce definitivamente battuta la cosiddetta maggioranza silenziosa, sostituita per sempre dal nuovo caos provocato dalle striscette su facebook, dalle citazioni rubate, dallo sfogo bilioso, rancoroso, urlato, vomitato, alla ricerca spasmodica di un Senso: la nuova maggioranza rumorissima e cacofonica, variopinta e confusionaria che siamo tutti noi.
Per restituire un Significato alla nostra esistenza civile.
E’ la rivoluzione silenziosa di cui la cupola mediatica non parla e che non accredita.
Perché non lo può fare.
Perché non vuole farlo.
Perché, se lo facesse, dovrebbe certificare la propria sconfitta, il proprio inevitabile pensionamento e la conseguente messa in soffitta, battuta dalla Storia del progresso umano.
In una società ingessata, ferma, paralizzata, da sempre stretta dalla morsa furba di una forzatura ideologizzata, che ha imposto per cento anni lo scontro tra fascisti e comunisti, moderati e progressisti, laici e clericali, irrompe sullo scenario civile italiano una massa policroma di gente comune, dove si scontrano e si incontrano frigide suorine e mignotte esperte, filosofi/e plurilaureati/e e carrozzieri analfabeti, casalinghe, impiegati, ladri di idee altrui e produttori timidi di idee proprie, settentrionali razzisti che scoprono –per caso- in un certo terrone la condivisione sorprendente di un’idea del mondo e della vita e fondano amicizie solidali considerate un tempo inusitate.
E fanno, chi consciamente chi inconsapevolmente, ciò che per 50 anni non hanno fatto i rappresentanti auto-referenti di questa classe politica che mal ci rappresenta.
Lo hanno fatto (lo abbiamo fatto) forse senza neppure renderci conto di ciò che stavamo facendo. Ma ci siamo riusciti.
Ciò che non è riuscito ai magistrati, alle forze dell’ordine, ai comitati civici, a gruppi coraggiosi di locali organizzati, ebbene, è riuscito a tutti noi.
A nostra insaputa.
Perché (e questa è la grande notizia) è accaduto, è avvenuto, sta accadendo in queste ore in cui si arrampicano sugli specchi per metterci una toppa ma ormai per loro è troppo tardi. LI STIAMO MANDANDO A CASA FINALMENTE.
Ed è soltanto l’inizio.
E’ grazie a noi tutti internauti –nessuno escluso- ai bloggers, agli urlatori, ai disperati solitari chiusi nelle proprie tane del dissenso, ai feisbucchiani logorroici, agli spietati accusatori di un modello di vita che sa di morte, è grazie al web se tutto ciò sta accadendo.
Con  la copia in tasca (ben nascosta) dei sondaggi confezionati dai loro personali e privati consulenti della comunicazione, le mummie dei partiti prendono atto della indignazione popolare presente in rete e quindi si comportano di conseguenza.
E così, il PD non candida Crisafulli, non candida la Brambilla e all’ultimo momento esclude 14 funzionari in odor di mafie perché sa che a furor di popolo verrebbero sbugiardati, insultati, avviliti, smascherati da tutti noi in rete.
E così, il PDL si arrende e non candida più Scajola. Non candida più Dell’Utri. Non candida più Papa e da due giorni sono chiusi dentro una stanza per cercare di convincere Cosentino che il 16 marzo dovrà andare in galera come la Legge ha prescritto e non lo possono più candidare perché altrimenti ogni giorno sulla rete ci sarebbe chi ricorda ai cittadini che cosa fa che cosa ha fatto e che cosa vuole fare questo candidato.
E così il centro spiega a Rutelli, che è meglio per lui scomparire per sempre dallo scenario politico e così annuncia “mi prendo un anno sabbatico per riposare”. (riposare da che? Quesito surrealista).
E la Lega Nord è costretta a rinunciare a tre fondamentali capi bastone perché nelle pagine facebook leghiste la gente inferocita ha chiesto le loro teste.
In tutto una cinquantina.
Non molti, ma troppi, davvero troppi per loro. Anche se per tutti noi sono sempre troppo pochi, è il segnale del fiato sul collo che viene dalle invisibili bocche virtuali della nostra scandalizzata indignazione.
Rompe l’accordo con Storace il senescente Pannella, travolto da una valanga virtuale di critiche, faccette su facebook, vomiti virtuali di rabbia radicale dei radicali. E la stessa marea di contestazioni si abbatte (da destra) su Storace nei gruppi strutturati del tifo fascista ed entrambi sono costretti a gettare la spugna di un matrimonio davvero osceno. Facebook e la rete li ha condannati alla rottura.
Grazie a noi.
Perché tutto ciò sta accadendo non grazie a una loro scelta, non grazie al lavoro della magistratura, non grazie al senso di responsabilità di un parlamento ridotto a carta straccia e mercato delle vacche.
Se ne ritorna a fare l’omeopata il bravo Scilipoti che abbandona l’agone insultando tutti noi “mi immolo per impedire che sui cosiddetti social networks dilaghi la demagogia anti-democratica e populista”.
Secondo loro, secondo le mummie, noi tutti saremmo “il populismo”.
E’ ciò che gli storici chiamano, da sempre, “furore popolare”.
Non vedremo mai più né Dell’Utri né Scilipoti né Scajola né Belsito né Rutelli né Rosy Mauro né Alfonso Papa in parlamento.
A furor di popolo sono stati mandati a casa.
E’stata la nostra rabbia bulimica a obbligare i comitati elettorali delle mummie.
Cominciano a capire che –per loro- è iniziato il conto alla rovescia.
Cominciano a rendersi conto che li stiamo mandando a casa tutti.
E questo è soltanto l’inizio.

venerdì 18 gennaio 2013

Il Partito Radicale si è suicidato. In memoriam



di Sergio Di Cori Modigliani


Lo scrivo davvero con accorato e autentico dolore, dato che l’ultima volta in cui ho votato è stata 33 anni fa proprio per lui, Marco Pannella, e per il Partito Radicale di Emma Bonino, Adele Faccio, Adele Cambria, Maria Antonietta Macciocchi, Leonardo Sciascia, Domenico Modugno.
Altri tempi, un’altra Italia.
Ma pur sempre (da qui la tristezza odierna) la stessa italietta di sempre, provinciale, arraffona, arruffona, dedita al privilegio e al mantenimento della casta e dello status quo.
Mi riferisco qui alla ignobile pantomima orchestrata dai radicali nel pretendere (che coraggio!) la comprensione dei loro squallidi interessi di bottega nel giustificare la loro scelta di sostenere elettoralmente Francesco Storace, un uomo che nel suo curriculum vitae può vantare una precedente esperienza di presidente della Regione Lazio non proprio brillante.
Malati di “sindrome del potere”, i radicali di oggi pagano il doloroso prezzo di una interpretazione della vita politica obsoleta e perdente: quella legata ai padri padroni, quella narcisista che ruota tutta intorno alla funzione sacrale del capo, nel cui nome viene giustificata ogni nefandezza ai danni della collettività.
Da Francesco Ruteli a Daniele Capezzone, negli anni, i radicali hanno sfornato leaderini di quart’ordine, facendosi sempre scudo dietro la splendida performance democratica di Emma Bonino e l’inossidabile tenuta da vecchio leone -sempre in grado di ruggire- del mitico Marco Pannella. Nel loro nome hanno fatto ingoiare orrendi rospi a chi vedeva in loro dei punti di riferimento, una opzione civica attendibile, una utopia possibile.
Ma alla fine, ahimè, (e mi dispiace davvero per tutti i grandiosi militanti in buona fede, come Rita Bernardini o Alessandro Litta Modignani, tanto per citarne due a caso) i radicali  hanno dimostrato di aver scelto di rinunciare alla propria storica “diversità”: puntano soltanto al bieco calcolo di bottega e a raggranellare qualche euro.
Persa la spinta ideale, abbandonato ogni pudore innovativo, dimenticata ogni spinta ideale, il loro leader Marco Pannella sceglie la strada del vecchio Berlusconi: meglio con i fasci  e con i corrotti pur di rimediare qualcosa piuttosto che non incassare niente.
Sarebbe stata splendida la zampata del leone se avesse scelto di spiegare a tutti che i radicali si scioglievano consapevoli della loro inesistenza, oppure, come ultima battaglia, avere il coraggio di affrontare il proprio elettorato correndo il rischio di perdere e quindi essere cancellati per sempre dal panorama parlamentare e regionale.
Compiendo la scelta di appoggiare un individuo impresentabile sotto ogni punto di vista, il Partito Radicale ha perso tutto ciò che poteva perdere. In una botta sola.
Ed è il primo dato definitivo di questa immonda campagna elettorale e va dunque data, per onor di cronaca, come notizia del giorno. E’ il primo risultato delle elezioni: è “ufficiale”.
“Il Partito Radicale si suicida e scompare per sempre dalla vita politica italiana”.
Questa è la notizia.
Così penserebbero e scriverebbero Leonardo Sciascia, la Macciocchi o chi per loro, se fossero ancora vivi.
Squallore totale.
Si rivolta nella tomba Pier Paolo Pasolini, che nel 1974 li difese e li sostenne da solo contro tutti, quando i radicali rappresentavano qualcosa di autenticamente alternativo, simili a ciò che oggi è il movimento a cinque stelle di Beppe Grillo.
Qui di seguito c’è per intero l’intervento che il grande intellettuale friulano aveva scritto per il Congresso Radicale del 1975 e che avrebbe letto di persona.
Fu il suo ultimo scritto.
Quella stessa notte, infatti, fu assassinato.
Sgomenti e stravolti dal dolore, i radicali lessero il suo scritto a 48 ore dalla sua morte, aprendo la loro riunione nazionale, in un muto e commovente silenzio collettivo.

Nel dare oggi l’annuncio della morte definitiva del Partito Radicale, mi piace ricordarlo con quello scritto di Pasolini quando i radicali erano qualcosa.
Ma soprattutto erano qualcuno.
Grazie a Marco Pannella, colpito dal cancro della “sindrome del potere”, hanno scelto di essere nessuno.
Né più né meno dei loro squallidi compagni di cordata, di merende, di prebende.

Ecco il testo integrale, datato 1975, a firma Pier Paolo Pasolini.
Cari amici radicali, pazienti con tutti come santi, e quindi anche con me: l'alterità non è solo nella coscienza di classe e nella lotta rivoluzionaria marxista. L'alterità esiste anche di per sé nell'entropia capitalistica. Quivi essa gode (o per meglio dire, patisce, e spesso orribilmente patisce) la sua concretezza, la sua fattualità. Ciò che è, e l'altro che è in esso, sono due dati culturali. Tra tali due dati esiste un rapporto di prevaricazione, spesso, appunto, orribile. Trasformare il loro rapporto in un rapporto dialettico è appunto la funzione, fino a oggi, del marxismo: rapporto dialettico tra la cultura della classe dominante e la cultura della classe dominata. Tale rapporto dialettico non sarebbe dunque più possibile là dove la cultura della classe dominata fosse scomparsa, eliminata, abrogata, come dite voi. Dunque, bisogna lottare per la conservazione di tutte le forme, alterne e subalterne, di cultura. E' ciò che avete fatto voi in tutti questi anni, specialmente negli ultimi. E siete riusciti a trovare forme alterne e subalterne di cultura dappertutto: al centro della città, e negli angoli più lontani, più morti, più infrequentabili. Non avete avuto alcun rispetto umano, nessuna falsa dignità, e non siete soggiaciuti ad alcun ricatto. Non avete avuto paura né di meretrici né di pubblicani, e neanche - ed è tutto dire - di fascisti.
I diritti civili sono in sostanza i diritti degli altri. Ora, dire alterità è enunciare un concetto quasi illimitato. Nella vostra mitezza e nella vostra intransigenza, voi non avete fatto distinzioni. Vi siete compromessi fino in fondo per ogni alterità possibile. Ma una osservazione va fatta. C'è un'alterità che riguarda la maggioranza e un'alterità che riguarda le minoranze. Il problema che riguarda la distruzione della cultura della classe dominata, come eliminazione di una alterità dialettica e dunque minacciosa, è un problema che riguarda la maggioranza. Il problema del divorzio è un problema che riguarda la maggioranza. Il problema dell'aborto è un problema che riguarda la maggioranza. Infatti gli operai e i contadini, i mariti e le mogli, i padri e le madri costituiscono la maggioranza. A proposito della difesa generica dell'alterità, a proposito del divorzio, a proposito dell'aborto, avete ottenuto dei grandi successi. Ciò - e voi lo sapete benissimo - costituisce un grande pericolo (...)
Cosa voglio dire con questo? Attraverso l'adozione marxistizzata dei diritti civili da parte degli estremisti i diritti civili sono entrati a far parte non solo della coscienza, ma anche della dinamica di tutta la classe dirigente italiana di fede progressista. Non parlo dei vostri simpatizzanti... Non parlo di coloro che avete raggiunto nei luoghi più lontani e diversi: fatto di cui siete giustamente orgogliosi. Parlo degli intellettuali socialisti, degli intellettuali comunisti, degli intellettuali cattolici di sinistra, degli intellettuali generici (...)
Io vi prospetto - in un momento di giusta euforia delle sinistre - quello che per me è il maggiore e peggiore pericolo che attende specialmente noi intellettuali nel prossimo futuro. Una nuova trahison des clercs : una nuova accettazione; una nuova adesione; un nuovo cedimento al fatto compiuto; un nuovo regime sia pure ancora soltanto come nuova cultura e nuova qualità di vita (...)
Il consumismo può rendere immodificabili i nuovi rapporti sociali espressi dal nuovo modo di produzione creando come contesto alla propria ideologia edonistica un contesto di falsa tolleranza e di falso laicismo: di falsa realizzazione, cioè, dei diritti civili. Ora, la massa degli intellettuali che ha mutuato da voi, attraverso una marxizzazione pragmatica di estremisti, la lotta per i diritti civili rendendola così nel proprio codice progressista, o conformismo di sinistra, altro non fa che il gioco del potere (...)
Ed essi hanno già dato a tale invisibile potere una invisibile adesione intascando una invisibile tessera. Contro tutto questo voi non dovete far altro (io credo) che continuare semplicemente a essere voi stessi: il che significa essere continuamente irriconoscibili.
Dimenticare subito i grandi successi: e continuare imperterriti, ostinati, eternamente contrari, a pretendere, a volere, a identificarvi col diverso; a scandalizzare; a bestemmiare.

 

 

In memoriam