giovedì 28 marzo 2013

Non è più il momento del tifo. Dobbiamo occuparci di Casa Nostra.


di Sergio Di Cori Modigliani


"Se la libertà significa qualcosa, allora significa il diritto di dire alla gente cose che non vogliono sentire." 
                                                                                                                                  George Orwell



La rete è velocissima e immediata, per definizione. Grazie alla diffusione dei social networks, facebook in testa, riesce a raggiungere un livello esasperato di amplificazione grazie al suo impatto emotivo, sia in entrata che in uscita. Un qualsivoglia evento produce subito una reazione a catena che può raggiungere una visibilità esorbitante, oppure spegnersi dopo qualche minuto scomparendo nel nulla. Va da sé che impiegati delle più disparate agenzie di controllo, portaborse, galoppini, esperti di marketing avanzato, funzionari anonimi dei partiti, i cosiddetti “influencers”, ogni giorno monitorano il traffico e intervengono cercando di portare l’acqua al proprio mulino, mascherati dietro i più astuti avatar. Producono e promuovono falsi, cercano di pilotare l’opinione pubblica dove vogliono loro, spingendola secondo modalità rozze o sofisticate, a seconda dei casi, ma l’attività principale consiste nel falsificare la verità, delegittimare qualunque forma di antagonismo allo status quo e contribuire ad annacquare il significato potenzialmente esplosivo della rete, facendo in modo di creare molto spesso uno stato di confusione nel fruitore.
La nascita del web e la sua gigantesca diffusione (solo in Europa occidentale 250 milioni di persone collegate ogni giorno in maniera permanente) ha comportato una modificazione molto ampia nella comunicazione, soprattutto di quella politica e di quella deputata allo  scambio sociale, provocando e producendo dei risultati che affascinano i sociologi e gli antropologi.
Essendo la rete un mondo “aperto”, accoglie chicchessia, la vera massa delle nazioni. Per quanto i gestori del potere tentino di imbavagliarla e di tenerla sotto controllo, non ci riescono perché non è possibile. E’ come cercare di far stare zitti i tifosi allo stadio: è impossibile. Non solo. Ma per il potere è più utile avere la possibilità immediata di tastare il polso della nazione non appena svegli per regolarsi e comportarsi poi di conseguenza. Circa un paio di mesi fa, in una conferenza per gli studenti appena laureati in Scienza delle Comunicazioni a Harvard, il presidente Obama raccontava che, da sempre, per consuetudine, la giornata presidenziale si apriva con un breve incontro con i responsabili della comunicazione della Cia e dell’Fbi per essere al corrente sull’idea del mondo a proposito dell’America. Non più. Il suo primo appuntamento della giornata è con due esperti in social networks che presentano un rapporto di sintesi su “che cosa si dice sul presidente nei più importanti social networks d’America”.
Questa “immediatezza” della rete è la sua caratteristica più nota. Ma è anche il suo limite naturale, perché frulla e ingoia e macina gli eventi e non consente l’elaborazione, l’argomentazione, l’analisi dei fatti. I social networks, infatti, hanno una struttura clanica, tribale. Per quanti amici uno possa avere su facebook, ad esempio, finisce sempre a interloquire soltanto con quelle cinque, dieci, venti persone al massimo, con le quali stabilisce una specie di ideale cordone ombelicale di salvaguardia delle proprie idee. E’ la piazza del villaggio elettronico profetizzato cinquant’anni fa da Marshall MacLuhan. E in presenza “dell’evento X” diventa tifo odioso che fa scatenare le pulsioni.
Fin qui, tutto ovvio.
Ciò che è meno ovvio, ed è oggi al vaglio degli studiosi di comunicazione più eleganti, consiste nel “Paradosso Sociale della Comunicazione” (così l’hanno definito in Usa: The Social Paradox) provocato da questo divertente modo di comunicare: il rallentamento delle notizie e il crollo del concetto di informazione. Ovverossia: l’esatto opposto di ciò che la gente crede di star vivendo.
Proprio perché le notizie possono essere facilmente falsificate e le “informazioni” viaggiano soprattutto sul binario emotivo, crolla l’interesse quando non sono più al centro dell’attenzione della piazza, e quindi non vengono più prese in considerazione. “L’informazione” sui social networks è basata sul principio dell’usa e getta. Un articolo, oggi, ad esempio, sul conflitto tra israeliani e palestinesi non produce alcuna risonanza né interesse, perché in questo preciso momento, in Medio Oriente, non sono presenti sulla scena gli attivisti tifosi dell’una o dell’altra parte, non esiste carica emotiva messa in gioco, e non si attiva la spontanea partecipazione dei membri del proprio clan d’appartenenza. E’ un modello che rispecchia il vuoto culturale perenne nel quale viviamo, ovvero la trasposizione nel mondo virtuale di un concetto marketing pubblicitario e l’impossibilità di elaborare i dati e confrontarsi su di essi: la velocità dello scambio di informazioni “paradossalmente” ci condanna a non avere più informazioni reali, perché è l’emotività (proprio come nel mondo pubblicitario) a solleticare gli input dell’attenzione e non il ragionamento o la ricerca della verità. Facciamo un esempio chiaro: la comunicazione politica, oggi, che nasce e si propaga in rete, è basata su “le idee o le opinioni che circolano” perché la classe politica si basa sull’immediato, avendo come obiettivo il consenso e non la propria progettualità. Quindi non c’è né il tempo (né la competenza) per essere creativi in maniera “comunicativa” e allo stesso tempo “informativa”. Proseguiamo con l’esempio. Il PD non vuole l’accordo con il PDL sostenendo che “Berlusconi è impresentabile” e giù valanghe di tifosi a sostenere questo principio dovunque in rete; oppure valanghe di persone a difendere il leader. E’ perdente (ma non per loro) tant’è vero che è stato innescato da 20 anni e da 20 anni regolarmente non produce nessun risultato utile, se non quello della loro autoconservazione. Eppure il PD seguita ad usarlo: è un modello della politica feisbucchiano e vecchio. Usa e propone strategie perdenti il cui fine non è il bene comune, bensì andare incontro ai propri tifosi per mantenere la propria rendita di posizione (il PDL fa lo stesso). Se invece il PD avesse usato una forma di comunicazione basata sui dati reali, sull’informazione argomentata e sulla divulgazione di notizie, non soltanto avrebbe raccolto applausi e consensi ma avrebbe inchiodato il PDL alle sue responsabilità. Bastava dire una frase banale come questa: “Noi non possiamo fare nessun accordo con il PDL anche perché il suo presidente Berlusconi aveva promesso la restituzione dell’IMU 2012 e l’abolizione dell’IMU 2013 che comporta un salasso immediato per il Tesoro di svariati miliardi che in questo momento non ci sono. A meno che Berlusconi e il PDL non siano d’accordo a ridefinire il fiscal compact e quindi avviare un tavolo europeo per consentire allo stato italiano di poter alleggerire il proprio dovuto impegno”. Con una frase come questa, tutte le forze politiche attualmente in gioco sarebbero state costrette a occuparsi allora del fiscal compact (l’unico vero problema reale della nazione, nel senso che è la mamma di tutti i problemi) e il PDL il PD e il M5s sarebbero stati obbligati a esprimersi in proposito. Ma così facendo, sarebbe venuto fuori che sia il PD che il PDL sono favorevoli al fiscal compact dato che lo hanno voluto, sostenuto, approvato e votato. Perché da questo non si può sfuggire: o c’è l’Imu e nuove tasse da strozzo oppure si apre un tavolo europeo e si denuncia “ufficialmente” a Bruxelles il Fiscal Compact.
Si sarebbe, pertanto, parlato di Politica. Di quella “vera”, cioè del Bene Comune dell’Italia e degli italiani che lavorano, che pagano le tasse, che possiedono la casa in cui abitano. Invece, il tempo passa, la credibilità finanziaria italiana decresce (la cosiddetta “decrescita infelice”) si avvicina a passi da gigante una supplementare manovra economica eccezionale, e su facebook, nei twitter, in tutto il web, la cosiddetta informazione in Italia viaggia su battibecchi relativi al fatto se Grillo va d’accordo con gli eletti in parlamento, se Berlusconi andrà o non andrà ai suoi processi, se Bersani riuscirà a raccattare qualche voto e fare “il miracolo”.
Difficile trovare in giro una notizia, un post, un riferimento a ciò che bisognerebbe fare, a ciò di cui si dovrebbe parlare, al punto nodale sul quale il PD il PDL e il M5s dovrebbero riferire in lunghe conversazioni alla nazione, spiegandoci come intendono affrontarlo: come e chi e quando e per quanto sceglie e decide come risolvere il problema di cassa del sistema bancario italiano che si aggira intorno a una cifra tra i 120 e i 200 miliardi di euro?
La realtà ci regala, anche oggi, l’ennesimo dato “reale”: per il nono giorno consecutivo la borsa valori di Milano è in controtendenza rispetto al resto d’Europa e a Wall Street. In Italia va giù mentre dalle altre parti va su. Non ci sono più soldi da noi. Il che vuol dire che il governo (qualunque sia il governo) dovrà rivolgersi al cosiddetto fondo salva-stati inventato da Draghi e chiedere un voluminoso prestito che ci affosserà, perché comporterà dei costi aggiuntivi di interesse insostenibili per la nazione. Si viene a scoprire (sul mercato) che banche considerate “virtuose” e solidissime fino al 20 febbraio, nelle Marche e nel Veneto, stanno invece calando a picco, proprio nelle zone dove il PD e il PDL hanno perso centinaia di migliaia di voti. Perché oggi si comprende l’autentico esito del voto: i 12 milioni di voti persi da PD+PDL+Lega Nord (andati in gran parte al M5s e per il resto in astensione) appartenevano anche a clientele andate perdute, il che ha comportato immediatamente un forzato riassestamento del mondo bancario che non è più sostenuto politicamente da chi evidentemente ha provveduto a insabbiare le ispezioni di BANKITALIA. Il PD ha fatto campagna elettorale nelle Marche, dove i sondaggi lo accreditavano di un buon 38%, presentando come fiore all’occhiello la meraviglia della Banca delle Marche con i conti a posto. D’Alema è stato battuto. Il M5s è risultato primo partito e il PD ha perso circa il 14% del proprio elettorato. Una settimana fa, la Banca delle Marche ha dichiarato di avere un buco di 670 milioni. Come mai? Idem in Veneto, dove tra PDL e Lega Nord hanno perso circa il 22% del loro elettorato. Stessa identica scena. Gli istituti di credito portati come esempio fino al 24 febbraio, denunciano oggi gravissime perdite improvvise. Come mai? Perché nessuno se lo chiede? Hanno detto il falso prima e pensavano che andando al potere avrebbero risolto “in modo italiano” la questione? Oppure è accaduto qualcosa in quest’ultimo mese che a nessuno di noi è stato detto?
Domande, domande. Tante domande.
Dobbiamo cambiare passo. Dobbiamo ritornare a fare domande basiche, elementari, lineari: “Dove sono andati a finire i soldi degli istituti finanziari italiani visto che le prime 200 banche nazionali dichiarano di stare con l’acqua alla gola? Come mai?”.
Io, in questi giorni, mi sto chiedendo questo.
Forse ho perso la mia vena poetica e sono diventato troppo prosaico e troppo pragmatico, ma questa domanda mi pungola il cervello di continuo. Più seguo le vicende economiche ogni giorno e ciò che sta avvenendo in tutte le borse, e più me lo chiedo, pensando che dovrebbero chiederselo tutti gli italiani; a mio modesto parere è l’unica cosa di cui dovrebbero parlare i giornalisti nei loro piatti talk show televisivi. “Dove sono andati a finire i soldi delle banche italiane che fino al 22 febbraio erano considerate solide, affidabili e con i conti a posto e che oggi si scoprono tutte, all’improvviso, in grave, gravissimo affanno di liquidità?”.

Per quanto mi riguarda, tutto il resto sono inutili chiacchiere da bar.

mercoledì 27 marzo 2013

E i nostri soldi? E le banche italiane? E l'Europa? Le domande che nessuno pone, oggi.



di Sergio Di Cori Modigliani


i"Ma se i soldi prestati dalla BCE al governo irlandese vengono creati dal nulla, perché i cittadini dovrebbero svenarsi e privarsi dei loro risparmi per rimborsare del denaro che una volta rientrato alla base verrebbe distrutto o bruciato? Che senso ha mettere in ginocchio un’intera nazione per dei semplici bit elettronici o delle voci contabili all’interno del bilancio di una banca centrale? Non sarebbe più giusto che la parte di debito dovuto alla BCE venisse in qualche forma legale abbonata o decurtata, lasciando intatta solo la quota prestata dal FMI?"
                                                    Enda Kenny, primo ministro della Repubblica d’Irlanda. 20 marzo 2013.

Parliamo d’Europa e di noi, nella nostra quota parte. Perché è d’Europa che dobbiamo parlare oggi. E dei nostri soldi. Perché c’è il rischio che i colossi finanziari e la BCE ci affondino ulteriormente per salvare il loro collo. Sono in gravissima difficoltà, non vi è alcun dubbio, grazie anche al costante e quotidiano lavoro di smascheramento continuo operato dal web, dai siti indipendenti e dai bloggers autonomi che hanno smascherato il re, offrendo alle masse del mondo l’impietosa immagine della loro nudità: non valgono nulla.
Dell’euro, delle banche, dei governi e del nostro continente bisogna parlare, soprattutto della guerra in atto in Europa nella quale siamo tutti infognati fino al collo, anche se cercano di non dirlo apertamente.
Parliamo anche del M5s, dell’incontro con Bersani e dell’impatto provocato dalle parole di Franco Battiato nell’immaginario collettivo della nazione.
Tenendo presente che in questi giorni, direi in queste ore, gli oligarchi stanno scegliendo quali decisioni prendere sul nostro destino, sopra le nostre teste, dentro le nostre tasche, (e le prenderanno a modo loro: che a noi piaccia o non piaccia) è necessario avere una visione ampia dal punto di vista geo-politico della posta in gioco e di ciò che sta accadendo.
Partiamo da noi, per finire in Europa.
Ottima l’idea di presentare in streaming l’incontro. Una spruzzata di realismo. Nel senso che offre l’immagine di un paese per ciò che esso è: totale medioevo, anche infantile.
L’idea dello streaming è avvilente di per sé, anche se ottima. E’ basata su una presa d’atto della realtà italiana non più considerata dal punto di vista dei mitomani ma sulla base di ciò che il paese è diventato in termini pratici: il 100% della gente teme che i tre schieramenti in campo si mettano d’accordo per fotterci alla grande. L’Italia, quindi, ha trovato una sintesi nazionale unificante post-ideologica, che ha il sapore di una autenticità etnica ritrovata: il cinismo e lo scetticismo. Nessuno si fida più di nessun altro. In seguito al perdurante attacco da parte della cupola mediatica contro il M5s, il movimento, giustamente, sceglie la strada più elementare e vincente, per mostrare e “dimostrare” al proprio elettorato che non esiste nessuna possibilità di sottobanco, di inciucio, di accordo trasversale, di compra-vendita di voti, e che le chiacchiere infamanti sono, per l’appunto chiacchiere da bar, orchestrate da agenti prezzolati, i cosiddetti “giornalisti ben informati”. Il risultato è, per il movimento, tranquillizzante e pragmatico, perché è basato sulla semplice constatazione che il parlamento italiano - 23 anni di esperienza lo dimostrano - ha assunto una funzione eticamente satanica: trasforma le persone in soggetti politici in vendita al miglior offerente.
Come l’artista italiano ha spiegato in maniera forse troppo diretta ma efficace e contundente.
L’incontro in streaming, quindi, è stato un successo della trasparenza, e siamo contenti.
Rimane l’avvilimento nel constatare che siamo costretti a usare marchingegni rassicuranti per l’elettorato, essendo stati commissariati da noi stessi. Siamo il prodotto e la manifestazione di un paese che vive immerso in un totale vuoto culturale perenne, privo di eticità, di ideali, gravemente malato di narcisismo auto-referenziale, dedito alla clientela, al ladrocinio, alla corruttela, alla prostituzione, nel nome di ho da campà o c’ ho famiglia.
In un paese serio, evoluto, quando i leader politici si incontrano, giustamente, non ci sono testimoni. Ve l’immaginate la quarta riunione tra Ronald Reagan e Mickail Gorbacev a Helsinki nel 1987, quando scelsero e decisero di porre fine alla guerra fredda, aperta a tutti? Se fosse stata trasmessa in streaming, dopo 24 ore sarebbe esplosa la guerra civile in almeno dieci nazioni occidentali provocando poi una guerra nucleare e il pianeta sarebbe finito lì. I due esponenti garantivano, ciascuno ai propri, che avrebbero strappato il miglior prezzo “realisticamente possibile” nel firmare la pace. Così fecero. Lo dimostra il fatto che 25 anni dopo, entrambi gli imperi, rispetto al resto del mondo, godono di ottima salute imperiale e belligerante.
Il M5s ha strappato il “miglior prezzo realisticamente possibile” in queste condizioni, ottenendo tre risultati: ha ricompattato il rapporto di fiducia con il proprio elettorato, allo stesso tempo ha offerto con le immagini la pochezza argomentativa di Bersani e Letta mostrandone la loro pochezza e miseria politica; infine, ha azzeccato una lampante verità con una frase che nessun cittadino italiano può osare non fare propria: “negli ultimi venti anni avete fornito l’esempio di incapacità politica nel fare le riforme necessarie: noi siamo il risultato di ciò che voi avete prodotto”.
Certo, se il senatore Vito Crimi avesse detto una certa frase (sarebbe bastata un’unica frase) la borsa sarebbe crollata almeno dell’8% oppure sarebbe salita del 10%, lo spread sarebbe salito in due orette almeno a 500 punti base oppure sarebbe sceso a 220, non è dato saperlo, senz’altro una delle due. Ma una cosa è certa, avrebbe avuto risonanza nell’intero continente europeo. Io l’ho sperato. Ma forse non ci sono ancora le condizioni. Arriveranno, basta avere pazienza, manca poco. La frase che avrebbe potuto rappresentare secondo me, una rivoluzione propositiva, avrebbe potuto essere la seguente: “Nel nome della responsabilità collettiva dinanzi alla nazione, tenendo in considerazione la situazione davvero drammatica che stiamo vivendo e che voi avete prodotto, noi facciamo la seguente proposta: siamo anche disposti a dare la fiducia e consentire dunque la formazione di un governo che duri l’intera legislatura, purchè ci venga garantito formalmente, adesso, qui, davanti a tutti, che non appena insediato il governo varerà al massimo entro 90 giorni le seguenti disposizioni: A). Immediato discorso  alla nazione in relazione ai depositi bancari dei correntisti italiani, in cui viene garantita la salvaguardia dei risparmi e dei depositi fino ad una determinata cifra, di cui il presidente della repubblica si farà garante, con l’annuncio che le quattro più importanti banche italiane vengono nazionalizzate subito, la prossima settimana, abolendo in toto le fondazioni bancarie. Tali banche finiscono per essere gestite da una commissione mista presieduta dal Tesoro la cui attività viene monitorata e controllata dal parlamento. Tali banche provvederanno ad assumersi in proprio il compito di iniziare dal 1 giugno 2013 il pagamento dei 70 miliardi di crediti che le imprese vantano dalla pubblica amministrazione. I soldi vengono chiesti al tasso dell’1% alla BCE ma invece di essere trasferiti alle banche vengono trasferiti direttamente alle imprese creditrici per riannodare subito il volano dell’economia produttiva. 2). Immediata comunicazione al Consiglio d’Europa, alla BCE, e alle apposite commissioni di Bruxelles, che l’Italia chiede formalmente l’apertura immediata, in data non posteriore al 2 aprile 2013, di un tavolo di rinegoziazione del fiscal compact dichiarando pubblicamente che la nazione non è in grado di far fronte al rispetto del pareggio di bilancio, pena l’uscita dall’euro immediata, per salvaguardare la tenuta della spina dorsale industriale della nazione. 3). Una legge elettorale nuova entro 90 giorni, costruita da PD PDL e M5s insieme. 4). Riunione pubblica in streaming tra PD PDL e M5s in cui si discute il dispositivo legale che consenta l’applicazione entro 60 giorni di una legge sul conflitto di interessi per impedire che cariche istituzionali vengano affidate a personalità attive nel mercato dei capitali e delle merci. 5). Una legge entro 60 giorni che imponga la separazione tra banche d’affari di carattere speculativo e banche commerciali che gestiscono il risparmio della cittadinanza per fornire crediti agevolati alle imprese. 6). Il riconoscimento pubblico dello “stato d’emergenza sociale” per cui il neo nato governo si assume l’impegno di aprire immediatamente un tavolo di concertazione tra tutte le parti sociali esistenti in Italia, con l’obbligo, entro 30 giorni, di proporre una soluzione immediata per arginare l’emergenza, rilanciare gli investimenti e aprire il mercato del lavoro a nuovi soggetti attivi. 7). Proposta formale al governo di Francia di aprire immediatamente un tavolo pubblico che coinvolga tutti le parti sociali, sia quelle italiane che quelle francesi, sponsorizzata dal Consiglio d’Europa, per valutare l’esatto costo della TAV Torino-Lione e verificare sulla base di arbitrati internazionalmente riconosciuti se quella linea ferroviaria corrisponda alle reali esigenze del territorio, dell’economia, del trasporto e della cittadinanza sia francese che italiana”.
Tempo di lettura: 5 minuti.
Nel caso, in diretta, Bersani e Letta fossero stati in grado di rispondere “ci stiamo, ci assumiamo formalmente l’impegno, dinanzi alla nazione, di rispettare queste clausole” allora poteva nascere un accordo. Si trattava di una mutazione alchemica, di un passaggio linguistico-epocale dall’inciucio alla mediazione politica, dalla chiacchiera demagogica al pragmatismo efficiente, dalle fumose argomentazioni para-ideologiche all’idea che esiste una classe politica dirigente in grado di voler risolvere i problemi del paese. Nel caso avessero risposto di no, allora, in quel caso, davanti a tutti, la risposta sarebbe stata naturale “Lo capite adesso perché non vi daremo mai la fiducia e perché dovete andare tutti a casa non avendo l’obiettivo di salvare la nazione?”.
Per il momento accontentiamoci di ciò che abbiamo.
Ma è bene sapere come stanno le cose in Europa oggi: il comparto bancario italiano è al collasso, così come quello spagnolo e quello portoghese. Non sono più in grado di sostenere finanziariamente la copertura delle migliaia di miliardi di euro che hanno usato per investirli nella roulette della finanza speculativa ad alto rischio. Li hanno persi. E’ semplice e banale. Hanno puntato sul rosso ma è uscito il nero, o viceversa. La BCE si appresta a elargire prestiti e aiuti complessivi per circa 120 miliardi di euro a questi tre paesi che finiranno nelle banche che seguiteranno a non dare credito alle imprese obbligandole a chiudere. Da una parte l’Italia prenderà questi soldi all’1%, li darà alle banche private al tasso del 9% e li metterà nel bilancio sotto la voce “profitto dell’8%” e quindi presentando un bilancio che è FALSO. Perché in quel bilancio non verrà conteggiata anche la cifra che il Tesoro italiano deve devolvere alla BCE, perché –così recitano le disposizioni volute da Mario Draghi- mentre da una parte prenderà soldi dalla BCE per le banche collassate italiane allo stesso tempo dovrà versare la propria quota parte dei soldi da dare anche a spagnoli e portoghesi, e alla fine del giro, per la nostra nazione, il tutto avrà un costo valutato ieri l’altro dagli economisti americani –soltanto per l’Italia- di circa 24 miliardi per il 2013 e 30 per il 2014 che obbligheranno giocoforza il neo governo a dover varare delle suppletive manovre economiche non previste DI CUI NESSUNO PARLA IN QUESTI GIORNI
Il MPS è ormai “tecnicamente” già fallita. Soltanto negli ultimi venti giorni ha perso il 22% del proprio capitale e il proprio buco si è ulteriormente allargato raggiungendo la cifra di circa 30 miliardi. Unicredit, Intesa S.Paolo, Ubi, Banco Popolare, Banco popolare di Milano, Banca Popolare di Spoleto, Banca Carige, sono tutte banche compromesse che ogni giorno perdono in borsa depauperandosi. E il conto lo presenteranno ai correntisti.
Serve un governo che impedisca questo.
Da cui la citazione, di una nazione pragmatica vicina al collasso (l’immagine è quella del primo ministro irlandese).
Il primo ministro irlandese Enda Kenny ha parlato chiaramente, e si sta muovendo in quel senso. E’ un personaggio curioso. Leader del partito del Fine Gael (vuol dire “famiglia degli irlandesi”) è un moderato di centro-destra, progressista in economia e conservatore in politica. Nel 2011 i sondaggi gli attribuivano alle elezioni politiche un buon 15%. Ne ha ottenuti il 36%. Ha vinto e si è posizionato in Europa nel partito Popolare. Ha chiamato a raduno i laburisti e i sindacalisti irlandesi e ha fatto con loro un patto d’acciaio basato su alcuni punti comuni. Alla fine del 2011 ha fatto un governo d’alleanza con i laburisti. In Irlanda destra e sinistra governano insieme. Sono riusciti a sopravvivere fino alla fine del  2012. Da gennaio di quest’anno, Kenny ha cambiato passo, registro, linguaggio. Da dieci giorni a questa parte sta andando all’attacco della BCE, ha cominciato a tuonare contro la Merkel e Draghi appellandosi anche al papa, essendo, da bravo irlandese, un devoto credente. E noi, intanto, che cosa facciamo? Discutiamo se i deputati del M5s sanno o non sanno qual è la capitale dell’Azerbaigian e se conoscono a memoria l’articolo 59 e 27 della costituzione. Intanto (la notizia è delle ore 14 di oggi) la Guardia di Finanza si presenta nella sede milanese di Banca Nomura, una delle più importanti società finanziarie del mondo e sequestra i libri. Come racconta Il Sole 24 ore: militari del nucleo di polizia valutaria della Guardia di Finanza stanno eseguendo da questa mattina una perquisizione a Milano nella sede della banca d'affari Nomura International, nell'ambito dell'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena. La perquisizione è stata disposta dalla Procura senese. La perquisizione in corso riguarda la vicenda della conference call del luglio 2009 tra i vertici delle banche per la ristrutturazione del derivato Alexandria. Il 'mandate agreement' venne ritrovato dagli attuali vertici di Mps solo nell'ottobre 2012 nella cassaforte appartenuta all'ex dg Antonio Vigni. Per questi fatti l'ex presidente di Mps Giuseppe Mussari e l'ex dg Antonio Vigni sono indagati per ostacolo all'attività organi vigilanza cioè Bankitalia e Consob.
Ne sta venendo fuori un quadro che definire allucinante è dir poco. In uno dei suoi interrogatori, l’ex direttore generale Vigni ha dichiarato che avevano “perso” dei documenti che però, successivamente, sono stati magicamente “ritrovati” (quattro anni dopo) nella sua cassaforte. Tutto ciò per giustificare il fatto che per sei anni non è stata rendicontata tutta l’attività svolta in sede di intermediazione bancaria con la suddetta società Nomura che si occupa, a Milano, di “investimenti ad altissimo rischio sui cds”. I magistrati non se la sono bevuta e hanno aggiunto anche l’accusa di “ostacolo all’attività degli organi di vigilanza”.
Sono soldi che dovremmo metterci noi, se la banca non viene nazionalizzata subito.
C’è bisogno di un governo che dica subito come intende affrontare in questo momento “l’emergenza banche” di cui nessuno parla.
Anche Giulio Tremonti sosteneva fino all’agosto del 2011 che i “conti erano in sicurezza”.
Anche Grilli e Monti sostengono che le banche italiane non hanno bisogno di liquidità e sono a posto e che i conti sono al sicuro.
Noi abbiamo bisogno di qualcuno che ci faccia sapere immediatamente come intende gestire la questione delle banche.
In Europa stanno in attesa di ciò che in Italia riusciamo a combinare.
Grazie all’uscita di Battiato, con la scusa di venire a controllare se si trattava di una battuta gossip, e quindi appartenente al circo mediatico di berlusconiana memoria, si sono resi conto di ciò che sta accadendo da noi.
Chi ci garantisce, oggi, a noi cittadini, sul comportamento e sull’andamento delle banche italiane, tuttora amministrate, dirette, presiedute da funzionari di partito scelti negli uffici della direzione di PDL PD Lega Nord Udc Lista Monti?
Vogliamo parlare di questo, visto che si tratta del valore reale di questa nazione, invece che andare appresso alle chiacchiere da bar delle sirene mediatiche a pagamento?
Franco Battiato li chiama in un altro modo.
p.s.: Il senatore Crimi ha dichiarato alle ore 16: “se Napolitano fa un altro nome, allora è tutta un’altra storia”.
Lo trovo molto interessante. Apre suggestivi e ipotetici scenari.

martedì 26 marzo 2013

Ciò che ci dicono ma soprattutto ciò che non ci dicono sulle banche europee.


di Sergio Di Cori Modigliani


Mentre, poco a poco, la crisi si allarga, e l’Italia prosegue nei suoi consueti teatrini da quattro soldi, Berlusconi, Dell’Utri, i marò in India, e la insostenibile prosopopea del governo Monti, si cominciano a comprendere sempre di più le attuali strategie in atto.
Dal punto di vista della comunicazione politica il Paradosso della Surrealtà si sta imponendo alla grande. I dati sul lavoro, sull’occupazione, sullo stato negativo dell’economia, sul crollo dei consumi, sulla chiusura di ogni prospettiva di un futuro virtuoso a breve, sottolineati dal deterioramento progressivo del sistema bancario, sono un termometro fin troppo chiaro del nostro stallo. Eppure, sui media mainstream, si continuano a leggere deliranti accuse contro il M5s, accusato di essere ormai diventato il responsabile dell’attuale ingessamento; i giovani neo-eletti sarebbero i veri responsabili della crisi perché il M5s si rifiuta di avallare questo stato di cose, e si rifiuta di votare un governo che –è ormai chiaro a tutti- non ha né intenzioni né possibilità né volontà di affrontare la crisi. Nessuno parla più di lavoro, di occupazione, di investimenti, di allargamento del mercato, di innovazione, di energia; nessuno propone una idea, un programma, una potenziale soluzione, un progetto di ripresa, manipolando l’opinione pubblica al punto tale di mistificazione da far credere alla gente che (come ha detto Bersani) “sia necessario a questo punto un vero miracolo”.
Ma di quale miracolo parla?
E’ un trucco mediatico.
In tal modo, si riesce, con infantile abilità,  a sottrarsi a qualsivoglia domanda perché l’idea del “miracolo” impone in maniera subliminale l’accettazione della sacralità del momento, e introduce l’idea sottostante che non si tratti di trovare soluzioni –cioè applicare sul campo idee che funzionino per tutti- perché “magicamente” si dà per scontato che la nazione è in coma e quindi ci si salva soltanto con “un miracolo”. Nessuno tra gli esponenti politici dei partiti, autori di questa catastrofe, si è assunta la benché minima responsabilità rispetto a ciò che hanno fatto negli ultimi venti anni. Sarebbe meglio dire, di ciò che NON hanno fatto. Ciò che ci stanno dicendo è che “siamo oltre la fine, non esiste nessuna possibilità di risolvere l’attuale crisi” (altrimenti non si parlerebbe di “miracolo”) e, secondo loro, soprattutto per la non volontà di M5s di appoggiare i miracolisti. E sui social networks dilaga la consueta chiacchiera sul perché siano degli incompetenti.
Questo è ciò che ci dicono.
Ed è la teatralità surreale.
Poi, c’è la parte reale, quella vera.
Alcune minuzie sostanziose si possono leggere su Il Sole 24 ore, che ieri al pomeriggio annunciava l’imminente fallimento di Bankia, il quarto colosso finanziario della Spagna, che aveva ricevuto intorno a 40 miliardi di euro di aiuti dalla BCE nel biennio 2011-2012, ma che a febbraio del 2013 aveva candidamente comunicato di avere un “buco non previsto” di 19 miliardi di euro. Presenterà domanda per averne 25 entro venti giorni. Di questa cifra, la quota parte italiana corrisponde a 4,5 miliardi, di cui noi ci dovremo far carico. Sarà il primo provvedimento che il prossimo governo dovrà prendere. Ecco l’articolo comparso sul quotidiano di Confindustria, in rete trovate una valanga di link europei su questo argomento:



A Madrid crolla Bankia (-44%), le azioni puntano al ribasso verso 1 centesimo

Le azioni della banca spagnola Bankia affondano in borsa del 41% a 0,148 euro, dopo che l'istituto venerdì scorso le ha valutate 0,01 euro, nell'ambito della ristrutturazione imposta da Bruxelles. Bankia si appresta a ricevere un'iniezione di capitali dall'Europa di 10,7 miliardi di euro. Il titolo è crollato del 46% in apertura di contrattazioni e ha toccato una perdita massima del 52%. Le azioni si avvicinano avvicinandosi alla quota di 0,01 euro stabilita dal fondo di ristrutturazione Frob che ha tagliato l'attuale valore nominale di 2 euro. Una decisione che diluirà ulteriormente i 400.000 azionisti del gruppo nella prossima conversione dei bond sottoscritti dal Frob con i fondi europei cui seguirà un aumento di capitale per complessivi 15 miliardi di euro. I titolari di obbligazioni del gruppo subiranno invece perdite del 36-38 per cento. L'agenzia Standard and Poor's ha tagliato il rating di Bankia di un gradino a BB- con prospettive negative dopo che il fondo statale di ristrutturazione bancaria (Frob), ha tagliato il valore nominale delle azioni nell'ambito del piano di ristrutturazione del gruppo diluendo così ancor più gli attuali azionisti . È quanto si legge in una nota.
L'istituto - che ha chiuso il 2012 con una perdita record di 19,2 miliardi di euro - ha ricevuto nella primavera del 2012 un sostanzioso maxi-salvataggio europeo.

Anche il Banco Santander ha annunciato di aver bisogno di soldi, e sta preparando la richiesta per avere dalla BCE circa 50 miliardi di euro. E di questi, la nostra quota parte sarà all’incirca altri 10 miliardi che il nostro Tesoro dovrà mettere a disposizione. Questo ha comportato un ulteriore crollo delle azioni di MPS in borsa che hanno raggiunto la cifra di 0,19 euro, praticamente spazzatura. Un mese fa –ed era al centro della bufera- era quotata 0,25. Nessuna notizia sui giornali, della banca senese non se ne parla più, come se il “problema” fosse stato risolto: l’hanno congelato in attesa che Bersani faccia il governo e provveda a, diciamo così, “rimuovere l’ostacolo con qualche astuzia miracolistica”. Ma i mercati se ne fregano dei miracoli, e gli investitori stanno vendendo.
Banche banche banche.
E’ l’unico aspetto della realtà di cui si occupa l’attuale governo ancora in carica.
Una settimana fa, il presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, aveva lanciato un allarme ultimatum a Mario Monti “Siamo vicini alla fine, non rimane più tempo; ci attendiamo che il governo intervenga immediatamente per risolvere l’angoscioso problema dei 70 miliardi di credito che le imprese vantano dalla pubblica amministrazione: va fatto subito”.
Neppure 48 ore dopo, Mario Monti aveva riunito il consiglio dei ministri e aveva proposto un decreto, presentandolo così alla stampa “Il governo è pronto a elargire 40 miliardi di euro dei 70 dovuti in due anni, a partire dal prossimo autunno”. Squinzi aveva protestato sostenendo che 40 erano pochi e le aziende non potevano aspettare fino a ottobre, pena il fallimento di altre 70.000 medie e piccole imprese e la perdita di almeno altri 400 mila posti lavoro. Monti aveva preso un altro giorno di tempo e poi si era di nuovo presentato alla stampa, sorridente e soddisfatto, dichiarando “di aver compreso in pieno la giusta preoccupazione di Confindustria e di essere venuto incontro alle richieste del dott. Squinzi”. Il governo si impegnava a sbloccare subito 40 miliardi, una bella boccata di ossigeno per le imprese in difficoltà.
Squinzi ringrazia ma non esulta affatto. Tre ore dopo (curiosamente) il presidente di Confindustria emette un comunicato ambiguo “Non basta. Siamo delusi dal provvedimento di Monti. Il presidente del consiglio sa che, così facendo, non si risolve nulla. Anzi!”.
Silenzio totale su tutta la stampa e alla tivvù.
Non una parola da parte del PD. Tantomeno dal PDL.
Ma guarda caso ci si mette di mezzo il M5s.
I deputati eletti sono andati a controllare le carte e hanno scoperto l’inghippo. L’hanno anche denunciato pubblicamente. E’ UNA TRUFFA.
Ecco l’articolo uscito oggi su gran parte dei quotidiani on line del settentrione italiano dove raccontano cosa sta accadendo, redatto dall’ufficio stampa alla camera del movimento a cinque stelle.



Decreto Monti sblocca 40 miliardi: il M5S scopre il trucco. Ancora soldi alle banche e non direttamente alle aziende che vantano crediti con la Pubblica Amministrazione.

Scritto il 26 marzo 2013 da Movimento 5 Stelle
Denaro alle piccole e medie imprese che vantano crediti dalla Pubblica Amministrazione e sono sull’orlo del fallimento o nuovo denaro alle banche amiche magari di qualche partito ? Il “trucchetto” del ministro Grilli è stato scoperto dal gruppo parlamentare del Movimento 5 Stelle alla Camera. La denuncia arriva dal minuto 6:33 della relazione quotidiana ai cittadini sulle attività parlamentari del 25 marzo 2013 fatta dal capogruppo Roberta Lombardi . La Lombardi ricorda che all’interno della relazione di Grilli si dichiara esplicitamente che una parte dei pagamenti alle imprese finirà immediatamente al sistema creditizio” “grazie a questo si attende infatti una riduzione dei tassi d’interesse alla clientela”…Soldi alle banche e promesse di migliori trattamenti per le piccole e medie aziende, fatto dal governo delle banche. Promesse fatte… dagli amici della banche: i partiti, Monte dei Paschi docet. Non ci siamo. Il Movimento 5 Stelle assolutamente favorevole a sbloccare i pagamenti della Pubblica Amministrazione verso le aziende che vantano crediti verso il settore pubblico, chiede che il decreto venga discusso in aula e non nella Commissione speciale neocostituita. Nel frattempo il M5Stelle Reggio Emilia ha chiesto ad un piccolo imprenditore del settore telematico, Maurizio Gotta quale può essere la logica che si cela dietro a questo ‘trucchetto’. Ecco la spiegazione da parte di questo piccolo imprenditore. “Le imprese che hanno crediti con la pubblica amministrazione, stufi di aspettare i soldi hanno portato le fatture in banca per farsi anticipare i soldi. L’operazione si chiama Factoring” spiega Gotta. “E’ plausibile che banche siano andate a fare pressione sul Governo Monti dicendogli:’ qui abbiamo dei crediti immobilizzati da mesi/anni di denaro che abbiamo anticipato per voi alle imprese” continua Gotta. “Il loro discorso sarà stato più o meno questo – continua il piccolo imprenditore – se li date direttamente alle imprese, queste non ce li restituiranno, perché sono quase tutti sull’orlo del fallimento e li useranno per altre cose. Quindi fateli avere a noi, così i nostri crediti rientrano e le aziende non li “sprecano” per pagare stipendi, affitti ecc”. “In pratica le banche stanno praticamente scommettendo sul fallimento della maggior parte delle imprese e vogliono essere “creditori privilegiati”, cioè non essere coinvolti nei fallimenti a catena” spiega Maurizio Gotta. Il risultato finale “Quando il castelletto delle fatture scontate in banca sarà vuoto, l’imprenditore andrà a chiedere un prestito per pagare tasse e/o fornitori e/o fatture….e la banca gli dirà: col piffero caro imprenditore, se non mi cedi l’ipoteca sulla casa. A quel punto l’imprenditore gli risponderà ‘ ma la casa me l’ha già pignorata Equitalia perché ti ricordi che non riuscivo a pagare i contributi visto che la PA non mi pagava….” “Il risultato finale di parte di questa operazione promossa da Grilli è a mio avviso un circolo vizioso in cui gli unici che vedranno i soldi sono le banche e la Pubblica Amministrazione e mai gran parte delle aziende” conclude Gotta.
In Emilia, Toscana, Veneto e Friuli Venezia Giulia gli imprenditori sono furibondi. Si sentono (giustamente) presi in giro e hanno violentemente contestato la politica del PD accusandolo di non essere intervenuti e di non aver approfittato dell’occasione per denunciare l’inghippo vergognoso e infantile di Mario Monti.
Risultato. Il sondaggio di oggi nella regione Friuli Venezia Giulia, dove tra due mesi si vota per le regionali, vede il crollo del PD, del PDL, delle liste civiche civetta, e un’impennata del M5s del 7% rispetto al precedente sondaggio della scorsa settimana.
Silenzio generale.
Nessuno ne parla.
Ciò che conta è diffondere in rete la consueta quotidiana melassa relativa a come e perché i deputati del M5s non sanno parlare, non sanno pensare, non sanno scrivere, non sanno assumersi le responsabilità nel gioco delle parti richiesto dai partiti.
Se non fosse stato per loro, noi non avremmo mai saputo la verità su questi 40 miliardi.
Tant’è vero che, alla fine, si è verificato un inatteso sostegno politico per il M5s, che vale molto più di qualunque chiacchera da bar, o da facebook, che dir si voglia. E viene dalla Confindustria, dove gli imprenditori cominciano a mordere il freno e dichiarano ormai apertamente che non si fidano più né di Monti né dei partiti.
Basterebbe questo esempio per comprendere la vera posta in gioco nell’attuale momento politico, che non è affatto quello delle alleanze, e tanto meno sapere se M5s voterà sì oppure no a un governo di non si sa chi.
Si tratta della lotta tra chi vuole la trasparenza e chi vuole l’occultamento. Tra chi interpreta la Politica come un momento di sintesi di interessi collettivi e chi, invece, la considera un mezzo per gestire affari in camera caritatis, senza troppi occhi curiosi addosso.
E’ la differenza tra chi si occupa di Cosa Nostra e chi si occupa di Casa Nostra.
Dello stato attuale delle banche non ne vogliono parlare e hanno paura che lo faccia il M5s, come sta facendo.
Sanno, infatti, che la soluzione c’è, eccome se c’è. Non è un miracolo come vuole Bersani.
E’ una scelta: si prende atto che Prodi, Berlusconi, Bersani, Tremonti, Passera e Monti hanno affossato il sistema e si nazionalizzano le banche più importanti in modo tale da far gestire il credito e il debito al Ministero del Tesoro, sottoposto a verifica da parte del parlamento. Sotto gli occhi di tutti.
L’Europa sarebbe anche contenta.
Abbiamo il diritto come cittadini di pretendere di sapere l’intera reale situazione delle banche italiane, ma proprio tutta. E lo vogliamo sapere subito. Non è certo un caso che da venerdì scorso i titoli dei bancari alla borsa di Milano scendono vertiginosamente mentre nel resto delle borse europee i bancari vanno al rialzo. Come mai siamo in controtendenza?
Cipro docet.
Accà nisciuno è fesso.

venerdì 22 marzo 2013

"Non è colpa del mio karma". E neppure del vostro.



di Sergio Di Cori Modigliani



“La luna di pomeriggio nessuno la guarda, ed è quello il momento in cui avrebbe più bisogno del nostro interessamento, dato che la sua esistenza è ancora in forse […] è così fragile e pallida e sottile; solo da una parte comincia ad acquistare un contorno netto come un arco di falce, e il resto è ancora tutto imbevuto di celeste”.
                                                                                tratto da “Palomar” di Italo Calvino

Parole, ma prima di ogni altra cosa simboli e comportamenti che finiscono per intervenire nella costruzione dell’immaginario collettivo. Il bombardamento mediatico quotidiano per delegittimare, aggredire, svilire, con accanimento individuale raccapricciante, l’attività politica del M5s, prosegue la sua marcia inarrestabile verso il disfacimento della cultura civica in Italia. La scelta, ormai, è tra gli interventi intelligenti e sofisticati e quelli volgari ruspanti. E’ un unicum continuo, sintomo rivelatore che conferma il perché l’Italia sia considerata dalle altre nazioni civili il paese più arretrato e regredito in occidente nel campo della comunicazione mediatica e della pratica del giornalismo.
Bisogna accettare la realtà per ciò che essa è, comprendendo che, in questa fase, non è ancora possibile accelerare il processo rigenerativo della società italiana.
Non ne esistono ancora le condizioni.
Ma ci stiamo lentamente avvicinando. E’ solo una questione di tempo. E i cultori dello status quo lo sanno.
Le scintille che hanno determinato la genesi dei grandi sommovimenti sociali non sono mai stati provocati da gesti roboanti, da novità strabilianti, da comportamenti talmente nuovi da sconvolgere le coscienze. Nient’affatto. Si è sempre trattato di piccoli atti spontanei, realizzati senza alcuna strategia, senza pensarci sopra, senza calcolare l’effetto. Si sono manifestati come atto emotivo. Con una particolarità unica: la loro espressione è avvenuta nel momento in cui le condizioni erano mature per un grandioso movimento di rinnovamento e trasformazione, e quel piccolo gesto individuale si è trasformato, all’improvviso –ma soprattutto senza preavviso- nell’emblema simbolo di una rivoluzione collettiva.
La grande stagione di stravolgimenti sociali degli anni’60 è iniziata, ad esempio, sia in Usa che in Italia, in seguito a due gesti spontanei che non avevano dietro nessun calcolo, nessuna organizzazione, nessuno schema predisposto. Ma quel gesto “normale” è diventato, in entrambi i casi, come l’eruzione di un vulcano.
In Usa è avvenuto il 1 dicembre del 1955 nel profondo sud. Su questo, ormai, tutti gli antropologi e i sociologi hanno trovato un totale accordo.
Un piccolo gesto irrilevante che gettò il seme di una rivolta epocale. A tal punto che, in seguito a quel gesto, John Fitzgerald e Robert Kennedy decisero che erano maturi i tempi per lanciarsi in politica e tentare di spingere l’America verso una grande stagione di progresso nella lotta per i diritti civili. Avvenne a Montgomery, Alabama, intorno alle ore 18. Una donna, di professione sarta, stava tornando a casa dal lavoro che svolgeva presso l’atelier di uno stilista locale. La donna era di pelle nera e quel giorno era molto stanca  e avvilita per il trattamento lavorativo che subiva. Salì sul consueto autobus che era pieno nella sezione posteriore dove i negri erano obbligati per legge a sedere. L’unico posto libero si trovava davanti, nella sezione riservata ai bianchi. Lei lo occupò. Alla fermata successiva salirono tre passeggeri bianchi che protestarono contro il suo “abuso”. La donna si rifiutò di alzarsi. I passeggeri bianchi, allora, chiesero l’intervento del guidatore, il quale fermò l’autobus per risolvere la questione, invitando la donna ad alzarsi. Lei, ostinatamente, confermò la sua ferma intenzione di restare lì. Guardò l’autista e disse: “Io non mi alzo. Mi sono stufata. E poi sono anche stanca”. L’autista (per la cronaca si chiamava James Blake)  alla fine cedette alle pressioni dei passeggeri bianchi che lo obbligarono a chiamare la polizia. Uno dei passeggeri si offrì come volontario per scendere e andare a chiamare i poliziotti. L’autobus rimase fermo per 40 minuti in attesa della polizia. Quando arrivarono gli agenti, alzarono la donna di forza, la ammanettarono e la portarono via sotto arresto, incriminandola “per condotta impropria e immorale tesa a violare le leggi attuali municipali al fine di provocare il disturbo della quiete cittadina”.
Questa donna si chiamava Rosa Parks.
Un piccolo fatto di cronaca locale nel profondo e dimenticato sud.
Ma quel giorno fu diverso.
Dopo due ore il marito della donna andò a protestare con il pastore della loro chiesa presbiteriana, la cui moglie era una cliente della sarta. Il pastore acconsentì ad andare dalla polizia. Ci andò a piedi, raccontando ciò che stava andando a fare alle persone che incontrava per strada nel quartiere. E così la voce cominciò a circolare. Il pastore si chiamava Martin Luther King. Quando arrivò alla centrale, cominciò a prendere le difese di Rosa Parks chiedendo ai poliziotti misericordia per la donna, ma quelli si rifiutarono di far cadere il capo d’imputazione, che avrebbe comportato subito anche il suo licenziamento. Intanto, la gente del quartiere si radunava fuori la stazione di polizia. Quando il pastore uscì, comunicò ciò che era accaduto. “Non ho potuto fare niente, non è stato possibile” invitando la gente a tornare a casa. Ma quel giorno non lo fecero. Chiamarono a raccolta altre persone, compresi anche alcuni bianchi che si unirono a loro. Sei ore dopo esplodeva la rabbia collettiva e iniziava la prima rivolta sociale di un ghetto nero nella Storia degli Usa. 24 ore dopo l’intero stato dell’Alabama era in fiamme provocando l’intervento della guardia nazionale per cercare di sedare la rivolta. Il governatore chiese al reverendo Luther King di calmare la folla. Ma lui, pur essendo persona mite e ragionevole, si rifiutò. La rivolta durò tre giorni, con saccheggi, incendi, morti e feriti, finchè non venne sedata.
Ma quattro giorni dopo, sulla prima pagina del New York Times, compariva un articolo che si titolava “Ciò che la signora Rosa Parks ci ha spiegato: siamo un paese razzista e anti-democratico”. Venti giorni dopo veniva fondata la prima organizzazione nazionale di diritti civili dei cittadini afro-americani.
E l’America voltò pagina.
Sui libri di testo di storia nazionale nelle scuole medie, in Usa, il capitolo dedicato a questo episodio si intitola: “Rosa Parks, la donna che si rifiutò di alzarsi”. Così è nota in America.
In Italia, in tutt’altra dimensione sociale è avvenuto un modesto e piccolo episodio analogo. Anche in quel caso fu una donna che disse no.
Avvenne dieci dopo, nel 1965, in un piccolo centro dell’entroterra siciliano.
Una giovane ragazza di circa 17 anni era diventata oggetto delle bramosie di un giovane appartenente a una famiglia molto in vista. Non potendola avere perché la ragazza lo rifiutava, la rapì con la violenza. La sequestrò e dopo quattro giorni la riportò a casa. Nella consuetudine dell’epoca, in Sicilia, la ragazza, a quel punto, era obbligata a sposare il suo sequestratore. Il solo fatto di essere stata sequestrata la metteva nelle condizioni sociali di non potersi sottrarre al matrimonio, perché così si usava. Era il motivo per cui le famiglie non consentivano alle giovani donne di uscire da sole, dovevano sempre essere scortate. Il padre della ragazza era un modesto agricoltore. Non appena la giovane rientrò a casa, parlò con il padre, come di rigore. Ma a quel punto avvenne un fatto inconsueto, e per la Sicilia del 1965 inconcepibile. Il padre disse di no. Se la figlia non voleva sposare chi l’aveva rapita, non l’avrebbe sposato. La famiglia dei sequestratori rimase allibita. L’intero paese si schierò dalla parte della famiglia potente, ma ci fu invece chi contestò questa scelta e la notizia dell’evento, poco a poco, cominciò a diffondersi e dilagare finchè non divenne un caso nazionale. La ragazza, che si chiamava Franca Viola, fu costretta ad abbandonare la Sicilia e a rifugiarsi, clandestinamente, con nome fittizio, a Torino, dove, di lì a breve sposò il ragazzo che amava. Il caso venne sollevato prima dall’intellettuale Maria Antonietta Macciocchi, poi con un vibrante editoriale da Natalia Ginzburg , in un’Italia che si scopre, all’improvviso, cambiata. Il nuovo presidente era di matrice socialista, Giuseppe Saragat, si stava celebrando il Concilio Vaticano II e dentro la DC, una donna appena eletta membro esecutivo della direzione nazionale, Tina Anselmi, prese in mano “il caso Franca Viola” e insieme a un’altra democristiana, Franca Falcucci,  obbligarono il capo gruppo Benigno Zaccagnini a portarlo in aula, dove, poche settimane dopo, in una seduta memorabile, dinanzi ai membri della camera dei deputati, tre onorevoli, Nilde Jotti (comunista) Susanna Agnelli (repubblicana) e Maria Jervolino (Democrazia Cristiana) aprirono il caso, chiedendo il riconoscimento del reato di stupro e l’abolizione dello stupro come “reato contro la morale” (quindi passibile di pene minime, per lo più irrilevanti, perché a discrezione del giudice). Intendiamoci, da quel momento, prima di riuscire ad avere una legge che identificasse lo stupro come un reato contro la persona, passarono più di 20 anni di scontri e conflitti. Comunque sia, Franca Viola passò alla storia come “la giovane siciliana che disse no”.
La donna che non si alzò e la donna che non si sposò.
Due gesti diversissimi, che hanno in comune, però, di essere diventati termometri di una società in via di cambiamento e allo stesso tempo scintilla creativa esplosiva.
Pensavo proprio a queste donne, ieri, mentre leggevo un libro in aereo, ritornando a Roma. Nel sedile a fianco del mio, a breve distanza, era seduta una coppia, che discuteva animatamente. Mi sono incuriosito e mi sono messo ad ascoltarli. Lui era molto agitato, avvilito, in gravi difficoltà, e stava confessando a lei (sua moglie o la sua compagna) l’avvilimento e lo sconforto della sua esistenza per via di qualche cosa che era andata molto male nel suo lavoro di imprenditore (parlava infatti di “mia azienda”). Lei cercava di consolarlo. A un certo punto, con voce accorata, lui le ha detto: “E’ sfortuna, non c’è che dire, non mi riprenderò mai. Non cambierà mai nulla. E’ il mio karma. E’ tutta colpa del mio karma”. Lei ha cominciato ad arrabbiarsi e a dirgli che era una interpretazione sbagliata ed era anche molto pericoloso dire quelle cose. Lui, invece, guaiva, ripetendo come un mantra “è tutta colpa del mio karma”. Lei ce la metteva tutta per calmarlo, nel tentativo di potergli offrire conforto. Ma lui era proprio disperato. A un certo punto, lei gli ha tirato il braccio e gli ha detto. “Non è così. E’ un errore vederla così. Non è così’, non c’entra nulla il karma, ma proprio nulla. E’ l’Italia. Cerca di capirlo: il tuo unico, grave problema, consiste nell’essere cittadino di questa repubblica: è così che stanno le cose. Il tuo karma è il karma di tutti. Si chiama Italia”.
Questa conversazione rubata mi ha colpito.
Ho pensato al gesto della eletta nel M5s, la deputata Rostellato, qualche giorno fa, accusata su tutti i media, compresi i social networks. E ho pensato che un giorno –mi auguro molto vicino- la Rostellato sarà diventata come Rosa Parks e come Franca Viola: “l’inconsapevole autrice di un gesto emotivo spontaneo che diventa, invece, il simbolo di un cambiamento epocale”.  Sono andato a controllare in rete e il corriere della sera, per dimostrare che la deputata ha “fatto una gaffe”, così presenta l’argomentazione della Rostellato, sostenendo che si tratta di una confessione:

LA DEPUTATA DEL MOVIMENTO CINQUE STELLE

Rostellato (M5S), la gaffe su Facebook 
«Io la mano alla Bindi non la stringo»

Poi le scuse sempre sul social network: «Non volevo essere maleducata ma non riesco ad essere falsa»

A me, personalmente, questa frase non sembra affatto un modo di chiedere scusa. Anzi. Rafforza e chiarisce in maniera argomentata, fin troppo ovvia, l’esplosiva novità del gesto e la sua poderosa forza propulsiva. Trovo, invece, agghiacciante, la falsità ipocrita di chi scopre, all’improvviso, un inconsueto aplomb britannico di rispetto della forma. Chi rappresenta la cittadinanza, non può e non deve dimenticare ciò che è stato fatto, ciò che stanno facendo e ciò che vorrebbero fare coloro che sono i veri e gli unici responsabili della rovina dell’Italia. Se il paese è bloccato e non si riesce a fare mercato, creare lavoro e dare occupazione, è responsabilità politica di chi è stato in Parlamento in questi anni.  
Per il momento, bisogna prendere atto che neppure in un mese il M5s ha già prodotto uno scossone gigantesco alla narcolettica vita politica italiana. Ed è appena nato. E’ un movimento giovane, fragile, che ha bisogno di essere protetto, come la luna di Calvino nella citazione in calce. E' necessario proteggere questo embrione che annuncia il nuovo, il futuro, il cambiamento epocale, che è la cifra civica della vita nel post-Maya. 
Il M5s è un poppante, ed è chiaro che compia degli errori dovendosela vedere in un mondo adulto di marpioni impresentabili. Proprio perché giovane, non ha bisogno di severi padri autoritari che ogni santo giorno,  sul mainstream e sui social net, pontificano spiegando al mondo perché sbagliano, dove sbagliano, come sbagliano, quanto sbagliano, quando sbagliano. I poppanti, è cosa nota, non hanno alcun bisogno dei padri, quelli vengono dopo. Non appena nati si ha bisogno soltanto della mamma, del suo latte, delle sue carezze, del suo odore, della sua presenza. Chi vede il M5s come punto di riferimento evolutivo verso il cambiamento, deve investire le proprie energie per accudire il movimento, per proteggerlo dal bombardamento quotidiano. Bisogna essere femminili, delicati, perché è un poppante.
E la storia della Cultura d’Europa ci spiega e ci tramanda un bel precedente, raccontato in maniera squisitamente avvincente da un grande poeta greco, Esiodo, che 3000 anni fa descriveva un poppante, nel suo poema sugli eroi. Ci racconta Esiodo di questo poppante che se ne sta nella sua culla, mentre la mamma e l’ancella sono andati a prendere dell’acqua, e a un certo punto sentono delle urla e si precipitano nella stanza e vedono che cosa è accaduto. Due giganteschi serpenti sono entrati dalla finestra, inviati da un malefico Dio invidioso, per uccidere il poppante con il loro potente veleno. Ma il poppante li ha afferrati per il collo e li ha strozzati con un colpo secco delle sue manine a pochi giorni dalla sua nascita. Si chiamava Ercole.
Nasce così il mito della prorompente e proverbiale forza degli eroi.
Il M5s è un poppante che si chiama Ercole.

Crescerà, lo sta già facendo.
E allora ne vedremo delle belle.
In parlamento lo sanno già, che si tratta di Ercole. In parlamento c’è più di un marpione, più saggio e lungimirante degli altri, che comincia a sentire il formicolio di uno strano e inusitato torcicollo. E sono quelli che hanno letto il racconto di Esiodo.
E dunque, invece della consueta e quotidiana distruttiva conta delle pulci, se è necessaria la critica, che siano contributi di poesia esistenziale, se possibile di taglio femminile, da abile nutrice. Qui di seguito, il contributo critico di una cittadina –non a caso di genere femminile- pubblicato sulla sua pagina facebook questa mattina. Mi è piaciuto molto. C’è bisogno di prodotti come questo, non dell’elenco macabro che ogni santo giorno la cupola mediatica e i suoi seguaci ci propinano in tutte le salse, per dimostrarci perché M5s non va bene, perché non parlano bene, perché non ascoltano bene, perché non scrivono bene, perché non si comportano bene, mentre intanto quelli che parlano bene, che ascoltano bene, che scrivono bene,  e che si comportano bene seguitano ad affondare il paese precipitandolo verso la rovina.
In tutta fretta, sperando di fare in tempo prima che il poppante Ercole diventi adulto.




Di sordi e di ciechi

da Ileana Itinera Izzillo (Note) il Venerdì 22 marzo 2013 alle ore 12.02
E' come se tra il palcoscenico e la platea (senza parlare dei palchi e del loggione) ci fosse un vetro. Antiproiettile e doppio. Come quei vetri/specchio che separano le sale interrogatorio, con tanto di microfoni unidirezionali, dei telefilm americani.
Noi in platea, sui palchi e dal loggione vediamo e sentiamo distintamente  gli attori di vecchia scuola, d'accademia e novellini dire e fare. Anzi più dire che fare.

Loro. lassù, agitano le braccia, strabuzzano gli occhi, fanno versacci. E non ci vedono. In più non arriva loro neanche un fruscìo delle nostre urla.

E mentre qui cadono come soldatini i posti di lavoro (che non sono figure retoriche ma pane alle bocche di famiglie, adulti e bambini), chiudono imprese piccole e medie - la nostra specialità - strozzate da debitori e banche, loro, lì, sembrano come quel Pulcinella e la Morte del compianto Piantadosi, burattinaio del Gianicolo, che se le suonano a mazzate di legno. Ma per finta ché nessuno si fa male, ché le teste sono di legno, ché tra dieci minuti, dopo l'ennesima spremitura e raccolta di spiccioli, si ricomincia.

Smettetela di dire che siete diversi. Siate diversi . Ascoltate e guardate.

Ascoltate e guardate gli sguardi prostrati, la miseria di certi cappotti esausti, la frugalità delle spese settimanali che più non si distinguono dalle antiche spese giornaliere.

Di sordi e di ciechi, vecchi e nuovi ne abbiamo davvero le tasche piene.

Piene solo di quelli