venerdì 27 gennaio 2012

In Memoriam....per un'Italia diversa.


Sei anni fa avevo pubblicato questo post.
Sottolineavo con forza l'assoluta necessità di coltivare la memoria storica collettiva della nostra nazione per affrontare il problema che il sottoscritto riteneva fosse fondamentale nel 2012: l'inatteso rigurgito del nazifascismo in Italia. Pensavo e speravo che il mio contributo servisse a stimolare un dibattito e un confronto sul tema.
Non fu così.
Restò una speranza.
Lo ripropongo oggi, esattamente come era.






di Sergio Di Cori Modigliani

Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.
                                                                             Art.21 costituzione della Repubblica Italiana.


Oggi, ufficialmente, ricorre il giorno della memoria, in ricordo delle vittime della persecuzione nazista ai danni degli ebrei, la cosiddetta Shoah, iniziata ufficialmente nel 1933 in Germania e conclusasi nel maggio del 1945.
Da quando è stato istituito il Giorno della Memoria delle vittime della Shoah, altre giornate sono state stabilite per ricordare avvenimenti che hanno sconvolto la storia del XX secolo. Personalmente sono d’accordo con lo storico Georges Bensoussan, il quale sostiene che “in tal modo si è venuta a creare una mistica della memoria che rischia di portare all’esatto contrario dello scopo che si prefigge, cioè a un’amnesia collettiva, in virtù del fatto che grazie alla forme retoriche e spettacolari che l’evento ha assunto lo ha trasformato in un fatto mediatico, e quindi questa memoria tende ad avvolgere i crimini compiuti di un’aura arcaica e ancestrale, isolandoli dal loro contesto storico reale, facendo così dimenticare che in realtà furono il prodotto più violento della nostra modernità”.
La Shoah, al di là delle testimonianze storiche, del lavoro degli storici, delle spiegazioni, delle risposte politiche e psicologiche che sono state date alla “soluzione finale” voluta da Adolf Hitler, è stato soprattutto –più di ogni altra cosa- un fatto esistenziale interiore, vissuto dagli ebrei sulla loro carne, sulla loro pelle, sulla loro identità.
Per gli ebrei, la Shoah non è un fatto storico, bensì un elemento emotivo.
La “memoria” di ciò che è accaduto non viene innescata alla mezzanotte del 26 gennaio per poi spegnersi alla fine del 27 gennaio, dopo le solite presenze dei soliti noti nei vari talk show, documentari alla tivvù, fotografie di repertorio. E’ una parte integrante e indissolubile del loro essere come persone sociali e non c’è momento della loro vita nel quale non mantengano dentro di sè il ricordo di quella tragica vicenda.
Da quando in Italia è stata creata la Giornata della Memoria, tutte le istituzioni e tutte le personalità politiche ai più alti livelli rappresentativi partecipano in maniera molto visibile, facendo in modo di garantire con la propria presenza una specie di assicurazione pubblica che in Italia, un fenomeno di questo genere non avverrà mai.
Ma allo stesso tempo, proprio in virtù di questo esagerato, lapposo e demagogico presenzialismo, è scattato un gigantesco fenomeno di censura e di negazionismo che si è sviluppato sempre di più negli anni, con geniale e strategica abilità, finendo per costruire una realtà storica che presenta la “soluzione finale” come un’aberrazione e una follia criminale dei tedeschi malvagi e con la consueta presentazione di italiani eroici che hanno salvato tanti ebrei tra il 9 settembre del 1943 e il 25 aprile del 1945 durante l’occupazione tedesca militare del suolo italiano.
Così facendo, la destra italiana partecipa in prima fila nell’esaltazione della Memoria Storica, nel nome di un’amnesia collettiva e subdolamente negazionista: non si parla mai di chi, quando e come ha iniziato ad applicare la soluzione finale nel territorio italiano, evento che si è storicamente verificato cinque anni prima che un solo tedesco entrasse dentro ai nostri confini geografici.
Questo è il motivo per cui mi rifiuto, in quanto ebreo italiano, nel giorno della memoria, di offrire ai lettori come immagine in bacheca la solita immagine di deportati ad Auschwitz, di bambini macilenti, di donne dalla figura spettrale con tanti cadaveri ammonticchiati, con i soliti tedeschi cattivi che indossano il cappotto di pelle nera.
In bacheca vedete la prima pagina del Corriere della sera in data 11 novembre 1938.
Basta leggere i titoli con attenzione per capire.
Il giorno “ufficiale” in cui il fascismo e Benito Mussolini gettano l’ultima delle loro maschere e danno vita alla più sconvolgente follia criminale mai perpetrata nella storia di questo paese: l’identificazione dei cittadini italiani di etnia ebraica (era sufficiente che fosse ebreo anche uno solo dei quattro nonni e dal 1941 anche uno solo dei quattro bisnonni) e l’attribuzione a quelle persone della dizione “appartenente a razza inferiore dimostrata scientificamente, e di conseguenza non capacitati né legalmente atti alla partecipazione collettiva e sociale in termini di lavoro, occupazione, attività statali, siano esse civili, militari o religiose”.
Con decreto legislativo firmato dal duce Benito Mussolini e controfirmato da Sua Maestà Vittorio Emanuele III di Savoia, Re d’Italia, coadiuvati da una lettera con sigillo firmata dal Papa che approvava a nome della chiesa cattolica di Roma tale editto, il fascismo creava –per la prima volta nella storia di questo popolo- il concetto legale di “pulizia etnica” stabilendo una gerarchia razziale e ponendo le condizioni per identificare cittadini di serie A e cittadini di serie B.
Di tutto ciò, presentato nei suoi aspetti narrativi ed esistenziali, in Italia si parla poco, pochissimo, quasi niente. Agli italiani è stato fatto credere che il fascismo sia stato una specie di semi-barzelletta un po’ farloccona, gestita da alcuni prepotenti magari un po’ esagerati (dopo tutto siamo italiani), una specie di farsa che poi si è trasformata in dramma sfociando in tragedia quando sono entrati in scena i veri cattivi, cioè la gestapo tedesca. Tant’è vero che nell’ultimo decennio è fiorita addirittura tutta una scuola di pensiero che finisce sempre nello stesso punto: minimizzare e “storicizzare” il fascismo, in tal modo riuscendo –da bravi italiani irresponsabili- ad attribuire l’esclusiva responsabilità dei fatti ai perfidi tedeschi. Non è stato così.
E poiché di memoria si parla, che memoria sia.
E’ una pagina della storia ancora negata, silenziata, dopo 73 anni, se ne parla appena e sempre in maniera confusa, pressappochista.
E’ stato invece l’atto ufficiale con il quale una banda di criminali ha eliminato il concetto di Legge, di Diritto Civile, emanando un decreto il cui unico scopo consisteva nell’avere carta bianca per eliminare fisicamente dei concittadini che non avevano commesso alcun reato, approfittando di tale evento per impossessarsi dei loro beni, dei loro averi.
Fu il primo atto storico di costituzione in Italia del concetto di “casta privilegiata”.
E non è certo un caso che non viene raccontata oggi la verità storica di quei tempi, perché troppi sarebbero i nessi con gli atteggiamenti e i comportamenti dell’attuale classe politica contro la quale ogni giorno ci si indigna.
I Scilipoti di oggi, i Borghezio di oggi, il mercanteggiamento ignobile dei voti in parlamento, sono figli legittimi del fascismo e delle leggi razziali. Da lì veniamo.
Ma gli italiani non lo sanno.
E solo attraverso il ricordo di una memoria di narrativa eistenziale privata è possibile sapere come sono andate le cose. A differenza dei "perfidi tedeschi" che dal 1945, assumendosi tutta la responsabilità dei loro atti, senza dar tregua a se stessi, invece di operare un processo di revisione, hanno aderito al ben più profondo collettivo senso di lutto generalizzato, per poi riemergere dal buio della Storia come una etnia rinnovata, aperta e disponibile ad una idea democratica autentica del vivere civile, in Italia invece si è scelta la strada della amnesia collettiva.
Provengo da una famiglia italiana che ha subito le leggi razziali, e tuttora ne porto su di me –che sono nato vent’anni dopo- le ferite e il danno subìto.
Mia nonna paterna, Rachele Bemporad, era una grande imprenditrice triestina. Era il più importante editore del regno, associata con l’ingegner Marzocco, da cui la celebre casa editrice Bemporad Marzocco. Il 12 novembre del 1938 (tutto avvenne in maniera molto veloce per approfittare dell’effetto sorpresa) si presentarono nel suo ufficio a Firenze dove era la sede centrale e le comunicarono che la sua impresa era stata requisita, comprese dodici tipografie e sei magazzini con 80.000 volumi dell’archivio. Non le consentirono neppure di telefonare a un avvocato. I conti correnti nelle banche vennero chiusi e i soldi trasferiti direttamente sul conto corrente intestato a “Ufficio Difesa della Razza”.
Ritornò a casa e comunicò a mio nonno che non avevano più nulla.
Mio zio, il fratello di mio padre, un precoce ed eccellente medico, era allora vice primario all’ospedale San Camillo, a Roma. Lavorava come chirurgo. Alle quattro del pomeriggio, dopo essere uscito dalla sala chirurgica per una lunga operazione venne convocato alla direzione sanitaria al pianterreno. Venne accolto da un suo collega, in divisa, un medico di vent’anni più anziano che mio zio considerava un inetto e pessimo medico, e aveva deciso di non volerlo neppure come secondo assistente in sala chirurgica. Costui gli comunicò che era licenziato, la sua laurea era revocata e non avrebbe mai più potuto esercitare la sua professione in Italia. Quel mediconzolo prese il suo posto (oltre, pare, al suo conto corrente nella banca dell’ospedale) e si auto-promosse vice-primario. Nomina che venne confermata immediatamente per “meriti acquisiti nel difendere la purezza della gloriosa razza italica”.
Mio padre, invece, aveva un suo studio commercialista tributario e di mediazione finanziaria in borsa.
Arrivarono alle ore 17 con la carta che certificava la sua cancellazione dagli albi professionali. Gli venne requisito l’ufficio e sottratta la proprietà e si impossessarono di tutti i conti correnti dei clienti, la maggioranza dei quali erano cattolici che non ebbero la possibilità di protestare. Chi lo fece, finì in carcere sotto l’accusa di “aver prestato la fiducia a individui appartenenti a razza inferiore”.
Mio nonno aveva sei tipografie. Era stato lo stampatore d’arte di Boccioni, di de Chirico e del grande Savinio. Anche lui, alle ore 19, si vide arrivare i funzionari dell’ufficio della razza che gli comunicarono la notizia dell’avvenuta espoliazione.
Iniziò così, in tutta Italia.
Bande di nullafacenti, approfittatori, opportunisti, andarono a spulciare nelle anagrafi di tutta Italia sperando di trovare un antenato ebreo nell’800 del vicino di casa per poter avere la scusa di presentarsi a casa di qualcuno e portargli via tutto, oppure ricattarlo e imporre il pizzo. Furono milioni gli italiani che subirono il ricatto e pagarono mensilmente per anni una tassa clandestina perché non si sapesse che un loro nonno era ebreo.
In Italia nel 1938 bastava avere “un quarto soltanto di sangue ebreo nelle vene per poter giustificare l’applicazione dell’editto regio”.
Di queste storie, di queste vite stroncate, in Italia non se n’è parlato mai.
Mai.
Se non tra ebrei.
Quando si parla della Shoah, avrete notato, in Italia si fa iniziare la storia dopo il settembre del 1943, quando sono arrivati i tedeschi. E invece era iniziato tutto cinque anni prima.
Fu l’inizio di una cultura che sostituì l’arroganza e l’avidità di denaro al concetto di merito e competenza tecnica.
E promosse i furbi, i cinici, gli approfittatori.
Tutte le tipografie dei miei nonni e i magazzini dei libri vennero venduti subito ad un prezzo dieci volte inferiore del loro valore ad un abile tipografo di Milano, un certo Arnoldo Mondadori, dotato di buone conoscenze in Vaticano, il quale si prese anche altre sei piccole ma solide case editrici nell’Emilia, a Torino, nel Veneto.
A gestire “culturalmente” l’operazione fu un certo Telesio Interlandi, direttore responsabile di una rivista che si chiamava “La difesa della razza”. Il suo editorialista di punta era un avvocato molto ambizioso, di Arezzo, che lavorava come assistente di ruolo alla cattedra di Diritto Pubblico a Roma. Si chiamava Amintore Fanfani.
Venti giorni dopo, a Napoli, il preside della celebre “scuola di diritto latino” della facoltà di giurisprudenza, Massimo Ferrara (cattolico), un giurista stimatissimo in tutto il mondo, contestò la legge razziale sostenendo che aveva una falla che ne decretava la sua inammissibilità. Si rifiutò di applicarla con dieci ebrei che lavoravano nel suo istituto.
Amintore Fanfani, accompagnato da Interlandi e da dieci squadristi si presentò in facoltà. Lo prese a schiaffi davanti agli studenti e gli impose le dimissioni.
Un mese dopo, Fanfani diventava ordinario alla cattedra che gli aveva sottratto.
Fu la presa del potere dei furbi, degli ignavi.
Fu l’assassinio della cultura d’impresa e l’inizio del seme dell’abilità trasformista.
Oggi, gli ebrei, in Italia non sono più il nemico istituzionale né il nemico di mercato.
La Storia è cambiata.
E’ molto peggio.
Siamo diventati tutti, ebrei sotto le leggi razziali, in questo gennaio 2012.
Oggi, il nemico delle istituzioni e del mercato, sono tutte le brave persone che pretendono di farsi valere sulla base del proprio merito, che vogliono entrare nel mercato e imprendere avendo accesso a opportunità che la Legge dovrebbe garantire a tutti per diritto costituzionale, sulla base del proprio titolo di studio e delle proprie capacità. Indifferentemente ebrei, cattolici, mussulmani, settentrionali o meridionali.
Ma subiamo tutti, la gogna delle leggi razziali.
Delle “leggi razziali” sui generis, invisibili, non scritte, non costituite. Addirittura democratiche e quindi impossibile da denunciare: colpiscono chiunque e dovunque.
Se oggi l’Italia è così com’è è anche grazie al fatto che è stata negata a questo popolo l’opportunità di avere accesso alla Memoria storica di quei tempi, perché pochi, pochissimi, sanno ciò che è veramente accaduto in Italia dall’11 novembre del 1938 in poi. Gran parte di coloro che approfittarono di quell’occasione per far carriera, per arricchirsi, scegliendo delle impensabili scorciatoie d’opportunità sulla pelle di altri, comportandosi come autentici criminali, sono finiti nei posti di comando nella Repubblica Italiana.
E hanno trasmesso ai loro figli e nipoti quell’interpretazione della vita e del lavoro.
Una concezione aristocratico-oligarchica del potere, basata sull’annullamento dei diritti dei cittadini, sulla cancellazione delle ambizioni, sulla negazione del rischio d’impresa, per poter far trionfare il malaffare. E la corruttela permanente mascherata sempre sotto il manto dell’ideologia, a seconda dei casi, delle mode, dei tempi.
Nel Giorno della Memoria, per renderla più attiva e viva, mi è sembrato giusto ricordare da dove veniamo cercando di non fare della piatta retorica, della demagogia consueta.
Non sono stati fatti ancora i conti con il fascismo che è dentro la spina dorsale della mente italiana, è per questo che l’Italia non riesce a riprendersi.
Ed è per questo che, oggi, i fascisti stanno rialzando la testa sotto nuove forme, nuove sigle, mentite spoglie.
Sanno che non è cambiato niente.
A questo serve la memoria, ed è per questo che è importante.
Perché, come diceva Elie Wiesel “se non sappiamo da dove veniamo, che cosa ci hanno fatto, che cosa abbiamo fatto, come possiamo pretendere di poter avere anche una minima nozione di dove stiamo andando?”.
Che i morti di Auschwitz riposino in pace l’eterno sonno dei giusti.


12 commenti:

  1. Questo articolo andrebbe diffuso ovunque.

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  2. Grazie Sergio per questo tuo intervento che fa piazza pulita della retorica nazionale. Purtroppo oggi ci tocca sorbirci il finto buonismo di Benigni, funzionale anche alla sinistra, o la storia di Perlasca e di tanti altri eroi, loro malgrado, strumentalizzati per nascondere la vergogna di questo passato che tu, con dignità ed orgoglio umano, giustamente denunci. Confesso che, pur avendo qualcosa in più dei tuoi anni, ignoravo la storia della Mondadori, di Fanfani e della Bemporad, che conoscevo soprattutto per l'editoria scolastica. E' obbrobrioso il parere del Papa sulle leggi razziali, in piena antitesi col messaggio del Cristo. E' vergognoso che ci sia ancora omertà su questa pagina oscura della nostra storia e soprattutto è inammissibile che gli eredi dei Fanfani, degli Almirante, dei Mondadori e di tanti prezzolati profittatori continuino a dettare le loro leggi ad un popolo tenuto volutamente nell'ignoranza storica. E' bene che si sappiano questi fatti e mi auguro che ci sia in tanti di noi uno scatto d'orgoglio e di dignità umana nel voler porre fine a tanto scempio. Purtroppo, temo che i giovani non siano più motivati e quelli della nostra generazione abbiano in gran parte tirato i remi in barca per godersi gli anni della pensione senza tanti sensi di colpa, giustificandosi con il ricorso al solito fatalismo italiota. Comunque tu fai bene ad essere in armonia col tuo essere, richiamandoti al tuo vissuto, consapevole che "gutta cavat lapidem", alieno da conformismi e trasformismi che sicuramente avrebbero potuto farti comodo. E del resto è la tua stessa storia familiare e di individuo a testimoniare che non avresti potuto essere diverso da ciò che oggi tu sei, coerente e pronto a metterti in discussione in prima persona per la difesa della dignità umana e della Tua Verità.

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  3. Grazie davvero, per questa preziosa pagina.

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  4. Se vogliamo aggiungere un tassello alla vergogna nazionale:

    "Giorgio Napolitano nasce a Napoli, il 29 giugno 1925. Nel 1942 , appena entrato all’Università, Napolitano si iscrive al GUF, il gruppo universitario fascista della facoltà di Giurisprudenza dell'Università Federico II di Napoli. Non è un semplice iscritto ma un attivo e fedele collaboratore".

    Forse, coerentemente con la frase citata di Elie Wiesel, potrebbe essere ancora utile capire come questo osannatissimo "custode della Patria" abbia potuto, l'indomani della sanguinosa repressione dei moti ungheresi, elogiare l'intervento dell'Armata Rossa dichiarando: «L'intervento sovietico ha non solo contribuito a impedire che l'Ungheria cadesse nel caos e nella controrivoluzione ma alla pace nel mondo».

    E ancora, pochi mesi fa, eccolo pungolare baldanzoso l'imbolsito Berlusconi ad intervenire per "liberare" la Libia, magari con qualche dolorosa ma necessaria strage di civili, ma per portare anche lì la democrazia. Quella stessa democrazia che Napolitano, in tutta la sua vita, non pare aver praticato molto, se non opponendovisi nei fatti con tutte la forza dell'unico organo che pare aver particolarmente sviluppato: la lingua, tanto sviluppato che pare averne due.
    Chissà, forse le onoreficenze massoniche, che colleziona con accanimento, gli sono state conferite proprio per questi "alti meriti". Certo che sapere della sua "commozione" in occasione della Giornata della Memoria di oggi, lascia qualche amaro dubbio.
    Ma tantè, la possibilità di un sincero pentimento finale non può essere pregiudizialmente negata a chicchessia.
    E poi, le primavere di re Giorgio sono tante e, forse, un preoccupante odore di zolfo comincia a sentirlo anche lui...

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  5. Pure io sono nato vent'anni dopo le leggi razziali e se ho imparato che il fascismo non fu quella barzelletta che vogliono farci credere è grazie proproio alla memoria raccontata da coloro che in quegli anni vissero e che ho avuto la fortuna di conoscere che ero ancora ragazzino.
    Io devo continuamente lottare contro l'ignoranza (con la stupidità non c'è verso) di coloro che a sostegno del regime fascista richiamano le solite "buone cose" fatte, a lor dire, come le pensioni, le bonifiche, ecc. dimenticando tutte le smisurate malefatte esercitate non solo verso gli ebrei e le altre minoranze ma anche su tutti gli altri, bastava una semplice antipatia o un sospetto qualsiasi da parte dei neo capetti locali (personaggi della stessa natura dei capponi da te descritti) o anche rifiutarsi di iscriversi se richiesto al partito per essere vessati, picchiati e derubati quando andava bene.E' raccontando loro quello che è accaduto per davvero che cominciano perlomeno a riflettere.
    Insomma ho ringraziato quelle persone che ora non son più e ringrazio te adesso: è questa la memoria che dovremmo serbare sempre con noi per non dimenticare, perchè non succeda di nuovo.
    Raffmoxtro LiveJournal

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    1. ..anche rifiutarsi di iscriversi se richiesto al partito per essere vessati, picchiati e derubati quando andava bene..

      Oppure iscriversi dietro richiesta al partito per vedersi magicamente perdonate e condonate certe malefatte.

      Come del resto succede regolarmente nella Italia repubblicana.

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  6. Per prima cosa mi congratulo,e non è la prima volta nè sarà l'ultima,sia con Modigliani autore del bellissimo e utilissimo articolo e discendente di una delle tante famiglie purtroppo vessate dal fascismo (e sottolineo anch'io che in questi casi si DEVE PARLARE di FASCISMO ITALIANO indipendente dal NAZISMO TEDESCO),sia con coloro i quali hanno postato questi bellissimi e istruttivi commenti che mi hanno illuminato su cose che non conoscevo (Napolitano/GUF).

    In seconda battuta vorrei sapere da Modigliani un pò più nello specifico (se ne ha voglia) che cosa è riuscita a fare la Germania rispetto a quello che invece non ha fatto l'Italia,per creare una società migliore e per cercare di ripartire dagli orrori del Nazifascismo.
    Grazie.
    Jack

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  7. Certo, se Mussolini, come avrebbe dovuto, lui che sapeva non solo della simpatia di molti ebrei verso il fascismo ma li aveva anche militanti e iscritti nel partito avesse detto a Hitler:
    -Mio caro Adolfo in Italia la differenza e' tra essere fascisti o non essere fascisti. -
    Quando nel 1946 Levi cerco' di pubblicare Se questo e' un uomo l'Einaudi lo rifiuto'. La Gallimard in Francia anche.
    Quando la Arendt visito' la Germania nel 1950 noto' che non c'era alcuna reazione al accaduto, non capendo se era un intenzionale rifiuto
    o peggio una autentica incapacita' emozionale.
    Oggi l'ebreo magari si chiama Ignazio Cutro'.
    Io risponderei alla Arendt. Si tratta di una vera incapacita' emozionale.
    Vorrei che fosse solo una difesa della mente umana di fronte all'orribile, all'immaginabile.
    Vorrei, appunto, ma non ci credo. Semplicemente siamo cosi.
    Ebrei, non ebrei, in questo siamo tutti uguali.

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  8. Mi unisco al plauso manifestato dagli altri commentatori all’articolo di Modigliani, il quale riesce in poche righe a condensare emozioni profonde con la realtà storica e la realtà politica del presente nel paese.
    L’articolo, datato il 27/01, si riferisce al Giorno della Memoria, all’Olocausto e pertanto è perfettamente in linea con quanto, nelle intenzioni dell’autore, doveva essere comunicato, fa però insorgere nel lettore considerazioni di tipo “eretico”.
    Il genocidio è stato, nella Storia, una pratica diffusa. Ma la pratica del genocidio in senso moderno, nasce con il genocidio del Popolo Armeno, tra il 1915 e il 1923, a cui Hitler si ispirò nel compiere la sua azione nei confronti degli Ebrei. Le leggi razziali, per quanto odiose, furono solo l’inizio non cruento di un orrore ed una vergogna senza limiti.
    Però è singolare che non esista un giorno della memoria per gli Armeni, come non esiste per le vittime non ebree della Deportazione. Ci siamo dimenticati che le leggi razziali non colpivano solo gli Ebrei, ma anche altre “etnie”, così come pare essere finito nel dimenticatoio il milione di Testimoni di Geova finito nelle camere a gas dei campi di concentramento di cui non c’è, di fatto, alcun giorno ne alcuna memoria.
    La condanna delle leggi razziali, per essere credibile da un punto di vista etico, deve necessariamente includere l’apartheid del Popolo Palestinese e la denuncia della condizione della città-campo di concentramento Gaza. Come mai non ci si indigna del mancato intervento dei caschi blu dell’ONU in Israele, stato colpevole di innumerevoli violazioni delle risoluzioni dell’ONU, anche e soprattutto, in materia di Diritti Umani?
    Ho letto di gruppi di Sefarditi e di Etiopi che denunciano l’applicazione di leggi razziali, da parte della comunità Askenazita, all’interno dello Stato di Israele. Ma di questo non si parla…non se ne può parlare senza essere accusati di negazionismo…alla faccia della ricerca della Realtà Storica.
    Dal mio punto di vista non trovo scandaloso che un gruppo di storici indipendenti faccia ricerche e sostenga che il numero di 6.000.000 di morti sia esagerato. Trovo scandaloso che non ci si indigni se le persone coinvolte fossero anche solo 6.
    Leggi razziali all’interno del Giorno della Memoria, o semplicemente uso strumentale dello stesso, per giustificare la politica americana in Medio Oriente a favore delle 7 sorelle e delle lobbies del petrolio?
    Se fosse una manifestazione etica, allora il Giorno della Memoria dovrebbe trascendere il suo significato specifico e diventare l’occasione per ricordare tutte, o perlomeno le recenti, vergogne commesse da esseri umani nei confronti di altri esseri umani. Si dovrebbe ricordare la Cambogia di Pol-Pot, il Ruanda, Darfur, Holodomor, il genocidio dei Kurdi Irakeni, oltre naturalmente la Shoah degli Ebrei. Ma così non è. Il Giorno della Memoria non è che una manifestazione retorica a copertura di interessi finanziari, a cui partecipano le più alte Cariche dello Stato, compreso il Presidente della Camera, allievo ed erede proprio di coloro che le leggi razziali le concepirono e le attuarono.
    Ha ragione Modigniani, noi italiani il fascismo lo abbiamo nel DNA, come sempre nel DNA abbiamo la vigliaccheria di non voler vedere le cos per come stanno davvero.
    Ma si: Italiani, brava gente!

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  9. Certo, certo.
    Se la sofferenza servisse a maturare gli uomini e i popoli ora non ci sarebbero due piu' grandi amici sulla terra di un ebreo e di un palestinese.
    Tutti e due hanno bisogno di una patria, tutti e due hanno bisogno di pace.
    Ma il palestinese dice:
    " Tu piccolo Fanfani sei arrivato quando non ti voleva nessuno, ho diviso con te la terra, i pascoli, il pane e il sale. Poi tu ti sei riprodotto, sei cresciuto e mi hai cacciato."
    Il giovane di Israele risponde: "..siete animali non si puo' convivere con voi"
    Oggi ci sediamo e commemoriamo l'Olocausto, un'altra delle nostre vergogne umane, forse la piu' grande. Ma la domanda resta uguale.
    Quando capita all'altro?
    Quando capita all'altro? Cosa?
    Se il nostro bisogno, il nostro interesse e' l'unica regola perche'
    mai mi dovrei emozionare, pentire, ricordare?

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  10. Oltre a pubblicare questo articolo sul mio sito, lo sto facendo girare anche in forma cartacea tra gli insegnanti della mia e di altre scuole. Eccellente e importantissima testimonianza.

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  11. mi unisco anche io all'elogio per le emozioni suscitate dall'articolo pero'.........
    finche' continueremo ad additare un nemico, quello si manifestera', sempre. e' una lotta senza fine, la fine arrivera' soltanto nel momento in cui desidereremo avere degli amici.

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