venerdì 10 novembre 2017

Intervista sull'Italia al prof. Nicola Tranfaglia, docente di "Storia delle mafie": il grande storico napoletano risponde a 13 domande sull'Italia di oggi.





di Sergio Di Cori Modigliani



pubblicato il 10 novembre del 2011
Oggi, facebook mi ricorda questo post datato 73 mesi fa.
Purtroppo, è di agghiacciante attualità.
Come se, da allora, non fosse accaduto nulla. 

Lo ripropongo senza cambiare una virgola.



Senza tema di smentita, ritengo che possa essere considerato uno dei tanti Padri della cultura nazionale, che la nostra Italia, attualmente orfana, nonché dimèntica delle proprie radici e tradizioni, ha avuto e tuttora possiede nel proprio carniere intellettuale: la nostra grande ricchezza non dichiarata e nient’affatto pubblicizzata.

Così come il cosiddetto “grande pubblico” conosce a menadito Vittorio Sgarbi o Giuliano Ferrara,  gli studiosi, gli intellettuali italiani, e tutti coloro che seguono le attività di chi ha da sempre prodotto “cultura” conoscono invece a menadito sia l’opera che l’attività del Prof. Nicola Tranfaglia. Il suo nome, la sua attività, e la sua produzione intellettuale è ampiamente riconosciuta in tutta Europa -e in Italia- dove, pur godendo di un fattore di stima e rispetto riconosciuti, paga il prezzo del suo "esseer andato contro".



 L’elenco delle sue opere importanti è davvero molto vasto.



Nicola Tranfaglia nasce a Napoli il 2 ottobre del 1938.

E’ uno storico politico, uno scrittore, un editorialista e un docente universitario accreditato.

  • Ricordiamo, qui, solo alcuni dei suoi scritti: dal suo primo libro, uscito per i tipi dell’editore Laterza, di Bari, che risale al 1968 “Carlo Rosselli dall'interventismo a Giustizia e Libertà, passando a “Stampa e sistema politico nella storia dell'Italia unita”nel 1986 per l’editore Le Monnier e poi “Le veline del Minculpop per orientare l'informazione” per Bompiani


  • “Come nasce la Repubblica. La mafia, il Vaticano e il neofascismo nei documenti americani e italiani 1943-1947” sempre per Bompiani


  • “La resistibile ascesa di Silvio B. Dieci anni alle prese con la corte dei miracoli” Baldini Castoldi Dalai


  • per arrivare all’ultimo dei suoi libri “Perché la mafia ha vinto” pubblicato nel 2008.


 É attualmente membro del Comitato di Presidenza della Conferenza dei Presidi di Lettere e Filosofia, membro del Consiglio Nazionale dei Beni Culturali e del Comitato Nazionale di settore per gli Archivi, membro della commissione dei Quaranta Saggi sulla Scuola e del gruppo di lavoro Martinotti riforma universitaria. Nella sua qualità di storico accademico è condirettore della rivista Studi Storici e membro del comitato scientifico della Fondazione Nazionale Antonio Gramsci.

 Con tale curriculum vitae, in un momento di bisogno e di fame culturale competente com’è il nostro attuale, il viso del prof. Nicola Tranfaglia dovrebbe essere noto a tutti in quanto ospite fisso dei numi tutelari della cassa mediatica televisiva gestita dalla sinistra italiana (Gad Lerner, Michele Santoro, Giovanni Floris, e compagnia bella) e invece no. Lui non piace. E’ considerato scomodo, ostico, troppo schivo, poco incline a compromessi di maniera, giochetti sottobanco, autore di verità scomode perché contundenti, in quanto frutto di analisi ponderate, documentazione inattaccabile, un lungo e laborioso lavoro di ricerca e indagine storica professionale. Come lui stesso dice, parlando di sé “ciò che io scrivo, oggi non è gradito ai media” e così lo silenziano. Come se lui non esistesse.

In verità la sua campana a morto è suonata il 2 febbraio 2004, quando, deluso nelle sue aspettative democratiche, abbandonò i DS con una lettera critica scritta a Piero Fassino, che l’inconscio culturale collettivo della sinistra ha scelto e stabilito di far finta che non sia mai esistita.

Attualmente, il prof. Nicola Tranfaglia insegna all’università di Torino “Storia delle mafie”.

Mi ha rilasciato in esclusiva questa breve intervista per il mio blog.

Ho pensato che potesse essere stimolante, per i lettori, ascoltare l’opinione di un grande intellettuale italiano, un libero pensatore meridionale, una personalità esclusa dalle consuete palestre mediatiche perché considerata eccessivamente critica, non avendo mai abdicato al suo ruolo di pungolo costante per stimolare l’uso della libertà di pensiero e dell’apertura della mente.



Risposte a Sergio Di Cori Modigliani da parte del prof. Nicola Tranfaglia.

1). “Qual è la vera posta in gioco, oggi, in Italia?”

E’ una posta importante: la fine o il proseguimento  di un periodo che si avvicina ai vent’anni (dal 1994) in cui un leader populista come l’imprenditore milanese Silvio Berlusconi è arrivato al potere e, con l’ intervallo di sei anni tra il 1995 e il 2001, ha governato il paese. Con molti effetti negativi collaterali di cui vale la pena segnalare almeno la diffusione dei metodi populisti anche in forze del centro-sinistra e, prima di tutto, nel partito di Antonio Di Pietro, l’Italia dei Valori





2). “La posta in gioco politica è la stessa in campo economico?”

 Sul piano economico la situazione è più complessa perché c’è, da una parte, chi come l’amministratore delegato della Fiat Marchionne sembra perseguire un analogo disegno sul piano dei rapporti con i lavoratori ma non tutti gli imprenditori la pensano così. E bisognerà vedere che cosa succede nei prossimi anni in Europa e nel mondo e quando sarà archiviata la crisi economica che, per ora, attanaglia tutto il mondo sviluppato.





3). “Dovendo spiegare agli italiani, lei che non è un economista ma un famoso e meritevole storico e uomo di cultura, e quindi dal punto di vista di chi può ben rappresentare la Voce Alta della cultura italiana: "E' un bene oppure no rimanere nell'euro per il paese?"

Non ho dubbi sulla opportunità di restare nell’euro per il nostro paese. Il ventunesimo secolo è caratterizzato da una forte competizione e concorrenza tra entità sopranazionali che lottano tra loro. Gli stati nazionali sono in evidente difficoltà. E all’Italia come alla Grecia e all’Irlanda, per parlare di stati in particolare difficoltà, conviene restare agganciati alla moneta europea piuttosto che ritornare alle monete nazionali che sarebbero in difficoltà ancora maggiori nei nuovi tempi.



4). “Perchè l'opposizione italiana di sinistra in parlamento è sempre stata così flebile contro Berlusconi? Sono incompetenti? Collusi? Complici? Poco intelligenti? Irresponsabili?”

Le forze d ‘opposizione al berlusconismo hanno capito con ritardo l’irruzione del populismo nella politica italiana e continuano ad essere divise anche se adesso, dopo diciassette anni di sconfitte continue, incominciano a rendersi conto dell’esigenza molto forte di unità.

Quali sono stati i loro errori ? In parte scarsa competenza culturale, in parte tendenza antica a un certo consociativismo di cui la storia italiana registra episodi antichi e recenti.



5). “Lei è d'accordo con Bersani che sostiene "nel PD non esiste una questione morale e non è mai esistita" ?

E’ difficile esser d’accordo con Bersani perché ci sono stati anche di recente alcuni casi, come quello del consigliere regionale Penati a Milano, che non possono esser liquidati come casi in tutto e per tutto personali.



6). “Quando e perchè -secondo lei- la sinistra, in Italia, ha cessato di essere, per l'immaginario collettivo nazionale, un modello di identificazione in senso etico, morale e culturale, abdicando alla propria funzione di essere rappresentativa come punto di riferimento costante per la società e per i movimenti?”

Il disincanto è incominciato negli anni settanta con il tentativo di “compromesso storico” e quindi si è rivelato con maggior chiarezza di fronte al naufragio precoce del secondo governo Prodi nel 2008. E’ da quel momento che gli italiani hanno cessato di guardare alla sinistra come punto di riferimento costante per la società e per i movimenti e così hanno per la terza volta dato fiducia al populista Berlusconi che era stato già due volte presidente del Consiglio. Con i risultati negativi che oggi possiamo verificare.



7). “Perchè in Italia non è decollato un modello di protesta come "occupy wall street"?

Gli italiani si sono addormentati in questi anni nel sonno del populismo trionfante e non si sono ancora svegliati.



8). “Se lei avesse la possibilità di poter far passare subito dei provvedimenti urgenti in parlamento, che cosa suggerirebbe per migliorare la situazione dell'Italia e degli italiani?”

Come lei ha detto, io non faccio di mestiere l’economista ma è abbastanza evidente che occorrono provvedimenti che vadano nella direzione di inserire i giovani nel mondo del lavoro, di favorire investimenti pubblici legati allo sviluppo del turismo e allo sfruttamento del nostro grande patrimonio artistico e culturale senza trascurare gli aiuti  all’innovazione e alla ricerca scientifica e culturale che le nostre classi dirigenti hanno abbandonato da molti anni. Inoltre una imposta sui grandi patrimoni (gli stessi più noti imprenditori come Della Valle e Montezemolo la chiedono) sarebbe necessaria e si impone allo stesso tempo una lotta più efficace contro l’evasione fiscale



9). “Lei pensa che l'uscita di Renzi abbia avuto e abbia un suo significato oppure è inutile e puramente mediatico?”

La sortita di Renzi ha avuto un aspetto positivo, legato alla necessità indubbia di confronto e discussione nel maggior partito della sinistra ma sul piano dei contenuti, come ha  ricordato con precisione l’onorevole Rosy Bindi, ha sfondato alcune porte aperte e ha citato come problemi da affrontare questioni che il Partito democratico aveva già affrontato e, a suo modo, risolto in precedenti occasioni. A dimostrazione di una verità che molti non riconoscono di questi tempi: cioè che, nella nostra società, l’informazione politica è peggiorata piuttosto che migliorare, come a prima vista parrebbe.

10). “Lei è l'unica persona di rinomata e riconosciuta cultura che ha avuto il coraggio di sostenere la sconfitta dello stato, come ha spiegato nel suo libro del 2008 "perchè la mafia ha vinto". Che cosa è accaduto? Perchè è accaduto?”

Sono convinto, se è possibile ancor più che nel 2008: le mafie purtroppo hanno sconfitto lo Stato nel nostro paese e controllano una parte rilevante della politica e dell’economia a livello nazionale come, con particolare capacità di penetrazione, in alcune regioni conquistate da tempo come la Campania, la Calabria e la Sicilia e in parte la Puglia. 



11). “Che cosa deve fare oggi un intellettuale per uscire fuori dall'inevitabile solitudine nella quale è stato e viene spinto?”

A mio avviso, due cose: da una parte fare il proprio mestiere rispettando i più importanti principi della costituzione e della convivenza civile; dall’altra continuare ad osservare l’evoluzione politica nazionale e internazionale e far conoscere, se gli viene consentito, la propria opinione. In questo periodo è particolarmente difficile ed io sono presente assai poco sulla stampa italiana perché i miei articoli non piacciono a forze politiche diverse e a volte contrapposte. 



12). “Le risulta che esista, in Italia, uno sbarramento che impedisce l'accesso al mercato editoriale di intellettuali, liberi pensatori, artisti a meno che non siano garantiti da partiti tradizionali e/o associazioni e/o confraternite e/o club e/o organizzazioni criminali?”

Non esiste una ricetta unica. Io direi in generale che bisogna fare in modo di partecipare a quel che si muove nella società e non soltanto nei partiti politici.



13). “Se sì, che cosa devono fare gli esclusi?”

Diciamo che è più difficile di una volta superare sbarramenti giornalistici ed editoriali. Il degrado morale è forte e chi vive in Italia lo avverte, sia se svolga un mestiere che ha a che fare con la cultura, sia che faccia altro. Gli esclusi dovrebbero mettersi insieme e cercare di superare così gli sbarramenti, non sarà un’impresa facile ma è necessario tentare..







copyright "Libero pensiero: la casa degli italiani esuli in patria" di Sergio Di Cori Modigliani.

Nel riprodurre l'intervista è necessario citare la fonte, il link di provenienza, la data di pubblicazione.

lunedì 23 ottobre 2017

L’Italia alla frontiera: questo post è lungo 4 righe. Parla da solo.



di Sergio Di Cori Modigliani

A nome del comitato invisibile nazionale degli esuli in patria dichiaro quanto segue:


Il paese langue. 
Ci siamo stufati di tutti coloro che ogni tanto sostengono se parlo io crolla tutto, oppure se io parlo metto nei guai chi conta, oppure io so cose che nessuno sa o anche io so che lui sa che io so oppure loro sanno che noi sappiamo quanto loro sapessero, ecc. ecc. 
Se sapete qualcosa, qualunque essa sia, ditela assumendovi le responsabilità. Altrimenti state zitti e lasciate in pace la nazione sofferente e gli itali pensanti per bene”.

Grazie per l’attenzione

Referendum: che idea!!






di Sergio Di Cori Modigliani


E' una strana sensazione, quella di essere testimone dell'attuale dibattito politico italiano. Leggendo questa mattina le dichiarazioni dei più diversi soggetti politici, dall'estrema sinistra all'estrema destra, passando per il PD, Forza Italia e M5s (mi riferisco qui ai referendum appena votati) mi è capitato di pensare che hanno tutti ragione.
E' come stare a teatro guardando una farsa.
Intanto, in Spagna, se non altro, si assiste a uno scenario che si tinge, giorno dopo giorno, dei consueti ingredienti di una autentica tragedia sociale.
Ben più nobile.
Pasticcioni e cialtroni, sia catalani che spagnoli, nell'aver dimostrato da entrambe le parti una forte miopia politica, perché incapaci di gestire al meglio una loro contraddizione reale.
Ma almeno, lì, si sente che c'è della verità.
Si annusa nell'aria uno scontro reale tra forze opposte e forse (da cui la tragedia) davvero incompatibili.
Da noi, alla fine della fiera, finisce che sono sempre tutti compatibili nel nome della incompatibilità dichiarata in campagna elettorale.
Triste constatazione.
Così va il paese, oggi.

giovedì 12 ottobre 2017

El pueblo urla al golpe. Vero o falso?





di Sergio Di Cori Modigliani

Uno degli aspetti più inquietanti dell'attuale fase quotidiana, nella quale siamo immersi, consiste nell'usura di termini e vocaboli che, inevitabilmente, finiscono per cancellare il "Senso" della comunicazione verbale tra umani in lingua italiana..
In tal modo si afferma l'egemonia dell'annuncio, dello slogan, della pubblicità, e il marketing mediatico vince sulla sostanza progettuale.
In questo specifico caso mi riferisco alla battaglia politica in corso tra tutti i partiti presenti nell'arco parlamentare, in riferimento alla legge elettorale.
Noi viviamo in una repubblica democratica parlamentare.
L'esecutivo si poggia su un meccanismo di alleanze che consenta di avere in aula almeno il 50,1% dei consensi.
L'abilità dei leader politici la si manifesta quando riescono a ottenere un accordo tale da reggere l'urto nell'inevitabile scontro con le forze che si oppongono.
Il M5s, sulla carta il più forte gruppo di opposizione parlamentare, ha deciso di non partecipare al confronto basando la propria scelta sul principio "Noi siamo diversi, non trattiamo con nessuno".
Quindi, si sono chiamati fuori.
Altri, numericamente molto più deboli di loro, si sono visti, riuniti e si sono messi d'accordo.
Il M5s sostiene che si tratta di un "golpe" ed è una scelta "eversiva". E qui crolla il Senso della lingua italiana.
Si spaccia per verità o progetto uno slogan mediatico.
Come fa la maggioranza parlamentare a essere eversiva, dato che il termine -per definizione- fa riferimento a un colpo sferrato da una minoranza contro la maggioranza?
Se è maggioranza, non può essere eversiva.
Idem per articolo 1 e sinistra italiana che condividono la stessa identica posizione: "Noi non trattiamo a nessun livello con Renzi" hanno dichiarato, dimenticandosi che attualmente è il segretario politico eletto del più importante partito italiano.
Anche in questo caso la scelta è legittima.
Se loro e i loro elettori sono contenti così, ok.
Se non vogliono mettersi d'accordo "per principio" è inevitabile che le altre formazioni approfittino dello spazio vuoto "regalato" e si mettano d'accordo tra di loro.
Mi sembra ovvio e davvero banale.
Non a caso si chiama battaglia parlamentare.
Quindi, in conclusione, chi usa questi termini, non sta affatto partecipando al gioco della repubblica parlamentare.
Sta parlando di un mondo reale diverso.
Di un gioco altro.
In Politica si vince quando si ha la maggioranza e si perde quando si è in minoranza.
Non ci si sottrae mai.
O meglio, lo si può anche fare.
Ma allora, viene spontanea la domanda: che cosa ve ne importa di andare in parlamento se tanto non volete allearvi con nessuno e sapete con matematica certezza che non otterrete mai alle urne il 51% dei voti validi?
Questo sarebbe l'unico caso in cui avrebbero ragione.
Vi sembra realistico?

mercoledì 11 ottobre 2017

Adelante Pedro con juicio: Barcellona docet!






di Sergio Di Cori Modigliani


I catalani, come è noto, hanno inventato la creatività surrealista, producendo l'imbattibile meraviglia di Gaudì, Salvador Dalì e Luis Bunuel.
Basterebbero questi tre per meritarsi un posto perenne nel Pantheon degli Immortali che hanno contribuito a forgiare l'immaginario collettivo europeo.
Adesso hanno inventato la "Indipe", ovvero "l'indipendenza a metà": una nuova forma di costruzione di uno stato sovrano che non è uno stato sovrano, di una rivoluzione che è contemporaneamente rivolta e conservazione, rottura e dialogo, scontro e incontro.

La Indipe è il grande sogno irrealizzato di Andrè Breton, Marc Chagall e il gruppo dei Dada.
Da noi, in Italia, è arrivata la variante pecoreccia; Renzi lancia la rottamazione della vecchia guardia e si allea con Berlusconi, il quale denuncia l'impossibilità di dialogo con Salvini ma si presenta alle elezioni insieme a lui; Bersani e D'Alema pretendono e impongono le primarie nel loro partito e siccome le hanno perse sostengono che non hanno valore, vogliono un grande movimento di centro-sinistra la cui condizione di base consiste nel fatto che non ci sia il centro.
Infine, il M5s, capitanato da un miliardario che sostiene di essere come S. Francesco, che è il leader riconosciuto ma anche no, è sempre oltre ma è anche di lato. Per non parlare del Papa, amministratore delegato dello Ior, il più importante centro finanziario speculativo del pianeta, capo dello stato più ricco del mondo (circa 20.000 miliardi, un 20% in più degli Usa) il quale sostiene che "povero è bello e soltanto chi non ha nulla andrà in Paradiso".
In Europa poi il trend è chiaramente quello: l'unico grande statista della civiltà progressista, razionale ed evoluta del vecchio continente, che tiene alta la bandiera dei valori della sinistra, è Angela Merkel che è di destra.

Non ci si può sorprendere se in un teatro come questo, la signora May abbia proposto alla Ue la soluzione vincente: una Brexit che non è una Brexit, del tipo "facciamo che è Brexit quando siamo a Londra, non appena arriviamo a Calais invece siamo di nuovo Ue".
Con l'idea del potere che hanno gli Umani non ci si annoia mai.

venerdì 6 ottobre 2017

Dedicato ai giovani d'oggi: il delirio dell'ideologia.






di Sergio Di Cori Modigliani


Il delirio nefasto dell'ideologia.
La stragrande maggioranza dei giovani d'oggi non ha la minima idea di chi sia il signor Cesare Battisti, nè che cosa ha fatto.
A meno che non siano attivisti militanti di gruppi e/o formazioni politiche che si auto-definiscono (grazie ai giornalisti che hanno inventato questo termine mediatico) "antagonisti".
Tuttora, il signor Cesare Battisti è sostenuto e appoggiato da gran parte delle forze politiche dell'estrema sinistra, compresi nomi di politici importanti famosissimi che hanno contribuito a trasformare in eroe e avventuriero una persona che la Giustizia italiana, in via definitiva, ha definito "assassino spietato, criminale pericoloso per la società, motivato esclusivamente dall'odio" condannandolo a due ergastoli per aver ucciso (personalmente) due persone e aver dato ordine di ucciderne altre due.

Da diversi anni, dopo essere stato accolto a Parigi, difeso e sostenuto da intellettuali deliranti francesi che odiano e disprezzano l'Italia e gli italiani, era fuggito in Brasile dove era diventato un divo, appoggiato dal presidente Lula. Personaggio della vita mondana sudamericana era diventato anche un personaggio televisivo ad alto impatto mediatico, dedito ad una vita trascorsa nel lusso edonistico, nella ricchezza materiale e nella produzione e diffusione di odio puro nei confronti dell'Italia e di tutto ciò che è italiano.
 

Ma che cosa ha fatto, esattamente?
 

Il 6 Giugno 1978 ha sparato (uccidendolo) a un maresciallo di 52 anni, Andrea Santoro.
Il 16 Febbraio del 1979, a Milano, ha sparato, uccidendolo, al gioielliere Pierluigi Torreggiani, reo di aver ucciso, per difesa, un rapinatore della mafia siciliana otto mesi prima. Dati i rapporti stretti che il Battisti aveva stretto con la criminalità organizzata, lo uccisero per vendetta. Il Torreggiani cercò di difendersi, ma ebbe la peggio; il figlio -presente in gioielleria- cercò di intervenire, ma il Battisti gli sparò un colpo perforandogli la spina dorsale, condannandolo a una vita su una carrozella.
Nell'autunno del 1979, diede ordine di uccidere Andrea Compagna e Lino Sabbadini, due piccoli commercianti, dichiarando (lo disse anche nel corso del processo, essendo reo confesso) che "avevo deciso di porre fine alla loro squallida esistenza".

Per motivi che esulano dalla comprensione di ogni italiano pensante democratico, ancora oggi gode in Italia e in Sudamerica di fortissimi appoggi politici e un vasto consenso nell'ambiente della sedicente "sinistra antagonista".
Questo post è dedicato alla memoria delle quattro vittime e delle loro famiglie, è dedicato soprattutto ai giovani di oggi ai quali non è stato spiegato nel dovuto dettaglio quali siano i capi di imputazione e le motivazioni della sua condanna.
Informatevi sui fatti, e non fidatevi di chi lo sostiene e lo appoggia.
Siate di sinistra, se questa è la vostra scelta politica, ma diffidate dalle imitazioni, in maggior conto -come in questo caso- se sono truculente, malvagie, intrise di opportunismo, malafede e un cuore nero.
Come la pece.

lunedì 2 ottobre 2017

Catalexit docet






di Sergio Di Cori Modigliani


Il caso di Barcellona ci conferma la definitiva affermazione
della "Nimby revolution" (celebre acronimo anglofono che sta per "Not In My Back Yard", che in italiano equivale a "Non nel mio orticello"):


Le nazioni e popolazioni più ricche d'Europa hanno deciso di andare all'attacco dei più poveri dichiarando secessione, indipendenza, autonomia e blablabla, perchè vogliono vivere in un mondo in cui non si pagano le tasse allo stato centrale, non vogliono re-distribuire la ricchezza, detestano i controlli, pretendono massima libertà di speculazione nel nome di "libertà dei capitali - libertà dalle capitali" e vogliono imporre la loro visione del mondo, una società nella quale non esistono regole da seguire se non quelle di attirare come una calamita capitali finanziari in uscita portati da immondi squali di ogni genere, attrarre turismo di massa in cerca di gnocche, efebi, sballo di varia natura e droghe esotiche alla moda.

E' il Grande Paradosso dei nostri tempi, l'ultima frontiera della società iper-liberista che potrebbe suonare anche così: 

"Visto che voi, caro popolo, dite sempre che volete fare la rivoluzione, noi ve la facciamo fare e addirittura la guidiamo. Così ci facciamo una barca di soldi e per voi ci sono: coriandoli, briciole di torte alla panna, palloncini colorati, concertoni rock, partite di calcio sublimi, e tanti tanti tanti comizi sulla bellezza dell'essere autonomi, indipendenti, sovrani e liberi. Più liberi di noi, non c'è nessuno".

El pueblo unido commosso, ringrazia e scende in piazza.

Come dire: dopo il danno, la beffa.

giovedì 28 settembre 2017

Brava Italia: successo della nostra diplomazia.


di Sergio Di Cori Modigliani

Peter Jennings, il celebre direttore dei servizi gionalistici della Abc news, in un suo famoso seminario sulla comunicazione a Berkeley, spiegava allora come funzionava il giornalismo.
"Immaginate che io domani apra il mio telegiornale con una clamorosa notizia del tipo:
 

"Una brutta e una buona notizia: quella fantastica ci dice che a Parigi, Mosca e New York sono sbarcate tre astronavi con i marziani e la popolazione locale circonda incuriosita gli extra-terrestri. La pessima notizia sta nel fatto che dai primi accertamenti sembra che i marziani siano buoni, pacifici e armoniosi".

Le buone notizie, infatti, non hanno mai seguito o condivisione. Le persone sono attirate e attratte dalla morbosità. Chi produce comunicazione lo sa e si adegua.
E' un fatto notorio.


Questa premessa per commentare la generale indifferenza sonnacchiosa con la quale è stata accolta sul web (quindi su facebook) la notizia relativa all'esito dell'incontro bilaterale Parigi-Roma, che si sè svolta ieri a proposito della questione Fincantieri-Stx. L'azienda italiana, come è noto, aveva acquistato quella francese la scorsa primavera garantendosi il 51% delle azioni e il controllo della società. A giugno, Macron era intervenuto sostenendo che essendo la Stx strategica per la nazione francese, il governo applicava la clausola militare grazie alla quale manteneva il 50% e il controllo dell'azienda. Il governo italiano aveva protestato e il ministro Calenda aveva dichiarato: "Noi non cederemo mai. Abbiamo pagato per avere il 51% e pretendiamo il 51%. Non ci spostiamo neppure di un centimetro". Quattro riunioni che avevano spinto le delegazioni al limite della rottura e infine la reciproca decisione di incontrarsi a Parigi il 27 settembre per prendere una decisione.
L'esito è stato salomonico, definito da entrambi "soluzione creativa". Ed è stato il seguente: Il governo francese mantiene il proprio punto ed è socio al 50% come l'Italia; per rispetto al patto precedente, "presta" l'1% all'Italia a costo zero per la durata di 12 anni, in modo tale che Fincantieri possa rimanere l'azionista di maggioranza con la possibilità di poter eleggere un proprio presidente e un proprio amministratore delegato. Grazie al 49%, la Francia controlla "a latere" la modalità di gestione degli italiani.
Grazie a questa decisione nasce il più potente gruppo di costruzioni navali, civili e militari, dell'intero continente europeo. Darà lavoro a circa 150.000 persone in Francia e almeno 25.000 in Italia, contribuendo all'aumento di entrambi i pil.
La notizia, quindi, avrebbe potuto essere una buona notizia (in un paese normale, dove non esiste la costante polemica, il tifo, l'odio generalizzato, il livore, la rabbia cieca, e l'amore infinito per tutto ciò che va male, che è brutto, disgustoso, indecente e malvagio) e quindi essere presentata al proprio pubblico nazionale nel seguente modo:
"Successo della diplomazia italiana: Gentiloni e Calenda vincono il round con Macron e mantengono la propria posizione imponendo il rispetto dei patti sanciti".
Sul nostro web, invece, no news.
Come ci ricordava Jennings, una buona notizia è inutile.
Così va l'Italia.

lunedì 18 settembre 2017

Si chiama hikikomori . E’ considerato il più grande pericolo psico-sociale per la nostra specie.


I


 di Apr 15, 2015


Il primo campanello d’allarme ufficiale è suonato una decina di anni fa, nel 2006.
Anche se ne parlavano già alla fine degli anni’80.
E’ accaduto in Giappone, il paese al mondo che più di ogni altra nazione sul pianeta, segue le problematiche sociali della propria popolazioni con grande cura e attenzione e interviene sempre preventivamente.
Così la loro cultura e tradizione.
Le cifre parlano chiaro: in Giappone la disoccupazione è intorno all’1%, i poveri sono lo 0,3% della popolazione, gli indigenti lo 0,7%. Non hanno spese militari, hanno il più grande disavanzo pubblico del pianeta (equivalente a circa -235%) e sono la seconda potenza economica della Terra come produzione di ricchezza, pari al quintuplo di quella italiana;  il più alto tasso di longevità (87 anni per le femmine e 82 per i maschi) il più basso tasso di natalità -record che condivide con l’Italia- e il più alto tasso di suicidi, circa 3.500 all’anno.
Uno studio dell’istituto di sociologia dell’università di Tokyo, finanziato dalla fondazione studi sociali dell’imperatore, nel 2006 evidenziò e coniò il neologismo che oggi terrorizza il Giappone: “hikikomori”.
E’ una parola che agli italiani non dice nulla, ma molto presto, purtroppo, diventerà un termine familiare
Non soltanto è finito su wikipedia, ma una richiesta ufficiale del Giappone è arrivata prima all’Onu e poi come domanda formale all’Oms, perchè venga rubricata sotto la voce “potenziale piaga sociale che può annicchilire intere nazioni”.

Ecco come wikipedia declina il termine:

“Hikikomori (引きこもり? letteralmente “stare in disparte, isolarsi”,[1] dalle parole hiku “tirare” e komoru “ritirarsi”[2]) è un termine giapponese usato per riferirsi a coloro che hanno scelto di ritirarsi dalla vita sociale, spesso cercando livelli estremi di isolamento e confinamento. Tali scelte sono causate da fattori personali e sociali di varia natura. Tra questi, la particolarità del contesto familiare in Giappone, caratterizzato dalla mancanza di una figura paterna e da un’eccessiva protettività materna, la grande pressione della società giapponese verso autorealizzazione e successo personale, cui l’individuo viene sottoposto fin dall’adolescenza. Il terminehikikomori si riferisce sia al fenomeno sociale in generale, sia a coloro che appartengono a questo gruppo sociale.
Il percorso terapeutico, che può durare da pochi mesi a diversi anni, consiste nel trattare la condizione come un disturbo mentale (con sedute di psicoterapia e assunzione di psicofarmaci) oppure come problema disocializzazione, stabilendo un contatto con i soggetti colpiti e cercando di migliorarne la capacità di interagire. Il fenomeno, già presente in Giappone dalla seconda metà degli anni ottanta, ha incominciato a diffondersi negli anni duemila anche negli Stati Uniti e in Europa

Dal 2009, in seguito all’uso massiccio di facebook e al dominio della comunicazione virtuale via web al posto di quella umana carnale nella vita reale, il fenomeno ha iniziato ad assumere chiari segnali di patologia sociale. In Giappone, il hikikomori, è aumentato dal 2009 al 2014 del 356%. E’ aumentato anche in Europa. Non esistono ancora dati ufficiali per quanto riguarda l’Italia, forse nessuno se ne occupa. Purtroppo, siamo in uno spaventoso ritardo culturale, sociale, imprenditoriale. Questo tipo di studi dovrebbe far parte al primo posto nella annuale legge di stabilità sotto la voce “ricerca e innovazione” come misura preventiva.

Secondo me, bisognerebbe cominciare a parlarne e ad alzare il livello dell’attenzione, prima che sia troppo tardi
Lo fa da tempo il più famoso romanziere giapponese, Murakami.
I suoi racconti, infatti, al di là dei paesaggi socio-onirici che lui crea, hanno tutti in comune un aspetto caratteristico: i giovani protagonisti, sia maschi che femmine, sono sempre soli, vivono da soli, se possono non escono di casa.
Sono, per l’appunto, vittime inconsapevoli del hikikomori.
Una decina di giorni fa, la giornalista Lidia Baratta, ha pubblicato sul quotidiano on-line linkiesta, un reportage proprio su questo tema, visto che in questi giorni sia l’Onu che l’Oms che l’Unicef se ne sta occupando con enorme preoccupazione
Ecco il suo pezzo e il link di riferimento:http://www.linkiesta.it/hikikomori-italia
Controllare il profilo Facebook in piena notte, rinunciare a un aperitivo per restare a chattare. Anche Internet, come l’alcol o la droga, può creare dipendenza. Le uscite fuori casa diminuiscono fino a sparire, le ore davanti a uno schermo aumentano. In Giappone, dove ne hanno contati più di un milione, gli adolescenti ritirati sociali che sostituiscono i rapporti diretti con quelli mediati da Internet si chiamano “hikikomori”. Da noi dati certi non ne esistono. Le ultime rilevazioni parlano di 240mila under 16, ma gli esperti dicono che anche in Italia gli autoreclusi dipendenti dalla Rete sono in continuo aumento.
La finestra di una chat è molto più sicura e controllabile di un bar in centro all’ora dell’aperitivo. Puoi decidere quando aprirla, selezionare cosa mostrare di te ed essere brillante al momento giusto, senza essere colto impreparato. La casa diventa un bunker dove creare il proprio spazio protetto. E il computer connesso è l’unica porta verso il mondo esterno per comunicare senza esporsi troppo.
«Stiamo registrando una crescita delle persone che si rivolgono a noi», spiega Valentina Di Liberto, sociologa e presidente dellaCooperativa Hikikomori di Milano. «Soprattutto perché c’è una maggiore consapevolezza delle dipendenze da Internet, in particolar modo da parte degli insegnanti».
L’autoreclusione parte dalla scuola, vissuta spesso come un allontanamento forzato dal mondo del Web. Suonata la campanella, non c’è altra attività che il ritiro in camera davanti a uno schermo. «Prima ci si ritira dalla scuola, poi dalla scena sociale», spiega Matteo Lancini, psicologo e psicoterapeuta presidente della cooperativa sociale Minotauro, specializzata nei disturbi adolescenziali. Anche qui, negli ultimi anni, le cure di adolescenti ritirati sociali e dipendenti dalla Rete sono in continuo aumento. «Di solito l’abbandono scolastico avviene nel biennio delle superiori, ma negli ultimi tempi viene anticipato anche alle medie», precisa Lancini. Si comincia con mal di pancia e mal di testa, per poi scoprire che sono solo sintomi fisici per sfuggire da un ambiente scolastico vissuto come un incubo. E in Italia il tasso di abbandono scolastico è ben sopra la media europea: tra il 2011 e il 2014, 167mila ragazzi hanno rinunciato al diploma.
Ritiro sociale e dipendenza da Internet sono spesso interconnessi e si sostengono reciprocamente. Dove sorge la dipendenza, aumenta il ritiro sociale. Dove c’è il ritiro sociale, aumenta l’uso della Rete come valvola di sfogo. Anche se, come Lancini precisa nel suo libroAdolescenti Navigati, «non tutti i ritirati sociali riescono ad accedere alle esperienze offerte dalla rete».
Un campanello d’allarme è il restare connessi in Rete durante la notte. «Questi ragazzi», spiega Valentina Di Liberto, «spesso invertono il ritmo circadiano, restando svegli la notte e dormendo il giorno, cominciando via via a evitare le relazioni reali, lo sport o altre attività all’aperto». Reclusi nelle loro stanze, frequentano il resto della casa quando tutti dormono. Per procurarsi del cibo, o solo delle sigarette. Poi tornano nell’incubatrice virtuale, dove tutto è più semplice e confortevole. «Non c’è un confronto diretto, non c’è un impatto emotivo né i giudizi, spesso spietati, dei compagni di classe», spiega Di Liberto. Tutto in Rete sembra sotto controllo. «Ci si può scollegare quando si vuole, decidere con chi connettersi, gestire la comunicazione. C’è una forte sensazione di controlloche non c’è invece nella vita reale».
Le modalità di dipendenza dalla Rete sono diverse, in realtà. C’è chi mantiene le relazioni solo online, chi usa i videogiochi senza alcun contatto, chi naviga solitario alla ricerca di informazioni. Qualcuno degli hikikomori, raccontano gli esperti, arriva a rispondere solo se viene chiamato con il nickname che usa in Rete e non con il vero nome. C’è chi si rinchiude per mesi, chi per anni.
Tamaki Saito è stato il primo psicoterapeuta a studiare il disturbo di Hikikomori, evidenziando anche alcune analogie tra i ragazzi giapponesi e i cosiddetti “mammoni italiani”. «Una delle caratteristiche degli hikikomori è lo stretto rapporto con una madre iperprotettiva», spiega Valentina Di Liberto. L’iperprotezione può rendere il figlio narcisista e fragile allo stesso tempo. Se la realtà non coincide con la sua idea di perfezione, c’è il rischio del rifiuto e del ritiro.
Spesso si parte da una sensazione di vergogna e inadeguatezza per il proprio corpo, che porta anche a creare identità diverse da se stessi in Rete. «Su Internet si diventa aggressivi o trasgressivi, al contrario di quello che si è nella realtà», racconta Valentina Di Liberto, «incanalando le emozioni represse che non si usano nella vita reale. Si costruiscono personaggi che hanno anche connotati fisici diversi da quelli della realtà».Ragazzi tanto silenziosi nel mondo reale, quanto disinibiti in quello virtuale. Come Lucia, 13 anni, che viene scoperta dalla nonna davanti al suo portatile mentre fotografa e posta in Rete l’unica parte secondo lei accettabile del suo corpo. O come Stefano, pacato e timido dal vivo, che diventa violento quando entra nel personaggio di un videogioco.
Ma se la Rete «diventa la difesa che la mente sceglie di utilizzare», spiega Lancini nel suo libro, «significa innanzitutto che l’adolescente sta cercando di non cedere a un dolore che, per qualità e intensità potrebbe risultare inaccessibile». E in questo caso, rispetto a chi si aliena anche dalla Rete, Internet è un’àncora di salvezza. La Rete non è la causa del ritiro dalla realtà, ma un tentativo estremo di restare agganciati al mondo esterno, dice Lancini. Non a caso, c’è chi, navigatore solitario senza contatti, comincia a guarire proprio aprendo un profilo su Facebook.«I rischi più grandi da cui si salva un ragazzo immerso nella Rete e ritirato socialmente possono essere dunque il suicidio e il break down psicotico, ovvero la perdita della speranza di riuscire a costruirsi un’identità e un ruolo sociale presentabili al mondo esterno».
E spesso proprio dalla Rete comincia la cura per i ritirati sociali. Che per definizione non vogliono incontrare nessuno, tantomeno uno psicologo stipendiato dai genitori. Non esiste un approccio univoco. Alla cooperativa Hikikomori di Milano si fanno sedute di psicoterapia individuale o di gruppo, e il Comune ha finanziato fino a giugno anche un laboratorio di consulenza gratuita per otto adolescenti con dipendenze da internet e dai videogiochi che include la consulenza ai genitori. Anche la cooperativa Minotauro ha un consultorio gratuito per chi non può permettersi sedute di psicoterapia per i propri figli adolescenti in crisi. Le dipendenze da Internet, spiega Lancini, non vengono trattate con un approccio di disintossicazione, sottraendo smartphone, router e pc. Si parte spesso dai genitori, per arrivare ai figli anche dopo molti mesi. E il primo contatto, anche con lo psicologo, molto spesso avviene in chat.
Ma Lidia Baratta non è la prima a parlarne.
Il primo articolo sull’argomento (è considerato il primo in Europa) è stato scritto da una giovane truccatrice italiana che se ne è andata a vivere a Londra dove lavora come make up artist. Si chiama Rosita Baiamonte e il suo pezzo risale al 1 Marzo del 2013, ben venticinque mesi fa, apparso sul suo sito/blog che si chiama “abattoir”.
Lo trovo un pezzo interessante. Un esempio sullo stato di salute del nostro paese, sempre ghettizzato e distratto, a parlare solo e soltanto di danaro e di partiti politici. La Baiamonte, allora, ci aveva provato con più articoli, ma vista la totale indifferenza del pubblico, ha poi lasciato perdere. Rimane il suo accredito, che io le riconosco, per essere stata la prima curiosa ad affrontare l’argomento in lingua italiana.
Ecco il suo articolo di allora con relativo link
http://www.abattoir.it/2012/03/01/hikikomori-mi-dissolvo-2/

Hikikomori: mi dissolvo

Il sol levante è portatore di novità, di tecnologie avanzate, di una quantità di suggestioni figlie di una cultura diametralmente opposta a quella occidentale; in particolare, il Giappone è una terra affascinante e per certi versi incomprensibile a noi poveri occidentali.
Ad esempio, è notizia recente quella di una donna giapponese invalida che ha rifiutato di farsi pagare una pensione d’invalidità dallo stato. Strano, assurdo, incredibile.
Sì, per noi che viviamo in un mondo popolato da falsi invalidi con pensioni d’oro, è un bel po’ strano.
Tuttavia, il Giappone è sempre fonte d’ispirazione, sia nel bene che ne male.
Nasce in Giappone il fenomeno Hikikomori, che è a tutti gli effetti una sindrome che colpisce soprattutto gli adolescenti, un fenomeno che, fino a qualche anno fa, sembrava non aver colpito l’Italia, ma che invece negli ultimi anni pare essere sbarcato anche da noi, quasi fosse una moda. 
L’hikikomori è un ragazzo che a un certo punto della sua esistenza decide di isolarsi dal mondo e dalla realtà che lo circonda, si chiude in camera e lì passa le sue giornate. La camera diventa il luogo fisico, dove egli conduce la sua vita, luogo che a poco a poco si ammassa di oggetti, di resti di cibo, di sporcizia, di polvere, quasi come se gli oggetti diventassero essi stessi hikikomori e non potessero più uscire da quel luogo, così come chi li possiede. Oggetti che, in qualche modo, lo riportano in quella realtà che egli vive e osserva solo attraverso un computer.
Egli vive di notte, di giorno oscura le finestre, odia la luce. La notte si rifugia nei social network, nei forum, dove incontra altri hikkikomori come lui, creando quasi una rete. Un po’ come accadeva qualche anno fa (ma forse accade ancora), con le adepte di Ana, la dea dell’anoressia, fenomeno quanto mai preoccupante che vedeva coinvolte centinaia di ragazze che, da un giorno all’altro, avevano messo su una rete di blog dove si scambiavano consigli su come dimagrire in fretta e su come essere sempre fedeli ad Ana (e guai a sgarrare!).
 Alienante.
L’ikikomori trasferisce nello spazio angusto della sua camera tutta la forza e l’onnipotenza che non riesce ad avere fuori da lì, nella vita vera, quasi come se vivesse dentro un videogioco dove egli è l’eroe, e in quello spazio l’hikkikomori crea, inventa, scrive, produce.
In Giappone il fenomeno è in fortissima espansione; si contano già più di un milione di casi.
Uscire dall’isolamento è difficile se non impossibile, curare dei soggetti in hikikomori è un’ardua impresa, perché rifiutano di lasciare il loro habitat e nessuno riesce a raggiungerli. Inoltre, aspetto da non trascurare è la non volontà di tornare a un’esistenza normale, perché la loro è una scelta, è un’auto esclusione dalla vita.
L’hikkikomori smette di avere bisogni pratici, non si cura di sé, del suo aspetto fisico, il suo unico bisogno è quello di espandersi mentalmente attraverso la rete, attraverso la scrittura, la pittura, la creatività.
La cosa realmente preoccupante di questo fenomeno è che l’hikkikomori finisce con l’appassire, perché si nega al sole, alla luce, ai rapporti sociali, e piano piano, deperisce e muore.
Sì, l’hikikomori è un alienato, non per natura, ma per scelta, sebbene esistano delle cause scatenanti che portano il soggetto a voler fuggire dalla realtà; ad esempio, soggetti che per natura molto timidi o che sono costantemente oggetto di scherno da parte dei coetanei sviluppano una forma di repulsione e di rifiuto verso quella società che, di fatto, ride di lui.
Tuttavia, non bisogna relegare il fenomeno a semplice apatia o forma acuta di timidezza. È qualcosa di più, è come un morbo che pian piano si espande a macchia d’olio e che sta coinvolgendo sempre più paesi, compresa l’Italia, anche se in forme diverse.
Secondo alcuni psicoterapeuti, come la Dott. Carla Ricci, autrice del libro: “Hikikomori: adolescenti, volontà di reclusioni”, il fenomeno in Italia ha preso una piega diversa e presenta dei lati meno feroci, ad esempio l’isolamento non è quasi mai totale: gli hikikomori italiani, a differenza dei giapponesi, accettano di consumare i pasti coi genitori, e di vedere, di tanto in tanto, un amico con cui passare delle ore. Questo è dovuto anche a una differente organizzazione della società e della famiglia rispetto al Giappone, dove il fenomeno è visto dalla società come un’onta e qualcosa da nascondere, per cui le famiglie non se ne preoccupano e preferiscono, anzi, agevolare l’esclusione dell’adolescente nel tentativo di nasconderlo al mondo.
Tuttavia il fenomeno italiano, pur essendo ancora marginale, desta già preoccupazione; sempre più genitori lamentano nei loro figli una sorta di apatia e di disinteresse verso tutto, per cui sempre più spesso gli adolescenti vengono affidati alle cure di psicoterapeuti e questo, in qualche modo, fa da argine a una degenerazione della patologia.
Quanti di noi non hanno attorno amici che passano la maggior parte della loro vita davanti a un pc? Che se gli chiedi: ehi, usciamo a farci una pizza? Ti rispondono: no, devo ultimare il livello, di non so quale diavolo di gioco di ruolo! Ce ne preoccupiamo? Avvertiamo che anche noi spesso ci lasciamo andare a momenti di tremenda apatia, che ci risucchia le energie e ci spegne?
Ho idea che questo fenomeno sia lontano dall’arrestarsi, magari non sfocerà mai nelle forme di totale reclusione, ma sicuramente le nuove generazioni si stanno sempre più alienando, e sempre più spesso si rifugiano in un mondo a parte, dove si sentono eroi, insuperabili, onnipotenti, anche se in realtà, sono fragili e indifesi.
E voi che ne pensate? Credete sia la solita moda esportata dal Giappone o è qualcosa che accomuna tutti gli adolescenti del mondo a prescindere dal paese? E credete che la tecnologia abbia esacerbato il fenomeno?

giovedì 14 settembre 2017

C'è Cairo nel futuro dell'Italia telesionata e narcolettica?






Sergio Di Cori Modigliani


I pentastellati, a loro totale insaputa, perchè troppo ingenui per poter aspirare a essere dei politici (quelli in buona fede) sono scesi in campo partecipando alla battaglia business tra l'asse Berlusconi/Cairo da una parte e lo Stato/Rai/servizio pubblico dall'altra, schierandosi dalla parte dei cosiddetti "poteri forti" (termine da loro stessi coniato/diffuso/sostenuto). Nel mondo finanziario e imprenditoriale italiano (soprattutto quello milanese molto ben informato) gira in maniera sempre più consistente l' ipotesi che in un futuro prossimo -forse già entro un paio d'anni- Urbano Cairo decida di scendere in campo aspirando ad andare a occupare la poltrona di primo ministro, raccogliendo l'eredità, l'esperienza e l'insegnamento del suo antico datore di lavoro a pubblitalia, il senatore Marcello Dell'Utri. Resta da chiedersi quanti, dentro il M5s, (e soprattutto quali) si rendano conto della vera natura della partita attualmente in corso verso la codificazione definitiva del Pensiero Unico.
 

Qui di seguito un interessante articolo che spiega lo stato dell'arte, a firma Giuliano Balestrieri, pubblicato sul sito businessinsider.com


Cairo cavalca i 5 Stelle per scardinare il duopolio Rai-Set: vuole il canone o più pubblicità


Lilli Gruber con Urbano Cairo. Imagoeconomica
Urbano Cairo minaccia la pax televisiva suggellata dall’ormai consolidato duopolio RaiSet (con il quale viale Mazzini e il Biscione si sostengono a vicenda). D’altra parte il momento è delicato: la raccolta pubblicitaria di La7 che non decolla, mentre il servizio pubblico della Rai è costantemente sotto i riflettori. Viale Mazzini incassa il canone più basso d’Europa, ma anche centinaia di milioni di euro dagli investitori pubblicitari (615 milioni nel 2016): soldi che fanno gola a tanti editori. E così,Cairo prova a scardinare il sistema della tv in chiaro. Sulla falsariga di quanto provò a fare Fedele Confalonieri nel 1999 dicendo “alla Rai il servizio pubblico a noi la tv commerciale”.

Leggi anche Paradosso Rai: i conti promuovono Campo Dall’Orto ma la politica lo boccia. E Mediaset ringrazia

Pier Silvio Berlusconi, vicepresidente di Mediaset e Fedele Confalonieri, presidente Giuseppe Cacace /AFP/Getty Images)
La scommessa politica
Sono passati quasi 20 anni, e adesso Cairo – che lo scorso anno ha conquistato il controllo di Rcs – prova l’ennesimo assalto a Viale Mazzini. La strada scelta però è più lunga, ma visione e pazienza non mancano di certo all’imprenditore milanese che nel frattempo cerca la sponda dei Cinque stelle, in attesa magari di scendere direttamente nell’arena politica. D’altra parte il 2018 è dietro l’angolo: troppo vicino perché chi è impegnato a rilanciare il Corriere della Sera e a consacrare La7 coltivi ambizioni da protagonista, ma potrebbe essere l’occasione per iniziare a sondare il terreno. Facendo attenzione agli umori della gente. E così l’asse con i grillini è quasi naturale: Cairo non ha padrini politici – pur essendo stato Silvio Berlusconi il suo mentore – così come i pentastellati non godono dei favori dell’establishment.

Nella foto Luigi Di Maio 5 stelle a Porta a Porta, sullo sfondo una foto di Beppe Grillo – foto di Maria Laura Antonelli / AGF
Leggi anche Il piano dei grillini per media e banda larga: Rai modello Bbc con meno pubblicità e internet per tutti
Il nodo del servizio pubblico
Nel frattempo il battage comunicativo de La7 cresce d’intensità con il passare delle settimane: sempre più spesso al nome dell’emittente si cerca di affiancare la definizione di “servizio pubblico”. Per il gruppo è fondamentale la legittimazione popolare: ovvero il riconoscimento da parte degli ascoltatori di un palinsesto flessibile a costante servizio dell’informazione. Un riconoscimento che nel medio termine potrebbe spingere l’emittente a battere cassa al governo: perché – è il ragionamento che iniziano a fare in molti – una parte del canone non dovrebbe essere redistribuita a chi offre un servizio come quello della Rai?

Mario Orfeo direttore generale RAI e Monica Maggioni presidente della RAI. Armando Dadi / AGF
Leggi anche Rai, super gettito dal Canone 2016. Ma dal 2017 si scende e l’azienda si ribella
Il dilemma dell’extra-gettito
Quasi un anno fa, in un’intervista a Repubblica, Gianni Minoli propose di mettere i 300 milioni di euro di extra-gettito da canone (garantiti dal pagamento in bolletta) a bando tra Rai e privati su progetti di servizio pubblico (a La7, per esempio basterebbero 50/60 milioni di euro l’anno per svoltare il conto economico): il problema è che di quella cifra solo una parte entra nelle casse di Viale Mazzini, il resto è destinato a fondi creati ad hoc dal governo. E poi Palazzo Chigi vuole usare l’extra-gettito per ridurre il costo del canone (peraltro già il più basso d’Europa).
Il canone più basso d’Europa
Insomma, un’impresa non semplice da realizzare anche volendo ignorare le difficoltà di natura contabile che sorgerebbero per la tv di Stato. Non si può dimenticare, infatti, che servirebbe un intervento normativo per modificare la convenzione decennale rinnovata la scorsa primavera. Certo basterebbe una norma di poche righe, ma chi avrebbe il coraggio di togliere alla Rai anche solo una fetta di quei 1,9 miliardi di canone sapendo che la sua omologa tedesca Ard riceve quasi 5,5 miliardi, la Bbc 4,5 e la televisione francese 2,5 miliardi? E poi perché questi soldi dovrebbero andare solo a La 7 e non a tutti quegli editori che fanno servizio pubblico?
Gli obblighi del servizio pubblico
Infine, come osserva Francesco Siliato analista del settore media e partner dello Studio Frasi “l’accezione di Servizio pubblico è disciplinata dalla convenzione. Davvero una rete commerciale è disposta ad abbassare il tetto degli spot al 4% settimanale? Davvero sono pronti a reinvestire una buona parte del canone in produzioni indipendenti? Davvero vogliono aprire sedi regionali per i loro telegiornali?”. Tradotto: l’ambizione di mettere le mani su una fetta del canone può essere attraente, ma comporta obblighi non certo indifferenti.
Il tetto all’affollamento pubblicitario
Più facile allora che la manovra serva ad aumentare le pressioni per rivedere i tetti alla pubblicità sulla tv di Stato che lo scorso anno ha incassato dai suoi investitori 615 milioni di euro. Anche in questo caso, in effetti, la situazione della Rai è piuttosto unica: le reti nazionali dei grandi paesi – dalla Gran Bretagna alla Francia – non hanno pubblicità (o se ce l’hanno è con forti limitazioni sia in termini di affollamento che di fasce orarie, ma dal canone ricevono molte più risorse della Rai). Per motivi diversi, però, sia il centrodestra che il centrosinistra hanno tutto l’interesse a mantenere lo status quo: inoltre, sono consapevoli che ogni modifica al tetto pubblicitario della Rai verrebbe letta come un regalo a Mediaset. I grillini, invece, potrebbero avere la forza per dare uno scossone al sistema. E Cairo lo sa bene.

Giannli Letta, Silvio Berlusconi e Urbano Cairo – Imagoeconomica
Basterebbe, per esempio, modificare la regola sul tetto del 4% all’affollamento pubblicitario settimanale della Rai stabilito dalla legge Gasparri: oggi la pubblicità settimanale delle tre reti Rai insieme non può superare il 4% delle ore di trasmissione; il governo, però, potrebbe fissare il tetto sul singolo canale anziché sull’intera emittente. In questo modo Viale Mazzini dovrebbe svuotare di spot Rai1 (oggi al 5,1%), ricaricando Rai3 (che è al 3% di affollamento, ma ha tariffe più basse per gli inserzionisti).
Per gli analisti ci sarebbe un travaso a quasi totale beneficio della rete ammiraglia di Mediaset, Canale5: non trovando spazio su Rai1 gli investitori preferirebbero migrare verso il canale della tv commerciale che ha più o meno lo stesso target ma soprattutto un’audience molto simile. A meno che il prossimo Parlamento vari una norma Antitrust con un tetto alla raccolta degli investimenti pubblicitari: Mediaset è costantemente vicina al 60% della raccolta totale. Fissando un limite invalicabile il travaso verso gli altri editori sarebbe quasi naturale. Se poi non dovesse cambiare nulla, Cairo potrebbe sempre sfruttare la nuova immagine di “servizio pubblico” per tentare la scalata a Palazzo Chigi.