Monica Bellucci -nuda su Vanity Fair nel numero in edicola il 27 ottobre 2010- dichiarava allora alla stampa: « non mi spoglierò mai più, mi dispiace per i miei fans: sono una donna matura alla ricerca di ruoli di grande impegno. Anzi: considero indegno e improprio insistere su questo punto».
Un Été Brûlant (Un'estate bolllente) di Philippe Garrel nel quale recita davvero poco (per nostra fortuna) perchè la sua partecipazione al film consiste per lo più in una (giustamente) orgogliosa esibizione delle sua avvenenza fisica. E niente di più.
Questa è la tradizione del cinema italiano.
Un tempo si chiamavano “film scollacciati”, di cui l’industria cinematografica italiana era campione d’incassi nella produzione ann’70, da “Giovannona coscia lunga” a “Quel gran bel pezzo dell’Ubalda tutta nuda tutta calda” da “La preside in calore” a “La zia vogliosa”, film di serie inferiore che allora furoreggiavano per il pubblico voyeur privo di esigenze, totalmente a digiuno di cultura cinematografica.
Questa tradizione è rimasta.
Ma c’era anche un’altra tradizione italiana. Mentre, infatti, negli anni’70 si proiettavano nei cinema questi film scollacciati, nella sala del marciapiede opposto si proiettavano i film di Luchino Visconti, Federico Fellini, Valerio Zurlini, Mario Monicelli, Pier Palo Pasolini, Vittorio de Sica, ecc.,ecc. C’era l’imbarazzo della scelta. Ed era giusto che fosse così. In realtà era una buona rappresentazione della nuova democrazia culturale: una industria cinematografica sana e vincente –com’era allora quella italiana- produceva film di ogni genere: a ciascuno il suo pubblico. Decideva, poi, il mercato e la critica cinematografica, per lo più a firma di autentici conoscitori del cinema.
Purtroppo, questa nobile tradizione è andata persa.
Oggi, invece, il cinema europeo (con, forse, l’eccezione della GB) non è più in grado di produrre nulla di decoroso. I film più interessanti visti negli ultimi anni (per chi conosce e ama il cinema) vengono dagli Usa, dal Canada, dalla Cina, dalla Corea, dall’Argentina, da Taiwan, dal Messico, dall’Iran, dal Pakistan, dal Brasile, da Israele. Non è certo un caso che nel 1972 l’industria cinematografica italiana era al 2° posto nel mondo (eravamo imbattibili) mentre i dati del dicembre del 2010 ci vedono relegati al 47°, dopo il Belgio e prima della Finlandia.
Non esiste nessuna serie televisiva prodotta in Italia da Rai o da Mediaset negli ultimi dieci anni che abbia varcato le Alpi.
Finiamo sulle prime pagine dei giornali soltanto grazie all’abilità del chirurgo estetico della Bellucci (come ha fatto notare James Ripkey sul New York Times) la quale è finita per diventare la bandiera di una industria che non esiste più e il simbolo di ciò che oggi l’Italia, come paese fornitore di modelli culturali e simbolici, è diventato:
Di questo film se ne sta parlando molto. Ma non per i suoi contenuti.
Neppure per la bellezza delle sue scene. Neppure per l’originalità della sceneggiatura che è peraltro di una banalità avvilente.
Se ne parla perché, a Londra, le agenzie di scommesse danno vincente alla 68esima Mostra del cinema di Venezia “i film con il numero più alto di scene sessuali hot” e il film della Bellucci è al primo posto perché i bookmakers lo danno 3 a 1.
Questa è la notizia. Tutto qui.
James Mackenzie, titolare di un’agenzia ufficiale a Brighton di scommesse, da ben 38 anni, ne ha viste di tutti i colori. Lui è specializzato in cinema e festival. “Venezia non conta più nulla per ciò che riguarda il cinema” racconta “è solo pubblicità, lavoro di agenti, amanti di politici, e quindi il pubblico degli scommettitori sa che finiranno per spingere soprattutto i film piccanti. E’ già stato tutto organizzato, compresi scandali e scaldaletti del solito George Clooney che deve chiudere il 10 settembre nuovi contratti per la pubblicità in Italia e quindi va già in giro a pagare tutti perché parlino di lui, così il 5 settembre il suo cachet è più alto.. Tutto qui. Ciò che conta, oggi, è chi ha il culo più bello e chi lo fa vedere di più e come e quanto lo fa vedere. La Mostra del cinema di Venezia, per noi è questo. Ho già raccolto 240 mila euro di scommesse”.
E così, la Bellucci, che aveva invaso i telegiornali l’autunno scorso, che era comparsa per ben quattordici volte (ripeto: 14) nei talk show a dicembre, gennaio e febbraio del 2011 –quando si parlava di bunga bunga e tutti erano più o meno scandalizzati- e spiegava alle donne italiane perché “non mi spoglierò mai più davanti alla macchina da presa, perché è arrivato il momento di veicolare un altro modello di donna” oggi rappresenta l’Italia come un corpo appetibile e niente di più. Era Porta a Porta, da Bruno Vespa, il 24 febbraio 2011, dopo essere arrivata in aereo da Parigi, appena finito di girare la scena più hard del suo film che spiegava ai telespettatori perché mai più si sarebbe spogliata davanti alla macchina da presa.
Contava sul fatto che l’Italia non ha memoria.
Gli italiani non ricordano nulla.
Strano mese, quello. Due giorni dopo, il nostro ministro degli esteri, Frattini, -tutt’un’altra dimensione- ci teneva a informarci sulle potenzialità democratiche di Gheddafi. Diceva, infatti (questa volta da Gad Lerner)
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