martedì 27 settembre 2011

La Noia e la Paura: il Grande Paradosso di Paul Krugman



di Sergio Di Cori Modigliani

Tanto vale che cominciamo ad abituarci all’idea, anche se, all’inizio, può risultare ostica.
Si tratta di un paradosso molto forte, difficile da comprendere per la mente umana, perché siamo abituati a “viverli” in netta opposizione l’uno contro l’altra: si elidono a vicenda.
Eppure, si comincia a diffondere l’idea, in maniera sempre più invasiva –perché di cancro si tratta- che è, forse, una delle chiavi di volta della comprensione dello stato autentico dell’economia occidentale.
In un editoriale comparso ieri sul New York Times, dal titolo molto esplicativo e chiaro, “Il viaggio verso la morte dell’Eurozona” il premio nobel per l’economia Paul Krugman  rivela, nell’incipit del suo splendido articolo, la natura del Grande Paradosso che stiamo vivendo: “Is it possible to be both terrified and bored?” (E’ possibile sentirsi allo stesso tempo annoiati e impauriti?).
In teoria non dovrebbe essere possibile, essendo la noia –per definizione- uno stato di atarassia emotiva che non produce adrenalina e che spinge verso la sonnolenza e l’obnubilamento: nel bene e nel male.  La noia, per noi, si identifica con la mancanza di rigurgiti emotivi.
Al suo opposto esatto: la paura.
Uno stato psico/emotivo tale per cui l’intero nostro essere va in fibrillazione; è una costante biologica dell’essenza umana e determina gran parte dei nostri comportamenti, alcuni salvifichi (non attraverso la strada dove sfrecciano automobili a gran velocità perché ho paura, e così mi salvo la pelle) altri, invece,repressivi  e autolesionisti (anche se mi ha dato il suo numero a Lei non la chiamo, perché sono timido; così mi perdo un’occasione di vita).
Una persona annoiata non prova paura.
Una persona che ha paura, di sicuro non si annoia.
Da cui il successo dei film horror, ci regalano una paura risollevandoci dalla noia.
A Paul Krugman, invece, la situazione economica europea fa paura e lo annoia.
Lo sa benissimo che è un paradosso, incompatibile con la nostra mente. Bisogna abituarsi.
Spiega, infatti nel suo articolo sul New York Times“E’ così che io mi sento rispetto ai negoziati in corso in tutto il mondo rispetto alla migliore risposta da dare alla crisi economica, e penso che siano in molti a condividere con me questi sentimenti”.
L’accoppiata paura-noia.
La paura, per Klugman, nasce dalla consapevolezza –data la magnitudine della sua competenza tecnica e merito specifico- della “assoluta e totale inadeguatezza” delle misure prese in considerazione dalla classe politica europea, primo di tutto il pareggio di bilancio, da lui considerato una truffa ideologica e una idiozia economica. Quantomeno, oggi.
Ricordando la recente storia d’Europa, il nobel statunitense ammonisce come “questi signori non parlano mai, nei loro discorsi, del più clamoroso esempio in materia: la politica economica di Heinrich Bruning, cancelliere di Germania dal 1930 al 1932, la cui insistenza sul debito pubblico e sul pareggio di bilancio fu tale da peggiorare e aggravare la Grande Depressione in Germania in maniera ben più solida del resto d’Europa, provocando ciò che tutti ben sappiamo. Ora, io non voglio dire che mi aspetto accada qualcosa del genere nel 21°secolo in Europa. Ma non posso non richiamare l’attenzione tra l’ampio gap tra ciò di cui ha bisogno oggi l’euro per sopravvivere e ciò di cui i leaders europei sono disposti e disponibili a fare, perfino a parlarne. E data la situazione, è davvero molto arduo riuscire a trovare delle buone ragioni per poter essere ottimisti”.
Da cui, la noia.
Il Grande Sonno della Ragione: l’obnubilamento delle forze più volitive, creative, immaginifiche, sane e progressive dei tedeschi, dei francesi, italiani, spagnoli, olandesi, ecc.,ecc. La grande noia di un continente che sembra aver dimenticato la responsabilità della propria immensa tradizione storica che è stata –direi fino a pochissimi anni fa- culla e bacino della evoluzione della specie umana nel pianeta. Quantomeno negli ultimi 2000 anni.
Il Grande Paradosso offerto da Klugman sul New York Times nell’editoriale di ieri, sottende un’argomentazione ben più profonda e vasta, assolutamente silenziata, oggi, in Europa, soprattutto in Italia, e che riguarda il rapporto tra economia e politica e che spinge a porsi una domanda più che lecita:
E’ l’Economia, oggi, in Europa, ad aver determinato la più retriva e inutile classe politica mai prodotta nella Storia, oppure è la Politica ad aver provocato la crisi economica?
A questo punto ci sarà più d’uno che dirà “è il serpente che si morde la coda, dato che sono inter-connessi”.
Non la pensa così Paul Klugman.
Ed è ciò che insiste nel ricordarci di continuo, pestando duro, a tambur battente, almeno dal 2003, senza tregua.
Faccio qui riferimento a un suo libro davvero eccellente, vero e proprio caposaldo analitico ed esplicativo, uscito nel maggio del 2003 “The Great Unraveling” (La Grande Lacerazione, Norton publisher, New York) di cui è stata pubblicata una nuova edizione aggiornata, uscita in questi giorni, in francese, per il mercato europeo nord-occidentale. (da noi: nada de nada).
E’ forse il più esaustivo, complesso e chiarissimo attacco –spiegato in termini elementari, chiari, specifici- alla pattuglia oligarchica della destra reazionaria planetaria che si apprestava allora (eravamo nel 2002) a prendere il potere politico (quantomeno in tutto l’occidente) esercitarlo, così come ha fatto, e provocare e determinare l’attuale crisi economica, ultimo piolo della loro scalata verso il controllo politico mondiale monocratico.
Nel presentare la nuova edizione aggiornata, Paul Krugman cita una frase di un giornale satirico americano pubblicato nel marzo del 2001, due mesi dopo l’insediamento di George Bush jr. alla Casa Bianca: “Finalmente si chiude il nostro lungo incubo nazionale di pace, prosperità e ricchezza collettiva condivisa”. Di li’ a qualche mese gli Usa (e appresso il resto d’Europa) –come classe politica- provocano un imbuto che determina la diffusione globale del terrorismo, tre guerre mondiali (in Europa si tende a “far credere” che una guerra possa essere chiamata “mondiale” quando un bombardiere scarica il suo carico sopra Parigi o Londra, mentre la Royal Associations of Historians di Londra identifica una “guerra mondiale” quando “sono coinvolte in un conflitto bellico dichiarato almeno quattro tra le prime dieci potenze militari al mondo”) quattro recessioni economiche (2001, 2003, 2008 e quella attuale) ciascuna nettamente peggiore di quella precedente;  la creazione di 45 milioni di nuovi poveri –soltanto in Europa occidentale e Usa- lo stato di disoccupazione per 100 milioni di individui produttivi, la massiccia e perdurante  espoliazione della ricchezza della media borghesia a vantaggio di una oligarchia tecnocratica, un colossale deficit di bilancio, la crisi energetica e dulcis in fundo: gli scandali finanziari coperti dagli stati sovrani. A questo, bisogna aggiungere l’assonnamento totale della classe intellettuale  (e qui Krugman spende due parole per l’Italia, identificata come “senza dubbio alcuno la nazione più regredita dal punto di vista intellettuale di tutta la civiltà occidentale”).
Paura e noia.
Il Grande Paradosso prodotto dalla classe politica occidentale negli ultimi dieci anni.
Paura nel renderci conto che non siamo in grado di controbattere; noia nell’essere testimone di chiacchiere prive di senso, dibattiti volgari, scelte economiche inutili, appiattimento della relazionalità umana, sia inter-relazionale a livello di incontro tra singoli individui che collettiva.
“E' la cronaca degli anni in cui tutto ha ricominciato a girare storto. E' il tentativo di spiegare come e perché. Com' è stato possibile per un paese come gli Usa -con tali vantaggi accumulati da spingere addirittura tutti noi a pensare di poter semplicemente progredire- declinare invece così in fretta, e perché i nostri leader hanno preso decisioni tanto dannose. Questa è in gran parte una storia di leadership politica, di una leadership incredibilmente negativa, nel settore privato e nei corridoi del potere. Sul banco degli accusati è inevitabile che ci sia George W. Bush e la destra planetaria dietro di lui…..tra il 1992 e il 2000 le imprese americane aggiunsero ai loro libri-paga 32 milioni di nuovi lavoratori, spingendo la disoccupazione al livello più basso da trent' anni. Il pieno impiego voleva dire posti di lavoro veri, e una chance di farcela per quelle famiglie che erano cadute nella trappola della povertà. Gli indici di povertà scesero nettamente, per la prima volta dagli anni Sessanta. Indici sociali come la criminalità mostrarono un miglioramento spettacolare e alla fine degli anni Novanta New York era tornata ad essere sicura come a metà degli anni Sessanta. Si determinò uno straordinario aumento di produttività consentito dalla diffusione delle nuove tecnologie perché soltanto  un' economia dove la produttività cresce, può distribuire i guadagni e migliorare il tenore di vita di tutti, creando bene collettivo e condivisibile”.
Nella sua analisi, Krugman, senza lasciarsi andare a infantili tesi complottiste, a interpretazioni prive di fondamento e alla diffusione di sintesi capziose e superficiali, identifica la genesi dell’attuale catastrofe (verso la quale ci stanno spingendo) nella presa del potere da parte di una classe politica che è stata “psicologicamente colpita da un’ansia di rivalsa, dalla voglia di rivincita di classe  che ha animato i neoconservatori. Dal punto di vista economico è quasi incomprensibile il sacro furore che ha spinto l' amministrazione Bush a smantellare lo Stato sociale e la progressività del prelievo fiscale. La destra parla e agisce come se l' America di oggi fosse l' Inghilterra che trovò Margaret Thatcher al suo arrivo a Downing Street nel 1979: un paese plasmato dal laburismo, dalle nazionalizzazioni, dallo strapotere sindacale. Ma in America i ricchi se la sono cavata molto bene negli anni 90, mai come allora in tutto l’occidente la media-borghesia aveva accumulato ricchezze e spingeva verso il progresso collettivo seguitando a creare lavoro, opportunità, piena occupazione. Perché tanto odio verso tutto ciò che lontanamente sa di redistribuzione del reddito? Le imprese hanno fatto profitti; perché quest' urgenza di abolire anche le tutele ambientali più modeste? Il potere e l' influenza dell' America non erano mai stati così grandi; perché questo impulso a distruggere le nostre alleanze e a imbarcarci in avventure militari? Tutto ciò, in realtà è stato l’ effetto e il prodotto di una cultura estremista. Ha vinto l’estremismo, camuffato da istituzione”.
Una analisi che condivido, perché presentata senza sbavature ideologiche.
In questi dieci anni è stato attuato (alla lettera) un programma che sembra scritto da un gruppo di terroristi che assume il potere. In maniera subdola e non facile da identificare per palati grossolani. Niente giacche di pelle come la Gestapo, niente olio di ricino da parte di squadre fasciste, niente colonnelli del KGB che accompagnano in Siberia, nessuna deportazione, uccisione, sterminio, cancellazione ufficiale delle leggi dello Stato di Diritto.
Hanno eroso la struttura dall’interno, criminalizzando gli intellettuali, isolandoli, sostituendo la facoltà del pensiero a quella dell’irrazionalità emotiva provocata dall’insurgenza di appetiti bassi (hanno abbassato tutti i chakra, direbbe una mia amica new age) disossando l’applicazione del Diritto,  producendo una società squilibrata, che non può che produrre personaggi squilibrati.
La cronaca italiana di tutti i giorni ci offre ormai, da Lavitola a Milanese, da Tedesco a Penati, da Terry de Nicolò a Nicole Minetti, delle immagini esistenziali raccapriccianti.
Lo splendido libro di Paul Krugman fa pensare.
Ci ricorda la necessità –pena la scomparsa definitiva della Grande Civiltà Occidentale- di rimboccarsi le maniche e lavorare per ricostituire, dalla base, quella classe pensante di intellettuali, di creativi, di artisti, di scienziati, di persone meritevoli e competenti, che hanno la responsabilità di poter fornire delle alternative esistenziali che poi produrranno la adeguata classe politica che sarà chiamata ad affrontare i nodi dell’economia.
Il 14 luglio del 1789, in realtà, è accaduto poco o niente: un piccolo fatto di cronaca locale, poco più di una zuffa (questa è la verità storica, tramandata poi con taglio hollywoodiano come una rivolta popolare di persone che volevano il pane) ma quell’evento divenne il simbolo di un qualche cosa che era stato costruito in decenni di pensiero condiviso, di libri, lettere, dibattiti, viaggi per incontrarsi, notti trascorse da Thomas Jefferson a discutere con Voltaire, idee che gorgogliavano, una lenta e potente marea la cui prima ondata si era prodotta intorno al 1730 che ha seguitato a macinare e produrre altre idee, pensieri, nuovi desideri, ipotesi, utopie, alternative di vita.
Semi che hanno prodotto una pianta esplosa poi –questo è il senso delle rivoluzioni- quando ormai il terreno era fertile.
Noi non ci troviamo all’alba del 14 luglio del 1789.
Chi lo pensa si sbaglia, e chi lo sostiene non sa che cosa dice. (ce ne stanno parecchi).
Usando come termini di paragone quelli della Francia del XVIII secolo, siamo intorno al 1730, siamo ancora alla necessità delle prime semine di pensiero nuovo, libero e avulso da quello vecchio, stantio, inutile, prodotto dal Pdl dal Pd e tutti gli altri appressso. Siamo sì e no all’inizio.
Ma non esiste alternativa. In questo senso il libro di Paul Krugman, “La Grande Lacerazione”, da poco ripubblicato nel nord d’Europa è senz’altro uno di quei semi, fertile, rigoglioso.
Sta a tutti noi lavorare da bravi contadini per far sì che possa produrre una qualche pianta.
Abbiamo un vantaggio (ed è anche una splendida notizia positiva) rispetto ai tanti liberi pensatori del 1730 che sapevano quanto sarebbe stata lunga la strada e temevano –avendo ragione- che non l’avrebbero vista nella loro vita: si sono immolati per regalare la pianta alle generazioni successive.
Oggi, pur non essendo il 1789, è necessario aggiungere però che non è neppure il 1730.
Il pensiero, quando è corposo e valido e sostanziale, sul pianeta terra, nel XXI secolo scorre e corre veloce. Molto ma molto velocemente.
Abbiamo il web, i social networks, la Cultura (quando e se è tale).
Ci siamo alimentati bene nella nostra infanzia e abbiamo letto tanti libri e abbiamo studiato e ci siamo applicati.
Basta che cominciamo a connetterci tra di noi, come i monaci amanuensi del medioevo.
Sapendo che ciò di cui abbiamo bisogno è una nuova classe politica, perché se non cambia la dirigenza politica non cambierà nulla: la vita peggiorerà. L’economia non c’entra.
Al di là del suo narcisismo professionale come nobel dell’economia, Paul Krugman ha rinunciato al primato dell’economia, spostando il baricentro sulla politica, e ci spiega come non sia possibile, oggi, per nessun economista al mondo –anche il più geniale e perfetto e lucido- poter fare più di tanto, davvero molto poco. E’ necessario ricostituire un tessuto intellettuale che non c’è, non esiste più.
La lettura e lo studio dei suoi libri possono essere davvero molto utili.
Per tutti quanti noi.

2 commenti:

  1. Oh bene, grazie! Il riferimento a Bruning era proprio il tipo di aggancio che stavo cercando. Posto che, nel mio piccolo, mi ero già reso conto che la misura in questione, adesso come adesso, sarebbe una bestialità, stavo cercando se non di convincere, almeno di instillare il dubbio in tutti quelli che mi capitano a tiro (è dura veh, le menti sono chiuse).

    La mia linea è quella di cercare di individuare i paralleli tra la situazione attuale e quanto di simile successo in passato, per poi tentare di scuotere la coscienza dei miei malcapitati discepoli acusmatici (.. si va beh più o meno) al grido di guerra "Historia magistra vitae i miei coglioni".

    E debbo tra l'altro dire che i paragoni tra la situazione attuale e quella degli anni trenta del secolo scorso sta diventando veramente preoccupante.

    Direi ci manca solo che qualche politico accompagni uno dei tanti provvedimenti massacra lavoratori (lavoratori che peraltro si fanno massacrare allegramente...) con un bel "il lavoro rende liberi" e siamo belli e sistemati.

    Come si dice in tedesco "Il lavoro rende liberi"?

    Cordiali Saluti

    Melman

    P.S. Oltre a Bruning, naturalmente tutto il post é eccellente!

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  2. Premesso che non possiedo neanche 1/1000 di competenza di Paul Krugman,devo però dire che modestamente la sensazione paradossale di noia e di terrore allo stesso tempo non è per me qualcosa di sconosciuto dato che la provo quotidianamente.
    Stasera ad esempio sono riuscito a guardare 10 min di "Ballarò" e provate un pò ad indovinare che cosa ha definito (ma forse sarebbe meglio dire "ripetuto a memoria" dato che sono certo che non sapeva di cosa parlava) Ignazio Larussa come obiettivo da raggiungere?
    IL PAREGGIO DI BILANCIO!!
    Qualcuno potrebbe sempre dire:"Vabbè ma Larussa fa parte del governo del bunga-bunga ,cosa pretendi?"
    Bene,e allora tornate indietro di una settimana e guardate,nella stessa trasmissione,che cosa ha detto Enrico Letta (pd).
    Come diceva qualcuno di nostra conoscenza:"Lasciate ogni speranza voi che entrate!"
    Ed in effetti sembra proprio così dato che,come scritto nell'articolo,
    si percepisce come normalità quello che è il peggiore estremismo politico, criminale economicamente e socialmente.

    Speriamo solo che ci si svegli presto dall'incantesimo...

    GEORG

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