giovedì 28 febbraio 2013

"Bersani deve fare un passo avanti". E' la strada verso la governabilità.



di Sergio Di Cori Modigliani


Non c’è niente da fare: non capiscono. Davvero non si rendono conto. Tant’è vero che l’unica idea che finora si sta manifestando sui social networks e sul web (a dichiarata firma PD con qualche complicità PDL) consiste in una neo-moda di squadrismo mediatico, basata sull’insulto, sulla calunnia, sul falso, sulla pubblicazione di dati e affermazioni false, e siamo ormai al record surrealista di persone intelligenti che attribuiscono al M5s e a Beppe Grillo addirittura la responsabilità dell’attuale crisi e della cosiddetta ingovernabilità. Si cerca di rovesciare le carte, quindi è necessario rispedire la palla sul loro campo, perché stanno tentando abilmente (mica tanto poi) di annebbiare la mente di chi legge e ascolta per costruire l’ennesimo falso.
Per due anni di seguito, il PD ha detto solo e soltanto una cosa: “Berlusconi deve fare un passo indietro” senza mai parlare del loro programma. Il Berlusca lo ha fatto e per un anno ci hanno spiegato che era necessario appoggiare Monti insieme a Berlusconi senza mai parlare del loro programma.
Adesso, invece, non è più possibile.
Questo è il punto. Soltanto questo.
Qual è il programma del PD? Sono a favore dell’abolizione del finanziamento ai partiti? Il M5s ha già dichiarato che non prenderanno il contributo rinunciando a 35 milioni di euro.  Quali sono i punti essenziali del programma del PD in materia di spesa, lavoro, occupazione, legalità?
Il corriere della sera è andato a chiederlo a Massimo D’Alema, uno degli esponenti di punta della vecchia guardia piddina, D’Alema ha “bypassato” la risposta come se la domanda non fosse stata fatta e ha dato la sua soluzione all’attuale fase in atto. Ecco che cosa ha detto D’Alema:
La strada è chiara: la presidenza della Camera al M5s con un governo presieduto da Bersani…è necessaria un’assunzione di responsabilità da parte delle forze principali…nessuno può avere interesse a precipitare il paese verso nuove elezioni che sarebbero un drammatico choc. Neanche il Movimento 5 stelle che ha ottenuto un successo e che ragionevolmente credo voglia dimostrare la capacità di generare cambiamenti positivi per l’Italia….quindi al centrodestra vada la presidenza del senato e al movimento 5 stelle la presidenza della camera, ovviamente sulla base della proposta di personalità che siano adeguate a ruoli istituzionali di garanzia….”.
Per D’Alema è fatta, lui non vede neppure il problema. E’ convinto che si risolva dando come regalo qualche presidenza. Come era accaduto con la Lega.
Si tratta, per il momento, di uno scontro tra due idee esistenziali e politiche che sono davvero incompatibili.
A mio avviso, invece, per poter cominciare a trattare, è assolutamente necessario “che Bersani faccia un passo avanti”.
 Per quale motivo noi elettori e anche il gruppo parlamentare del M5s dovremmo credere a un ipotetico cambiamento dato che le persone e le personalità sono ancora le stesse?
Quindi, la prima mossa spetta al presidente del consiglio incaricato in pectore  che deve  invitare l’attuale segreteria a dimettersi ( nell’interesse del suo partito) sostituendo coloro che non hanno fatto negli ultimi vent’anni ciò che oggi sostengono di essere disponibili a fare e consentire alla nuova segreteria di avanzare un piano programmatico di legislatura,  con scadenze specifiche indicate, che accolga istanze portate avanti dal M5s e che non è difficile ricavare anche dal risultato elettorale (astensione e calo del bacino elettorale dei due maggiori partiti): dall’immediato abbattimento dei costi della politica alla immediata legge sul conflitto d’interesse; dalla riduzione del numero dei parlamentari all’abolizione di privilegi parlamentari inutilmente costosissimi (benefits, auto blu, consulenze a pioggia, ecc.); dall’introduzione del concetto di reddito di cittadinanza (per far fronte immediato al disagio dei ceti sociali più colpiti) alla suddivisione finanziaria “legale” tra banche d’affari speculative e banche che gestiscono il risparmio dei correntisti, mettendo a disposizione linee di credito alle imprese medio-piccole in difficoltà, per dare inizio alla ripresa economica e così via.
Se Bersani fa un passo avanti e, con una rinnovata dirigenza, immette nel suo programma di governo questi punti, penso che i neo-eletti di M5s troverebbero naturale dargli la fiducia, rinunciando –per il momento- a portare avanti altre istanze che vengono –di comune accordo- rimandate. Ma solo in un contesto che mostri che il PD ha raccolto la richiesta di rinnovamento proveniente dall’esito elettorale. Come si fa a dare la fiducia a chi ha già dimostrato “sul campo” di essere inaffidabile?
Che ci fa il M5s con la presidenza della camera? La foto ricordo?
Allora, che facciamo?
Andrea Scanzi ben sintetizza l’attuale fase di oggi nel seguente modo:
Grillo, anzitutto, si toglie i sassolini dalle scarpe e giustamente ricorda la badilata di cazzate empie piovute addosso ai 5 Stelle da parte dell'intellighenzia stinta del Pd (fassisti del web, qualunquisti, Casa Pound, bla bla bla). Non puoi prima darmi del criminale e il giorno dopo chiedermi di salvarti la vita perché altrimenti muori: troppo facile, dovevi pensarci prima. Grillo, oltretutto, è un vendicativo permaloso. Figuriamoci se non reagisce a uno schiaffo con un calcio sulle palle: è fatto così. Una volta superata la soddisfazione di infierire sulla boria patetica di chi credeva di avere già vinto e ha sbagliato pure questa, il punto è un altro (ed è dirimente): che facciamo? Non c'è nessuna base spaccata (i giornalisti stanno perdendo la testa, è bellissimo). La stragrande maggioranza dei grillini detesta il Pd, perché lo conoscono benissimo. C'è solo chi è possibilista e chi no. Per ora siamo alle scaramucce. La mia sensazione è che il centrosinistra stia cercando ogni scusa per giustificare l'inciucione (tipo: "Visto? Grillo ci ha detto no, quindi tubiamo con Berlusconi". E' la linea D'Alema, cioè la linea-nulla). La mia paura è che Grillo possa peccare in orgoglio. Tradotto: occorre aspettare i punti del programma governativo di Bersani. In 20 anni non hanno fatto né il conflitto di interessi, né opposizione, né progetti seri per abbattere i costi della politica: dubito che se ne ricordino adesso. Se lo faranno, poiché costretti dall'acqua alla gola, il M5S dovrà appoggiarli (a costo di dare la fiducia: non facciamo i puristi del nulla, su). Se sarà invece la solita aria fritta, avremo per un po' (sei mesi, un anno) il governissimo e di lì a poco le elezioni anticipate. Filippo Petardo Facci (chi?) dice che la prossima volta il M5S non prenderà più voti, come accaduto in Grecia coi movimenti di protesta. Quindi il M5S farà un botto ulteriore. E la Casta lo sa. Per questo, in ogni modo, cercherà di barcamenarsi. Trincerandosi in Parlamento e tirando a campare”.

Sono d’accordo con questa  analisi.
Stanno giocando, come al solito, con carte truccate. Si rifiutano di parlare del programma e propongono come novità governativa le solite facce. Come si fa a ragionare in questi termini? Perché il M5s dovrebbe dare la fiducia a coloro contro i quali è andato per tutta la campagna elettorale?
Bersani deve fare un passo avanti.
Tutto qui.
Cambi il suo management, legga le voci del suo programma alla nazione e abbia il coraggio di sfidare il M5s a un dibattito pubblico su ogni singolo punto del programma, in modo tale da consentire al paese di “sentire” che davvero stiamo andando verso la trasparenza pragmatica delle istituzioni, e non verso la consueta, vecchia, ammuffita compravendita di presidenze, così come viene presentata da Massimo D’Alema, l’ennesimo genio della politica che dimostra di non aver capito affatto che cosa sta accadendo nel paese.
La governabilità c’è eccome!
Ma sui programmi e sulla sostanza.
Non sulla qualità e sulla quantità delle presidenze di camera, fondazioni bancarie, commissioni clientelari.
Tutto il resto è fumo negli occhi.
Come ha detto il premio Nobel Dario Fo, regalando un solido consiglio esistenziale a Pierluigi Bersani, quando la Gruber lo ha intervistato:  “Buttati, dai, fai un bel salto e sono certo che il M5s voterà a favore”.
Altrimenti, che si prepari ad essere testimone della propria estinzione per incapacità politica, per incompetenza manageriale, per mancanza di creatività e scarsa propensione all’assunzione di responsabilità individuale davanti alla collettività.
Altrimenti, dato che è il primo partito alla camera, c’è sempre il M5s che può assumere l’incarico di formare un governo, presentare un programma e vediamo chi lo vota in parlamento.
Così vediamo chi non vota per l’abolizione delle province, chi non vota per l’abolizione dei cosiddetti rimborsi elettorali, chi non vota per una vera legge anticorruzione, chi non vota per una nuova legge elettorale, chi non vota per misure che rilanciano la piccola e media impresa, chi non vota per l’abolizione del finanziamento pubblico all’editoria, chi non vota per il reddito di cittadinanza, chi non vota per la legge sul conflitto di interesse, chi non vota per la cancellazione degli enti inutili, chi non vota per l’annullamento delle fondazioni bancarie, chi non vota per l’abolizione dei privilegi parlamentari, chi non vota per la decurtazione del numero dei deputati, ecc.,ecc…..

mercoledì 27 febbraio 2013

C'è chi insegue il con-senso e chi pratica il dis-senso. Ne consegue che.....



di Sergio Di Cori Modigliani


Veniamo al Senso della Politica, finalmente.
Perché queste elezioni hanno chiarito molte cose.
Un mojito –versione ligure- offerto a meraviglia, il mio cocktail preferito.
Servito, peraltro, con i fiocchi: con tanto di poetiche olive pugliesi, vere, di stuzzichini di pesce fritto in salsa siciliana (30% dei voti e primo partito), crostini alla cacciatora in puro stile senese (24% dei voti in città, il PD perde il 14% dei voti e l’uscente sindaco commissariato getta la spugna mentre l’intera giunta annuncia che non ha il coraggio di candidarsi alle prossime elezioni comunali del prossimo maggio: si ritirano) con aggiunta di piadina marchigiana dove sono stati battuti tutti i candidati dalemiani.
Un bell’aperitivo, non c’è che dire.
Perché di aperitivo si tratta.
Il pranzo lo si sta apparecchiando.
E chi parla di sorpresa vive al di fuori della realtà.
C’è la conferma di un risveglio nazionale delle coscienze pensanti che annunciano l’imminente scomparsa di una intera classe dirigente politica incapace (oltre che di governare) di pensare, di comprendere, di capire che cosa sta accadendo.
Non si rendono conto, come al solito, di ciò che succede sotto gli occhi di tutti.
Fanno i conti, si affidano alle percentuali, calcolano le perdite, pensando che si tratti di mettere una pezza qui, tappare un buco lì, per poter fermare la diga che sta crollando.
Si tratta di una rivoluzione lessicale, così va letto l’esito della tornata elettorale.
Prima viene un nuovo linguaggio, grazie all’uso di nuove parole, nuovi sintagmi, e di conseguenza nuove sinapsi nel cervello che finiranno per modificare in misura impensabile l’immaginario collettivo della nazione.
Per una rivoluzione culturale, finalmente.
Veniamo quindi alle parole.
Chi sostiene che si sia trattato di un voto di “protesta” sbaglia di grosso: non è così.
L’uso di questo termine nasce da una manipolazione linguistica che tenta disperatamente di applicare la demagogia e la mistificazione per occultare la verità.
Le differenze tra i tre schieramenti usciti dalle urne, PD, PDL e M5s rivelano chiaramente il gigantesco spartiacque discriminante tra due modalità opposte di leggere l’esistenza.
Da una parte abbiamo i voti del PD (perde il 30% del suo elettorato) e del PDL (perde il 50% del suo elettorato) che appartengono per entrambi a ciò che loro hanno sempre perseguito, il consenso. Tradotto, vuol dire che gli elettori italiani, notoriamente pavidi e conservatori, preferiscono sottoscrivere un accordo di eutanasia soft per paura, paura del nuovo, del non conosciuto e diventano complici dichiarati di chi ha espoliato e distrutto il paese. E lo sanno anche, ne sono consapevoli. Tant’è vero che nei giorni scorsi abbiamo assistito ad affermazioni del tipo “mi turo il naso ma voto PD” come a dire: “so che non funzionano, sono al corrente della loro incompetenza, sento la puzza di marcio ma li voto lo stesso”. Quelli del PDL, mitomani confessi, si sono sperticati nelle promesse e i loro elettori hanno seguito una fantasia, una speranza, inconsapevoli della truffa.
I voti del M5s, invece, non sono affatto voti né di protesta, né tantomeno di speranza.
La “speranza” in politica è una frustrazione rimandata.
La “protesta” in politica è la manifestazione della propria incapacità propositiva e della propria dichiarata impotenza nel trovare e fornire soluzioni
Chi ha votato per il M5s appartiene alla categoria dei “realisti dissenzienti”.
Proposte realistiche all’interno di un quadro di dissociazione dalla classe politica dirigente responsabile dell’attuale dissesto italiano.
Sono voti di dis-senso. E’ una opzione completamente diversa.
Ovverossia, sono voti di cittadini che hanno scelto e deciso di assumersi la responsabilità individuale del proprio atto civico chiarendo che non intendono mai più essere complici di una classe dirigente politica che ha attuato scelte prive di Senso, che vive in un mondo che non ha Senso (se non per loro), e non hanno nessuna intenzione di seguitare ad appoggiare una classe politica che non si occupa del bene comune, dell’interesse della collettività, dei bisogni reali della nazione.
Mentre il PDL (alla spasmodica caccia di con-senso) allertava sul pericolo che le sinistre conquistassero il potere, il PD -a caccia di identico con-senso- parlava di rinnovamento  presentandosi agli elettori con Rosy Bindi in Calabria, Anna Finocchiaro in Puglia, e la stessa identica dirigenza politica del 2012 del 2011 del 2010 del 2009 del 2008 (la stessa del 2001 e del 1994) puntando sul fatto che la gente non ha memoria ed è possibile dare ad intendere qualsivoglia argomentazione a chicchessia. Chi li ha votati è finito in un’architettura dada surrealista, un po’ come quelle scale disegnate dal grande grafico Escher, con delle rampe che salgono e scendono ma non vanno da nessuna parte.
Consenso e Dissenso, quindi.
Questo è il primo risultato discriminante delle elezioni, altro che protesta.
E quindi il vero risultato è pressappoco così: da una parte abbiamo il 58% degli elettori che danno il consenso al non-Senso (quindi un suicidio dichiarato e consapevole,“una eutanasia soft”) e dall’altra abbiamo un 25% di italiani che dissentono perché hanno identificato, riconosciuto, e dolorosamente accertato la totale mancanza di senso reale in tutte le non-proposte di PD e PDL, rigettandole in toto.
Il voto al M5s è il voto di chi vuole ritrovare un Senso, ovverossia auspica che al comando delle banche ci vadano esperti di finanza e non politicanti, a dirigere e gestire gli ospedali ci vadano medici e dirigenti sanitari esperti e competenti invece che funzionari di partito, e che in ogni professione, in ogni mansione, in ogni luogo di lavoro, vengano applicati i requisiti minimi ed elementari del buon senso: il personale viene selezionato sulla base del proprio merito e grado qualitativo della propria competenza tecnica specifica invece che attraverso il filtro organizzato e gestito dalle segreterie dei partiti. Chi ha votato per il M5s pretende ed esige che venga rispettata la Legge, che venga riconosciuto lo Stato di Diritto applicando le dovute sanzioni, che venga ricostituito il reato di falso in bilancio, perché il Senso Civico consiste nel promuovere chi fa scrivere al proprio commercialista la verità dei propri affari e fa invece bocciare chi dichiara il falso. Tutto qui.
Non si tratta, quindi, di nessuna protesta, e sostenerlo è fuorviante.
Se avete votato per il M5s rifiutatevi di essere identificati come chi protesta.
Si tratta, invece,  di una banale quanto legittima richiesta di riaffermare il Senso delle cose. E’ l’estremo tentativo di riportare l’Italia da una situazione di perdurante anormalità a una condizione di normalità, di rispetto e applicazione di regole e leggi, di norme e consuetudini da applicare all’intera cittadinanza, con l’obiettivo dichiarato di costruire una comunità che si occupi di gestire, amministrare e far funzionare i beni comuni dell’intera collettività: vi sembra, questa, una protesta?
A me no.
A me sembra una affermazione di principio: la fondazione del valore del Senso.
La giornata di martedì 26 febbraio è stata fondamentale perché ha chiarito diversi aspetti, soprattutto il fatto che NON E’ VERO che l’Italia è ingovernabile.
La verità, resa evidente dal 25% dei voti al M5s (a questo servono le elezioni, e qui mi rivolgo agli astenuti) consiste nel fatto che non è possibile, a nessun prezzo, governare come hanno governato fino adesso: è una prospettiva linguistica completamente diversa.
Ecco alcuni elementi di rilievo avvenuti nelle ultime due giornate, primo fra tutti quello relativo a una delle grandi questioni –per non dire “la questione”- sulle quali si è dibattuto fino allo sfinimento negli ultimi mesi: chi c’è veramente dietro Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio? Finalmente, ieri, l’arcano è stato svelato e il mistero è risolto per sempre, mi auguro definitivamente. Si sanno anche i veri nomi dei due geniali strateghi della comunicazione che (insieme) hanno deciso e stabilito (dietro le quinte) come e perchè alle prossime e imminenti elezioni il M5s debba prendere almeno il 52% dei voti validi. Data l’abilità sconcertante dei due guru, il dato è praticamente certo.
Si chiamano Silvio Berlusconi e Anna Finocchiaro: sono loro i due geniali artefici del trionfo elettorale, prossimo venturo, che porterà il movimento cinque stelle alla inevitabile maggioranza assoluta. Sarà grazie a loro.
Ecco come i due veri guru stanno lanciando la campagna di primavera:
Martedì 26 febbraio, infatti, alle 10 del mattino, la senatrice Anna Finocchiaro, del tutto  indifferente rispetto all’esito elettorale, ha dichiarato tronfiamente “Poiché il PD è consapevole del momento che stiamo vivendo e della assoluta necessità di garantire un governo stabile alla nazione, ci assumiamo la gravosa responsabilità che ci viene dal fatto di essere la coalizione vincente alla camera e avviamo immediatamente le consultazioni iniziali ai fini del raggiungimento di un accordo di legislatura. Ho già telefonato al senatore Maurizio Lupi del PDL per incontrarci subito”.
Alle ore 10.30 su raidue, Fabrizio Cicchitto replica: “Confermo quanto detto dalla senatrice Finocchiaro, già oggi ci incontreremo con i colleghi del PD perché siamo responsabili e sentiamo come dovere civico quello di dare agli italiani immediatamente il governo che si aspettano”.
Risultato ottenuto dai due guru: rivolta interna in entrambi i partiti.
E poi Bersani,  che propone un’apertura al M5s ma presentandola in maniera smaccata come una attribuzione della responsabilità dell’attuale crisi al movimento. Nella sua mente, abituata agli squallidi tatticismi della palude del politichese italiota, intendeva senza alcun dubbio sollecitare i neo-eletti del M5s a presentargli il conto della spesa. Lui è abituato così e questa è l’unica modalità che conosce. Pensava che Casaleggio avrebbe inviato un fax con i nomi delle fondazioni bancarie di cui voleva la presidenza, dove e come piazzare i neo-eletti del movimento e su quella piattaforma economica sedersi intorno a un tavolo e trattare. Quindi è spiazzato perché non capisce. Non ce la fa proprio a comprendere il Senso di questa nuova realtà.
Dopo tre ore, alcuni tra i neo-eletti (intervistati in tutta Italia in ordine sparso, ciascuno dei quali ha spiegato che –per il momento- parlava a titolo personale) hanno replicato dicendo tutti la stessa identica cosa: “Noi siamo aperti a votare per chiunque accolga nel proprio programma di governo le nostre istanze, senza alcuna pregiudiziale, e cioè una immediata nuova legge elettorale, subito la legge sul conflitto d’interesse, una nuova legge anticorruzione,  la decurtazione dei parlamentari, il reddito di cittadinanza e l’abbattimento dei costi della politica, tanto per iniziare”.
Panico e sconcerto tra le fila del PD. E il prode Enrico Letta dichiara: “Rispettiamo il M5s e prendiamo atto del loro innegabile successo elettorale; li consideriamo degli interlocutori politici, ma sia chiaro che il PD non si fa dettare l’agenda da nessuno”.
E il prode Alfano, a Ballarò, sfrontatamente sostiene che non c’è alcun inciucio, che non ci sarà nessun incontro con il PD e tantomeno con quelli del M5s. E intanto, alla direzione del PD, Walter Veltroni e Massimo D’Alema si dichiarano ufficialmente “fortemente contrari a qualunque accordo e incontro con quelli del M5s”.
Beppe Grillo, dal canto suo, conferma ai giornalisti, la posizione dei suoi eletti: “noi non facciamo alcun accordo con nessuno, ma siamo positivamente aperti e disponibili a votare ogni singolo provvedimento che corrisponda al nostro programma: a noi interessa quello”.
Si arriva, quindi, alla giornata di oggi.
I geniali capi del PD iniziano la giornata con una sicumera arrogante, indice di totale mancanza del Senso della realtà. Dichiarano, sparpagliatamente, che non intendono sottoporsi all’esame da parte dei neo-eletti del M5s e ci aggiungono il carico da 11 (sempre Enrico Letta che sta tirando la volata a Monti per il suo bis). “Se l’Italia diventa ingovernabile, la responsabilità sarà del M5s che non è disponibile ad un accordo preventivo”. Questa frase, degna di un organigramma del Cremlino, tradotta sta per “quelli del M5s devono votarci a scatola chiusa”.
Ma a metà mattinata arriva Silvio Berlusconi, che così dichiara alla attendibile e seria professionista del corriere della sera (edizione on-line) Paola Di Caro: “Superati i primissimi giorni le cose cambieranno, adesso quelli del PD fanno i sostenuti, guardano a Grillo. Ma non ce la faranno. Quello è un rapporto che non regge, politicamente e numericamente. Avranno bisogno di noi, busseranno alla nostra porta. Vedrete, verranno a Canossa... E vi dico l'idea che mi sono fatto: non sono nemmeno sicuro che alla fine l'incarico sarà dato a Bersani”. Non è chiaro se sia un auspicio oppure una minaccia. Poco importa. Ma all’interno del PDL c’è una rivolta interna perché il gruppo dirigente non è d’accordo. E il Cavaliere, re della comunicazione italiota, poco dopo, avvertito della levata di scudi tra i suoi, non si lascia sfuggire l’occasione e dichiara: “Se non ci sarà accordo, si accomodino. Facciano pure, vediamo quanto durano. Io intanto preparerò la mia campagna elettorale sui temi che interessano i nostri elettori, mi sento alla grande, e stavolta correrei come leader”.
Infine, la dichiarazione di Beppe Grillo che sostiene: “Il M5s voterà in aula le leggi che rispecchiano il proprio programma chiunque sia a proporle…il movimento cinque stelle non darà alcun voto di fiducia al PD né ad altri. Se Bersani vorrà proporre l’abolizione dei contributi pubblici ai partiti sin dalle ultime elezioni lo voteremo di slancio (il M5s ha rinunciato ai 100 milioni di euro che gli spettano) e se metterà in calendario il reddito di cittadinanza lo voteremo con passione”.
Questo è ciò che sta accadendo.
Quelli del PD e quelli del PDL vivono ancora nello spazio mentale di un mondo senza Senso. Non si accorgono, non capiscono, non comprendono che la trattativa non viaggia sulla rotaia di presidenze, sottosegretariati, gestione di aziende, bensì sui programmi e sulle proposte. Quantomeno non quando si parla con il M5s, altrimenti non sarebbe tale.
Si tratta di una differenza lessicale, per il momento incompatibile.
Sono software mentali diversi.
Il PD e il PDL cercano l’accordo sul “con-senso” identificato in gestione consociativa privata e personale dei beni comuni e delle risorse della collettività. Quindi, come sempre.
Quelli del M5s cercano l’accordo e sono disponibili al dialogo, al confronto, e a una piattaforma governativa, sulla base del “dis-senso”, identificato come gestione pubblica delle risorse da mettere a disposizione della collettività. La qualità del dis-Senso consiste in una rottura con i precedenti fallimentari durati vent’anni, per dar mostra di un segno di discontinuità nel lavoro parlamentare.
E’ un altro mondo lessicale. E’ un diverso ordine d’idee.
Per il momento, quindi, il PD e il PDL dimostrano di non volere nessun cambiamento, nessuna riforma, nessun accordo, e di non essere in grado di saper o di poter accogliere nessuna delle istanze portate avanti dal M5s che ha raccolto il voto di 8.800.000 cittadini.
Per loro, queste voci non valgono nulla.
Personalmente consiglio ai neo-eletti di armarsi di tutta la necessaria pazienza e, invece di farsi intimorire,  di comprendere che i propri interlocutori non hanno il senso della realtà, e quindi va spiegato loro come si stanno mettendo le cose, come si fa con i bambini o con quelli fuori di testa. Forse quelli del PD capiranno che è arrivato il momento di ascoltare la nazione, le istanze dei cittadini, i bisogni collettivi e si decideranno a varare un programma che accolga i punti per i quali ha votato il 25% degli italiani.
Come notava il giornalista Andrea Scanzi, de Il Fatto Quotidiano, rivolgendosi ai neo eletti: “D'Alema e Veltroni sono contrari a un dialogo con Grillo. E' la conferma che è l'unica strada possibile. Provateci. (a margine: nel Pd hanno ancora Veltroni e D'Alema che dettano la linea. O anche solo pontificano. Sono proprio lanciati a bomba verso il proprio abisso).

Allora, non hanno ancora capito che questo è soltanto l’aperitivo, un buon mojito tra amici.
Sarà una primavera di riscossa, quindi.
A tutt’oggi, così vedo io la cosa.
E voi?

giovedì 21 febbraio 2013

La mia dichiarazione di voto.



di Sergio Di Cori Modigliani


Ci siamo, dunque.
Fra tre giorni si vota.

Mentre i consulenti dei partiti in lizza se ne stanno lì, arroccati nei loro castelli, facendo astrusi calcoli completamente avulsi dalla realtà autentica del paese, nel tentativo disperato di capire e comprendere quali alleanze fare o disfare per insistere nel disperato tentativo di salvaguardare le loro rendite di posizione acquisite, io cerco di capire quanti sono –in percentuale- gli italiani che allegramente si tufferanno nell’era del post-Maya.

Credo che sia stata la più squallida campagna elettorale mai vista in Italia, e questo lo hanno capito anche i sassi.
Non vale la pena neppure di commentarla.
Domani, all’ultimo momento, saranno capaci di inventarsi chissà che cosa pur di raggranellare qualche votarello unto e bisunto. Mi attendo ogni sorpresa.

Ma il re è ormai nudo.
Questo è un paese senza pudore e senza vergogna.
Basterebbe pensare che i due partiti politici che sommati rappresentano l’80% della classe politica dirigente nel nostro paese, nella disastrata regione Calabria, offrono allo sconcertato elettore la possibilità di scegliere tra Rosy Bindi e Domenico Scilipoti, capilista di PD e di PDL. In un paese normale, entrambi e per motivi diversi, dovrebbero prendere 0 voti.

Questo è un paese malato di Alzheimer socio-cultuale dove adesso fanno tutti a gara prospettando regali, offerte, proposte varie per “riformare” l’Italia, chi a destra, chi a sinistra, chi solidamente piazzato al centro pensando di fare il furbo.

Io voto M5s perché sono convinto che ormai sia troppo tardi per “riformare” l’Italia, come pensano loro.

Non c’è nulla da “riformare”
Non c’è nulla da aggiustare.
E’ come chiamare l’architetto per cambiare il colore delle pareti nel salone da ricevimento in prima classe, nel Titanic, dopo che è andato già a sbattere contro l’iceberg. Non serve a nulla. O meglio, non serve a evitare l’affondamento.

L’Italia deve ringiovanire, non fornire dei nuovi modelli di flebo a chi è già in coma.
L’Italia deve risorgere.

Noi italiani siamo fatti così, da bravi narcisisti vogliamo essere come Gesù, ma allo stesso tempo avendo la garanzia matematica -grazie a qualche conoscenza forte nell’aldilà-  che ci garantisca il fatto di evitare la crocifissione, la via crucis, le spine in testa, il dolore del trapasso.
Non è possibile.

Se un sistema marcio alle radici non viene prima buttato giù, non  è possibile rifondarlo.

La vecchia politica è allo stremo, in coma etilico, abbrutita dalla sbronza perenne bulimica della corruttela complice, ai danni della collettività, del popolo, degli esclusi da sempre, quelli che non sono rappresentati dalle oligarchie aristocratiche del privilegio costituito e garantito. E adesso reclama una trasfusione di sangue, una flebo alimentare, e proclama: “vi promettiamo che martedì 26 ottobre andiamo tutti all’anonima alcolisti”. Troppo tardi.
C’è chi è stanco della violenza degli ubriachi.
C’è chi è in grado di bersi un bel bicchiere di buon vino senza esagerare.
C’è chi ha mantenuto lo stato di sobrietà mentale, necessario e sufficiente, per comprendere che una nazione guidata da gente “ubriaca” non può che portarci allo scontro frontale.
C’è chi ha deciso di scendere dalla macchina e va a piedi.

Io sono sceso e voto per il movimento cinque stelle.

Il mio non è un voto di protesta, e chi lo sostiene non ha capito come stanno le cose.

Il mio è un voto di chi è perennemente scandalizzato da ciò che accade e ha bisogno urgente di presenze, non di assenze e di latitanze.

Questo è un paese senza.
Così ci hanno ridotto.

Ed è giusto che sia rappresentato a livello di massa da un movimento senza.

Come sostiene Beppe Grillo, il leader politico sceso in campo per sfidare gli alcolizzati dal potere, tanto per ricordare alla collettività da chi e come è composto il movimento:

Il MoVimento 5 Stelle è un movimento senza.
Senza contributi pubblici
Senza sedi
Senza strutture
Senza giornali
Senza televisioni
Senza candidati pregiudicati
Senza candidati presenti in passato in Parlamento
Senza faccioni civetta presentati come capilista in tutta Italia
Senza compromessi
Senza inciuci
Senza leader
Senza politici di professione
Senza corrotti
Senza tangenti
Senza responsabili regionali, provinciali
Senza capibastone
Senza candidati scelti dalle segreterie dei partiti
Senza candidati con un incarico attuale in Comune o in Regione
Senza alleanze con i partiti
Senza un passato di cui vergognarsi
Senza candidati fuori dalla propria circoscrizione elettorale
Senza ideologie
Senza assicurazioni
Senza banche
Senza respiro
C’est la difference.

Voto M5s perché ho voglia di un paese giovane, con attivisti che ci prospettano la sceneggiatura del film “Italia” più vicina a una commedia romantica della Hollywood anni ’30, come in “Mr. Smith goes to Washington” dove l’ingenuo e spaesato James Stewart sfida i grossi marpioni politicanti al congresso e li batte vincendo, nel nome di una ritrovata voglia di rappresentare gli interessi della collettività, che non piuttosto a un film horror degli anni’90 diretto da Wes Craven. Per non parlare dell’aggiunta, decisamente trash, degli apparenti antagonisti fascisti e comunisti: cariatidi battute dalla Storia ingozzate di demagogia spicciola buona ormai per i gonzi.

Voto M5s perché ho voglia che il paese si scrolli di dosso il peso della silenziosa (quanto censurata) guerra civile che ha insanguinato e distrutto l’Italia per 67 anni, quella tra la destra oltranzista e la sinistra serva, ben foraggiati entrambi chi dalla Cia chi dal KGB, abilmente trasformati in pseudo-democratici dopo il 1993, a conclusione della guerra fredda.

Voto M5s per mandare in pensione gli incompetenti, i miserabili piccolo-borghesi, i clientes di tutte le razze, con appresso tutte le loro numerose famiglie.

Spazio ai giovani (non solo in senso anagrafico), spazio a chi se lo merita, spazio a chi vuole riformare l’Italia, spazio a chi vuole una rivoluzione cuturale.

Votare per il M5s comporta un salto mentale politico evolutivo.

Vuol dire entrare nel post-Maya.

Vuol dire aprirsi alle categorie nuove dell’all inclusive, come nella pubblicità dei cellulari.

Vuol dire abituarsi al fatto di trovarsi insieme ebrei sionisti con la kippà in testa accanto ad antisemiti con un passato in Casa Pound, sostenitori della diversità multi-etnica accanto a chi odia gli zingari e gli emigrati, ex comunisti staliniani ed ex fascisti mussoliniani, settentrionali e meridionali, massoni e clericali, atei e credenti, maschi e femmine, vecchi e giovani, intellettuali colti e analfabeti arrabbiati, a condizione che tutti, ma proprio tutti NESSUNO ESCLUSO, accettino il principio del riconoscimento garantito della diversità, accogliendo, riconoscendo e comprendendo il bisogno di ogni fragile essere umano di conservare il proprio feticcio di provenienza famigliare, perchè siamo tutti niente di più che piccole formiche spaventate, bisognose di aggrapparsi ai simboli, alle bandiere, ai gonfaloni, agli striscioni, per sentirci parte di qualcosa. E se qualcuno si sente meglio perchè sopra al letto ha la foto di Stalin o di Mussolini, di Togliatti o della Vergine Maria, chi se ne importa, purchè sia chiaro che valgono quanto i santini che certe persone si portano dentro al portafoglio: emblemi di una superstizione necessaria per affrontare il dolore quotidiano dell’esistenza. E niente di più. Perché tutto ciò appartiene a un mondo reale che non esiste più. Il mondo vero, reale, quello del post-Maya ai suoi primi vagiti è un mondo all-inclusive, senza razzismi, senza prevenzioni, senza discriminazioni, senza stereotipi, senza antagonismi, perché punta all’armonia degli opposti, perché supera il divide et impera imposto dal Potere per fondare un’idea sociologica di carattere ecumenico: nessuno per nessun motivo deve essere mai escluso dall’accesso al mercato, dall’accesso all’istruzione pubblica, dalla copertura sanitaria, dall’abbraccio amichevole di una collettività che gestisce e amministra la cosa pubblica nel nome del bene comune.

La società post-Maya abbatte l’ego e trasforma l’idea di Cosa Nostra caratteristica di ogni lobby, di ogni mafia, di ogni setta, di ogni gruppo oligarchico in Casa Nostra: la società come luogo d’incontro che sintetizza le verità di ciascuno, chiunque egli/ella sia.

Voto per il M5s perché è post-ideologico.

E voglio che in parlamento ci vadano persone con una bella faccia pulita, gente che non ha promesso un bel nulla a nessuno, che non ha secondi fini, la cui unica grande ambizione –autentico collante del movimento- sia la gran voglia di dar voce alla richiesta del compianto giudice Paolo Borsellino quando nel giugno del 1992 ebbe a dire “chi sa parli e dica ciò che sa, questo è il momento” perché loro saranno presenti nelle commissioni parlamentari e ci racconteranno come stanno le cose, come violano la Legge, come rubano i soldi, come avviliscono il futuro delle giovani generazioni rendendolo nero, crudo e lontanissimo da vedere.

Tra chi vota per il M5s e i candidati che saranno eletti si è firmato un contratto sociale, è l’unica garanzia richiesta a gran voce.

Pretendiamo un regalo doveroso che vada a riempire il vuoto angosciante prodotto dalla classe politica italiana, ormai impresentabile perchè moribonda; un unico regalo vogliamo ed è ciò che chiediamo loro, convinti che ce lo daranno.

Regalateci la possibilità di poter andare ad Amsterdam, a Praga, a Barcellona, a Londra, a Berlino, a Copenhagen e a Bruxelles, consentendoci l’inusuale novità di poter dire a tutti “sì io sono un europeo italiano e sono orgoglioso di esserlo”.

Ridateci l’orgoglio di essere quel Bel Paese che eravamo e che saremo di nuovo se lo vogliamo.

Abbattiamo il sistema medioevale, rimbocchiamoci le maniche e attivamente ricostruiamo questa nazione dalle fondamenta, nessuno escluso.

Occupiamoci dell’Azienda Italia.

Fateci sentire in Europa cittadini di serie A.

Ridateci l’Italia che i marpioni ci hanno portato via nel nome del loro privato interesse di casta medioevale.

Io ci credo.

Per questo voto M5s.

Perchè guardo al futuro.

Alla vita dei miei figli, ci tengo.

Mandiamoli tutti a casa.

Perché, come diceva il titolo di un libro uscito più di venti anni fa “anche le formiche nel loro piccolo si incazzano”.

Sarebbe ora.

lunedì 18 febbraio 2013

Andare a votare. Perchè?



di Sergio Di Cori Modigliani


Impensabile,  finchè non si manifesta.
E siamo costretti a pensarci su.

Incredibile, finchè la realtà ci conferma che è avvenuto.
Quindi ci possiamo credere.

Inconcepibile, finchè la notizia non rivela l’esistenza di una realtà diversa.
In tal modo, si può concepire e incorporare l’idea di un cambiamento.

Perché se l’abbiamo pensato, ci abbiamo creduto, lo abbiamo concepito e la realtà ci conferma della sua esistenza, allora vuol dire che è possibile, e la probabilità da speranza si trasforma in certezza.

E’ il momento civile in cui l’Utopia batte il Cinismo, la Volontà batte l’Ignavia e gli Ideali vincono sullo strapotere del Danaro.

Chi mai avrebbe immaginato poco più di 100 anni fa, in Gran Bretagna, sotto la Regina Vittoria, quando Oscar Wilde languiva in galera, condannato solo perché omosessuale, che un giorno l’Impero Britannico avrebbe reso legale il matrimonio tra gay e Sua Maestà avrebbe invitato coppie omosessuali al formale ballo di corte di Capodanno?

Chi mai l’avrebbe creduto, in Usa, in quel terribile e tragico aprile del 1968, quando il più pacifico, nobile e disinteressato leader dei neri d’America, il reverendo Martin Luther King, veniva barbaramente assassinato? Chi avrebbe osato pensare che, di lì a 40 anni, il popolo statunitense avrebbe votato un nero come presidente?

Chi avrebbe mai pensato in Sudamerica, soltanto dieci anni fa, che Cile, Uruguay, Bolivia, Brasile e Argentina, avrebbero trovato il coraggio e l’abilità di dire no alle politiche di rigore e di austerità del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale spingendo il Sudamerica fuori dalla depressione verso il benessere economico?

Chi mai avrebbe potuto credere, soltanto un anno fa, che nella più selettiva, maschilista e oligarchica società del pianeta, l’India, decine di milioni di giovani maschi sarebbero scesi in piazza accanto alle loro mogli, fidanzate, figlie, sorelle, amiche, colleghe, reclamando la pena di morte per seviziatori e stupratori e pretendendo che le donne indiane vengano considerate prima di tutto delle Persone?

Chi, a Siena, avrebbe mai pensato che l’intero management della loro banca, il simbolo italiano dell’oligarchia del privilegio partitico, sarebbe finito in galera sotto l’accusa di associazione a delinquere, truffa aggravata e comportamento criminale?

Eppure, tutto ciò è accaduto. Si è verificato. E una idea, una speranza, è diventata realtà.

Sappiamo già che martedì 27 febbraio 2013, in Italia, si sarà affermata la reale volontà dell’elettorato e finalmente ci saremo liberati per sempre del cavaliere Silvio Berlusconi e dei suoi alleati, seguaci e complici.

E non si tratta né di auspicio né di speranza.

E’ la certezza che nasce da un incessante e quotidiano lavoro da parte di milioni di cittadini italiani che non hanno mai smesso di investire la propria energia, il proprio tempo, la propria individuale qualità affinchè questa Idea da progetto auspicato diventasse realtà statistica.

A questo servono le elezioni, a questo serve il voto democratico: a battere il cinismo collettivo che “passivizza” l’anima e impedisce la ripresa della nazione; a vincere la battaglia contro l’ignavia, la pigrizia civica, lo scetticismo, la depressione, il narcisismo individualista.

Dipende da tutti noi, insieme, mandare definitivamente in pensione le mummie storiche di questa nazione e iniziare un nuovo corso, pur sapendo che il difficile è davanti a noi.

Perché i lombardi avranno la possibilità di dire no alla ‘ndrangheta e di ridurre l’accoppiata pidiellina-leghista a ciò che è sempre stata: niente di più che una banda di affaristi senza scrupoli, alla disperata caccia di una legittimazione ufficiale per potersi appropriare del bene comune e godere di immunità, impunità, sulla pelle dell’intera collettività.
Martedì mattina, Maroni e Formigoni e Berlusconi saranno stati mandati a casa. E così i grossi papaveri piddini a Siena e Scilipoti a L’Aquila, dato che è capolista in Abruzzi per il PDL; e così anche Storace nel Lazio dove era presidente 10 anni fa e voleva ritornare ad occupare la stessa poltrona per rifare il pieno un’altra volta. Andrà così.
Se ne stanno andando tutti a casa.
Loro lo sanno.
Anche noi.
Perché se così non fosse, se i senesi non avranno il coraggio e il garbo di bocciare tutti i candidati piddini che hanno sostenuto e gestito la banda di MPS, se gli aquilani non avranno l’intelligenza e l’ardore necessario per impedire a Scilipoti di rientrare in parlamento, se i lombardi non diranno con il voto un secco no alla ‘ndrangheta e a chi li sostiene, se i laziali non dimostreranno che hanno memoria, dato che le ferite finanziarie sono ancora aperte e sanguinanti, e bocceranno chi a suo tempo li ha depredati, ebbene, nel caso remoto e assurdo il PD dovesse stravincere a Siena, Scilipoti a L’Aquila, Maroni e Tremonti in Lombardia e Francesco Storace nel Lazio, allora vuol dire che questo paese ha deliberatamente, volontariamente e consapevolmente scelto la propria totale distruzione a brevissima scadenza.

Il nostro voto diventa una modernissima arma d’istruzione civica collettiva e abbiamo la possibilità e l’opportunità di mostrare e dimostrare che l’Italia è ancora viva e giovane e non si rassegna: mandiamo a spasso le mummie e seppelliamo sotto una valanga di voti le stantie cariatidi che rappresentano ormai soltanto una fantasia di morte.

Riempiamo il parlamento di facce pulite.
Dipende da noi.

Non è più tempo per lamentele, per denunce, e tantomeno per le preoccupazioni.
Bisogna occuparsi, invece.
Bisogna crederci e volerlo credere e investire tutta la propria energia affinchè la nostra auto-profezia collettiva diventi realtà.
Occuparci di convincere i più riottosi e i depressi, gli scettici e i pigri, i pessimisti e i disfattisti, i delusi e gli addolorati, che dipende da ciascuno di noi il cambiamento.
Per fare in modo che l’assunzione di responsabilità individuale confluisca in un risultato elettorale collettivo tale da impedire agli oligarchi aristocratici l’esecuzione del loro piano di vero e proprio sterminio esistenziale della spiritualità, della cultura, della voglia di imprendere, del bello di ritrovarsi insieme per costruire una comunità di eguali anche e soprattutto tra dissimili.
Per fare ciò è necessario pensionarli tutti con un voto bello, prima di ogni altra cosa.
Un voto che sia entusiasta, convinto e convincente.

Se non lo facciamo noi, se domenica noi non saremo capaci di mandare a casa chi ci ha governati per buona parte degli ultimi venti anni e quelli che non hanno saputo fare una efficace opposizione, non sarà stata colpa di Goldman Sachs, di Angela Merkel, dei massoni o di vattelappesca.

Sarà stata solo e soltanto colpa della faccia peggiore degli italiani.

Tiriamo fuori dall’armadio il vestito buono, mettiamoci in tiro, e diamo tutti una dimostrazione estetica di che cosa –e lo dico sul serio- veramente vuol dire il bel paese.

Prima che i banditi, rientrando a sedere sugli scranni del parlamento, non  spengano la luce alle nostre ambizioni, ai nostri progetti, ai nostri desideri creativi.

Non votiamo chi ci offre qualcosa in cambio.
Non votiamo chi è convincente con il suo ultimo discorso.
Non votiamo una ideologia.
Non votiamo chi ci minaccia.
Non votiamo chi ci fa venire paura.
Non votiamo per paura.
Facciamolo con allegria.
Andiamo a votare ridendo, pensando alle loro facce, lunedì 26 febbraio alle ore 23.
Soprattutto andiamo a votare.
Andate a votare.
Non coinvolgeteci in un suicidio collettivo.

Loro, le mummie dell’oligarchia del privilegio costituito, sono soltanto dei volgarissimi predatori piccolo-borghesi, il cui unico interesse consiste nel salvaguardare fino alla fine le loro rendite di posizione ottenute con l’inganno, la corruttela, il ladrocinio.

Ci guarda tutta l’Europa.

Gli spagnoli, i greci, i portoghesi, gli irlandesi, i francesi, quei popoli fratelli aspettano la nostra risposta con il fiato sospeso.

Abbiamo la possibilità di essere, una volta tanto, l’avanguardia culturale del continente.

Non tiratevi indietro.

Andare a votare il 24 febbraio è un invito a una grande festa.

Il post- Maya è questo: è l’atto di costituzione della democrazia del popolo sovrano che irrompe nella Storia e stabilisce e decide che una intera classe politica dirigente ha fatto il suo tempo e la manda a casa.

Una buona volta per tutte.