giovedì 15 settembre 2011

Spielberg a Hollywood ricorda quando e come il cinema italiano "è stato talmente grande da rivoluzionare questo mezzo espressivo": la grande eredità del Maestro che nessuno può oggi raccogliere.

di Sergio Di Cori Modigliani


Quando dieci giorni fa, durante il Festival di Venezia, alla fine della proiezione del suo film -accolto da una selva di risate e fischi- la regista Cristina Comencini, parlando del pubblico disse "E' inaudito", e ancora più tardi, ai giornalisti, aggiunse "Una violenza mediatica che non ha paragoni, è inaudita una reazione del genere"...beh...in quel preciso istante, io ho capito perchè il cinema italiano non esiste.

O meglio "perchè il cinema italiano non esiste più".

Perchè è esistito.
Perchè esisteva.
Eccome, se esisteva.

Il cinema italiano, quando era grande, non era un cinema come tutti gli altri; come quello francese, o inglese, o statunitense. Era un cinema unico al mondo.

La chiave di comprensione della grandezza del nostro cinemachefu l'ha data tre giorni fa un regista che di cinema se ne intende, Steven Spielberg, nel presentare a Los Angeles la versione originale di La dolce vita, da lui restaurata al meglio perchè duri tecnicamente per sempre, nelle due versioni, quella ufficiale classica che tutti abbiamo visto -e che Fellini volle regalare al pubblico- e una supplementare (vera squisita chicca per gli autentici gourmet, cinefili feticisti dello schermo) comprensiva di altri 48 minuti che sono la somma di tutti i fotogrammi tagliati da Fellini in sede di montaggio.
Spielberg si è reso responsabile di quest'operazione per mostrare e dimostrare come e perchè basta aggiungere o tagliare una scena per distruggere un'emozione o, al contrario, renderla ancora più incisiva e rovente.
"Il cinema italiano ha svolto un ruolo fondamentale nella storia della nostra cultura" ha detto Spielberg "perchè ci ha spiegato la differenza tra il professionismo e l'arte. Essendo il cinema un'espressione nella quale la competenza tecnica e l'uso industriale del mezzo sono fondamentali, è abbastanza comune riuscire a costruire un prodotto cinematografico, magari anche eccelso, dal punto di vista tecnico-professionale inattaccabile e ineccepibile, che però dal punto di vista artistico non regala emozioni indimenticabili, tali da poter essere custodite nel proprio cuore per sempre. Si può essere degli ottimi registi tecnici, dei professionisti di eccezionale bravura, come, ad esempio -scusate l'immodestia ma voglio essere onesto- il sottoscritto che vi sta parlando, ma allo stesso tempo sapere, con consapevolezza, di non essere mai riuscito a fare dell'arte....di non essere mai riuscito a fare ciò che invece a Federico Fellini risultava così naturale, ovvio, facile. Lui, più di ogni altro, ha prodotto una rivoluzione psicologica e culturale nel cinema moderno, agli inizi degli anni'60, perchè ha introdotto -con un ammirevole coraggio da leone- il tema fondamentale di ogni artista che si rispetti quando racconta una storia: l'impietosa autobiografia, i raggi X della propria anima denudata, data in pasto al pubblico perchè ne facciano ciò che vogliono e ne discutano come e quando vogliono. E' un coraggio invidiabile, che ci ha indicato la strada da percorrere. Se non ci fosse stata La dolce vita e Fellini 8 e 1/2, forse qui a Hollywood non sarebbe mai venuto in mente di fare Il padrino e Woody Allen non avrebbe mai avuto il coraggio di girare Io e Annie".

Sono d'accordo con Spielberg.

I personaggi italiani che il cinema italiano ha regalato dal 1962 in poi, quelli raccontati da Germi, Zurlini, De Sica, Pietrangeli, Petri, Rosi, Pasolini, Risi, de Seta, Monicelli, Vancini (tanto per nominarne alcuni) erano allora non soltanto rappresentativi di una realtà oggettiva italiana, ma venivano presentati da scrittori e registi che quelle tematiche le avevano dentro le proprie arterie, perchè parlavano di se stessi, raccontavano delle realtà dall'interno che erano "emotivamente" convincenti perchè si sentiva l'odore artistico del vissuto sulla propria pelle.
Quella era la vera libertà.

Poi, sono arrivate le ricche mani dei ricchi partiti ad aggiogare gli artisti che si sono venduti per un piatto di minestra: un gulash con salsa nazi a destra, un bel piatto di penne alla vodka a sinistra.
E poco a poco, il cinema italiano ha smesso di raccontare delle storie dall'interno.

Basterebbe dire che non è stato prodotto neppure un film in cui il protagonista è massone. Neppure un film in cui il protagonista è un politico corrotto. Neppure un film che parla di Tangentopoli. Neppure un film di un comunista in crisi. Neppure un film di un fascista in crisi,. Neppure un film di un democrsitiano quando la democrazia cristiana è crollata. Neppure un film su un intellettuale, un giornalista, un artista, che ha detto no. Neppure un film dove le protagoniste femminili incarnano i personaggi veri che vediamo in televisione -nel bene e nel male- o di cui ne apprendiamo le vicende leggendo i rotocalchi, e oggi scorrendo il paginone di facebook. Nada de nada.

E il cinema italiano, dal secondo posto assoluto come industria cinematografica nel 1973 (grazie agli artisti di allora) è sceso al posto 42 e la televisione italiana che nel 1980 era situata al 2° posto dopo la BBC è scesa oggi al 19° posto, dopo la Bulgaria e prima dell'Uzbekistan.

Se Cristina Comencini, invece che insultare il pubblico, avesse avuto l'intuizione geniale di fare l'unico film che avrebbe dovuto fare, provocando una vera rivoluzione del costume, magari dandogli come titolo "Se non ora, quando?" -visto che va in giro a sostenere che il titolo è copyright suo- in cui raccontava al pubblico degli italiani la vita di una giovane di talento (come lei) intelligente e disperata, che approfitta di essere cresciuta in una famiglia di privilegiati corrotti, si fa iscrivere alla federazione romana del PCI dal padre, e invece che parlare di cinema, trascorre lunghi anni da un salotto all'altro ai parioli, da una riunione in cui si discute di appalti a un'altra riunione in cui si discute di appalti, pur di poter finalmente fare un film su una donna che vuole imporsi sul mercato, ma che un mattino si sveglia e si rende conto che il prezzo che ha pagato è stato quello di aver sottoscritto un'idea maschilista e corrotta dell'esistenza che ha portato oggi a una realtà che sta uccidendo il femminile. Una realtà tragica, che chiuderà ogni spiraglio aperto soprattutto alle donne e che seguiterà a promuovere soltanto gli amici di Cicchitto a destra e gli amici di Veltroni a sinistra, perchè seguiteranno a far lavorare le due uniche produzioni - di destra- che hanno semaforo verde in Mediaset e ad accogliere in Rai solo gli snob furbetti -a sinistra- di Fandango, con l'aggravante che vengono anche a spiegarci perchè loro sono puliti e gli altri no. Se soltanto la Comencini l'avesse fatto, invece di fare un film inguardabile per la sua idiozia sciatta, starebbero ancora applaudendo.

Se Giuseppe Tornatore invece di raccontarci inutili fantasie masturbatorie ci avesse regalato un film basandosi sulla confessione rilasciata a Cahiers du cinema nel febbraio del 1990 quando, alla domanda relativa a come avesse iniziato a fare del cinema, aveva risposto "Come si fa in Italia. Mi sono iscritto a un partito, sono diventato assessore alla cultura di un comune del sud dove per quattro anni firmavo le carte che mi davano da firmare. E mi dicevnao sempre: abbi pazienza, arriverà il tuo momento. Finchè un giorno mi hanno convocato a Roma e mi hanno detto che avevo fatto un buon lavoro, che mi dovevo dimettere per lasciare il posto a un altro. In cambio ho avuto il mio primo appalto a rai 3 e ho fatto Cinema Paradiso".

Se Tornatore avesse fatto un film raccontandoci la grigia ansia di un assessore alla cultura irresponsabile, che si vende alla logica dei partiti; se la Comencini ci avesse raccontato come le donne privilegiate organizzano la rivoluzione tra un salotto e l'altro ai Parioli, vestite di costosi abiti firmati e poi vanno ai comizi esaltando la lotta delle precarie pur di ottenere consenso prendendole in giro; se Luca Zingaretti ci avesse regalato la drammatica consapevolezza di un attore che sa di poter lavorare soltanto e soprattutto perchè il fratello è il presidente della provincia e non perchè si è bravi come Mastroianni; se Roberto Faenza invece che fare un film su Berlusconi -facendo un immenso regalo al premier, da lui molto ma molto molto gradito- ci avesse regalato uno splendido film (che stava nelle sue corde) sui pomeriggi in famiglia di Filippo Penati, del banchiere Consorte e delle scorribande sporcaccione degli executives delle coop rosse emiliane, allora il cinema italiano sarebbe ancora al secondo posto nel mondo.

E allora non sarebbe soltanto il cinemachefu ma regalerebbe delle emozioni che il pubblico riconosce come vere, che sente, riconosce e apprezza.

Ma non è un caso, se tutto ciò non accade.

Perchè l'Italia va come va.

Basta che ci risparmino i sermoni, le lamentele, e i giudizi moralistici sugli oppositori quando, invece, si è complici e responsabili, forse addirittura molto più di chi si intende criticare e addirittura abbattere.

L'Italia nuova non la si costruisce mandando a casa Berlusconi. Non cambierebbe nulla.
Berlusconi sarà costretto ad andare via, giocoforza, quando l'Italia sarà cambiata.
E' molto diverso.

Quando Cristina Comencini, piangendo calde lacrime, dirà ai giornalisti "certo non sono contenta, mi dispiace davvero aver sbagliato film e non essere stata in grado di comprendere la realtà, è terribile, spero di trarre giovamento da questa tragica accoglienza", ecco...allora, l'Italia forse potrà cominciare a rispecchiarsi.
Per il momento, seguiterà a essere lo specchio della classe dirigente, e dei privilegi immeritati che gode una intera classe di incompetenti, immeritevoli, privi di talento, capaci soltanto e soprattutto di fare le cose giuste, sapere come muoversi e avere la possibilità di chiamare al telefono qualcuno che dall'altra parte può sempre rispondere "Non ti preoccupare, vi scagionerò tutti".

Che poi sia Berlusconi, Bersani o Bossi, quale sarebbe la differenza se sul piano del comportamento esistenziale quotidiano si comportano nello stesso modo?

Ci manchi tanto Federico, ma proprio tanto.

Se non altro, ringraziamo Spielberg che ci ha regalato la memoria della consapevolezza di ciò che eravamo.
Di ciò che siamo stati.
E di ciò che, forse, potremmo di nuovo ritornare ad essere.

Certamente non con Faenza, la Comencini, Zingaretti, Tornatore e compagnia bella.

La differenza fondamentale tra i professionisti e gli artisti, come ha detto Saul Bellow, consiste nel fatto che "i professionisti hanno delle carriere da salvaguardare, gli artisti hanno, invece, soltanto delle vite da esibire".

Di vite vere, nei film italiani, nei libri italiani, ormai, non se ne vedono più.

Nessuno rischia se stesso: puntano soltanto a un buon vitalizio.
Che lo garantisca Walter Veltroni o Fabrizio Cicchitto, non fa molta differenza.

2 commenti:

  1. tutta questa gente che ora critichiamo sono nati e crescuiti insieme a noi.
    portano una maschera? certo, esattamente come noi, quando li guardiamo ci troviamo di fronte ad uno specchio.

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  2. L'emozione certe volte arriva anche leggendo un post sul cinemachefu, trovandovi frasi che non ci si aspetterebbe di leggere dove si parla di cinema, come questa:"se la Comencini ci avesse raccontato come le donne privilegiate organizzano la rivoluzione tra un salotto e l'altro ai Parioli, vestite di costosi abiti firmati e poi vanno ai comizi esaltando la lotta delle precarie pur di ottenere consenso prendendole in giro".
    Di inaudito, alla fine, c'è appunto il non poter udire più, il non trovare che quasi per caso, certo coraggio di dire a chi non sopporta di sentirsi dire che no, non hai dato il meglio che potevi e dovevi e i fischi li meriti per questo.
    Per trovare certe vere bravure italiane, oggi, bisogna affidarsi al teatro.
    Lì ancora c'è qualcuno che si mette in gioco sul serio, e per questo ti emoziona e te lo porti a casa, per i tristi tempi in cui si vive di niente, piuttosto che piegarsi a certi spettacoli o a certi film.

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