mercoledì 26 novembre 2014

Notizie bomba dallo spazio e da Bruxelles.



di Sergio Di Cori Modigliani

Notizia del giorno: "La navicella sbarcata sulla cometa a 500 milioni di chilometri dalla Terra ha fotografato una base d'atterraggio aliena. L'ha pubblicato "The Washington Post". Ecco le impressionanti immagini diffuse in tutto il mondo".
Pubblicato questa mattina, ha fatto il giro della rete, diffuso anche su facebook.
Va da sè che si tratta di una sonora bufala. 
Da buontemponi, o da sciacalli dell'intelligenza, come volete.
Qualcuno ci ha guadagnato sopra, grazie all'innumerevole quantità di visualizzazioni.
A dire il vero, se c'è qualche disoccupato bisognoso che si fa qualche euro lucrando sulla totale mancanza di intelligenza delle persone, non mi dispiace.
Lo trovo un sistema infantile, ma non credo procuri alcun danno a nessuno.

L'aspetto che qui mi interessa sottolineare consiste nella facilità immediata con la quale è possibile verificare che si tratta di una falsità totale. Basta andare a controllare sul sito del prestigioso quotidiano. La notizia non c'è. 
Si scrive al giornale e si chiede conferma o smentita. 
Il tutto comporta qualche minuto di applicazione diligente.

Viviamo immersi nella totale mancanza di quella che un tempo era la base formativa dell'intelligenza collettiva e della sopravvivenza esistenziale. Il Buon Senso.

Ma non è casuale.

E' il perno -in Italia- intorno al quale ruota l'intero sistema mediatico dentro al quale siamo immersi.
La perdita del buon senso e del "Senso" tout court è diventato il cancro della società civile.

Recuperarlo, ripristinarlo, pretenderlo, diffonderlo, valorizzare questo elementare dispositivo, da molti considerato, con dichiarato snobismo, un modo piatto e banale di ragionare, è diventato -estremo paradosso dei nostri tempi- il più sofisticato sistema per affrontare la realtà complessa che stiamo vivendo e il modo scientifico più adatto per interpretare la complessità.

Questa mattina (mamma di ogni esempio) il presidente della commissione europea Juncker ha annunciato che "l'Unione Europea dà il via all'investimento di 300 miliardi di euro per rilanciare l'economia e garantire la ripresa a favore dei ceti più deboli e disagiati".
Andando a leggere il documento, gli esperti economici in grado di comprendere il linguaggio scritto della burocrazia hanno -immediatamente- spiegato che sono disponibili 31 miliardi da suddividere (inizialmente) spalmandoli su 28 paesi. 
In Italia, conti alla mano, ne arriveranno circa 700 milioni, quindi una goccia d'acqua, inutile.
Si tratta di una bufala che non ha niente da invidiare a quella della base aliena.
Non c'è alcuna differenza.
Basta andare a verificare, a controllare, e poi diffondere e divulgare i dati.
Non è difficile.
Ma bisogna volerlo fare, o quantomeno, sentirne l'esigenza.
A questo serviva, quando c'era, il "buon senso".
Oggi, la cupola mediatica provvede a cancellare questo istinto legato alla sopravvivenza.

Sapevatelo.

martedì 25 novembre 2014

Uno strumento critico di un poderoso intellettuale della sinistra ci illumina, oggi, sul percorso lungo il quale ci stiamo incamminando.


di Sergio Di Cori Modigliani

In questo post, presento all'attenzione dei lettori un contributo critico secondo me fondamentale per comprendere ciò che sta accadendo oggi nel mondo. 

Se si tende a proiettare la propria piccola realtà, quando si parla di "pensiero intellettuale della sinistra", la piatta e analfabeta società renzusconiana, nella quale siamo immersi, ci porta ad associare il pensiero di sinistra a individui che compaiono intervistati nei più seguiti talk show televisivi.
Il pensiero intellettuale del mondo progressista, quello che si richiama ai grandi valori nati dalla rivoluzione francese e alla tradizione culturale che un tempo aveva costruito un'Europa capace di essere avanguardia libertaria per tutto il pianeta, oggi, in Italia, è clandestino, nascosto, perchè non gradito nè al potere nè (ahimè, a quanto pare) a coloro che dovrebbero considerarlo come pane salvifico.
Perchè da noi sta scomparendo la capacità critica di dibattito, di argomentazione, di confronto, e più di ogni altra cosa sta scomparendo il desiderio di ricercare nei professionisti della cultura un punto di riferimento, di sostegno, di guida, di illuminazione. E' il risultato di una società ignorante e arrogante che aspira al cambiamento, alla evoluzione, in alcuni casi addirittura alla rivoluzione, pensando di non studiare, di rinunciare all'impegno e alla necessità dell'essere diligenti.
Viviamo in un mondo (quello italiano) in cui lo spettacolo della politica -e quindi tutti i loro protagonisti e comprimari- è stato sostituito dalla politica dello spettacolo, in cui quello che conta è l'audience, i contatti, il numero di visualizzazioni. Non è che un modello marketing liberista incorporato in maniera inconscia.
A questo bisogna aggiungere l'ultima grande trappola dovuta alla moda degli economisti star o (ancor peggio) i cosiddetti esperti di economia, che parlano soltanto di cifre, numeri, monete come se un dispositivo tecnico potesse cambiare la società e produrre benessere.

Qui di seguito, oggi, vi presento un breve saggio di uno dei più lucidi esponenti e rappresentanti del pensiero libero intellettuale in occidente.
E' stato pubblicato sulla prestigiosa rivista della sinistra radicale statunitense "Monthly Review" nel numero in edicola a settembre 2014. 
Immediatamente ha suscitato una marea di interventi, seminari, convegni, dibattiti in diverse città del mondo, da New York a Buenos Aires, da Montevideo a Parigi, da Londra a Berlino, da Madrid a El Cairo. 
Questo, mi è sembrato il momento opportuno per proporvelo.
L'autore è molto famoso e noto a chi segue la produzione della libera intellettualità progressista.
Si chiama Samir Amin.
E' egiziano di nascita.
Ha studiato in prestigiose università americane dove si è laureato e specializzato prima in economia, poi in Sociologia e infine in Scienze Politiche.
La sua abilità (e novità) è stata quella si sottrarre l'economia a quella palude che ha spinto le persone a seguire teorie monetariste o affini, tralasciando gli aspetti ideali, etici, morali, sociali delle problematiche quotidiane che ci toccano, ci entusiasmano o ci angosciano.
Dopo aver insegnato a lungo sia a Berkeley che a Harvard, il prof. Samir Amin ha scelto di trasferirsi definitivamente in Africa per condurre in quel continente la sua battaglia intellettuale.
Abita a Dakar, la capitale del Senegal, dove dirige -finalmente riconosciuto anche dall'Onu- il Forum mondiale di osservazione sullo sviluppo sociale del pianeta.
Ha scritto e pubblicato diversi libri che sono veri e propri tesori del pensiero libertario.
Da circa 15 anni si batte per spiegare come l'attuale fase del capitalismo abbia scelto di risolvere le proprie contraddizioni dando vita a un fascismo totale e totalitario che vedrà la sua consacrazione in Europa, iniziando da paesi come l'Italia.
Ho pensato che fosse importante per tutti i curiosi e i vogliosi, avere accesso in lingua italiana a questo testo importante.
 Se non altro sapete di che cosa stanno dibattendo in questo periodo nelle società meno regredite della nostra.
Il testo è davvero molto molto lungo.
E' quindi faticoso per chi è abituato a tweet, wikipedia o facebook.
Casomai potete stamparvelo e studiarvelo con calma. Vale la pena di leggerlo.

Entriamo nel mondo dei pensanti.



Samir Amin: il ritorno del fascismo nel capitalismo contemporaneo


Non è per caso che il titolo stesso di questo contributo collega il ritorno del fascismo sulla scena politica con la crisi del capitalismo contemporaneo. Il fascismo non è sinonimo di un regime di polizia autoritario che rifiuta le incertezze della democrazia parlamentare elettorale. Il fascismo è una particolare risposta politica alle sfide che la gestione della società capitalistica può trovarsi di fronte in circostanze specifiche.
Unità e diversità del fascismo
Movimenti politici che si possono giustamente chiamare fascisti erano in prima linea e hanno esercitato il potere in un certo numero di paesi europei, in particolare durante gli anni ’30 fino al 1945. Questi includevano l’Italia di Benito Mussolini, la Germania di Adolf Hitler, la Spagna di Francisco Franco, il Portogallo di António de Oliveira Salazar, la Francia di Philippe Pétain, l’Ungheria di Miklós Horthy, la Romania di Ion Antonescu, e la Croazia di Ante Pavelic. La diversità delle società che sono state vittime del fascismo - sia le maggiori società capitaliste sviluppate sia  le minori società capitaliste dominate, alcune annesse con una guerra vittoriosa, altre trasformatesi in tali come prodotto di una sconfitta- dovrebbe impedirci di considerarle alla stessa stregua tutte insieme. Io quindi specificherò i diversi effetti che questa diversità di strutture e congiunture produsse in queste società.
Eppure, al di là di questa diversità, tutti questi regimi fascisti avevano due caratteristiche in comune:
(1)    Nel caso di specie, erano tutti disposti a gestire il governo e la società in modo tale da non porre i principi fondamentali del capitalismo in discussione, in particolare la proprietà privata capitalistica, compresa quella del moderno capitalismo monopolistico. È per questo che io chiamo queste diverse forme di fascismo particolari modi di gestire il capitalismo e non forme politiche che mettono in discussione la legittimità di quest’ultimo, anche se “capitalismo” o “plutocrazie” sono stati oggetto di lunghe diatribe nella retorica dei discorsi fascisti. La bugia che nasconde la vera natura di questi discorsi appare non appena si esamina l’ “alternativa” proposta da queste varie forme di fascismo, che sono sempre in silenzio in merito al punto principale – la proprietà privata capitalista. Resta il fatto che la scelta fascista non è l’unica risposta alle sfide che deve affrontare la gestione politica di una società capitalista. E’ solo in certe congiunture di crisi violenta e profonda che la soluzione fascista sembra essere quella migliore per il capitale dominante, o talvolta anche l’unica possibile. L’analisi deve, quindi, concentrarsi su queste crisi.
(2)    La scelta fascista per la gestione di una società capitalista in crisi si basa sempre – anche per definizione – sul rifiuto categorico della “democrazia”. Il fascismo sostituisce sempre i principi generali su cui le teorie e le pratiche delle democrazie moderne sono basate – il riconoscimento di una diversità di opinioni, il ricorso a procedure elettorali per determinare la maggioranza, la garanzia dei diritti della minoranza, ecc. – con i valori opposti della sottomissione alle esigenze della disciplina collettiva e all’autorità del leader supremo e dei suoi agenti. Questa inversione di valori è quindi sempre accompagnata da un ritorno di idee rivolte al passato, che sono in grado di fornire una legittimazione apparente alle procedure di sottomissione che vengono implementate. L’annuncio della presunta necessità di tornare al (“medievale”) passato, di sottomettersi alla religione di stato o a qualche presunta caratteristica della “razza” o della “nazione” (etnica) costituiscono la panoplia dei discorsi ideologici messa in atto dalle potenze fasciste.
Le diverse forme di fascismo trovate nella moderna storia europea condividono queste due caratteristiche e rientrano in una delle seguenti quattro categorie:
(1)    Il fascismo delle principali potenze capitaliste “sviluppate” che aspiravano a diventare potenze egemoniche dominanti nel mondo, o almeno nel sistema capitalista regionale.
Il nazismo è il modello di questo tipo di fascismo. La Germania divenne una delle principali potenze industriali a partire dagli anni 1870 e una concorrente dei poteri egemoni dell’epoca (Gran Bretagna e, secondariamente, Francia) e del paese che aspirava a diventare egemone (gli Stati Uniti). Dopo la sconfitta del 1918, ha dovuto affrontare le conseguenze della sua incapacità di realizzare le sue aspirazioni egemoniche. Hitler formulò chiaramente il suo piano: stabilire in Europa, compresa la Russia e forse al di là, la dominazione egemonica della “Germania”, vale a dire dalle capitalismo dei monopoli che avevano sostenuto l’ascesa del nazismo. Egli era disposto ad accettare un compromesso con i suoi principali avversari: l’Europa e la Russia sarebbero state date a lui, la Cina al Giappone, il resto dell’Asia e dell’Africa alla Gran Bretagna, e le Americhe agli Stati Uniti. Il suo errore fu nel pensare che un tale compromesso fosse possibile: la Gran Bretagna e gli Stati Uniti non l’accettarono, mentre il Giappone, al contrario, lo sostenne.
Il fascismo giapponese appartiene alla stessa categoria. Dal 1895, il moderno Giappone capitalista aspirava a imporre il suo dominio su tutta l’Asia orientale. Qui lo scivolamento è stato fatto “dolcemente” dalla forma “imperiale” di gestire un nascente capitalismo nazionale – basato  su  istituzioni apparentemente  ”liberali” (una dieta eletta), ma in realtà completamente controllate dall’Imperatore e dall’aristocrazia trasformata dalla modernizzazione – a una forma brutale, gestita direttamente dall’Alto Comando militare. La Germania nazista fece un’alleanza con l’imperiale / fascista Giappone, mentre la Gran Bretagna e gli Stati Uniti (dopo Pearl Harbor, nel 1941) si scontrarono con Tokyo, come fece la resistenza in Cina - le carenze del Kuomintang essendo compensate dal sostegno dei comunisti maoisti.
(2)    Il Il fascismo delle potenze capitaliste di secondo rango.
L’Italia di Mussolini (l’inventore del fascismo, compreso il suo nome) è il primo esempio. Il mussolinismo è stata la risposta della destra italiana (la vecchia aristocrazia, la nuova borghesia, le classi medie) alla crisi degli anni ’20 e alla minaccia comunista in crescita. Ma né il capitalismo italiano, né il suo strumento politico, il fascismo di Mussolini, avevano l’ambizione di dominare l’Europa, per non parlare del mondo. Nonostante tutte le vanterie del Duce sulla ricostruzione dell’Impero Romano (!), Mussolini capì che la stabilità del suo sistema poggiava sulla sua alleanza-  come subalterno – o con la Gran Bretagna (padrona del Mediterraneo) o con la Germania nazista. L’esitazione tra le due possibili alleanze continuò fino alla vigilia della seconda guerra mondiale.
Il fascismo di Salazar e Franco appartiene a questo stesso tipo. Erano entrambi dittatori installati dalla destra e dalla Chiesa cattolica in risposta ai pericoli dei liberali repubblicani o dei repubblicani socialisti. I due non sono mai stati, per questo motivo, ostracizzati per la loro violenza anti-democratica (con il pretesto dell’ anti-comunismo) dalle grandi potenze imperialiste. Washington li riabilitò dopo il 1945 (Salazar era un membro fondatore della NATO e la Spagna acconsentì a basi militari americane), seguita dalla Comunità europea – garante per natura dell’ordine capitalista reazionario. Dopo la rivoluzione dei garofani (1974) e la morte di Franco (1975), questi due sistemi hanno aderito al campo delle nuove “democrazie” a bassa intensità della nostra epoca.
(3) Il fascismo delle potenze sconfitte.
Queste includono il governo della Francia di Vichy, così come in Belgio di Léon Degrelle e lo pseudo- governo “fiammingo” sostenuto dai nazisti. In Francia, la classe superiore scelse “Hitler piuttosto che il Fronte Popolare” (vedi i libri di Annie Lacroix- Riz su questo argomento). Questo tipo di fascismo, collegato con la sconfitta e la sottomissione all’ “Europa tedesca”, è stato costretto a ritirarsi in secondo piano dopo la sconfitta dei nazisti. In Francia, cedette il passo ai Consigli della Resistenza che, per un certo tempo, unirono i comunisti con gli altri combattenti della Resistenza (Charles de Gaulle, in particolare). La sua ulteriore evoluzione ha dovuto attendere (con l’avvio della costruzione europea e l’adesione della Francia al Piano Marshall e alla NATO, vale a dire, la volontaria sottomissione all’egemonia statunitense) che la destra conservatrice e anti- comunista e la destra  social- democratica rompessero definitivamente con la sinistra radicale  che venne fuori dalla Resistenza antifascista e potenzialmente anti-capitalista.
(4) Il fascismo nelle società dipendenti dell’Europa orientale.
Ci spostiamo verso il basso di parecchi gradi di più quando veniamo a esaminare le società capitalistiche dell’Europa orientale (la Polonia, gli Stati baltici, la Romania, l’Ungheria, la Jugoslavia, la Grecia e l’Ucraina occidentale durante l’era polacca). Dovremmo qui parlare di capitalismo arretrato e, di conseguenza, dipendente. Nel periodo tra le due guerre, le classi dominanti reazionarie di questi paesi hanno appoggiato la Germania nazista. E’, tuttavia, necessario esaminare caso per caso la loro articolazione con il progetto politico di Hitler.
In Polonia, la vecchia ostilità verso la dominazione russa (della Russia zarista), che divenne ostilità nei confronti della Unione Sovietica comunista, incoraggiata dalla popolarità del papato cattolico, di norma hanno fatto di questo paese un vassallo della Germania, sul modello di Vichy. Ma Hitler non la vedeva in questo modo: i polacchi, come i russi, gli ucraini e i serbi, erano popoli destinati allo sterminio, insieme con gli ebrei, i rom, e molti altri. Non c’era, poi, posto per un fascismo polacco alleato con Berlino.
L’Ungheria di Horthy e la Romania di Antonescu erano, al contrario, trattati come alleati subalterni della Germania nazista. Il fascismo in questi due paesi era in sé il risultato di  crisi sociali specifiche per ciascuno di essi: la paura del “comunismo” dopo il periodo di Béla Kun in Ungheria e la mobilitazione sciovinista nazionale contro gli ungheresi e ruteni in Romania.
In Jugoslavia, la Germania di Hitler (seguita dall’Italia di Mussolini) sostenne una Croazia “indipendente”, affidata alla gestione del movimento anti-serbo ustascia con il supporto decisivo della Chiesa cattolica, mentre i serbi erano condannati allo sterminio.
La rivoluzione russa aveva evidentemente cambiato la situazione per quanto riguarda le prospettive di lotta della classe operaia e la risposta delle classi possidenti reazionarie, non solo nel territorio della pre-1939 Unione Sovietica, ma anche nei territori perduti: gli Stati baltici e la Polonia. A seguito del Trattato di Riga nel 1921, la Polonia annesse la parte occidentale della Bielorussia (Volinia) e l’Ucraina (sud della Galizia, che era in precedenza un Crownland austriaco, e nel nord della Galizia, che era stata una provincia dell’Impero zarista).
In tutta questa regione, due campi presero forma dal 1917 (e dal 1905 con la prima rivoluzione russa): pro-socialista (che divenne pro-bolscevico), popolare in gran parte dei contadini (che aspiravano una riforma agraria radicale a loro beneficio) e nei circoli intellettuali (gli ebrei in particolare); e anti- socialista (e di conseguenza compiacenti per quanto riguarda i governi anti-democratici sotto l’influenza fascista) in tutte le classi di proprietari terrieri. La reintegrazione degli stati baltici, Bielorussia e Ucraina occidentale in Unione Sovietica nel 1939 ha enfatizzato questo contrasto.
La mappa politica dei conflitti tra “pro- fascisti” e “antifascisti” in questa parte d’Europa orientale è stata offuscata, da un lato, dal conflitto tra lo sciovinismo polacco (che persisteva nel suo progetto di “Polonizzare” le annesse regioni bielorusse ed ucraine con insediamenti di coloni) e le popolazioni vittime;  e, d’altra parte, dal conflitto tra i “nazionalisti” ucraini che erano al tempo stesso anti-polacchi e anti-russi (a causa dell’ anti-comunismo) e il progetto di Hitler, che non prevedeva nessuno Stato ucraino come alleato subalterno, poiché il suo popolo era semplicemente contrassegnato per lo sterminio.
Io qui rinvio  il lettore al lavoro autorevole di Olha Ostriitchouk  Les Ukrainiens face à leur passé. La rigorosa analisi di Ostriitchouk della storia contemporanea di questa regione (Galizia austriaca, Ucraina polacca, Piccola Russia, che divenne l’Ucraina sovietica) fornirà al lettore una comprensione delle questioni in gioco nei conflitti ancora in corso, nonché dello spazio occupato dal fascismo locale.
La visione accondiscendente della destra occidentale sul fascismo passato e presente
La destra nei parlamenti europei tra le due guerre mondiali fu sempre accondiscendente verso il fascismo e anche il più ripugnante nazismo. Churchill stesso, a prescindere dalla sua estrema “britannicità,” non ha mai nascosto la sua simpatia per Mussolini. I presidenti degli Stati Uniti, e l’establishment dei partiti democratico e repubblicano, solo tardivamente scoprirono il pericolo rappresentato dalla Germania di Hitler e, soprattutto, dal Giappone imperiale / fascista. Con tutto il cinismo caratteristico dell’establishment degli Stati Uniti, Truman apertamente dichiarò quello che altri pensavano in silenzio: consentire alla guerra di consumare i suoi protagonisti – Germania, Russia sovietica, e europei sconfitti – e intervenire il più tardi possibile per raccogliere i frutti. Questa non è affatto l’espressione di una posizione anti-fascista di principio. Nessuna esitazione fu mostrata nella riabilitazione di Salazar e Franco nel 1945. Inoltre, la connivenza con il fascismo europeo è stata una costante nella politica della Chiesa cattolica. Non è poi così fuori luogo descrivere Pio XII come un collaboratore di Mussolini e Hitler.
Lo stesso antisemitismo di Hitler suscitò orrore solo molto più tardi, quando raggiunse la fase finale della sua follia omicida. L’enfasi sull’odio per il “giudeo-bolscevismo” fomentato dai discorsi di Hitler era comune a molti politici. Fu solo dopo la sconfitta del nazismo che si rese necessario condannare l’antisemitismo in linea di principio. Il compito fu reso più facile perché gli eredi autoproclamati del titolo di “vittime della Shoah” erano diventati i sionisti di Israele, alleati dell’imperialismo occidentale contro i palestinesi e il popolo arabo che invece, non era mai stato coinvolto negli orrori dell’antisemitismo europeo!
Ovviamente, il crollo dei nazisti e dell’Italia di Mussolini obbligarono le forze politiche di destra in Europa occidentale (ad ovest della “cortina”) a distinguersi da quelli che – all’interno dei propri gruppi – erano stati complici e alleati del fascismo. Tuttavia, i movimenti fascisti furono solo costretti a ritirarsi in secondo piano e nascondersi dietro le quinte, senza realmente scomparire.
In Germania occidentale, in nome della “riconciliazione”, il governo locale e i suoi committenti (gli Stati Uniti e in secondo luogo la Gran Bretagna e Francia) lasciarono al loro posto quasi tutti coloro che avevano commesso crimini di guerra e crimini contro l’umanità. In Francia, sono stati avviati procedimenti giudiziari contro la Resistenza per “esecuzioni abusive contro i collaborazionisti” quando i Vichyisti riapparvero sulla scena politica con Antoine Pinay. In Italia, il fascismo divenne silenzioso, ma era ancora presente nelle file della Democrazia Cristiana e della Chiesa cattolica. In Spagna, il compromesso di “riconciliazione” imposto dalla Comunità Europea (che più tardi divenne l’Unione europea) puramente e semplicemente vietò qualsiasi richiamo ai crimini franchisti.
Il sostegno dei partiti socialisti e socialdemocratici dell’Europa occidentale e centrale alle campagne anti-comuniste intraprese dalla destra conservatrice condivide la responsabilità per il successivo ritorno del fascismo. Questi partiti della sinistra “moderata” erano, invece, stati autenticamente e risolutamente anti-fascisti. Tuttavia tutto questo è stato dimenticato. Con la conversione di questi partiti al liberalismo sociale, il loro appoggio incondizionato alla costruzione europea- sistematicamente concepita come una garanzia per l’ordine capitalista reazionario – e la loro sottomissione non meno incondizionata alla egemonia degli Stati Uniti (attraverso la NATO, tra gli altri mezzi), si è consolidato un blocco reazionario che combina la classica destra e i liberali sociali;  un blocco che potrebbe se necessario ospitare la nuova estrema destra.
Successivamente, la riabilitazione del fascismo dell’Europa orientale è stata rapidamente effettuata a partire dal 1990. Tutti i movimenti fascisti dei paesi interessati erano stati alleati o collaboratori fedeli a vari livelli con l’hitlerismo. Di fronte alla sconfitta imminente, un gran numero dei loro capi attivi era stato reimpiegato in Occidente e poterono, di conseguenza, “arrendersi” alle forze armate degli Stati Uniti. Nessuno di loro fu restituito ai governi sovietico, jugoslavo, o di altri  nelle nuove democrazie popolari per essere processati per i loro crimini (in violazione degli accordi alleati). Tutti trovarono rifugio negli Stati Uniti e in Canada. Ed essi furono tutti coccolati dalle autorità per il loro feroce anti-comunismo!
In Les Ukrainiens face à leur passé, Ostriitchouk fornisce tutto il necessario per dimostrare inconfutabilmente la collusione tra gli obiettivi della politica degli Stati Uniti (e dietro di essi dell’ Europa) e quelli dei fascisti locali dell’Europa orientale (in particolare, Ucraina). Ad esempio, il “Professore” Dmytro Dontsov, fino alla sua morte (nel 1975), ha pubblicato tutte le sue opere in Canada, che non sono soltanto violentemente anti-comuniste (il termine “bolscevismo giudaico” è consuetudine con lui), ma anche fondamentalmente anti-democratiche. I governi dei cosiddetti stati democratici dell’Occidente sostennero, e anche finanziarono e organizzarono, la “rivoluzione arancione” (vale a dire, la controrivoluzione fascista) in Ucraina. E tutto ciò  sta continuando. In precedenza, in Jugoslavia, il Canada aveva anche spianato la strada agli Ustasha croati.
Il modo intelligente in cui i media “moderati” (che non possono apertamente riconoscere che supportano fascisti dichiarati) nascondono il loro sostegno a questi fascisti è semplice: sostituire il termine “nazionalista” a fascista. Il professor Dontsov non è più un fascista, è un “nazionalista” ucraino, come Marine Le Pen non è più una fascista, ma una nazionalista (come Le Monde, per esempio, ha scritto)!
Sono questi fascisti davvero “nazionalisti”, semplicemente perché dicono così? Questo è dubbio. I nazionalisti oggi meritano questa etichetta solo se mettono in discussione il potere delle forze realmente dominanti nel mondo contemporaneo, vale a dire, quella dei monopoli degli Stati Uniti e dell’Europa. Questi cosiddetti “nazionalisti” sono amici di Washington, Bruxelles, e della NATO. Il loro “nazionalismo” consiste nell’odio sciovinista di persone vicine in gran parte innocenti che non sono mai state responsabili delle loro disgrazie: per gli ucraini, sono i russi (e non lo zar); per i croati, sono i serbi; per la nuova estrema destra in Francia, Austria, Svizzera, Grecia, e altrove, si tratta degli “immigrati”.
Il pericolo rappresentato dalla collusione tra le maggiori forze politiche negli Stati Uniti (repubblicani e democratici) e in Europa (la destra parlamentare e i liberali sociali), da un lato, ed i fascisti d’Oriente, dall’altro, non deve essere sottovalutata. Hillary Clinton si è posta come principale portavoce di questa collusione e spinge l’isteria di guerra al limite. Ancor più che George W. Bush, se possibile, lei aleggia una guerra preventiva di vendetta (e non solo per la ripetizione della guerra fredda) contro la Russia – con interventi decisamente espliciti in Ucraina, Georgia, Moldova, tra gli altri – contro la Cina, e contro i popoli in rivolta in Asia, Africa e America Latina. Purtroppo, questa corsa a capofitto degli Stati Uniti in risposta al loro declino potrebbe trovare un supporto sufficiente per consentire a Hillary Clinton di diventare “la prima donna presidente degli Stati Uniti!” Non dimentichiamo che cosa si nasconde dietro questa falsa femminista!
Senza dubbio, potrebbe ancora apparire oggi che il pericolo fascista non sia una minaccia per l’ordine “democratico” negli Stati Uniti e in Europa ad ovest della vecchia “cortina”. La collusione tra la classica destra parlamentare e i liberali sociali rende superfluo per il capitale dominante ricorrere ai servizi di una estrema destra che segue la scia dei movimenti storici fascisti. Ma allora cosa dovremmo concludere sui successi elettorali dell’estrema destra negli ultimi dieci anni? Gli europei sono chiaramente anche le vittime della diffusione generalizzata del capitalismo monopolistico. Possiamo capire perché, poi, posti di fronte alla collusione tra la destra e la cosiddetta sinistra socialista, si rifugiano nell’astensione elettorale o nel voto per l’estrema destra. La responsabilità della potenziale sinistra radicale è, in questo contesto, enorme:  se questa sinistra avesse avuto l’audacia di proporre avanzamenti reali al di là del capitalismo attuale, avrebbe ottenuto la credibilità che le manca. Una sinistra radicale audace è necessaria per fornire la coerenza che gli attuali movimenti frammentari di protesta e le lotte difensive ancora non hanno. Il “movimento” potrebbe, quindi, invertire l’equilibrio sociale del potere in favore delle classi lavoratrici e rendere possibili avanzamenti progressisti . I successi conquistati dai movimenti popolari in Sud America ne sono la prova.
Allo stato attuale delle cose, i successi elettorali dell’estrema destra derivano dal capitalismo contemporaneo stesso. Questi successi consentono ai media di mettere insieme, sotto la stessa etichetta di condanna, i “populisti di estrema destra e quelli di estrema sinistra,” oscurando il fatto che i primi sono pro-capitalisti (come il termine estrema destra dimostra ) e, quindi, possibili alleati per il capitale, mentre i secondi sono i soli avversari potenzialmente pericolosi del sistema di potere del capitale.
Osserviamo, mutatis mutandis, una congiuntura simile negli Stati Uniti, anche se la loro estrema destra non viene mai chiamata fascista. Il maccartismo di ieri, proprio come i fanatici del Tea Party e i guerrafondai (ad esempio, Hillary Clinton) di oggi, difendono apertamente le “libertà” – intese come appartenenti esclusivamente ai proprietari e manager del capitale monopolistico contro “il governo” sospettato di acconsentire alle richieste delle vittime del sistema.
Un’ultima osservazione sui movimenti fascisti: sembrano incapaci di capire quando e come smettere di fare le loro richieste. Il culto del leader e dell’obbedienza cieca, l’acritica e suprema valorizzazione delle costruzioni mitologiche pseudo-etniche o pseudo-religiose che trasmettono il fanatismo e il reclutamento di milizie per azioni violente rendono il fascismo una forza che è difficile da controllare. Gli errori addirittura oltre le deviazioni irrazionali dal punto di vista degli interessi sociali serviti dai fascisti sono inevitabili. Hitler era una persona veramente malata di mente eppure riuscì a costringere i grandi capitalisti che lo avevano messo al potere a seguirlo fino alla fine della sua follia e ottenne anche il sostegno di una grande parte della popolazione. Anche se questo è soltanto un caso estremo e Mussolini, Franco, Salazar e Pétain non erano malati di mente, un gran numero dei loro collaboratori e seguaci non ha esitato a commettere atti criminali.

Il fascismo nel Sud contemporaneo
L’integrazione dell’America Latina nel capitalismo globalizzato nel XIX secolo si basava sullo sfruttamento dei contadini ridotti al rango di “peones” e il loro assoggettamento alle pratiche selvagge dei grandi proprietari terrieri. Il sistema di Porfiro Diaz in Messico ne è un buon esempio. La promozione di questa integrazione nel XX secolo ha prodotto la “modernizzazione della povertà” . Il rapido esodo rurale, più pronunciato e precedente in America Latina che in Asia e in Africa, ha portato a nuove forme di povertà nelle favelas urbane contemporanee, che vennero a sostituire le vecchie forme di povertà rurale. Allo stesso tempo, le forme di controllo politico delle masse sono state “modernizzate” creando dittature, abolendo la democrazia elettorale, vietando i partiti e i sindacati, e attribuendo a “moderni” servizi segreti tutti i diritti di  arrestare e torturare attraverso le loro tecniche di intelligence. Chiaramente, queste forme di gestione politica sono visibilmente analoghe a quelle del fascismo scoperte nei paesi del capitalismo dipendente in Europa orientale. Le dittature del XX secolo in America Latina servirono il blocco reazionario locale (grandi proprietari terrieri, borghesia compradora, e qualche volta le classi medie che hanno beneficiato di questo tipo di sottosviluppo), ma soprattutto, hanno servito il capitale straniero dominante, in particolare quello degli Stati Uniti , che, per questo motivo, sostennero queste dittature fino al loro rovesciamento con la recente esplosione di movimenti popolari. La forza di questi movimenti e le conquiste sociali e democratiche che hanno imposto escludono, almeno nel breve termine, il ritorno delle dittature para-fasciste. Ma il futuro è incerto: il conflitto tra il movimento delle classi lavoratrici e  il capitalismo locale e mondiale è appena cominciato. Come per tutti i tipi di fascismo, le dittature dell’America Latina non evitarono errori, alcuni dei quali sono stati fatali per loro. Penso, per esempio, a Jorge Rafael Videla, che è andato in guerra per le isole Malvinas per capitalizzare il sentimento nazionale argentino a suo beneficio.
A partire dagli anni ’80, il sottosviluppo tipico della diffusione generalizzata del capitalismo monopolistico prese il posto dei sistemi nazionali populisti dell’epoca di Bandung (1955-1980), in Asia e Africa(3). Questo sottosviluppo produsse inoltre forme affini sia alla modernizzazione della povertà sia alla modernizzazione della violenza repressiva. Gli eccessi dei sistemi post-nasseriani e post-baathisti nel mondo arabo forniscono buoni esempi di questo. Non dobbiamo mettere assieme i regimi populisti nazionali dell’epoca Bandung e quelli dei loro successori, che sono saltati sul carro del neoliberismo globalizzato, perché erano entrambi “non democratici”. I regimi di Bandung, nonostante le loro pratiche politiche autocratiche, godevano di qualche legittimazione popolare sia per i loro risultati effettivi, che beneficiavano la maggioranza dei lavoratori, sia per le loro posizioni anti-imperialiste. Le dittature che seguirono hanno perso questa legittimità non appena hanno accettato la sudditanza al modello neoliberista globalizzato e al sottosviluppo che l’accompagna. L’autorità popolare e nazionale, anche se non democratica, lasciò il posto alla violenza della polizia e al servizio del progetto neoliberista, antipopolare e antinazionale.
Le recenti rivolte popolari, a partire dal 2011, hanno messo in discussione le dittature. Ma le dittature sono state soltanto messe in discussione. Un’alternativa troverà gli strumenti per raggiungere la stabilità soltanto se riuscirà a conciliare i tre obiettivi attorno a cui le rivolte sono riuscite ad aggregare: continuazione della democratizzazione della società e della politica, conquiste sociali progressiste e l’affermazione della sovranità nazionale.
Siamo ancora lontani da questo. Questo è il motivo per cui ci sono molteplici alternative possibili nel breve periodo visibile. Ci può essere un possibile ritorno al modello nazionale popolare dell’epoca di Bandung, magari con maggiore democrazia? O la costituzione e l’affermazione di un fronte democratico, popolare e nazionale? O un tuffo in una illusione rivolta al passato che, in questo contesto, assume la forma di una “islamizzazione” della politica e della società?
Nel conflitto – nella troppa confusione- le potenze occidentali (Stati Uniti ei suoi subalterni alleati europei) hanno fatto la loro scelta su queste tre possibili risposte alla sfida: hanno dato sostegno preferenziale ai Fratelli Musulmani e / o a altre organizzazioni “salafite” dell’Islam politico. La ragione di ciò è semplice ed evidente: queste forze politiche reazionarie accettano di esercitare il loro potere all’interno del neoliberismo globalizzato (e abbandonando così ogni prospettiva di giustizia sociale e indipendenza nazionale). Questo è l’unico obiettivo perseguito dalle potenze imperialiste.
Di conseguenza, il programma dell’ Islam politico appartiene al tipo di fascismo trovato nelle società dipendenti. Infatti condivide con tutte le forme di fascismo due caratteristiche fondamentali: (1) l’assenza di una sfida  agli aspetti essenziali dell’ordine capitalista (e in questo contesto ciò equivale a non contestare il modello di sottosviluppo connesso alla diffusione del capitalismo globalizzato neoliberista); e (2) la scelta di forme di gestione politica anti-democratiche, da stato di polizia (come ad esempio il divieto di partiti e organizzazioni, e l’islamizzazione forzata della morale).
L’opzione anti-democratica delle potenze imperialiste (che dimostra quanto sia falsa la retorica pro-democratica sbandierata nel diluvio di propaganda a cui siamo sottoposti), allora, accetta i possibili “eccessi” dei regimi islamici in questione. Come altri tipi di fascismo e per le stesse ragioni, questi eccessi sono iscritti nei “geni” dei loro modi di pensare: sottomissione indiscussa ai leader, valorizzazione fanatica dell’ adesione alla religione di stato, e la formazione di forze d’urto utilizzate per imporre la sottomissione . In realtà, e questo può essere visto già, il programma “islamista” progredisce soltanto nel contesto di una guerra civile (tra, tra gli altri, sunniti e sciiti) e determina nient’altro che caos permanente. Questo tipo di potere islamico è, quindi, la garanzia che le società in questione restano assolutamente incapaci di affermarsi sulla scena mondiale. E’ chiaro che dei declinanti Stati Uniti hanno rinunciato ad ottenere qualcosa di meglio- uno stabile e sottomesso governo locale – in favore di questa “seconda scelta”.
Sviluppi e scelte analoghe possono essere trovati anche al di fuori del mondo arabo-musulmano, come ad esempio nell’India indù, per esempio. Il Bharatiya Janata Party (BJP), che ha appena vinto le elezioni in India, è un partito religioso indù reazionario che accetta l’inserimento del suo governo nel neoliberismo globalizzato. È la garanzia che l’India, sotto il suo governo, si ritirerà dal suo progetto di essere una potenza emergente. Descriverlo come fascista, poi, non è in fondo un azzardo.
In conclusione, il fascismo ha fatto il suo ritorno a Sud, Est e Ovest: e questo ritorno è intimamente connesso con la diffusione della crisi sistemica del capitalismo monopolistico generalizzato, finanziarizzato e globalizzato. Un effettivo o persino un potenziale ricorso ai servigi dei movimenti fascisti da parte dei centri dominanti di questo sistema ridotto allo stremo richiede la più stretta vigilanza da parte nostra. Questa crisi è destinata a peggiorare e, di conseguenza, la minaccia di una risorgenza di soluzioni fasciste potrebbe diventare un pericolo concreto. Il sostegno di Hillary Clinton a politiche americane guerrafondaie non lascia presagire buone cose per il futuro più immediato.

lunedì 24 novembre 2014

La destra neo aristocratica planetaria all'attacco della fortezza Italia. E' il risultato delle elezioni.



di Sergio Di Cori Modigliani

E' lui, il grande trionfatore di queste elezioni regionali, in Emilia e in Calabria.
L'uomo per tutte le stagioni.
L'esponente italiano -dopo e insieme a Mario Draghi- più importante e rappresentativo del compatto fronte neoconservatore, neo-aristocratico e reazionario, che intende portare fino in fondo il piano strategico delle elite privilegiate della finanza, per il definitivo asservimento dei popoli, quello che i massoni progressisti definiscono "un controiniziato".
E' il suo sogno che comincia a realizzarsi.
Quello che si era lasciato sfuggire (vera e propria imperdonabile gaffe) nel febbraio del 2012, quando si sentiva (a ragione) fortissimo ed ebbe a dire "è il parlamento che inceppa la via delle riforme strutturali, bisognerebbe aggirarlo per evitare che frenino lo sviluppo".
Il nostro bravo Mario Monti, che in un convegno dell'alta finanza a Milwaukee, in Usa, nel settembre del 2013, spiegava che il "vero problema dell'Italia consiste nel fatto che si vota troppo spesso e sono ancora troppi ad andare a votare".
E' il sogno di ogni oligarca.
Riuscire a ridurre talmente tanto la percentuale dei votanti, da avere la possibilità di poter effettuare dei veri e propri colpi di stato senza sparare neppure un colpo e -ciò che più conta- senza che neppure la gente se ne renda conto. E quando lo capirà, sarà ormai troppo tardi.
Se l'obiettivo è riuscire ad arrivare al 65-70% di astensionismo alle politiche, su 14 milioni di voti validi, ne saranno sufficienti poco meno di 6 milioni per avere il potere assoluto, con il quale deliberare senza nessun ostacolo.
Il 63% di astenuti in Emilia, neppure sanno di aver votato per Mario Monti.
Così funziona il mondo nella società del Grande Fratello.
Così funziona la società che ha vissuto il più vasto e grande genocidio culturale mai perpetrato in una società colta, evoluta, ricca, com'era un tempo quella italiana.
Questa è la tesi -alla quale aderisco in pieno- della sinistra radicale statunitense e sudamericana.
Nel più grande laboratorio sociale d'Europa -l'Italia lo è sempre stato- la latitanza sul territorio della più grande forza d'opposizione radicale antisistema (il M5s) provoca e determina automaticamente l'autostrada preferenziale per l'avanzata della Grande Destra, l'autentico populismo di bassa lega che preannuncia e avverte quale sarà il prossimo e imminente scenario politico internazionale, di qui a pochi mesi, quando esploderà la più grande crisi finanziaria mai esistita in occidente e l'Italia verrà chiamata alle urne. 
Travolta e stravolta da nuovi arresti e nuovi scandali; sgomenta e sconcertata dinanzi alle continue denunce di nuove ruberie, di eterni sprechi, di nessuna proposta pragmatica all'orizzonte, la gente si riverserà avvilita all'interno del proprio bozzolo esistenziale privato, nell'estremo tentativo di salvare il salvabile pur di sopravvivere in un qualche modo.
Non si fideranno più di nessuno, non crederanno più a nessuno, non avranno voglia di seguire più nulla, perché ne avranno tutti le palle strapiene: si saranno arresi dichiarando "fate come vi pare, tanto non cambia mai nulla".
Meno gente va a votare, meglio è per la pattuglia clientelare che gestisce i quotidiani brogli e imbrogli del sistema bancario italiano ormai giunto al collasso imminente.
Senza nessuna proposta pragmatica alternativa all'orizzonte, brinda la Destra festeggiando la definitiva dissoluzione della Sinistra italiana, suicidatasi con enfasi, travolta dalla propria perversione di autentico masochismo socio-politico.
E Renzi può incassare adesso in Europa una bella cambiale in bianco.
La fase finale della rivoluzione neo conservatrice sta iniziando, perché la gente oltre a non farcela più, davvero non ne può più.
Perché quelli di sinistra vanno ancora a sinistri convegni della nuova sinistra, tenuti da residui della vecchia sinistra che ha partecipato alla gestione del potere partitico pur di raccattare qualche briciola di sovvenzioni statali alle loro riviste, enti, case editrici, fondazioni benemerite, spesso roba inutile pagata con soldi pubblici. E li applaudono pure, e si esaltano e si commuovono quando si parla di Putin e della Russia, il quale -dal canto suo- da bravo pragmatico annuncia "l'alleanza strategica di ferro" con Marie Le Pen e Matteo Salvini, definendoli "le due autentiche garanzie per la democrazia dei popoli europei contro lo strapotere dell'imperialismo americano" mostrando la sua generosità con un contributo (definito "iniziale") di 9 milioni di euro per sostenere il Front National in Francia.
Il nuovo presidente della regione Emilia Romagna ha ottenuto il 16,9% dei voti dei residenti nella sua regione: in una realtà come questa, non c'è più bisogno neppure di fantasticare un colpo di stato.
E' il paradosso dell'Italia becera e analfabeta, innamorata della propria ignoranza, l'Italia che disprezza l'Arte e la Cultura, che ha sostituito l'apparenza alla sostanza, l'appartenenza alla competenza e la visibilità al merito.
Vince dovunque questa Italia.
E' la carne da cannone della neo-aristocrazia imperiale della società mediatica post-moderna.
Ma non lo sanno.
Neppure se ne accorgono.
Non possono saperlo perché hanno scelto di non dotarsi di potenti strumenti.
A questo serve il genocidio culturale.
Tutti gli altri dati numerici mi lasciano indifferente.
E' robetta da bar.
Il caro leader si lecca i baffi, e ha ragione a farlo.
Volevate quest'Italia, quest'Italia avete oggi.
E i tedeschi non c'entrano nulla.
Neppure gli americani.
Neanche i russi.
Nel 2013 l'indice di lettori in Italia è diminuito del 32% rispetto all'anno precedente.
E' il paese più ignorante d'Europa.
Perché mai dovrebbero andare a votare?

Così la penso io.

venerdì 21 novembre 2014

In memoriam di una grande benefattrice dei popoli oppressi.



di Sergio Di Cori Modigliani

Ieri i nostri pimpanti media hanno dato l'annuncio che si era spenta la donna più blasonata del mondo, inserita nel Guinness dei primati per questo motivo.
E' la signora la cui fotografia vedete riprodotta in bacheca.
Aveva 88 anni.
Si chiamava Dona Maria Cayetana Alfonsa Victoria Eugenia Francisca Fitz James Stuart y De Silva Falcò y Gurtubay, e poi tutti i vari titoli annessi.
Per gli amici e per il popolo "la duchessa d'Alba", da tutti amata e riverita.
I nostri professionisti dell'informazione si sono divertiti a presentarci questa simpatica vecchietta regalandoci l'immagine di una donna definita "eccentrica", "molto originale", "regina dell'eleganza e del gossip", "benefattrice dell'umanità".
Ci hanno descritto i suoi amori, i suoi patrimoni, e tutte le buone azioni che ha compiuto.
Il taglio della notizia era quello a metà tra la celebrazione di una arzilla vecchietta spiritosa che non ha mai smesso di saltare la cavallina, una madrina delle libere arti e dell'espressione del libero pensiero degli artisti, una grande amante del gusto spensierato della vita.
In verità, la signora in questione è stata, soprattutto, qualcosa d'altro.
Simbolo vivente della rapacità di una oligarchia fatiscente, ancora oggi in prima linea nel pretendere di gestire, controllare e comandare il mondo dei popoli, si è sempre distinta per il suo attaccamento devoto e ossessivo agli interessi economici della Chiesa e per la sua totale deferenza ai calcoli speculativi dei colossi finanziari multinazionali, al servizio del generalissimo Francisco Franco, il più efferato criminale europeo degli ultimi 60 anni. 
In prima linea, quando era giovane, a sostenere in Spagna la persecuzione, la condanna all'esilio e l'eliminazione fisica di ogni oppositore al truce regime, si era distinta alla fine degli anni'50 quando animava le cronache mondane rosa dell'epoca, per la sua partecipazione attiva in Spagna, alla radio, alla televisione e sui quotidiani più in vista, nel perorare la causa della più bieca e retriva conservazione, sostenendo che il dittatore Franco era stato inviato sulla Terra dal cielo, su specifico ordine della Vergine Maria, e doveva essere considerato un uomo benedetto.
Nel 1962 riceve dalle amorevoli mani di Francisco Franco in persona la "Gran Croce e Distintivo Bianco dell'Ordine di Beneficenza", titolo che le consente di entrare in affari in prima persona con le banche vaticane per gestire la capitalizzazione del Banco 'o Espiritu Santo, il più importante istituto finanziario portoghese, diventando quindi amica del dittatore lusitano Salazar e la più importante fornitrice e venditrice d'armi letali a tre nazioni africane (colonie portoghesi) per soffocare nel sangue le rivolte anti-colonialiste dell'epoca. Le aziende da lei amministrate sono state le protagoniste che hanno gestito la mattanza e il genocidio di centinaia di migliaia di persone innocenti soprattutto in Angola, nel Congo belga (grazie alla sua parentela con l'aristocrazia di Bruxelles) e a Cabo Verde. 
Nel 1964 riceve il "Gran Ordine al Merito di Isabella la Cattolica per meriti civili".
In questo caso voleva dire la promozione del Banco Santander (di cui lei era importante azionista di riferimento) come finanziatore primario nella vendita di armi in Africa e nel sostegno degli eserciti di mercenari inviati a massacrare donne  e bambini inermi.
Nel 1974 riceve la "Fascia dell'Ordine del Merito Agricolo".
Infatti, grazie al suo strapotere finanziario, riesce a impossessarsi con la violenza dei grandi possedimenti minerari e agricoli nelle vaste pianure dell'Africa occidentale atlantica, dopo aver eliminato fisicamente ogni forma di opposizione, consentendo agli abitanti della penisola iberica di godere di enormi vantaggi perché oro, argento, uranio, frutta e verdura era per loro gratis, veniva coltivata dagli schiavi. E così la nostra simpatica vecchiettina entra nella United Fruit company e si lancia nel grande business internazionale dell'agricoltura.
Nel 1980 si verifica, però, una spiacevole anomalia nella vita di questa signora.
Allora il mondo era (forse solo apparentemente) molto diverso da oggi e c'era la cosiddetta guerra fredda. Mentre Mosca massacrava gli afgani, gli iracheni, i curdi, gli egiziani, i birmani, i contadini cambogiani, i malgasci, e tanti altri, Washington massacrava gli argentini, i cileni, i boliviani, gli uruguaiani, i brasiliani, i venezuelani, i colombiani, una decina di nazioni africane, e tanti altri. Secondo i dati forniti dall'Onu parliamo di circa 20 milioni di morti innocenti complessive. Ma nell'estate del 1980, quando la Spagna affrontava il dopo Franco morto di vecchiaia (la nostra vecchietta fu tra coloro che declamarono nella Iglesia del Sagrado Corazòn di Madrid l'elogio funebre del grande criminale) entrano in scena i cubani.
L'esercito di Fidel Castro era riuscito (perfettamente equipaggiato e finanziato dai russi) a guidare la rivoluzione angolana, congolese, maliana, subsahariana contro l'imperialismo spagnolo e portoghese. Raul Castro lancia un evento mediatico davvero singolare (a mio avviso l'idea era di Fidel). Istituisce a L'Avana un processo pubblico per crimini contro l'umanità nei confronti dei responsabili dei massacri della popolazione inerme africana (in Italia forse non è mai arrivata neppure la notizia). Il processo, va da sè, non aveva alcun valore reale, ma ne aveva uno immenso dal punto di vista simbolico e politico. Doveva servire, infatti, a dare un grande scossone ai popoli sudamericani per incitarli alla rivoluzione liberandosi dalle efferate dittature che Washington aveva imposto in tutto il continente. In quell'occasione la nostra duchessa venne condannata "per crimini di guerra" all'ergastolo, con l'aggiunta di una citazione maoista che trovo deliziosa. Invece di stare in galera, poichè "andava rieducata" veniva condannata ai servizi sociali come infermiera nei reparti di anziani degenti negli ospedali pubblici africani. Erano gli spettacoli che venivano offerti dai protagonisti della "revolucion bonita" e in Sudamerica ancora se li ricordano.

Quindi la nostra simpatica vecchietta era anche questo.
Lascia un patrimonio cash di circa 600 milioni di euro e un patrimonio finanziario intorno ai 4 miliardi di euro, soprattutto titoli bancari di fondazioni operanti e operative in Spagna, Italia, Inghilterra.
Era una donna molto devota, fervente cattolica ai limiti dell'ossessivo.
Questa mattina, pensando a lei, mi è venuto il buon umore.
Rispettando infatti la sua credenza culturale, la immaginavo entrare nella celeste stanza dove si celebra il giudizio divino dinanzi a San Pietro, per l'occasione pubblico ministero, coadiuvato dal suo consulente eccellente che, da quasi 700 anni, gli fornisce adeguata documentazione sui fatterelli europei, il nostro saggio e sagace Dante Alighieri che ha il compito di applicare la legge del contrappasso.
Dopo una breve udienza, le viene comunicata la sua destinazione finale.
Finisce nel girone degli avidi criminali, nella bolgia dei dissipator infami, dove trascorrerà il resto dell'eternità fino alla fine dei tempi.
Mi piace immaginarla così, all'inferno, dove di sicuro è finita per ciò che ha fatto.

Il motivo per cui ho deciso di scrivere questo post parlando di una persona, pressochè sconosciuta alla stragrande maggioranza dei miei lettori, consiste in una mia esigenza politico-spirituale-mediatica.
Mi ha davvero molto colpito l'enfasi voluta da parte dei nostri media nel dipingere la vecchietta come una Brigitte Bardot.
Se la duchessa d'Alba si conquista il merito di un elogio funebre e i racconti di una favoletta magari un po' piccante ad uso e consumo dei popoli europei, allora vuol dire che possono anche farci credere che Mario Draghi è un benefattore dell'umanità, Matteo Renzi è un poderoso statista con un'ampia visione rivoluzionaria, e Giorgio Napolitano è l'uomo del destino che ha salvato l'Italia dal baratro contribuendo con la sua illuminata generosità a diffondere benessere, sicurezza e garanzie democratiche.

Sapevatelo.

libertè, fraternitè, egalitè.
prima o poi ci riusciremo.

martedì 18 novembre 2014

L'appannata solitudine del vecchio potere maschile e l'insostituibile fascino del nuovo potere femminile.



di Sergio Di Cori Modigliani

Sui media, sul loro funzionamento, e sull'organizzazione del Nuovo Ordine Mondiale.

La grande notizia del giorno è una non-notizia.
La differenza tra una "non-notizia" del 1992 (prima dell'era digitale) e una "non-notizia" del 2014 è molto grossa e di ampio spettro.
Fino al 1992, le non-notizie appartenevano a quella dimensione che veniva identificata e definita "contro-informazione". Circolava seguendo binari e tunnel underground, passaparola, certe pubblicazioni note ai suoi fruitori e ogni tanto qualcosina spuntava fuori e finiva per essere pubblicata sulla stampa corrente.
Nell'era digitale, invece, il termine "contro-informazione" non ha alcun senso e non rappresenta nulla, se non la punta dell'iceberg di mai sopite nostalgie ideologiche e il sintomo di una società obsoleta, fuori dal contesto attuale della quotidianità.
La massificazione del web ha comportato l'estensione ai massimi livelli della libertà di espressione. In rete, infatti, non esiste limite alla possibilità di poter divulgare qualunque tipo di notizia. Questa è però una falsa idea di libertà.
La "libertà d'espressione" nell'era digitale è un falso.
Se viene pubblicata una notizia esplosiva ma la leggono in sette, oppure tale notizia non suscita alcun dibattito, discussione, domande, forum e aggregazione, allora quella specifica notizia non esploderà mai. Quindi, chi gestisce il potere ha la possibilità di non dover neppure censurare o reprimere la libertà d'espressione.
L'importante è che non si diffonda.
Ma non basta.
Poiché in rete si trova di tutto e quindi c'è il rischio che, prima o poi, qualcuno scovi la notizia, è necessario costruire un meccanismo collettivo che agisca sulla percezione e sulla capacità di saper connettere i punti. Se le persone vengono messe nella condizione di non sapere dove andare, non ci andranno mai.
La vera libertà, nell'era digitale, è nella distribuzione e diffusione della notizia e nella sua intrinseca capacità di saper produrre un dibattito.
Una notizia che rimane lì e nessuno la raccoglie, diventa, quindi, una "non-notizia".
La vera libertà non sta più nel dire, bensì nella possibilità di diffondere ciò che viene detto.

Quella che secondo me è la più importante notizia del pianeta negli ultimi giorni è stata "vissuta" in Italia nella più totale indifferenza.
Non c'è quindi da stupirsi se la notizia di oggi diventa una non-notizia: nessuno la coglie.
Parlo qui del G20, riunione presentata nel nostro paese con note folcloristiche, senza fornire alcuna spiegazione, senza alcun dibattito, curiosità, argomentazione.
Intendiamoci, nelle nazioni più vive ed evolute non è stato così.
Ma noi ci occupiamo dell'Italia.
E invece quella riunione è stata fondamentale, perchè poteva (e doveva) servire a comprendere quale sia la funzione attuale di Renzi e quindi comprendere verso quale Italia stiamo andando.
Vediamo di sintetizzare ciò che è accaduto negli ultimi 15 anni.
Berlusconi è servito a gestire la fase 1 dell'era digitale.
E' stato come la Gestapo dell'informazione della cultura.
Mentre il suo socio e co-fondatore di Forza Italia gestiva la parte finanziaria affaristica, lui portava fino in fondo la rivoluzione antropologica della colta e intelligente Italia producendo il genocidio culturale necessario per lanciare l'era digitale: si è appropriato di ogni mezzo di distribuzione e diffusione e condivisione di massa dell'informazione.
Conclusa quella fase con successo, dopo aver imbarcato anche il PD, è arrivato Monti. 
Il suo compito consisteva nel rendere la crisi istituzionale un evento endemico e standard per garantire la necessità inderogabile di far gestire ai colossi della finanza il tesoro italiano e preparare la fase di de-industrializzazione del paese.
Conclusa quella fase con successo, è arrivato Letta, con la fase 3. Il suo compito, a quel punto, consisteva nel riuscire a congelare la situazione impedendo qualunque forma di dinamica, movimento, anche minimo, fintantochè non avessero risolto il problema di chi stampa moneta, di chi la distribuisce e come. E così hanno venduto le quote di Bankitalia a un consorzio di banche -il cui management era gestito da Monti/Berlusconi/PD- che hanno realizzato un doppio guadagno: si sono trovate in mano la delega di un potere immenso e allo stesso tempo si sono garantite per l'eternità di non fallire mai, di non essere denunciate, di non essere sottoposte a ispezione, ecc., ecc.; è come se lo Stato andasse a denunciare se stesso. 
Conclusa quella fase con successo (tutti quei signori, non a caso, sono stati promossi) è arrivato Renzi, con la fase 4. Il suo compito doveva essere quello di governare la fase di passaggio dall'euro al non euro attuando ogni tipo di cambiamento strutturale necessario per fare in modo che a gestire il "paese nuovo del post-euro" fossero gli stessi che avevano gestito "il paese vecchio dell'euro" e che avevano gestito "il paese prima dell'euro".
E' ciò che, a mio parere, sta facendo.
Ed è la ragione per cui, all'improvviso, il fronte del non euro si sta affermando nella percezione di massa. Sembra che abbiano deciso di farlo. Tutto sta nel far credere alla gente che siano stati i popoli a deciderlo, mentre invece sono proprio le banche.

Secondo gli analisti e gli osservatori più attenti e informati, tutto ciò è stato finalmente formalizzato nella riunione del G20, dove il piano di riorganizzazione dell'Europa è apparso chiaro a tutti. In Italia non hanno fatto vedere un bel niente, né la gente ha dimostrato alcun interesse, come se il G20 non fosse ciò che è: il palcoscenico pubblico in cui i detentori del potere planetario si incontrano e fanno capire come intendono gestire l'ordine mondiale.
E' noto che il potere si fonda sul simbolico.
E' fondamentale la produzione, gestione e diffusione di simboli specifici, soprattutto in un'epoca mediatica come la nostra.
Quando Napoleone venne incoronato imperatore, gestì con estrema cura la fase mediatica. In prima persona si occupò della gestione dei simboli da diffondere. Fece sistemare una panca, in prima fila a sinistra, dove vennero invitati 26 tra disegnatori e pittori (i documentaristi e cameramen dell'epoca) per farsi riprendere quando strappava la corona dalle mani del Vaticano e mettendosela in testa pronunciava la frase "Dio me l'ha data guai a chi la tocca". Sei mesi dopo, quella scena girava per tutta Europa in migliaia e migliaia di disegni con la scritta stampata sopra e almeno una ventina di enormi quadri a olio.

Che cosa ci ha detto il G20?
O meglio: che cosa hanno visto gli altri che nessuno in Italia ha voluto vedere?
Non perchè da noi esista la censura. Nell'era digitale la censura non esiste.
Peggio: ormai gli italiani sono diventati ciechi e non vedono più nulla.
In altri paesi, il poco che è stato mostrato ha suscitato discussioni, dibattiti, meeting, forum eccetera.
Tre gli elementi di fondo. Il primo ci spiega che la tendenza del Nuovo Ordine Mondiale attribuisce alle donne un ruolo da protagoniste assolute, non più in seconda linea.
Le quattro big presenti (tutte insieme) sono in grado di aggiustare o distruggere il pianeta con un paio di telefonate; migliorarlo o peggiorarlo, lasciarlo così come sta o cambiarlo.
In diverse parti del mondo si è parlato di quest'aspetto sociologico.
In Italia, non mi pare.
Le signore in questione sono: Peng Liyuan, Angela Merkel, Dilma Rousseff e Christine Lagarde.
Dopo un meeting ristretto di maschi (Obama, Putin, Renzi, il re saudita, Cameron, il premier indiano, Hollande, Xi Jinping, Abe) sono stati raggiunti degli accordi che a qualcuno non sono piaciuti. Era più che visibile. I due tartassati (i video sono impietosi) erano Putin e Renzi. Il premier russo è uscito dalla riunione avvilito, con un'aria davvero afflitta. Renzi, contrariamente al suo standard, mi è sembrato impacciato. Non era in grado neppure di parlare con i giornalisti. Infatti ha confezionato un'unica frase che ha ripetuto, tra l'altro impappinandosi, quattro volte: "Il rigore non basta, è necessaria la crescita e l'Europa deve cambiare strada". Una frase occasionale di circostanza ma che già qualcosa diceva.
Putin, dal canto suo, non riusciva a nascondere il proprio malumore. Ha attraversato l'atrio, è entrato nell'ampio salone che fungeva da tinello ed è andato a sedersi a un tavolo per mangiare. Dopo un po' sono arrivati gli altri, con mogli e interpreti, e si sono sistemati in altri tavoli. Putin è rimasto lì da solo. Peng Liyuan è andata a parlare con la Merkel, la quale ha chiamato la Lagarde. Non c'erano neppure gli interpreti (chissà in che lingua avranno parlato) ma si devono essere capite molto bene. La Merkel ha fatto un cenno a uno dei suoi assistenti il quale ha usato il cellulare. Dopo pochi secondi, dal gruppo si è mossa la Rousseff che è andata a sedersi al tavolo (tondo) con Putin (c'erano coperti per dodici persone). Si è seduta dalla parte opposta, di fronte. La scena aveva qualcosa di ridicolo. Tutti i tavoli erano occupati al massimo della capienza.
La scena era di una tale ovvietà che -è stato subito chiaro- i potenti volevano regalare proprio quest'immagine.
E' naturale chiedersi che cosa fosse successo.
Tra le varie versioni, una mi sembra la più accreditata.
Due settimane fa, a Pechino, c'era stata una importantissima riunione delle potenze del Pacifico (Usa, Cina, Russia, Giappone e le altre minori) nel corso della quale era avvenuto un fatto passato sotto silenzio da noi. Non perché sia stato censurato, bensì per il fatto che in Italia siamo mediaticamente ignoranti. Nel corso di una cena ufficiale videotrasmessa in diretta televisiva in Cina, Putin si era comportato male (secondo i cinesi). Aveva esagerato nel fare i complimenti a Peng Liyuan (la consorte del presidente Xi Jinping) dopodichè si era fatto dare un plaid e lo aveva amorevolmente usato per coprire le spalle della signora che sembrava avesse freddo. 
Secondo Putin si trattava di un atto di educata galanteria.
Secondo i cinesi no.
Anzi.
Un vero e proprio insulto che ha indignato la nazione.
A tal punto da far interrompere la trasmissione e i video censurati in tutta la Cina.
Secondo i codici della cultura formale cinese l'atto è stato definito "oltraggioso".
Per diversi motivi, di cui quello politico è per noi il più interessante.
Peng Liyuan è la moglie del presidente dal 1987.
Ma in Cina, notoriamente, negli ambienti politici è considerata lei la numero uno.
Donna molto intelligente, combattiva e combattente, è inoltre la più famosa star della Cina.
Cantante d'opera e di musica tradizionale locale. è considerata la più importante folk singer del paese. Alcuni suoi video musicali hanno avuto anche 250 milioni di visualizzazioni, cifre che da noi non vengono raggiunte neppure da Lady Gaga, Beyoncè e Shakira tutte insieme.
E' una vera icona inossidabile.
E' anche la presidente della fondazione delle arti dell'armata rossa, in quanto è stata soldatessa volontaria dotata anche di medaglia al valore, perchè era andata a 18 anni al fronte, giovanissima, nel 1980, nel corso di un conflitto tra Cina e Vietnam.
Canta, suona, è la prima ambasciatrice dell'Onu in Asia nella lotta contro la diffusione dell'Aids. E' una femminista militante. Ma -ciò che è più importante- dal punto di vista politico rappresenta l'ala, diciamo, europeista filo-occidentale del governo cinese che non si fida di Putin.
L'atto del premier russo è stato quindi interpretato come un tentativo, subdolo e maldestro, di bypassare Xi Jinping (e quindi mostrando al mondo che lui conta meno di lei, il che forse è vero, chi lo sa) e i cinesi si sono davvero arrabbiati.
E così, alla riunione ristretta, forse anche per questa ragione (o solo per questa ragione) Putin si è trovato il presidente della Cina che gli ha votato contro firmando la carta scritta da Obama, Cameron, Merkel, Renzi, Hollande, sulla questione dell'Ucraina.
Come ho sempre pensato, l'elemento del fattore umano è determinante e, in questo caso, entra all'interno delle relazioni internazionali, perché si tratta, dopotutto, di esseri umani.
Putin non se l'aspettava.
Non solo.
E' venuto anche a sapere che il sistema bancario italiano -semaforo verde degli Usa e della city di Londra- gradirebbe molto di più un intervento di qualche centinaia di miliardi di dollari da parte del tesoro cinese invece di quello russo, considerato fragile e inattendibile.
Dolori, quindi, anche per Renzi.
Enorme soddisfazione da parte di Obama e la Merkel (formalmente adesso si adorano) perchè sembra si stia accelerando il programma di abbattimento dell'euro.
Per quanto riguarda l'Italia, la situazione potrebbe essere la seguente: a febbraio, Draghi litigherà ufficialmente con i tedeschi e se ne andrà via sbattendo la porta; in Italia, quindi, sarà gioco facile presentare la sua persona all'opinione pubblica come l'uomo "che ha detto no all'austerity dei tedeschi" e proporlo al posto di Napolitano. Qualche mese dopo, verso la tarda primavera, dopo aver attuato un cambio di passo nel management direttivo delle banche italiane, Draghi inizierà a spiegare che, dopotutto, l'Italia potrebbe anche uscire dall'euro perchè no. E infine, in quanto presidente di tutti gli italiani, propone al parlamento di votare in questo senso -potrebbe farlo- a camere riunite. Con la sua benedizione.
Questo mi sembra essere il trend attuale.
La pessima notizia per Renzi consiste nel fatto che ha preso atto che lui è uno come Berlusconi, Monti, Letta. Pensava di essere diverso, non è così.
E' anche lui un impiegato a termine poiché ormai sembra rappresentare e interpretare vecchie clientele obsolete. Il suo problema, adesso, consiste nel comunicare ai suoi marpioni (che lui ha imbarcato) che vanno rottamati.
Questa è l'interpretazione dei fatti recenti, alla quale personalmente aderisco.
Da cui, la non-notizia del giorno.
Comunicata, stampata e diffusa questa mattina alle ore 9.
Ha dichiarato Draghi
 "La zona euro è in sofferenza maggiore di quanto non ci si sarebbe potuto aspettare e non sembrano esserci spazi per manovre d'investimento. Per quanto riguarda l'euro, ci tengo a sottolineare che l'euro è irreversibile ma la BCE non ha alcun potere legislativo di nessun genere, per obbligare i governi dei paesi stati membri a stare dentro l'euro oppure a lasciarlo. Ogni paese membro decide a proprio insindacabile giudizio se stare dentro l'euro oppure uscirne".
Per la prima volta dal 2001 cade l'espressione (usata anche da Draghi) "l'uscita dall'euro non è né possibile né negoziabile".
Sta dicendo, tradotto, che ogni paese dell'euro, se vuole uscire dalla moneta unica, lo può tranquillamente fare se lo vuole.
Si tratta di un cambiamento lessicale a 180 gradi.
Non è possibile non sottolineare la novità.
Vuol dire che se l'Italia politica lo volesse potrebbe chiedere formalmente e ufficialmente al governo italiano di aprire domattina la discussione in aula in relazione a questo fatto. 
Da oggi, Draghi e la BCE lo considerano un fatto lecito.
In soldoni, si legge tra le righe del Draghi post G20 australiano: se l'Italia vuole uscire, va bene. Se la Francia vuole uscire, va bene. La Germania è pronta ed è d'accordo.

Il che (e qui finisco) consente di titolare così il mio quotidiano surreale:
"Sorpresa G20: Draghi inizia le manovre ufficiali per uscire dall'euro. L'Italia ne sarà fuori entro il 2015. Nasce il nuovo asse Usa-Cina-Giappone. L'Europa sposta il proprio baricentro economico verso le nazioni del Pacifico".