Spinelli, Rossi, Colorni, Hirschmann
di Sergio Di Cori Modigliani
76 anni fa, nel 1941, nella piccola isola di Ventotene, dove si trovavano condannati al confino dal regime fascista, un gruppo di intellettuali italiani pensò, discusse, elaborò, sintetizzò, e infine redasse, un testo che loro vollero chiamare "manifesto per un'Europa libera e unita" gettando le basi teoriche della grande utopia europeista, basata sull'affermazione dei principi cardine del liberalismo e della democrazia, contro ogni forma di totalitarismo. Si era, allora, nel pieno di una sanguinosa guerra in Europa, che sarebbe durata sei anni, costando la vita di 55 milioni di esseri umani, soltanto nel nostro continente. Era quindi una massima priorità porre le necessarie fondamenta per evitare ogni possibile rischio di ulteriori conflitti nel futuro.
Sono trascorse, da allora, quattro generazioni, e in questi 80 anni siamo riusciti a costruire un'alleanza che ha consentito di vivere in pace e in prosperità. Da dieci anni a questa parte, da quando siamo stati colpiti dalla più grande crisi finanziaria del pianeta negli ultimi 80 anni, sono riemerse nel nostro continente delle forti pulsioni anti-europeiste nel nome di parole d'ordine legate al concetto di sovranità territoriale e di spirito identitario nazionalistico: gli stessi identici ingredienti che produssero nel secolo scorso il pane della seconda guerra mondiale. Il 26 marzo del 1957 veniva firmato il primo trattato di fondazione dell'Unione Europea. L'evento avvenne a Roma, in quanto capitale dello stato considerato ideatore, propugnatore e grande sostenitore dell'idea europeista fin dai tempi di Giuseppe Mazzini. Era inoltre la nazione che aveva dato i natali a Spinelli Rossi e Colorni. Per non parlare del fatto che, a quella data, l'Italia era esplosa economicamente (in senso positivo) sorprendendo tutto il mondo: cresceva al ritmo del +10% annuo, segnando il più poderoso sviluppo economico mai registrato nella Storia in un singolo Stato. Per comprendere da dove veniamo e dove dobbiamo andare, ho pensato fosse utile proporre alla lettura il testo integrale di quel manifesto che rimane, anche a distanza di 80 anni, colonna portante della cultura e della civiltà d'Europa.
Il documento che ha ispirato l'idea di Unione europea
"Per un'Europa libera e unita
Ventotene, agosto 1941
I - LA CRISI DELLA CIVILTÀ MODERNA
La civiltà moderna ha posto come proprio fondamento il
principio della libertà, secondo il quale l'uomo non deve essere un mero strumento altrui, ma un autonomo centro di vita.
Con questo codice alla
mano si è venuto imbastendo un grandioso processo storico a tutti gli
aspetti della vita sociale che non lo rispettino:
1. Si è affermato l'eguale diritto a tutte le nazioni di
organizzarsi in stati indipendenti. Ogni popolo, individuato nelle sue
caratteristiche etniche geografiche linguistiche e storiche, doveva
trovare nell'organismo statale, creato per proprio conto secondo la sua
particolare concezione della vita politica, lo strumento per soddisfare
nel modo migliore ai suoi bisogni, indipendentemente da ogni intervento
estraneo.
L'ideologia dell'indipendenza nazionale è stata un potente
lievito di progresso; ha fatto superare i meschini campanilismi in un
senso di più vasta solidarietà contro l'oppressione degli stranieri
dominatori; ha eliminato molti degli inciampi che ostacolavano la
circolazione degli uomini e delle merci; ha fatto estendere, dentro il
territorio di ciascun nuovo stato, alle popolazioni più arretrate, le
istituzioni e gli ordinamenti delle popolazioni più civili. Essa portava
però in sé i germi del nazionalismo imperialista, che la nostra
generazione ha visto ingigantire fino alla formazione degli Stati
totalitari ed allo scatenarsi delle guerre mondiali.
La nazione non è più ora considerata come lo storico
prodotto della convivenza degli uomini, che, pervenuti, grazie ad un
lungo processo, ad una maggiore uniformità di costumi e di aspirazioni,
trovano nel loro stato la forma più efficace per organizzare la vita
collettiva entro il quadro di tutta la società umana. È invece divenuta
un'entità divina, un organismo che deve pensare solo alla propria
esistenza ed al proprio sviluppo, senza in alcun modo curarsi del danno
che gli altri possono risentirne. La sovranità assoluta degli stati
nazionali ha portato alla volontà di dominio sugli altri e considera suo
"spazio vitale" territori sempre più vasti che gli permettano di
muoversi liberamente e di assicurarsi i mezzi di esistenza senza
dipendere da alcuno. Questa volontà di dominio non potrebbe acquietarsi
che nell'egemonia dello stato più forte su tutti gli altri asserviti.
In conseguenza lo stato, da tutelatore della libertà dei
cittadini, si è trasformato in padrone di sudditi, tenuti a servirlo con
tutte le facoltà per rendere massima l'efficenza bellica. Anche nei
periodi di pace, considerati come soste per la preparazione alle
inevitabili guerre successive, la volontà dei ceti militari predomina
ormai, in molti paesi, su quella dei ceti civili, rendendo sempre più
difficile il funzionamento di ordinamenti politici liberi; la scuola, la
scienza, la produzione, l'organismo amministrativo sono principalmente
diretti ad aumentare il potenziale bellico; le madri vengono considerate
come fattrici di soldati, ed in conseguenza premiate con gli stessi
criteri con i quali alle mostre si premiano le bestie prolifiche; i
bambini vengono educati fin dalla più tenera età al mestiere delle armi e
dell'odio per gli stranieri; le libertà individuali si riducono a nulla
dal momento che tutti sono militarizzati e continuamente chiamati a
prestar servizio militare; le guerre a ripetizione costringono ad
abbandonare la famiglia, l'impiego, gli averi ed a sacrificare la vita
stessa per obiettivi di cui nessuno capisce veramente il valore, ed in
poche giornate distruggono i risultati di decenni di sforzi compiuti per
aumentare il benessere collettivo.
Gli stati totalitari sono quelli che hanno realizzato nel
modo più coerente l’unificazione di tutte le forze, attuando il massimo
di accentramento e di autarchia, e si sono perciò dimostrati gli
organismi più adatti all'odierno ambiente internazionale. Basta che una
nazione faccia un passo più avanti verso un più accentuato
totalitarismo, perché sia seguita dalle altre nazioni, trascinate nello
stesso solco dalla volontà di sopravvivere.
2. Si è affermato l'uguale diritto per i cittadini alla
formazione della volontà dello stato. Questa doveva così risultare la
sintesi delle mutevoli esigenze economiche e ideologiche di tutte le
categorie sociali liberamente espresse. Tale organizzazione politica ha
permesso di correggere, o almeno di attenuare, molte delle più stridenti
ingiustizie ereditarie dai regimi passati. Ma la libertà di stampa e di
associazione e la progressiva estensione del suffragio rendevano sempre
più difficile la difesa dei vecchi privilegi mantenendo il sistema
rappresentativo. I nullatenenti a poco a poco imparavano a servirsi di
questi istrumenti per dare l'assalto ai diritti acquisiti dalle classi
abbienti; le imposte speciali sui redditi non guadagnati e sulle
successioni, le aliquote progressive sulle maggiori fortune, le
esenzioni dei redditi minimi, e dei beni di prima necessità, la gratuità
della scuola pubblica, l'aumento delle spese di assistenza e di
previdenza sociale, le riforme agrarie, il controllo delle fabbriche
minacciavano i ceti privilegiati nelle loro più fortificate cittadelle.
Anche i ceti privilegiati che avevano consentito
all'uguaglianza dei diritti politici non potevano ammettere che le
classi diseredate se ne valessero per cercare di realizzare
quell'uguaglianza di fatto che avrebbe dato a tali diritti un contenuto
concreto di effettiva libertà. Quando, dopo la fine della prima guerra
mondiale, la minaccia divenne troppo forte, fu naturale che tali ceti
applaudissero calorosamente ed appoggiassero le instaurazioni delle
dittature che toglievano le armi legali di mano ai loro avversari.
D'altra parte la formazione di giganteschi complessi
industriali e bancari e di sindacati riunenti sotto un'unica direzione
interi eserciti di lavoratori, sindacati e complessi che premevano sul
governo per ottenere la politica più rispondente ai loro particolari
interessi, minacciava di dissolvere lo stato stesso in tante baronie
economiche in acerba lotta tra loro.
Gli ordinamenti democratico liberali, divenendo lo strumento di
cui questi gruppi si valevano per meglio sfruttare l'intera
collettività, perdevano sempre più il loro prestigio, e così si
diffondeva la convinzione che solamente lo stato totalitario, abolendo
la libertà popolare, potesse in qualche modo risolvere i conflitti di
interessi che le istituzioni politiche esistenti non riuscivano più a
contenere.
Di fatto poi i regimi totalitari hanno consolidato in
complesso la posizione delle varie categorie sociali nei punti volta a
volta raggiunti, ed hanno precluso, col controllo poliziesco di tutta la
vita dei cittadini e con la violenta eliminazione dei dissenzienti,
ogni possibilità legale di correzione dello stato di cose vigente. Si è
così assicurata l'esistenza del ceto assolutamente parassitario dei
proprietari terrieri assenteisti, e dei redditieri che contribuiscono
alla produzione sociale solo col tagliare le cedole dei loro titoli, dei
ceti monopolistici e delle società a catena che sfruttano i consumatori
e fanno volatilizzare i denari dei piccoli risparmiatori, dei
plutocrati, che, nascosti dietro le quinte, tirano i fili degli uomini
politici, per dirigere tutta la macchina dello stato a proprio esclusivo
vantaggio, sotto l'apparenza del perseguimento dei superiori interessi
nazionali. Sono conservate le colossali fortune di pochi e la miseria
delle grandi masse, escluse dalle possibilità di godere i frutti delle
moderna cultura. È salvato, nelle sue linee sostanziali, un regime
economico in cui le risorse materiali e le forze di lavoro, che
dovrebbero essere rivolte a soddisfare i bisogni fondamentali per lo
sviluppo delle energie vitali umane, vengono invece indirizzate alla
soddisfazione dei desideri più futili di coloro che sono in grado di
pagare i prezzi più alti; un regime economico in cui, col diritto di
successione, la potenza del denaro si perpetua nello stesso ceto,
trasformandosi in un privilegio senza alcuna corrispondenza al valore
sociale dei servizi effettivamente prestati, e il campo delle
alternative ai proletari resta così ridotto che per vivere sono
costretti a lasciarsi sfruttare da chi offra loro una qualsiasi
possibilità d'impiego.
Per tenere immobilizzate e sottomesse le classi operaie, i
sindacati sono stati trasformati, da liberi organismi di lotta, diretti
da individui che godevano la fiducia degli associati, in organi di
sorveglianza poliziesca, sotto la direzione di impiegati scelti dal
gruppo governante e ad esso solo responsabili. Se qualche correzione
viene fatta a un tale regime economico, è sempre solo dettata dalle
esigenze del militarismo, che hanno confluito con le reazionarie
aspirazioni dei ceti privilegiati nel far sorgere e consolidare gli
stati totalitari.
3. Contro il dogmatismo autoritario si è affermato il
valore permanente dello spirito critico. Tutto quello che veniva
asserito doveva dare ragione di sì o scomparire. Alla metodicità di
questo spregiudicato atteggiamento sono dovute le maggiori conquiste
della nostra società in ogni campo.
Ma questa libertà spirituale non ha resistito alla crisi
che ha fatto sorgere gli stati totalitari. Nuovi dogmi da accettare per
fede o da accettare ipocritamente si stanno accampando in tutte le
scienze. Quantunque nessuno sappia che cosa sia una razza e le più
elementari nozioni storiche ne facciano risultare l'assurdità, si esige
dai fisiologi di credere di mostrare e convincere che si appartiene ad
una razza eletta, solo perché l'imperialismo ha bisogno di questo mito
per esaltare nelle masse l'odio e l'orgoglio. I più evidenti concetti
della scienza economica debbono essere considerati anatema per
presentare la politica autarchica, gli scambi bilanciati e gli altri
ferravecchi del mercantilismo, come straordinarie scoperte dei nostri
tempi. A causa della interdipendenza economica di tutte le parti del
mondo, spazio vitale per ogni popolo che voglia conservare il livello di
vita corrispondente alla civiltà moderna, è tutto il globo; ma si è
creata la pseudo scienza della geopolitica che vuol dimostrare la
consistenza della teoria degli spazi vitali, per dare veste teorica alla
volontà di sopraffazione dell'imperialismo. La storia viene falsificata
nei suoi dati essenziali, nell'interesse della classe governante. Le
biblioteche e le librerie vengono purificate di tutte le opere non
considerate ortodosse. Le tenebre dell'oscurantismo di nuovo minacciano
di soffocare lo spirito umano.
La stessa etica sociale della libertà e dell'uguaglianza è
scalzata. Gli uomini non sono più considerati cittadini liberi, che si
valgono dello stato per meglio raggiungere i loro fini collettivi. Sono
servitori dello stato che stabilisce quali debbono essere i loro fini, e
come volontà dello stato viene senz'altro assunta la volontà di coloro
che detengono il potere. Gli uomini non sono più soggetti di diritto, ma
gerarchicamente disposti, sono tenuti ad ubbidire senza discutere alle
gerarchie superiori che culminano in un capo debitamente divinizzato. Il
regime delle caste rinasce prepotente dalle sue stesse ceneri.
Questa reazionaria civiltà totalitaria, dopo aver trionfato
in una serie di paesi, ha infine trovato nella Germania nazista la
potenza che si è ritenuta capace di trarne le ultime conseguenze. Dopo
una meticolosa preparazione, approfittando con audacia e senza scrupoli
delle rivalità, degli egoismi, della stupidità altrui, trascinando al
suo seguito altri stati vassalli europei — primo fra i quali l'Italia —
alleandosi col Giappone che persegue fini identici in Asia essa si è
lanciata nell'opera di sopraffazione.
La sua vittoria significherebbe il definitivo
consolidamento del totalitarismo nel mondo. Tutte le sue caratteristiche
sarebbero esasperate al massimo, e le forze progressive sarebbero
condannate per lungo tempo ad una semplice opposizione negativa.
La tradizionale arroganza e intransigenza dei ceti militari
tedeschi può già darci un'idea di quel che sarebbe il carattere del loro
dominio dopo una guerra vittoriosa. I tedeschi vittoriosi potrebbero
anche permettersi una lustra di generosità verso gli altri popoli
europei, rispettare formalmente i loro territori e le loro istituzioni
politiche, per governare così soddisfacendo lo stupido sentimento
patriottico che guarda ai colori dei pali di confine ed alla nazionalità
degli uomini politici che si presentano alla ribalta, invece che al
rapporto delle forze ed al contenuto effettivo degli organismi dello
stato. Comunque camuffata, la realtà sarebbe sempre la stessa: una
rinnovata divisione dell'umanità in Spartiati ed Iloti.
Anche una soluzione di compromesso tra le parti ora in
lotta significherebbe un ulteriore passo innanzi del totalitarismo,
poiché tutti i paesi che fossero sfuggiti alla stretta della Germania
sarebbero costretti ad accettare le sue stesse forme di organizzazione
politica, per prepararsi adeguatamente alla ripresa della guerra.
Ma la Germania hitleriana, se ha potuto abbattere ad uno ad
uno gli stati minori, con la sua azione ha costretto forze sempre più
potenti a scendere in lizza. La coraggiosa combattività della Gran
Bretagna, anche nel momento più critico in cui era rimasta sola a tener
testa al nemico, ha fatto sì che i Tedeschi siano andati a cozzare
contro la strenua resistenza dell'esercito sovietico, ed ha dato tempo
all'America di avviare la mobilitazione delle sue sterminate forze
produttive. E questa lotta contro l'imperialismo tedesco si è
strettamente connessa con quella che il popolo cinese va conducendo
contro l'imperialismo giapponese.
Immense masse di uomini e di ricchezze sono già schierate
contro le potenze totalitarie. Le forze di queste potenze hanno
raggiunto il loro culmine e non possono oramai che consumarsi
progressivamente. Quelle avverse hanno invece già superato il momento
della massima depressione e sono in ascesa. La guerra delle Nazioni
Unite risveglia ogni giorno di più la volontà di liberazione anche nei
paesi che avevano soggiaciuto alla violenza ed erano come smarriti per
il colpo ricevuto, e persino risveglia tale volontà nei popoli delle
potenze dell'Asse, i quali si accorgono di essere trascinati in una
situazione disperata solo per soddisfare la brama di dominio dei loro
padroni.
Il lento processo, grazie al quale enormi masse di uomini
si lasciavano modellare passivamente dal nuovo regime, vi si adeguavano e
contribuivano così a consolidarlo, è arrestato; si è invece iniziato il
processo contrario. In questa immensa ondata, che lentamente si
solleva, si ritrovano tutte le forze progressiste; e, le parti più
illuminate delle classi lavoratrici che si erano lasciate distogliere,
dal terrore e dalle lusinghe, nella loro aspirazione ad una superiore
forma di vita; gli elementi più consapevoli dei ceti intellettuali,
offesi dalla degradazione cui è sottoposta l'intelligenza; imprenditori,
che sentendosi capaci di nuove iniziative, vorrebbero liberarsi dalle
bardature burocratiche, e dalle autarchie nazionali, che impacciano ogni
loro movimento; tutti coloro, infine, che, per un senso innato di
dignità, non sanno piegar la spina dorsale nella umiliazione della
servitù.
A tutte queste forze è oggi affidata la salvezza della nostra civiltà.
II - I COMPITI DEL DOPO GUERRA - L'UNITÀ EUROPEA
La sconfitta della Germania non porterebbe automaticamente al
riordinamento dell'Europa secondo il nostro ideale di civiltà.
Nel breve intenso periodo di crisi generale, in cui gli
stati nazionali giaceranno fracassati al suolo, in cui le masse popolari
attenderanno ansiose la parola nuova e saranno materia fusa, ardente,
suscettibile di essere colata in forme nuove, capace di accogliere la
guida di uomini seriamente internazionalisti, i ceti che più erano
privilegiati nei vecchi sistemi nazionali cercheranno subdolamente o con
la violenza di smorzare l'ondata dei sentimenti e delle passioni
internazionalistiche, e si daranno ostinatamente a ricostruire i vecchi
organismi statali. Ed è probabile che i dirigenti inglesi, magari
d'accordo con quelli americani, tentino di spingere le cose in questo
senso, per riprendere la politica dell'equilibrio delle potenze
nell'apparente immediato interesse del loro impero.
Le forze conservatrici, cioè i dirigenti delle istituzioni
fondamentali degli stati nazionali: i quadri superiori delle forze
armate, culminanti là, dove ancora esistono, nelle monarchie; quei
gruppi del capitalismo monopolista che hanno legato le sorti dei loro
profitti a quelle degli stati; i grandi proprietari fondiari e le alte
gerarchie ecclesiastiche, che solo da una stabile società conservatrice
possono vedere assicurate le loro entrate parassitarie; ed al loro
seguito tutto l'innumerevole stuolo di coloro che da essi dipendono o
che son anche solo abbagliati dalla loro tradizionale potenza; tutte
queste forze reazionarie, già fin da oggi, sentono che l'edificio
scricchiola e cercano di salvarsi. Il crollo le priverebbe di colpo di
tutte le garanzie che hanno avuto fin'ora e le esporrebbe all'assalto
delle forze progressiste.
Ma essi hanno uomini e quadri abili ed adusati al comando,
che si batteranno accanitamente per conservare la loro supremazia. Nel
grave momento sapranno presentarsi ben camuffati. Si proclameranno
amanti della pace, della libertà, del benessere generale delle classi
più povere. Già nel passato abbiamo visto come si siano insinuati dentro
i movimenti popolari, e li abbiano paralizzati, deviati convertiti nel
preciso contrario. Senza dubbio saranno la forza più pericolosa con cui
si dovrà fare i conti.
Il punto sul quale essi cercheranno di far leva sarà la
restaurazione dello stato nazionale. Potranno così far presa sul
sentimento popolare più diffuso, più offeso dai recenti movimenti, più
facilmente adoperabile a scopi reazionari: il sentimento patriottico. In
tal modo possono anche sperare di più facilmente confondere le idee
degli avversari, dato che per le masse popolari l'unica esperienza
politica finora acquisita è quella svolgentesi entro l'ambito nazionale,
ed è perciò abbastanza facile convogliare, sia esse che i loro capi più
miopi, sul terreno della ricostruzione degli stati abbattuti dalla
bufera.
Se raggiungessero questo scopo avrebbero vinto. Fossero
pure questi stati in apparenza largamente democratici o socialisti, il
ritorno del potere nelle mani dei reazionari sarebbe solo questione di
tempo. Risorgerebbero le gelosie nazionali e ciascuno stato di nuovo
riporrebbe la soddisfazione delle proprie esigenze solo nella forza
delle armi. Loro compito precipuo tornerebbe ad essere, a più o meno
breve scadenza, quello di convertire i loro popoli in eserciti. I
generali tornerebbero a comandare, i monopolisti ad approfittare delle
autarchie, i corpi burocratici a gonfiarsi, i preti a tener docili le
masse. Tutte le conquiste del primo momento si raggrinzerebbero in un
nulla di fronte alla necessità di prepararsi nuovamente alla guerra.
Il problema che in primo luogo va risolto, e fallendo il
quale qualsiasi altro progresso non è che apparenza, è la definitiva
abolizione della divisione dell'Europa in stati nazionali sovrani. Il
crollo della maggior parte degli stati del continente sotto il rullo
compressore tedesco ha già accomunato la sorte dei popoli europei, che o
tutti insieme soggiaceranno al dominio hitleriano, o tutti insieme
entreranno, con la caduta di questo in una crisi rivoluzionaria in cui
non si troveranno irrigiditi e distinti in solide strutture statali.
Gli spiriti sono giù ora molto meglio disposti che in
passato ad una riorganizzazione federale dell'Europa. La dura esperienza
ha aperto gli occhi anche a chi non voleva vedere ed ha fatto maturare
molte circostanze favorevoli al nostro ideale.
Tutti gli uomini ragionevoli riconoscono ormai che non si
può mantenere un equilibrio di stati europei indipendenti con la
convivenza della Germania militarista a parità di condizioni con gli
altri paesi, né si può spezzettare la Germania e tenerle il piede sul
collo una volta che sia vinta. Alla prova, è apparso evidente che nessun
paese d'Europa può restarsene da parte mentre gli altri si battono, a
nulla valendo le dichiarazioni di neutralità e di patti di non
aggressione. È ormai dimostrata la inutilità, anzi la dannosità di
organismi, tipo della Società delle Nazioni, che pretendano di garantire
un diritto internazionale senza una forza militare capace di imporre le
sue decisioni e rispettando la sovranità assoluta degli stati
partecipanti. Assurdo è risultato il principio del non intervento,
secondo il quale ogni popolo dovrebbe essere lasciato libero di darsi il
governo dispotico che meglio crede, quasi che la costituzione interna
di ogni singolo stato non costituisse un interesse vitale per tutti gli
altri paesi europei.
Insolubili sono diventati i molteplici problemi che
avvelenano la vita internazionale del continente: tracciati dei confini a
popolazione mista, difesa delle minoranze allogene, sbocco al mare dei
paesi situati nell'interno, questione balcanica, questione irlandese
ecc., che troverebbero nella Federazione Europea la più semplice
soluzione, come l'hanno trovata in passato i corrispondenti problemi
degli staterelli entrati a far parte delle più vaste unità nazionali,
quando hanno perso la loro acredine, trasformandosi in problemi di
rapporti fra le diverse provincie.
D'altra parte la fine del senso di sicurezza nella
inattaccabilità della Gran Bretagna, che consigliava agli inglesi la
"splendid isolation", la dissoluzione dell'esercito e della stessa
repubblica francese, al primo serio urto delle forze tedesche —
risultato che è da sperare abbia di molto smorzata la presunzione
sciovinista della superiorità gallica — e specialmente la coscienza
della gravità del pericolo corso di generale asservimento, sono tutte
circostanze che favoriranno la costituzione di un regime federale che
ponga fine all'attuale anarchia. Ed il fatto che l'Inghilterra abbia
accettato il principio dell'indipendenza indiana, e la Francia abbia
potenzialmente perduto col riconoscimento della sconfitta tutto il suo
impero, rendono più agevole trovare anche una base di accordo per una
sistemazione europea dei problemi coloniali.
A tutto ciò va infine aggiunta la scomparsa di alcune delle
principali dinastie e la fragilità delle basi di quelle che sostengono
le dinastie superstiti. Va tenuto conto, infatti, che le dinastie,
considerando i diversi paesi come tradizionale appannaggio proprio,
rappresentavano, con i poderosi interessi di cui erano l'appoggio, un
serio ostacolo alla organizzazione razionale degli Stati Uniti d'Europa,
la quale non può poggiare che sulle costituzioni repubblicane di tutti i
paesi federati.
E quando, superando l'orizzonte del vecchio continente, si
abbracci in una visione di insieme tutti i popoli che costituiscono
l'umanità, bisogna pur riconoscere che la federazione europea è l'unica
garanzia concepibile che i rapporti con i popoli asiatici e americani
possano svolgersi su una base di pacifica cooperazione, in attesa di un
più lontano avvenire, in cui diventi possibile l'unità politica
dell'intero globo.
La linea di divisione fra i partiti progressisti e partiti
reazionari cade perciò ormai, non lungo la linea formale della maggiore o
minore democrazia, del maggiore o minore socialismo da istituire, ma
lungo la sostanziale nuovissima linea che separa coloro che concepiscono
come campo centrale della lotta quello antico, cioè la conquista e le
forme del potere politico nazionale, e che faranno, sia pure
involontariamente, il gioco delle forze reazionarie, lasciando che la
lava incandescente delle passioni popolari torni a solidificarsi nel
vecchio stampo e che risorgano le vecchie assurdità, e quelli che
vedranno come compito centrale la creazione di un solido stato
internazionale, che indirizzeranno verso questo scopo le forze popolari
e, anche conquistato il potere nazionale, lo adopereranno in primissima
linea come strumento per realizzare l'unità internazionale.
Con la propaganda e con l'azione, cercando di stabilire in
tutti i modi accordi e legami tra i movimenti simili che nei vari paesi
si vanno certamente formando, occorre fin d'ora gettare le fondamenta di
un movimento che sappia mobilitare tutte le forze per far sorgere il
nuovo organismo, che sarà la creazione più grandiosa e più innovatrice
sorta da secoli in Europa; per costituire un largo stato federale, il
quale disponga di una forza armata europea al posto degli eserciti
nazionali, spazzi decisamente le autarchie economiche, spina dorsale dei
regimi totalitari, abbia gli organi e i mezzi sufficienti per fare
eseguire nei singoli stati federali le sue deliberazioni, dirette a
mantenere un ordine comune, pur lasciando agli Stati stessi l'autonomia
che consente una plastica articolazione e lo sviluppo della vita
politica secondo le peculiari caratteristiche dei vari popoli.
Se ci sarà nei principali paesi europei un numero
sufficiente di uomini che comprenderanno ciò, la vittoria sarà in breve
nelle loro mani, perché la situazione e gli animi saranno favorevoli
alla loro opera e di fronte avranno partiti e tendenze già tutti
squalificati dalla disastrosa esperienza dell'ultimo ventennio. Poiché
sarà l'ora di opere nuove, sarà anche l'ora di uomini nuovi, del
movimento per l'Europa libera e unita!
III - I COMPITI DEL DOPO GUERRA LA RIFORMA DELLA SOCIETÀ
Un'Europa libera e unita è premessa necessaria del
potenziamento della civiltà moderna, di cui l'era totalitaria
rappresenta un arresto. La fine di questa era sarà riprendere
immediatamente in pieno il processo storico contro la disuguaglianza ed i
privilegi sociali. Tutte le vecchie istituzioni conservatrici che ne
impedivano l'attuazione saranno crollanti o crollate, e questa loro
crisi dovrà essere sfruttata con coraggio e decisione. La rivoluzione
europea, per rispondere alle nostre esigenze, dovrà essere socialista,
cioè dovrà proporsi l'emancipazione delle classi lavoratrici e la
creazione per esse di condizioni più umane di vita.
La bussola di orientamento per i provvedimenti da prendere
in tale direzione non può essere però il principio puramente dottrinario
secondo il quale la proprietà privata dei mezzi materiali di produzione
deve essere in linea di principio abolita, e tollerata solo in linea
provvisoria, quando non se ne possa proprio fare a meno. La
statizzazione generale dell'economia è stata la prima forma utopistica
in cui le classi operaie si sono rappresentate la loro liberazione dal
giogo capitalista, ma, una volta realizzata a pieno, non porta allo
scopo sognato, bensì alla costituzione di un regime in cui tutta la
popolazione è asservita alla ristretta classe dei burocrati gestori
dell'economia, come è avvenuto in Russia.
Il principio veramente fondamentale del socialismo, e di
cui quello della collettivizzazione generale non è stato che una
affrettata ed erronea deduzione, è quello secondo il quale le forze
economiche non debbono dominare gli uomini, ma — come avviene per forze
naturali — essere da loro sottomesse, guidate, controllate nel modo più
razionale, affinché le grandi masse non ne siano vittime. Le gigantesche
forze di progresso, che scaturiscono dall'interesse individuale, non
vanno spente nella morta gora della pratica "routinière" per trovarsi
poi di fronte all'insolubile problema di resuscitare lo spirito
d'iniziativa con le differenziazioni dei salari, e con gli altri
provvedimenti del genere dello stachenovismo dell'U.R.S.S., col solo
risultato di uno sgobbamento più diligente. Quelle forze vanno invece
esaltate ed estese offrendo loro una maggiore possibilità di sviluppo ed
impiego, e contemporaneamente vanno perfezionati e consolidati gli
argini che le convogliano verso gli obiettivi di maggiore utilità per
tutta la collettività.
La proprietà privata deve essere abolita, limitata, corretta, estesa, caso per caso, non dogmaticamente in linea di principio.
Questa direttiva si inserisce naturalmente nel processo di
formazione di una vita economica europea liberata dagli incubi del
militarismo e del burocraticismo nazionali. In essa possono trovare la
loro liberazione tanto i lavoratori dei paesi capitalistici oppressi dal
dominio dei ceti padronali, quanto i lavoratori dei paesi comunisti
oppressi dalla tirannide burocratica. La soluzione razionale deve
prendere il posto di quella irrazionale anche nella coscienza dei
lavoratori. Volendo indicare in modo più particolareggiato il contenuto
di questa direttiva, ed avvertendo che la convenienza e le modalità di
ogni punto programmatico dovranno essere sempre giudicate in rapporto al
presupposto oramai indispensabile dell'unità europea, mettiamo in
rilievo i seguenti punti:
a. non si possono più lasciare ai privati le imprese che,
svolgendo un'attività necessariamente monopolistica, sono in condizioni
di sfruttare la massa dei consumatori (ad esempio le industrie
elettriche); le imprese che si vogliono mantenere in vita per ragioni di
interesse collettivo, ma che per reggersi hanno bisogno di dazi
protettivi, sussidi, ordinazioni di favore ecc. (l'esempio più notevole
di questo tipo di industrie sono in Italia ora le industrie
siderurgiche); e le imprese che per la grandezza dei capitali investiti e
il numero degli operai occupati, o per l'importanza del settore che
dominano, possono ricattare gli organi dello stato imponendo la politica
per loro più vantaggiosa (es. industrie minerarie, grandi istituti
bancari, industrie degli armamenti). È questo il campo in cui si dovrà
procedere senz'altro a nazionalizzazioni su scala vastissima, senza
alcun riguardo per i diritti acquisiti;
b. le caratteristiche che hanno avuto in passato il diritto
di proprietà e il diritto di successione hanno permesso di accumulare
nelle mani di pochi privilegiati ricchezze che converrà distribuire,
durante una crisi rivoluzionaria in senso egualitario, per eliminare i
ceti parassitari e per dare ai lavoratori gli strumenti di produzione di
cui abbisognano, onde migliorare le condizioni economiche e far loro
raggiungere una maggiore indipendenza di vita. Pensiamo cioè ad una
riforma agraria che, passando la terra a chi coltiva, aumenti
enormemente il numero dei proprietari, e ad una riforma industriale che
estenda la proprietà dei lavoratori, nei settori non statizzati, con le
gestioni cooperative, l'azionariato operaio ecc.;
c. i giovani vanno assistiti con le provvidenze necessarie
per ridurre al minimo le distanze fra le posizioni di partenza nella
lotta per la vita. In particolare la scuola pubblica dovrà dare la
possibilità effettiva di perseguire gli studi fino ai gradi superiori ai
più idonei, invece che ai più ricchi; e dovrà preparare, in ogni branca
di studi per l'avviamento ai diversi mestieri e alla diverse attività
liberali e scientifiche, un numero di individui corrispondente alla
domanda del mercato, in modo che le rimunerazioni medie risultino poi
pressappoco eguali, per tutte le categorie professionali, qualunque
possano essere le divergenze tra le rimunerazioni nell'interno di
ciascuna categoria, a seconda delle diverse capacità individuali;
d. la potenzialità quasi senza limiti della produzione in
massa dei generi di prima necessità con la tecnica moderna permette
ormai di assicurare a tutti, con un costo sociale relativamente piccolo,
il vitto, l'alloggio e il vestiario col minimo di conforto necessario
per conservare la dignità umana. La solidarietà sociale verso coloro che
riescono soccombenti nella lotta economica dovrà perciò manifestarsi
non con le forme caritative, sempre avvilenti, e produttrici degli
stessi mali alle cui conseguenze cercano di riparare, ma con una serie
di provvidenze che garantiscano incondizionatamente a tutti, possano o
non possano lavorare, un tenore di vita decente, senza ridurre lo
stimolo al lavoro e al risparmio. Così nessuno sarà più costretto dalla
miseria ad accettare contratti di lavoro iugulatori;
e. la liberazione delle classi lavoratrici può aver luogo
solo realizzando le condizioni accennate nei punti precedenti: non
lasciandole ricadere nella politica economica dei sindacati
monopolistici, che trasportano semplicemente nel campo operaio i metodi
sopraffattori caratteristici specialmente del grande capitale. I
lavoratori debbono tornare a essere liberi di scegliere i fiduciari per
trattare collettivamente le condizioni a cui intendono prestare la loro
opera, e lo stato dovrà dare i mezzi giuridici per garantire
l'osservanza dei patti conclusivi; ma tutte le tendenze monopolistiche
potranno essere efficacemente combattute, una volta che saranno
realizzate quelle trasformazioni sociali.
Questi sono i cambiamenti necessari per creare, intorno al
nuovo ordine, un larghissimo strato di cittadini interessati al suo
mantenimento e per dare alla vita politica una consolidata impronta di
libertà, impregnata di un forte senso di solidarietà sociale. Su queste
basi le libertà politiche potranno veramente avere un contenuto concreto
e non solo formale per tutti, in quanto la massa dei cittadini avrà una
indipendenza ed una conoscenza sufficiente per esercitare un efficace e
continuo controllo sulla classe governante.
Sugli istituti costituzionali sarebbe superfluo
soffermarci, poiché, non potendosi prevedere le condizioni in cui
dovranno sorgere ed operare, non faremmo che ripetere quello che tutti
già sanno sulla necessità di organi rappresentativi per la formazione
delle leggi, dell'indipendenza della magistratura — che prenderà il
posto dell'attuale — per l'applicazione imparziale delle leggi emanate,
della libertà di stampa e di associazione, per illuminare l'opinione
pubblica e dare a tutti i cittadini la possibilità di partecipare
effettivamente alla vita dello stato. Su due sole questioni è necessario
precisare meglio le idee, per la loro particolare importanza in questo
momento nel nostro paese, sui rapporti dello stato con la chiesa e sul
carattere della rappresentanza politica:
a. la Chiesa cattolica continua inflessibilmente a
considerarsi unica società perfetta, a cui lo stato dovrebbe
sottomettersi, fornendole le armi temporali per imporre il rispetto
della sua ortodossia. Si presenta come naturale alleata di tutti i
regimi reazionari, dei quali cerca di approfittare per ottenere
esenzioni e privilegi, per ricostruire il suo patrimonio, per stendere
di nuovo i suoi tentacoli sulla scuola e sull'ordinamento della
famiglia. Il concordato con cui in Italia il Vaticano ha concluso
l'alleanza col fascismo andrà senz'altro abolito, per affermare il
carattere puramente laico dello stato, e per fissare in modo
inequivocabile la supremazia dello stato sulla vita civile. Tutte le
credenze religiose dovranno essere ugualmente rispettate, ma lo stato
non dovrà più avere un bilancio dei culti, e dovrà riprendere la sua
opera educatrice per lo sviluppo dello spirito critico;
b. la baracca di cartapesta che il fascismo ha costruito
con l'ordinamento corporativo cadrà in frantumi, insieme alle altre
parti dello stato totalitario. C'è chi ritiene che da questi rottami si
potrà domani trarre il materiale per il nuovo ordine costituzionale. Noi
non lo crediamo. Nello stato totalitario le Camere corporative sono la
beffa, che corona il controllo poliziesco sui lavoratori. Se anche però
le Camere corporative fossero la sincera espressione delle diverse
categorie dei produttori, gli organi di rappresentanza delle diverse
categorie professionali non potrebbero mai essere qualificati per
trattare questioni di politica generale, e nelle questioni più
propriamente economiche diverrebbero organi di sopraffazione delle
categorie sindacalmente più potenti.
Ai sindacati spetteranno ampie funzioni di collaborazione
con gli organi statali, incaricati di risolvere i problemi che più
direttamente li riguardano, ma è senz'altro da escludere che ad essi
vada affidata alcuna funzione legislativa, poiché risulterebbe
un'anarchia feudale nella vita economica, concludentesi in un rinnovato
dispotismo politico. Molti che si sono lasciati prendere ingenuamente
dal mito del corporativismo potranno e dovranno essere attratti
all'opera di rinnovamento, ma occorrerà che si rendano conto di quanto
assurda sia la soluzione da loro confusamente sognata. Il corporativismo
non può avere vita concreta che nella forma assunta dagli stati
totalitari, per irreggimentare i lavoratori sotto funzionari che ne
controllano ogni mossa nell'interesse della classe governante.
IV - LA SITUAZIONE RIVOLUZIONARIA: VECCHIE E NUOVE CORRENTI
La caduta dei regimi totalitari significherà per interi popolo l'avvento della "libertà" sarà scomparso ogni freno ed automaticamente regneranno amplissime libertà di parola e di associazione.
Sarà il trionfo delle tendenze democratiche. Esse hanno
innumerevoli sfumature che vanno da un liberalismo molto conservatore,
fino al socialismo e all'anarchia. Credono nella "generazione spontanea"
degli avvenimenti e delle istituzioni, nella bontà assoluta degli
impulsi che vengono dal basso. Non vogliono forzare la mano alla
"storia" al "popolo" al "proletariato" o come altro chiamano il loro
dio. Auspicano la fine delle dittature immaginandola come la
restituzione al popolo degli imprescrittibili diritti di
autodeterminazione. Il coronamento dei loro sogni è un'assemblea
costituente eletta col più esteso suffragio e col più scrupoloso
rispetto degli elettori, la quale decida che costituzione il popolo
debba darsi. Se il popolo è immaturo se ne darà una cattiva, ma
correggerla si potrà solo mediante una costante opera di convinzione.
I democratici non rifuggono per principio dalla violenza,
ma la vogliono adoperare solo quando la maggioranza sia convinta della
sua indispensabilità, cioè propriamente quando non è più altro che un
pressoché superfluo puntino da mettere sulla i. Sono perciò dirigenti
adatti solo nelle epoche di ordinaria amministrazione, in cui un popolo è
nel suo complesso convinto della bontà delle istituzioni fondamentali,
che debbono essere ritoccate solo in aspetti relativamente secondari.
Nelle epoche rivoluzionarie, in cui le istituzioni non debbono già
essere amministrate, ma create, la prassi democratica fallisce
clamorosamente. La pietosa impotenza dei democratici nelle rivoluzioni
russa, tedesca, spagnola, sono tre dei più recenti esempi.
In tali situazioni, caduto il vecchio apparato statale, con
le sue leggi e la sua amministrazione, pullulano immediatamente, con
sembianza di vecchia legalità o sprezzandola, una quantità di assemblee e
rappresentanze popolari in cui convergono e si agitano tutte le forze
sociali progressiste. Il popolo ha sì alcuni bisogni fondamentali da
soddisfare, ma non sa con precisione cosa volere e cosa fare. Mille
campane suonano alle sue orecchie, con i suoi milioni di teste non
riesce a raccapezzarsi, e si disgrega in una quantità di tendenze in
lotta tra loro.
Nel momento in cui occorre la massima decisione e audacia, i
democratici si sentono smarrirti non avendo dietro uno spontaneo
consenso popolare, ma solo un torbido tumultuare di passioni; pensano
che loro dovere sia di formare quel consenso, e si presentano come
predicatori esortanti, laddove occorrono capi che guidino sapendo dove
arrivare; perdono le occasioni favorevoli al consolidamento del nuovo
regime, cercando di far funzionare subito organi che presuppongono una
lunga preparazione e sono adatti ai periodi di relativa tranquillità;
danno ai loro avversari armi di cui quelli poi si valgono per
rovesciarli; rappresentano insomma, nelle loro mille tendenze, non già
la volontà di rinnovamento, ma le confuse volontà regnanti in tutte le
menti, che, paralizzandosi a vicenda, preparano il terreno propizio allo
sviluppo della reazione. La metodologia politica democratica sarà un
peso morto nella crisi rivoluzionaria.
Man mano che i democratici logorassero nelle loro
logomachie la loro prima popolarità di assertori della libertà, mancando
ogni seria rivoluzione politica e sociale, si andrebbero
immancabilmente ricostituendo le istituzioni politiche pretotalitarie, e
la lotta tornerebbe a svilupparsi secondo i vecchi schemi della
contrapposizione delle classi.
Il principio secondo il quale la lotta di classe è il
termine cui van ridotti tutti i problemi politici ha costituito la
direttiva fondamentale, specialmente degli operai delle fabbriche, ed ha
giovato a dare consistenza alla loro politica, finché non erano in
questione le istituzioni fondamentali della società. Ma si converte in
uno strumento di isolamento del proletariato, quando si imponga la
necessità di trasformare l'intera organizzazione della società. Gli
operai educati classisticamente non sanno allora vedere che le loro
particolari rivendicazioni di classe, o di categoria, senza curarsi di
come connetterle con gli interessi degli altri ceti, oppure aspirano
alla unilaterale dittatura delle loro classe, per realizzare
l'utopistica collettivizzazione di tutti gli strumenti materiali di
produzione, indicata da una propaganda secolare come il rimedio sovrano
di tutti i loro mali. Questa politica non riesce a far presa su nessun
altro strato fuorché sugli operai, i quali così privano le altre forze
progressive del loro sostegno, e le lasciano cadere in balia della
reazione, che abilmente le organizza per spezzare le reni allo stesso
movimento proletario.
Delle varie tendenze proletarie, seguaci della politica
classista e dell'ideale collettivista, i comunisti hanno riconosciuto la
difficoltà di ottenere un seguito di forze sufficienti per vincere, e
per ciò si sono — a differenza degli altri partiti popolari —
trasformati in un movimento rigidamente disciplinato, che sfrutta quel
che residua del mito russo per organizzare gli operai, ma non prende
leggi da essi, e li utilizza nelle più disparate manovre.
Questo atteggiamento rende i comunisti, nelle crisi
rivoluzionarie, più efficienti dei democratici; ma tenendo essi distinte
quanto più possono le classi operaie dalle altre forze rivoluzionarie —
col predicare che la loro "vera" rivoluzione è ancora da venire —
costituiscono nei momenti decisivi un elemento settario che indebolisce
il tutto. Inoltre la loro assidua dipendenza allo stato russo, che li ha
ripetutamente adoperati senza scrupoli per il perseguimento della sua
politica nazionale, impedisce loro di perseguire una politica con un
minimo di continuità. Hanno sempre bisogno di nascondersi dietro un
Karoly, un Blum, un Negrin, per andare poi fatalmente in rovina dietro i
fantocci democratici adoperati, poiché il potere si consegue e si
mantiene non semplicemente con la furberia, ma con la capacità di
rispondere in modo organico e vitale alle necessità della società
moderna. La loro scarsa consistenza si palesa invece senza possibilità
di equivoci quando, venendo a mancare il camuffamento, fanno
regolarmente mostra di un puro verbalismo estremista.
Se la lotta restasse domani ristretta nel tradizionale
campo nazionale, sarebbe molto difficile sfuggire alle vecchie aporie.
Gli stati nazionali hanno infatti già così profondamente pianificato le
proprie rispettive economie che la questione centrale diverrebbe ben
presto quella di sapere quale gruppo di interessi economici, cioè quale
classe, dovrebbe detenere le leve di comando del piano. Il fronte delle
forze progressiste sarebbe facilmente frantumato nella rissa tra classi e
categorie economiche. Con le maggiori probabilità i reazionari
sarebbero coloro che ne trarrebbero profitto. Ma anche i comunisti,
nonostante le loro deficienze, potrebbero avere il loro quarto d'ora,
convogliare le masse stanche, deluse, assumere il potere ed adoperarlo
per realizzare, come in Russia, il dispotismo burocratico su tutta la
vita economica, politica e spirituale del paese.
Una situazione dove i comunisti contassero come forza
politica dominante significherebbe non uno sviluppo non in senso
rivoluzionario, ma già il fallimento del rinnovamento europeo.
Larghissime masse restano ancora influenzate o
influenzabili dalle vecchie tendenze democratiche e comuniste, perché
non scorgono nessuna prospettiva di metodi e di obiettivi nuovi. Tali
tendenze sono però formazioni politiche del passato; da tutti gli
sviluppi storici recenti nulla hanno appreso, nulla dimenticato;
incanalano le forze progressiste lungo strade che non possono serbare
che delusioni e sconfitte; di fronte alle esigenze più profonde del
domani costituiscono un ostacolo e debbono o radicalmente modificarsi o
sparire.
Un vero movimento rivoluzionario dovrà sorgere da coloro
che hanno saputo criticare le vecchie impostazioni politiche; dovrà
sapere collaborare con le forze democratiche, con quelle comuniste, ed
in genere con quanti cooperano alla disgregazione del totalitarismo, ma
senza lasciarsi irretire dalla loro prassi politica.
Il partito rivoluzionario non può essere dilettantescamente
improvvisato nel momento decisivo, ma deve sin da ora cominciare a
formarsi almeno nel suo atteggiamento politico centrale, nei suoi quadri
generali e nelle prime direttive d'azione. Esso non deve rappresentare
una coalizione eterogenea di tendenze, riunite solo transitoriamente e
negativamente, cioè per il loro passato antifascista e nella semplice
del disgregamento del totalitarismo, pronte a disperdersi ciascuna per
la sua strada una volta raggiunta quella caduta. Il partito
rivoluzionario deve sapere invece che solo allora comincerà veramente la
sua opera e deve perciò essere costituito di uomini che si trovino
d'accordo sui principali problemi del futuro. Deve penetrare con la sua
propaganda metodica ovunque ci siano degli oppressi dell'attuale regime,
e, prendendo come punto di partenza quello volta volta sentito come il
più doloroso dalle singole persone e classi, mostrare come esso si
connetta con altri problemi e quale possa esserne la vera soluzione. Ma
dalla schiera sempre crescente dei suoi simpatizzanti deve attingere e
reclutare nell'organizzazione del partito solo coloro che abbiano fatto
della rivoluzione europea lo scopo principale della loro vita, che
disciplinatamente realizzino giorno per giorno il lavoro necessario,
provvedano oculatamente alla sicurezza, continua ed efficacia di esso,
anche nella situazione di più dura illegalità, e costituiscano così la
solida rete che dia consistenza alla più labile sfera dei simpatizzanti.
Pur non trascurando nessuna occasione e nessun campo per
seminare la sua parola, esso deve rivolgere la sua operosità in
primissimo luogo a quegli ambienti che sono i più importanti come centri
di diffusione di idee e come centri di reclutamento di uomini
combattivi; anzitutto verso i due gruppi sociali più sensibili nella
situazione odierna, e decisivi in quella di domani, vale a dire la
classe operaia e i ceti intellettuali. La prima è quella che meno si è
sottomessa alla ferula totalitaria, che sarà la più pronta a
riorganizzare le proprie file. Gli intellettuali, particolarmente i più
giovani, sono quelli che si sentono spiritualmente soffocare e
disgustare dal regnante dispotismo. Man mano altri ceti saranno
inevitabilmente attratti nel movimento generale.
Qualsiasi movimento che fallisca nel compito di alleanza di
queste forze è condannato alla sterilità, poiché, se è movimento di
soli intellettuali, sarà privo di quella forza di massa necessaria per
travolgere le resistenze reazionarie, sarà diffidente e diffidato
rispetto alla classe operaia; ed anche se animato da sentimenti
democratici, sarà proclive a scivolare, di fronte alle difficoltà, sul
terreno della reazione di tutte le altre classi contro gli operai, cioè
verso una restaurazione.
Se poggerà solo sulla classe operaia sarà privo di quella
chiarezza di pensiero che non può venire che dagli intellettuali, e che è
necessaria per ben distinguere i nuovi compiti e le nuove vie: rimarrà
prigioniero del vecchio classismo, vedrà nemici dappertutto, e
sdrucciolerà sulla dottrinaria soluzione comunista.
Durante la crisi rivoluzionaria spetta a questo partito
organizzare e dirigere le forze progressiste, utilizzando tutti quegli
organi popolari che si formano spontaneamente come crogioli ardenti in
cui vanno a mischiarsi le forze rivoluzionarie, non per emettere
plebisciti, ma in attesa di essere guidate.
Esso attinge la visione e la sicurezza di quel che va
fatto, non da una preventiva consacrazione da parte della ancora
inesistente volontà popolare, ma nella sua coscienza di rappresentare le
esigenze profonde della società moderna. Dà in tal modo le prime
direttive del nuovo ordine, la prima disciplina sociale alle nuove
masse. Attraverso questa dittatura del partito rivoluzionario si forma
il nuovo stato e attorno ad esso la nuova democrazia.
Non è da temere che un tale regime rivoluzionario debba
necessariamente sbocciare in un nuovo dispotismo. Vi sbocca se è venuto
modellando un tipo di società servile. Ma se il partito rivoluzionario
andrà creando con polso fermo fin dai primissimi passi le condizioni per
una vita libera, in cui tutti i cittadini possano veramente partecipare
alla vita dello stato, la sua evoluzione sarà, anche se attraverso
eventuali secondarie crisi politiche, nel senso di una progressiva
comprensione ed accettazione da parte di tutti del nuovo ordine, e
perciò nel senso di una crescente possibilità di funzionamento di
istituzioni politiche libere.
Oggi è il momento in cui bisogna saper gettare via vecchi
fardelli divenuti ingombranti, tenersi pronti al nuovo che sopraggiunge
così diverso da tutto quello che si era immaginato, scartare gli inetti
fra i vecchi e suscitare nuove energie tra i giovani. Oggi si cercano e
si incontrano, cominciando a tessere la trama del futuro, coloro che
hanno scorto i motivi dell'attuale crisi della civiltà europea, e che
perciò raccolgono l'eredità di tutti i movimenti di elevazione
dell'umanità, naufragati per incomprensione del fine da raggiungere o
dei mezzi come raggiungerlo.
La via da percorrere non è facile né sicura, ma deve essere percorsa e lo sarà.
Altiero Spinelli, Ernesto Rossi, Eugenio Colorni