lunedì 26 settembre 2011

Finalmente esce in Italia un testo fondamentale di filosofia di Emmanuel Levinas: Bompiani pubblica l'edizione italian dei "Cahiers de captivitè"


di Sergio Di Cori Modigliani

Finalmente –anche se con agghiacciante ritardo pluri-decennale- esce in Italia un prezioso libro di autentica saggezza
E’ da poco uscito, presso l’editore Bompiani, un libro di impressionante quanto agghiacciante attualità. Soprattutto per il fatto che il suo autore non è Francesco Alberoni o Bruno Vespa, ma uno dei più sofisticati e squisiti filosofi prodotti nel secolo ventesimo dalla cultura francese. “Quaderni di prigionia” di Emmanuel Levinas ci immette in una realtà visionaria che ci serve per cercare –e tentare- di comprendere alcuni aspetti dell’attuale tragedia psico-sociale che stiamo vivendo nel mondo d’oggi. Levinas, va da sé, ci accompagna, in questo percorso, da filosofo. Il suo racconto, cahiers de captivitè, condensano le sue idee quando era prigioniero militare in un campo di concentramento tedesco. Ma gli appunti, strada facendo, si estendono e arrivano fino agli anni’60.
Nel descrivere la miseria della prigionia, della “monotonia delle recinzioni di filo spinato”, delle “mattinate piene di bruma in cui ci si muove per andare a lavorare” Levinas ci spiega l’ultimo atto della modernità, facendoci toccare con la mano lieve del Maestro di Pensiero l’ingresso nel paradosso della surrealtà che ormai domina e controlla il nostro operare umano quotidiano.
“ I prigionieri, per paradossale che possa sembrare, nella recintata distesa dei campi, hanno conosciuto un’estensione di vita più ampia e, sotto l’occhio delle sentinelle, una libertà insospettata. Non sono stati dei borghesi, ed è qui la loro vera avventura, il loro vero romanticismo…. Il prigioniero, come un credente, viveva nell’al di là. Non ha mai preso sul serio la stretta cornice della sua vita…Si sentiva impegnato in un gioco che oltrepassava infinitamente questo mondo di apparenze….in realtà si trattava di una privazione che ha restituito il senso dell’essenziale”.

La sua tematica filosofica ruota intorno a questo perno centrale di pensiero: la perdita del senso.
Questa, secondo Emmanuel Levinas, morto qualche anno fa all’età di 92 anni, è la grande tragedia dell’uomo post-moderno occidentale: l’impossibilità di riuscire a ritrovare un senso dell’esistenzialità che ci consenta di ricordare sempre a noi stessi la caratura della nostra profonda essenza umana, che troverà nei suoi scritti l’apice nel testo “Totalità e Infinito” datato 1961.
“Le cose si decompongono, perdono il loro senso: le foreste divengono alberi, tutto ciò che nella letteratura francese voleva dire foresta scompare (...) Ma non voglio parlare della fine delle illusioni; piuttosto della fine del senso (il senso stesso come illusione). Da lì è possibile ripartire”.
Levinas non offre soluzioni, non fornisce risposte, ma questo libro è un alimento nutriente che entra dentro. Regala uno strumento di comprensione della nostra realtà attuale che personalmente consiglio a tutti coloro che ancora amano la facoltà del pensare, che sanno riconoscere dei maestri inattuali. Che soprattutto vanno a caccia di Maestri, nell’accorgersi che due righe di citazioni su facebook non sono più sufficienti per sentire dentro di sé che la valvola pensante della nostra mente si apre, per consentire di connettere le pulegge del libero pensiero.
Non è lettura da Baci Perugina.
E’ complessa e corposa.
Ma è salutare.
Forse, chissà, addirittura, per qualcuno, anche salvifica.

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