Alcune persone che mi conoscono bene, e sono quindi al corrente dei miei gusti e interessi, seguendo la mia attuale attività, mi hanno domandato in questi giorni: “Ma come mai, in questo periodo, ti occupi così furiosamente soprattutto di economia?”.
La risposta è:
“Non è possibile fare altrimenti. E’ assolutamente necessario. Anzi, è bene che noi artisti e ogni professionista della comunicazione che ci tiene all’affermazione della democrazia e alla salvaguardia dei valori costitutivi che hanno fatto progredire l’umanità negli ultimi 200 anni, si rimbocchino le maniche per studiare la faccenda. Del resto, Shakespeare, tra una commedia e l’altra, si occupava di problemi politici legati al senso reale dell’esercizio del potere dei re –e ci scriveva su delle tragedie, nonostante la sua vera, autentica, e profonda verve, fosse per le commedie leggere- e il geniale fondatore della cultura europea, Dante Alighieri, si è gettato nella mischia soltanto dopo aver scritto il “De Monarchia” molto prima di regalarci la splendida epopea della Divina Commedia”.
Splendida risposta, davvero!
Peccato che non sia mia.
E’ di Steven Spielberg. Ed è datata 23 febbraio 2008. E fa riferimento a una giornata da incubo da lui vissuta qualche mese prima, verso la fine di settembre del 2007, quando si trovò inseguito, nel centro di Hollywood, da una folla di dissidenti cinesi inferociti che ce l’avevano con lui.
Ma forse è il caso di raccontare per bene l’episodio. Non a caso censuratissimo. Non a caso passato sotto silenzio. Non a caso –nonostante avesse come protagonista uno dei più famosi protagonisti dello show business planetario- volutamente spinto nel dimenticatoio dal circo mediatico planetario. Lo stesso che oggi, irresponsabilmente, guida l’orchestra che allegra il ballo dei tecnocrati della destra planetaria, nel salone delle feste della prima classe del Titanic, mentre il comandante e i vari ufficiali di rotta si dilettano, tra un drink e l’altro, a lanciarsi in pista per esibirsi nell’ultimo ballo di moda della stagione.
Per Steven Spielberg, quel mattino del tardo settembre 2007, era una giornata come le altre. Toccava a lui il turno di accompagnamento a scuola di sua figlia Mariam. Alle ore 8.10 del mattino, usciva con la più piccola dei suoi figli, dalla sua villa a Santa Monica, California, senza avere il minimo sospetto di ciò che stava per accadergli. Si era accorto di un curioso quanto originale cicaleccio che proveniva dalla strada prospiciente, al di là del cancello di acciaio alto ben cinque metri. Forse, pensò, le due guardie di sicurezza stavano discutendo con la variopinta pattuglia di fans che di solito si accalca fuori delle case dei super vip a Los Angeles, con la speranza di vederli e magari ottenere un autografo o una istantanea originale. Mentre aspettava, per sua fortuna dentro il veicolo, che il cancello automatico si aprisse, il rumore della folla aumentava sempre di più. Finchè si rese conto che davanti a lui c’era una manifestazione di cinesi con degli enormi cartelli che lo insultavano. Ce l’avevano proprio con lui. “Vergogna”. “Spielberg sei un traditore”. “Spielberg venduto per qualche dollaro in più”. Accanto ai cinesi, una rappresentanza dell’organizzazione per i diritti civili del Santa Monica College con un enorme cartellone in cui si vedeva la fotografia del manifesto del film “Schindler’s list” e sopra la scritta “Spielberg odia gli africani: vergogna!!!!”.
Sconvolto da simile spettacolo, subito dopo aver accompagnato la figlia a scuola, si precipita in ufficio e chiama i più disparati consulenti di cui si avvale per avere informazioni dirette e attendibili sul mondo reale. Nessuno riusciva a capire di che cosa si trattasse. E così, Spielberg decide di mandare una delle sue segretarie a prendere due manifestanti, portarli nel suo ufficio per capire che cosa vogliano da lui.
“E’ stato così” raccontò, per l’appunto, qualche mese dopo, in una splendida conferenza stampa che NESSUNO in tutta Europa ebbe il coraggio di mandare in onda; non diedero neppure notizia dell’evento “totalmente per caso, che ho appreso alcuni dati e ho iniziato ad avere informazioni sull’olocausto della innocente popolazione sudanese, nel Darfur, in Africa. Chi mi conosce sa quanto sia sempre stato restìo ad usare questo termine “olocausto” per eventi dell’attualità. E invece questo è proprio il caso di farlo. Perché alcuni importanti e solidi economisti, strada facendo, mi hanno spiegato che da questa piccola regione dell’Africa dimenticata da tutti noi, potrebbe avviarsi l’inizio della più spaventosa crisi economica mai registrata in Occidente”.
E da qui una lunga spiegazione –con consegna ai giornalisti di uno studio di ben 245 pagine, frutto del lavoro di quattro mesi di 675 operatori internazionali presenti in Africa- sulle modalità “davvero perverse e inquietanti” del modo di operare cinese in giro per il mondo. Perché i cinesi hanno prima mandato lì aiuti umanitari. Poi hanno inviato medici e insegnanti. Infine, una volta radicati nel territorio, hanno venduto armi a due etnie contrapposte aizzandole l’una contro l’altra, e il profitto ricavato l’hanno investito acquistando bpt del tesoro americano e btp tedeschi, francesi e italiani, contribuendo a prolungare la positiva congiuntura economica in Europa. Risultato: 2 milioni di esseri umani barbaramente trucidati, una nazione spaccata in due, dieci milioni di individui ridotti alla fame, coinvolgimento di altre nazioni confinanti con suppletiva vendita di armi e un aumento dell’indebitamento europeo e statunitense nei confronti della Cina. In quell’occasione, Spielberg, sorretto da Robert Reich, valente economista ex consulente di Bill Clinton, il finanziere George Soros, i due premi Nobel per l’economia Klugman e Stiglitz, allertarono il mondo sulla tragica onda d’urto che la somma di eventi come quelli avrebbero finito per provocare nell’economia occidentale e planetaria. Perché i cinesi erano appoggiati “ufficialmente in maniera clandestina” dai governi allora in carica, Bush in Usa, Prodi in Italia, e poi i francesi, i tedeschi, gli inglesi. Applicando dei modelli matematici alla macro-economia, spiegarono come i risultati “da qui a cinque anni al massimo” sarebbero stati quelli di innescare una perversa spirale di mostruoso indebitamento planetario voluto dai consigli di amministrazione di 56 banche mondiali che gestiscono i mutui di approvvigionamento su commesse relative provenienti dai nazionali ministeri della difesa, finendo per provocare l’inizio di “una insostenibile conflagrazione economica che ci spingerà verso una depressione in Usa e in Europa, il cui impatto sarà micidiale perché inatteso e imprevedibile nelle sue forme e nelle sue manifestazioni”.
Il motivo per cui Steven Spielberg era salito su questo cavallo era legato al lavoro che, con grande entusiasmo professionale, aveva accettato di fare: “Direttore Esecutivo dell’organizzazione per conto del Comitato Olimpico della Repubblica Popolare della Cina per i giochi dell’olimpiade a giugno del 2008 a Pechino”, ovvero: il regista della manifestazione.
I dissidenti cinesi e un gruppo di economisti democratici erano andati a stanarlo presentandogli la realtà del mondo dietro l’apparente kermesse sportiva planetaria.
Spielberg protestò e ricattò la Cina “o vi ritirate dal Darfur e la questione finisce all?onu oppure io mi dimetto”.
Povero sognatore ingenuo.
Nessuno gli diede retta. Anzi. Venne addirittura osteggiato e accusato di voler distruggere le buone relazioni tra popoli.
Risultato: dopo quattro mesi di ricerche, dati, seminari e cifre, nel febbraio del 2008 Steven Spielberg annunciava pubblicamente le proprie “irrevocabili dimissioni da un incarico che mi disonora, offende la mia coscienza e turba la consapevolezza collettiva di ogni democratico statunitense e mi auguro anche europeo”. I soldi fino ad allora incassati (357.000 dollari) li restituì, comprensivi di interesse, consegnandoli alla Croce Rossa Svizzera perché li usasse per aiutare quella gente.
NESSUNO, allora, volle occuparsi della faccenda. Di questo evento, pochissimi, mantengono oggi il ricordo. Comparve un annuncio a pagina 16 sul Corriere dello sport, venti righe con il titolo “Spielberg si ritira dall’incarico di dirigere i giochi di Pechino: troppo lavoro” (un titolo che non invitava certo a leggere l’articolo).
Fine del racconto –e del recupero della memoria collettiva occidentale- sui fatti avvenuti tra settembre 2007 e marzo 2008.
Perché lo ripropongo, oggi?
Per rammentare al pubblico che oggi il potere tecnocratico dà libertà di dire e di esprimere la propria voce ma poi SILENZIA l'opposizione in maniera tranquilla, senza colpo ferire.
Semplicemente non se ne parla. Come nel caso di questa vicenda relativa a Spielberg.
Ecco, qui di seguito, di che cosa NON CI STANNO PARLANDO IN QUESTI GIORNI
La pattuglia di economisti che, allora, 2007, scelse di denunciare (ahimè INUTILMENTE) la vicenda del Darfur, è la stessa pattuglia di economisti che annunciò la vigilia della recessione economica di lì a pochi mesi e l’inizio della depressione economica di lì a tre o quattro anni al massimo (cioè entro sei mesi dalla data di oggi).
Adeso hanno cominciato a muoversi.
Si stano dando da fare.
Ma hanno bisogno di casse di risonanza.
E' necessario pungolare la gente e i media ( sigh doppio sigh) occupati da un esercito di irresponsabili beceri servi incompetenti, -i sedicenti operatori dell’informazione- (veri e propri guerrieri della in-formazione che sta definitivamente infermando l’intelligenza collettiva) i quali, seguitando a citare le inconcludenti affermazioni di Bossi o Formigoni –persone, entrambe, totalmente a digiuno di qualsivoglia conoscenza dell’economia e della pianificazione economica planetaria- non raccontano comedovequando, invece, sta operando chi può, perché sa, perché ha strumenti, perché ha conoscenze e competenza tecnica, perché ha potere e –ce lo auguriamo tutti- perché spera ancora di poter contare, per riuscire a combinare qualcosa in questi convulsi giorni di fine agosto.
All’età di 81 anni, George Soros, finanziere presidente del Soros Fund Management e dell'Open Society Institute, è volato in Europa ed è andato all’attacco frontale di Angela Merkel rilasciando una intervista di fuoco pubblicato sull’importante rivista tedesca Handesblatt in data 13 agosto 2011. “I mercati finanziari odiano l' incertezza ed è per questo che si muovono secondo modalità di crisi. I governi dell'euro-zona hanno fatto scelte per risolvere la crisi dell'euro, compiendo alcuni passi importanti nella giusta direzione, ma ovviamente non si sono fatti sufficienti progressi per calmare i mercati.
Nella riunione del 21 luglio i leader europei hanno avviato una serie di misure senza convinzione.
Hanno deciso per il nuovo Fondo europeo di stabilità finanziaria (EFSF) che sarà responsabile di affrontare i problemi di solvibilità dei singoli Stati responsabile. Ma non sono riusciti ad aumentare il suo volume di patrimonio.Così hanno perso credibilità.
Inoltre, il nuovo meccanismo sarà operativo non prima del mese di settembre. Fino ad allora, solo la Banca centrale europea può intervenire per evitare un crollo delle obbligazioni emesse dai diversi paesi europei.
In caso contrario, l'euro collasserà.
La riluttanza tedesca ha aggravato la crisi in Grecia. Si dovrebbe tenere a mente che un disordinato fallimento nei pagamenti o il ritiro anche di un piccolo paese come la Grecia innescherebbe una crisi bancaria paragonabile a quella che ha causato la Grande Depressione.
La domanda non è più se una moneta comune vale la pena. L'euro esiste, e il suo collasso causerebbe perdite incalcolabili al sistema bancario. In Germania possono quindi essenzialmente solo prendere una decisione per il salvataggio, e più a lungo si ritarda, più costoso diventa.
La crisi dell'euro ha avuto la sua origine nella decisione del Cancelliere Angela Merkel, che il default di un Paese non è il default dell'Unione europea, poichè ognuno deve garantire il proprio paesi. E' stata, quindi, l'esitazione tedesca che ha intensificato la crisi greca e ha messo in circolo l'infezione, che si trasforma ora in una crisi esistenziale per l'Europa.
Solo la Germania può invertire le dinamiche di disintegrazione europea.
Di fatto, fino al momento in cui la Germania non accetterà un regime 1-1 nel rapporto Euro - Eurobond, nonostante il suo rating "AAA", rimarrà in pericolo. L'unico modo in cui l'Europa può evitare questa trappola è quello di anticipare le reazioni dei mercati finanziari, piuttosto che aderire alla loro pressione dopo gli avvenimenti. Ciò richiederebbe un intenso dibattito, soprattutto in Germania, che, a causa del suo alto rating ed essendo la più grande economia in Europa, è costretta nella posizione di dover decidere il futuro del Continente.
Nella riunione del 21 luglio i leader europei hanno avviato una serie di misure senza convinzione.
Hanno deciso per il nuovo Fondo europeo di stabilità finanziaria (EFSF) che sarà responsabile di affrontare i problemi di solvibilità dei singoli Stati responsabile. Ma non sono riusciti ad aumentare il suo volume di patrimonio.Così hanno perso credibilità.
Inoltre, il nuovo meccanismo sarà operativo non prima del mese di settembre. Fino ad allora, solo la Banca centrale europea può intervenire per evitare un crollo delle obbligazioni emesse dai diversi paesi europei.
In caso contrario, l'euro collasserà.
La riluttanza tedesca ha aggravato la crisi in Grecia. Si dovrebbe tenere a mente che un disordinato fallimento nei pagamenti o il ritiro anche di un piccolo paese come la Grecia innescherebbe una crisi bancaria paragonabile a quella che ha causato la Grande Depressione.
La domanda non è più se una moneta comune vale la pena. L'euro esiste, e il suo collasso causerebbe perdite incalcolabili al sistema bancario. In Germania possono quindi essenzialmente solo prendere una decisione per il salvataggio, e più a lungo si ritarda, più costoso diventa.
La crisi dell'euro ha avuto la sua origine nella decisione del Cancelliere Angela Merkel, che il default di un Paese non è il default dell'Unione europea, poichè ognuno deve garantire il proprio paesi. E' stata, quindi, l'esitazione tedesca che ha intensificato la crisi greca e ha messo in circolo l'infezione, che si trasforma ora in una crisi esistenziale per l'Europa.
Solo la Germania può invertire le dinamiche di disintegrazione europea.
Di fatto, fino al momento in cui la Germania non accetterà un regime 1-1 nel rapporto Euro - Eurobond, nonostante il suo rating "AAA", rimarrà in pericolo. L'unico modo in cui l'Europa può evitare questa trappola è quello di anticipare le reazioni dei mercati finanziari, piuttosto che aderire alla loro pressione dopo gli avvenimenti. Ciò richiederebbe un intenso dibattito, soprattutto in Germania, che, a causa del suo alto rating ed essendo la più grande economia in Europa, è costretta nella posizione di dover decidere il futuro del Continente.
Questo sostiene Soros che ha aperto un dibattito frenetico in Germania (in Italia preferiscono farci ascoltare le idee di Bossi e Rutelli & Co). E’ stato subito appoggiato da Stiglitz, da Klugman, da 123 economisti, finanziaeri, imprenditori sia statunitensi che europei di primissima levatura.
In Italia (anche qui nesun megafono, notizie zero, zero pubblicità e dibattito zero) si sono mosse persone come Giuliano Amato, grande conoscitore di economia e del modello economico italiano ed europeo. . Insieme a Enrique Baron, Michel Rocard, Jorge Sampaio, Mario Soares e Guy Verhostadt, Giuliano Amato ha pubblicato il seguente documento che è apparso su Aspenia online (qualche giorno fa) e propone un corso d'azione per uscire dall'impasse: "L'Europa ha perduto la guerra tra i governi eletti e le agenzie di rating non elette. I governi cercano di governare, ma le agenzie di rating dettano le regole. Gli elettori lo sanno e alcuni Stati membri si oppongono a trasferimenti di bilancio verso altri Stati. Eppure, alcuni di essi, tra i quali la Germania, hanno profittato di un euro che ha un tasso di cambio più basso e più competitivo di quanto sarebbe in un'eurozona formata solo da un nucleo ridotto di paesi forti. Il default da parte dei paesi più esposti dal punto di vista del debito colpirebbe le banche e i fondi pensione nel centro dell'Europa come nella periferia. Nessuno è immune. La risposta è non meno Europa, ma più. Jean-Claude Juncker e Giulio Tremonti hanno proposto la conversione di una quota del debito nazionale in obbligazioni UE come strumento di stabilizzazione della crisi attuale. Siamo d'accordo."
A questo dobbiamo aggiungere ciò che l’economista Reich ha dichiarato ieri, 15 agosto, al Wall Street Journal: “Se la Merkel non accetta l’idea di lanciare gli eurobond dando vita a una politica comune che controlli i mercati e metta le banche sotto legislazione dei governi, l’Europa andrà a picco entro pochissimi mesi. Nel frattempo –perché è giusto che la gente sappia come stanno le cose sul serio- sarebbe un’ottima cosa per l’Europa se nazioni piccole come la Grecia, il Portogallo e l’Irlanda venissero spinte al default e sganciate dalla zona dell’euro, in modo tale da poter consentire a Germania Francia e Italia di varare gli eurobond. Se quelle piccole nazioni economicamente vanno in bancarotta e immediatamente subito dopo ANZI CONTEMPORANEAMENTE si fanno gli eurobond, allora è possibile evitare la catastrofe annunciata. Altrimenti non c’è scampo. Salterà tutto.”.
E’ ciò che tutti sostengono, quindi, oggi: è ciò che Angela Merkel non vuole fare. Si rifiuta.
La situazione, dunque, è la seguente: l’intero pianeta economico nella sua migliore crema, e nell’esercizio delle sue migliori intelligenze, avverte che o si fanno gli eurobond o l’Europa affonda entro pochi mesi. La Merkel sostiene che non è così.
C’ un punto, però.
Angela Merkel non spiega perché non funzionerebbe.
Secondo tre premi Nobel in economia e circa 250 menti pensanti con pesanti curriculum vitae alle spalle, il motivo è che la Merkel cerca di difendere profitti locali e miopi delle banche tedesche per approfittare di questa situazione ingoiando ogni banca europea con facilità.
“E’ davvero incredibile” ha spiegato il responsabile della Banca Mellon di New York, anche lui intervistato oggi su Wall Street Journal e sul New York Times “come la gente non si renda conto di ciò che sta accadendo. E’ come se la Germania, sul Titanic, stesse facendo i conti di quanti tedeschi, eventualmente, entrano dentro le barche di salvataggio, e una volta rassicurati del numero, proseguono le danze. Se non varate gli eurobond, vi condannate da soli alla depressione economica. E noi, qui in Usa, va da sé, vi verremo appresso”.
Queste sono le notizie dal fronte dell’economia.
Questo è ciò che dicono, sostengono e pensano i più importanti cervelli del pianeta in questo momento (riconosciuti globalmente, non è certo una mia opinione personale).
Una signora tedesca sostiene che sbagliano tutti, invece.
Io non posso che riferire, per spiegare le posizioni in campo.
Perché, intanto, tagliano soldi alla scienza e alla cultura. Chiuderanno l’Accademia della Crusca. Chiuderanno la Fondazione Fermi. Elimineranno circa 76 enti culturali in Italia che erano tra i pochi luoghi di produzione di cultura collettiva alta e formativa.
E’ per questo che oggi, più che mai, chi vuole dipingere un quadro, scrivere una novella erotica, comporre una canzone, o pianificare il proprio futuro, deve occuparsi di economia, deve informarsi, perché è l’unica possibilità di sopravvivere.
Se non sappiamo, se non ci informiamo, se non capiamo, non possiamo agire.
Sperando che, nel frattempo, la pattuglia ingloriosa e sciatta del circo mediatico italiota si decida a dar voce a veri esperti e persone competenti, risparmiandoci le ennesime kermesse di battute fiacche e volgari su Brunetta, Bossi, Casini o vattelappesca.
Sapere come stanno le cose E’ UN NOSTRO DIRITTO INALIENABILE.
Chiedete, cercate in rete, andate a leggere che cosa dicono i cervelloni.
Solo così aumentiamo le nostre probabilità di risveglio.
Auguro a tutti una bella ondata di freschezza.
In tutti i sensi.
Mhm... i cervelloni sono quelli che anni fa lodavano le taumaturgiche virtù della finanza creativa. Non saranno loro a tiraci fuori dalla cacca.
RispondiEliminaQuesta storia della germania puzza di GUERRA lontano un miglio, ci andrei con le molle.
Inutile negarlo, l'Europa è un'idea nata da presupposti sbagliati, un po' come quella dei "centri commerciali", mi si perdoni il paragone.
Accorpare per essere maggiormente competitivi.
E sì che anch'io me l'ero bevuta tutta di un sorso. Risultato: ora è la BCE a dettare la nostra agenda politica.
Fantastico.
Ti ho scoperto da poco, però condivido appieno quello che dici.
RispondiEliminaSaluti.
Orazio