di Sergio Di Cori Modigliani
Mentre i popoli europei cadono nella trappola del tecnicismo, del mercatismo, e della banchizzazione del dissenso, e quindi protestano e marciano (vedi Grecia, Belgio, Italia e Portogallo) chiedendo sgravi fiscali, aliquote minori, difesa dei corporativismi e annunciano e proclamano scioperi locali di varia natura, invece, nelle due più estreme e potenti nazioni dell’occidente, America e Russia, la protesta è invece tutta, assolutamente politica.
L’immagine che vedete in bacheca è la fotografia di Nastia Karimova, membro di uno dei comitati promotori del movimento russo “per la libertà contro la dittatura di pensiero” che ha accettato di uniformarsi all’attuale trend planetario, costituendosi come “occupy Russia”. Il nemico, in questo momento, laggiù dalle parti di Mosca –come sempre- è “il generale Inverno”. Putin si lecca i baffi, aiutato dalla meteorologia che prevede per sabato 4 febbraio una temperatura intorno ai 30 gradi sotto zero. Il che equivale all’aborto della grande manifestazione di protesta contro la sua tirannide.
Eppure, i russi (onore al merito del coraggio civile) hanno deciso di non mollare.
E invece di sfidare astratti concetti che non sanno di nulla (tipo: Goldman Sachs, le banche, il destino, l’Europa in senso vago) chiamano a raduno la gente “sfidando il gelo dell’inverno”. E così Nastia, in bikini, insieme a Natasha Koulekova, Irina Komalenko e Gabrielle Schernenkova, in rappresentanza dei comitati locali di Mosca, S. Pietroburgo, Vlasta e Ekaterinburg, si sono piazzate per ore all’incrocio di grandi nodi stradali con i loro cartelli ""Il 4 febbraio alle 12 in piazza Kaluzhskaja - Il freddo non è terribile, saranno soltanto -30. Che uomini siete? Che cos’è una zaffata di gelo contro il ghiaccio perenne della dittatura?” Con abile e intelligente spirito di comunicazione si sono impugnate della retorica ultra-macho di Vladimir Putin per stimolare la gente, e soprattutto i maschi, a non farsi ricattare dal gelo. Basta coprirsi, è il loro consiglio. Venerdì distribuiranno migliaia di tavolette di cioccolata, thermos con il thè e hanno scelto e deciso di non mollare.
I pessimisti ritengono che sarà un flop totale e clamoroso e la fine del movimento.
Gli ottimisti puntano a portare in piazza 30.000 persone. Il che, nel caso si dovesse verificare, a -30 sarà un vero trionfo.
Non possiamo che far loro tanti auguri.
Nella Bay Area, dirimpetto a San Francisco, dove invece c’è il calduccio, a Oakland per la precisione, 35.000 attivisti di “occupy California” hanno organizzato la prima manifestazione di protesta priva di attacchi contro il 99%, contro le banche, contro la finanza. Slogan basico “Per la dignità della nazione”, “Per la libertà di stampa contro la censura in rete” “Per la priorità di libertà giustizia e fratellanza su tutto il resto” e hanno marciato inalberando i cartelli con le effigi non di Che Guevara o Vladimir Lenin, bensì di George Washington, Thomas Jefferson, Voltaire, in alcuni casi addirittura Napoleone, mescolato a Martin Luther King, a Malcolm X, ad antiche immagini di marines sanguinanti nelle paludi vietnamite.
E guarda caso, la polizia locale che fino a ieri aveva osservato con curiosità comprensiva la massa di persone che in maniera giocosa e variopinta protestava sostenendo “noi siamo il 99%”, questa volta è intervenuta con spietata durezza arrembante e dopo averli bastonati ben bene, ne hanno arrestati 3.000 che andranno sotto processo per direttissima la prossima settimana; con pesanti capi di imputazione.
Agli estremi geografici del mondo occidentale, dalle ultime spiagge a ridosso dell’America, fino alle gelide pianure degli Urali, c’è chi ha già abbandonato la sloganistica retorica contro la finanza speculativa, dato che tutti si sono accorti come –con abile mossa marketing- la destra oligarchica (cioè le stesse banche) si siano impossessati di quei concetti per dirigere la protesta. Quindi rendendola evanescente e sottraendole il Senso.
Sia gli americani che i russi stanno riportando la Politica al centro.
Sia agli americani che i russi scendono in piazza con nuovi slogan che non ammettono facili ambiguità da cartellonistica spicciola dal sapore pubblicitario.
Perché la lotta si sta radicalizzando e comincia –finalmente- a essere sempre più chiaro che lo scontro è squisitamente e totalmente politico e la discriminante è netta e precisa: chi combatte per salvaguardare i principii che hanno fondato la libertà civile in occidente e chi invece intende usare la retorica per riportare il pianeta ai nefasti bagordi medioevali pre-rivoluzione francese.
Con l’obiettivo dichiarato di farci regredire tutti, sotto il quotidiano ricatto dello spread, dei tagli, delle aggiunte, delle sottrazioni, delle moltiplicazioni. Un linguaggio che non appartiene ai popoli, non appartiene ai movimenti, bensì agli analisti finanziari. Basta che non si parli di politica vera, di idee, di principii, di sogni, di ambizioni, e che la gente pensi che il potere personale non esiste, che non ci sono alternative perché la scelta è “o loro o il baratro”.
Non è vero.
Ma nell’Europa continentale, da Oporto a Varsavia, questo, ancora non lo vogliono capire.
I primi moti che diedero inizio alla rivoluzione francese non nacquero per la carestia.
Si manifestarono perchè la borghesia che produceva e lavorava e voleva avere il diritto di inventare la propria vita stabilì che non era giusto vivere in un mondo dove il mio vicino di casa valeva più di me soltanto per il fatto che un decreto stampato aveva stabilito che nelle sue arterie il sangue aveva un colore diverso dal mio.
Auguro tanta buona fortuna ai fratell russi.
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