martedì 31 luglio 2012

Der Spiegel apre in Germania "il caso Draghi". Si aprono nuovi scenari sul fronte della Guerra Invisibile.


di Sergio Di Cori Modigliani


Appunti sintetici sul fronte della Guerra Invisibile.

In Germania, Der Spiegel apre “il caso Draghi”.

Incredibile ma vero, i tedeschi scoprono il 30 luglio 2012 che Mario Draghi segue gli interessi di J.P.Morgan, Goldman Sachs e Citibank. Sembra che prima non lo sapessero. L’importante settimanale chiede l’apertura di un’inchiesta. La Bundesbank attacca Draghi. Ieri, mentre la BCE acquistava bpt italiani, la Bundesbak li vendeva. Hanno vinto i tedeschi. L’asta è andata male. In Italia hanno detto che è andata bene: è FALSO. Gli interessi pagati sono stati il 5,96% invece del previsto 5,45% proprio per l’intervento dei tedeschi. Tant’è vero che ad asta conclusa, lo spread italiano da 436 è salito fino a 465 subito, grazie ai tedeschi. Contemporaneamente, la potentissima associazione produttori di auto europea ha accolto la richiesta formale da parte dei proprietari del marchio Volkswagen di espellere dall’associazione la Fiat con severa multa personale a Sergio Marchionne e deferimento del medesimo ad un giurì con sede all’Aja. La Volkswagen ha dichiarato “Noi siamo puliti e corretti, se altri non vendono le loro automobili, è responsabilità dei loro piani industriali non è certo la nostra”.

Da oggi il ragionier vanesio non esiste più.

Preso atto che l’Italia ricopia se stessa, abbiamo un nuovo Badoglio, in fotocopia.

Il ragionier vanesio viene sostituito da Badoglio-Monti che diventa Badoglionti.

L’accoppiata Badoglionti-Draghi, quindi, preso atto che (come avevo scritto due mesi fa) i bombardamenti americani fanno male, ha scelto di andarsi ad accucciare sotto le ali protettive della massoneria conservatrice-finanza oligarchica britannica, divenuti i nuovi sponsor in funzione anti-tedesca (da cui l’ordine a Marchionne di dare inizio alla retorica bellica). I tedeschi faranno come nel 1943, perché sono imbufaliti. Attraverseranno le alpi, arriverà la Gestapo e deporteranno gli ebrei: variante post-moderna; cioè non andranno più ad alleanze strategiche industriali italo-tedesche, ma approfitteranno delle nostre debolezze per mangiarci vivi. Gli ebrei di turno saranno le imprese italiane; le grandi aziende italiane diventano i nuovi ebrei perseguitati nella Guerra Invisibile. L’impietosa Gestapo se li mangeranno vivi, dando inizio alla de-industrializzazione dell’Italia. La Richard Ginori, fondata nel 1735, gioiello assoluto nella produzione di stoviglie e posate, ha chiuso dopo 277 di attività licenziando tutti: se la sono presa i tedeschi. Idem per Valentino, dato che gli analisti confermano accordo già fatto tra Qatar e Hugo Boss (Il Qatar ha svolto la funzione di civetta). La Volkswagen con la bava alla bocca ha pronto un piano industriale –impossibile da non accettare perché funziona, è efficace ed efficiente- per prendersi la Magneti Marelli e vogliono l’intero comparto dell’industria del mobile marchigiano in crisi di liquidità. 

Schauble incontra lo statunitense Geithner a Berlino e con Badoglionti non ci vogliono neppure parlare: trattano l’accordo sull’Europa sulla base di alleanza finanza inglese- industria tedesca garantita da Draghi.

Ma la Confindustria tedesca non ci sta e va all’attacco della Merkel in funzione anti-angloamericana. Il che vuol dire, l’asse politico tedesco si sposterà a destra, grazie a Badoglionti & co. L’Italia ne uscirà come al solito: incerottata, al seguito di chi bombarda meglio il mercato.

Per riassumere, le notizie espunte dai falsi propagandistici talioti:

L’Italia è diventata anti-tedesca e filo-britannica come l’11 settembre del 1943.

E’ andata male l’asta dei bpt.

La Bundesbank fa rialzare lo spread italiano.

Der Spiegel chiede una indagine inchiesta su Mario Draghi.

La Volkswagen vuole la Fiat fuori dal mercato europeo.

L’industria tedesca comincia a presentare il salato conto perché si sono stufati (e sanno molto bene come badare ai propri interessi) a differenza degli italiani che fanno sempre e soltanto gli interessi del padrone o re al cui servizio si sono messi. Basta che paghino.

Questo è tutto, per oggi.

 

domenica 29 luglio 2012

Le Olimpiadi di Londra. Che cosa ci dicono, in realtà?



di Sergio Di Cori Modigliani



Olimpiadi olimpiadi. Non si può non parlarne.

E’necessario farlo.

Non perché il medico lo ordini, quanto piuttosto per il fatto che l’evento viene seguito da 4 miliardi di persone nel mondo. Tenendo presente che del restante 3 miliardi, almeno 1,5 non ha neppure l’elettricità e la maggior parte del proprio tempo è, purtroppo per loro, ancora investita alla ricerca di un pozzo d’acqua o di qualche radice commestibile, il dato statistico che ne viene fuori indica un interesse nell’ordine del 75%. Si tratta quindi di un record assoluto registrato sul pianeta Terra dall’inizio della civiltà. Mai tutte le etnie, culture così diverse, religioni così distanti, e popoli attualmente in guerra tra di loro, sono stati attirati e magnetizzati dallo stesso tipo di evento.

Partire dal presupposto che il 75% dell’umanità sia composta da idioti manipolabili, mi sembra davvero troppo, anche per uno snob come me. C’è un limite al narcisismo collettivo..

Quindi, se non altro per curiosità antropologica, può essere interessante confrontare le diverse idee che si hanno su tale kermesse sportivo- mediatica.

Chi sostiene “a me non me ne importa nulla” vuol dire che sceglie di non occuparsi dell’umanità. Penso che sia più utile, invece, cercare di capire questo fenomeno, ma soprattutto che cosa ci dice.

Perché avviene a Londra.

Se fosse stato a Bogotà, Nairobi o Bucarest sarebbe stato completamente diverso.

Perché Londra è la capitale dell’Impero Britannico, e –oggi più che mai- in tempi post-moderni, si va situazionando sempre di più come l’unico vero impero del pianeta, con la differenza rispetto a un tempo (tipo 60 anni fa, 100 anni fa e via dicendo) che consiste nel fatto di non essere “ufficiale”, a differenza di quanto è stata l’Urss quando esisteva, gli Usa dal 15 agosto del 1945 fino all’agosto del 2011, il Giappone fino al 1945, e “l’attuale impero finto della Cina” clamoroso falso inventato dalla perversione  (ingenua e superficiale) degli Usa, ormai declinanti, con l’appoggio dei britannici. Se un mattino la finanza inglese ricevesse un perentorio ordine da parte dalla corona, in pieno accordo con le 1000 famiglie che contano in Inghilterra, del tipo “staccate la spina alla Cina” l’economia cinese crolla in dieci settimane con un tonfo secco. Se lo fa la Cina, affondano gli Usa, l’Europa scompare dentro il mar mediterraneo e dalle coste nord-africane la vacanza sarà quella di andare in barca in Inghilterra che sarà sopravissuta all’impatto.

Può essere considerata una notizia rassicurante e gradevole; oppure può essere considerata una notizia tragica e terribile, positiva, neutra o negativa. Dipende dai punti di vista. Ma il fatto resta. I dati, pure. Anche le cifre. E i simboli. E’ molto chiaro.

L’impero britannico c’è, esiste, impera. Ma non si vede. E’ Invisibile. Non è mai declinato (in quanto impero) negli ultimi 200 anni. Passa da una crisi all’altra come accade a tutti gli imperi, non ha mai perso una guerra in tutta la sua storia, non è mai stato invaso dai nemici negli ultimi 2000 anni, ed è saldamente al comando, in quanto leader, nei settori propulsivi delle attività umane sociali: finanza, economia, cultura, media. Soprattutto “il simbolico”: è nelle loro mani. Ma sono “invisibili”. E poiché viviamo dentro una Guerra Invisibile, capire che cosa accade in un Impero Invisibile mi sembra interessante. Basterebbe un unico dato per dimostrare l’esistenza attuale dell’Impero in Europa. Il 15 ottobre del 2011, il mondo economico-finanziario-politico inglese che conta, ha deciso che essendo gli italiani il solito popolo di bèceri rincretiniti, dovevano pensarci loro a mandare a casa Silvio Berlusconi. Gli italiani non ne avevano il coraggio. Qualche telefonatina e l’ordine di scuderia pubblicato (in impeccabile stile massonico tradizionale) sulla copertina del Financial Times “Nel nome di Dio, vattene”. La Germania, imbufalita per questa manifestazione imperiale che mostrava chi davvero in Europa conta per davvero –quando si arriva alla resa dei conti- è stata costretta a inventare la bufala della Merkel che dava ordini a Napolitano con la telefonata famosa da loro inventata per poter poi negare di averla mai fatta; ma intanto, nella comunicazione subliminare del popolo italiano che non vuole ragionare, passava l’idea che era la Germania a dare ordini. Non è così. L’Italia è una nazione medioevale che non conta nulla per propria incapacità di essere adulta e per propria scelta cinica, suicida e piccolo-borghese, da vera Italietta; quindi segue sempre l’onda e accetta sempre i diktat del più forte, segue sempre il vincitore, rimanendo indifferente (altrimenti non sarebbe cinica) rispetto a chi sia il vincitore: tedeschi, inglesi, americani, russi. Per gli italiani è uguale, così si dà sempre la colpa a qualche altro delle proprie nefandezze really made in Italy; per questo siamo medioevali. Per la classe politica italiana (e per il popolo) è irrilevante chi dà ordini, basta che sia vincente. Come sosteneva il compianto Enzo Biagi sintetizzando la vera natura del popolo italiano “Viva ‘o re de Spagna, evviva ‘o re de Franza, purchè se magna”.  Se Berlusconi avesse definito la regina Elisabetta usando le stesse parole offensive usate nei riguardi della Merkel, a quest’ora lo spread italiano dei bpt sarebbe a 3000 e noi saremmo stati buttati fuori, forse, anche dall’Onu, commissariati militarmente dalla Nato. Per idiozia congènita. Ma Berlusconi non è stupido. Nessuno oserebbe farlo, quantomeno in Europa.

Comprendo le ragioni (tutte da sottoscrivere) di chi sostiene che è ignobile la gestione pubblicitaria nel settore alimentare della Mac Donald’s che lucra vendendo schifezze che avvelenano il corpo e lo spirito; che si tratta di una bieca speculazione edilizia; che con la cifra spesa si sarebbe potuto risolvere gran parte dei problemi attuali della crisi alimentare e di sopravvivenza in Africa. E’ tutto vero. Bisognava muoversi un anno fa, allestire un network planetario di consapevolezza per boicottarle. Non è stato possibile farlo. C’è stata un'unica persona che ci ha provato, e non ha fatto una bella fine. Era il colonnello Gheddafi. Certamente non l’hanno fatto fuori per questo. Diciamo, però, “anche” per questo.  Un’olimpiade senza 24 nazioni africane che pubblicamente all’Onu dichiaravano il perché non partecipavano e accettavano di venire espulsi da ogni federazione internazionale sportiva per sempre, sarebbe stato un caso geo-politico dirompente.

A me interessano due aspetti politici, dell’intera vicenda. E uno, è fondamentale per il destino di noi europei. Perché riguarda l’assetto del sistema bancario europeo dal prossimo autunno. Perché nel mese successivo a questa olimpiade, l’Impero Britannico deciderà se intende innamorarsi “ufficialmente” di nuovo di John Maynard Keynes, oppure proseguire nella disastrosa, nonché criminale, applicazione dei dettami teorici di Milton Friedman. Personalmente tendo all’ottimismo. La cerimonia d’inizio me lo ha confermato. E siamo in molti a leggerla come una splendida notizia.

 

1). Essendo una nazione medioevale di mitòmani, inevitabilmente siamo portati a leggere, vedere, guardare e giudicare, proiettando la nostra idea di noi stessi nel mondo. Essendo privi di una consapevolezza collettiva e ormai deprivati di ogni forma di Cultura condivisa, pensiamo di appartenere al ristretto nòvero di nazioni ricche, evolute, che praticano il rispetto dei diritti civili, ecc. E’ una illusione. Se parlate con un danese, un olandese, uno svedese o un portoghese, si meravigliano del fatto che ci consideriamo ancora democratici. Un po’ acciaccati, con qualche cerotto, ma fieri, bravissimi, pur sempre una grande nazione democratica: così gli italiani immaginano di essere Non è così, purtroppo, e noi che viviamo scontrandoci ogni giorno con vassalli, valvassori e valvassini, sappiamo la differenza tra l’immagine esterna della nazione Italia e ciò che la nazione Italia è sul serio. Esistono altre nazioni, invece, ben più disastrate, povere, dissestate e in crisi, di quanto non lo sia l’Italia. Queste nazioni, vivono la propria realtà con consapevolezza, e vedere una società davvero multi-etnica, venire a sapere che la Gran Bretagna è stato il primo paese al mondo a lanciare il servizio sanitario pubblico nazionale, nel febbraio del 1948, ha comportato delle sorprese con immediati interrogativi che hanno aperto dibattiti molto interessanti in sede politica in diverse nazioni del mondo (soprattutto, ad es. Venezuela, Ecuador, Perù, Sudafrica, NuovaZelanda). In tutto il Sudamerica, la lunghissima figurazione relativa alla celebrazione del lancio del National Health System keynesiano ha sollevato curiosità e interrogativi. E le risposte sono arrivate subito dagli storici e da chi segue la politica. Cioè, hanno spiegato che è vero, era così, ma che quel sistema di welfare sanitario hanno iniziato a prenderlo a picconate con Margaret Thatcher nel 1982, e l’hanno definitivamente scardinato con David Cameron, spingendo la democratica Gran Bretagna in un pantano sociale regressivo che l’ha portata (ufficialmente dal 27 luglio 2012) in piena  recessione. In teoria, quindi, si tratterebbe di un clamoroso autogoal; soltanto una società di cretini presenta come proprio fiore all’occhiello qualcosa che non esiste più, che loro hanno inventato e loro hanno distrutto, perché il messaggio che arriva è “avete visto come siamo stati idioti? Avevamo aperto la strada e poi abbiamo sbaraccato tutto, oggi non esiste più, in verità noi siamo una cultura auto-distruttiva”. Ma allora, secondo voi, come mai gli inglesi hanno avuto questa pensata così stupida, così autolesionistica? Secondo voi, non gli è venuto in mente? Certamente, e la risposta ci avvicina al punto 2. Ne hanno parlato e discusso per quasi un anno, in Gran Bretagna, di queste figurazioni, per il loro impatto sociale, le alternative erano varie e distinte. Cameron ha fatto di tutto perché questa figurazione non ci fosse. Ci sono state discussioni, zuffe politiche, scontri, dibattiti. Perché nel 2010 era stato deciso che sarebbero state le “olimpiadi del sociale” ma a settembre del 2011 la situazione era molto diversa. A ottobre del 2010 Cameron aveva il 56% di gradimento e nel marzo del 2012 era sceso al 38% con i laburisti al 60%. Quando hanno proposto alla regina di fare l’attrice come Bond girl, Elisabetta l’ha trovato divertente, why not? Si è fatta spiegare tutto il programma, compresa la zuffa sulle figurazioni sociali. Nessuno ha chiesto la sua opinione, ma lei l’ha data lo stesso.: quite appropriate. Perché è irritata da questo Cameron, le cose si stanno mettendo di nuovo come con Tony Blair nel 2008 quando lo odiavano tutti per essersi imbarcato appresso a Bush in Iraq. Per la corona inglese, che al potere ci siano i conservatori o i laburisti è irrilevante: sono una etnia pragmatica, non sono come noi. Gli imperi sono sempre pragmatici. E in Gran Bretagna più di una fonte autorevole (in campo conservatore) comincia a spiegare che “questa austerity è pericolosa”. E’ stata bocciata perfino da Margaret Thatcher, intervistata quattro mesi fa. Il che è davvero tutto dire. Questa olimpiade, nel 2005, divenne fondamentale per la corona inglese. Gli indici e i sondaggi erano impietosi. L’Impero aveva bisogno di ritrovare se stesso, ritrovando l’idea di essere un punto di riferimento di progresso e di avanzamento per l’intera civiltà occidentale. L’olimpiade poteva essere una occasione fondamentale. Doveva esserlo. Come ha detto in una serata culturale alla BBC (in Italia non esistono neppure sulla carta, non c’è trasmissione simile nel palinsesto rai) Noam Chomsky, facendo rabbrividire dalla vergogna gli orgogliosi britannici, tre mesi fa, presentando il suo ultimo libro ”ma voi siete davvero convinti di essere tanto diversi dai cinesi? Avete abdicato e rinunciato a qualsivoglia ruolo propulsivo. Praticamente prendete ordini da finanzieri schiavisti che stanno strozzando l’Asia, e il mondo va veloce, oggi. Arriveranno presto anche qui. Noi anglo-americani passeremo alla storia come la generazione che ha distrutto tutto ciò che avevamo costruito in 300 anni. Ho detto noi, perché siamo sulla stessa barca”. Gli inglesi hanno cominciato ad interrogarsi. E anche il resto del mondo. Molte nazioni del mondo in cui le donne soffrono un ruolo subalterno atroce, si sono interrogate, nuovi input sono arrivati, inèdite immagini (per loro) possono far scattare degli interrogativi, provocare un meccanismo di emulazione sociale, perché le donne mussulmane arabo-saudite, nel vedere l’allegria libera e caciarona delle atlete turche (davvero tantissime) –e la Turchia è una nazione ufficialmente mussulmana- possono pensare che allora è possibile anche all’interno di una società mussulmana trovare un nuovo spazio dove essere riconosciute come soggetti attivi alla pari. L’impero britannico si è mostrato ancora vivo e saldo perché ha dimostrato di essere l’unica cultura sul pianeta ad avere il controllo della diffusione di modelli pop che costruiscono l’immaginario collettivo, primi fra tutti la musica per il pubblico giovane e la rete. Non a caso ha inteso celebrare l’artista-scienziato che ha inventato e costruito il web  nel 1989, senza dubbio lo strumento democratico più libero ed evoluto che sia mai stato offerto alle masse, mettendolo a loro disposizione in forma gratuita. E’ stata anche fornita una prova dei progressi sociali realizzati fin qui, perché la delusione dell’attualità non può e non deve far dimenticare da dove veniamo tutti, prima di ogni altro gli Usa e la Gran Bretagna, due società che 60 anni fa erano impietosamente razziste, conservatrici e chiuse, misogine, riottose al nuovo. La squadra Usa è stata celebrata in California (stato che fornisce molti atleti) come la prima nazione al mondo in cui il numero delle atlete di sesso femminile supera quello dei maschi, il 56 contro il 44%. Lo sport può sempre essere un’ottima palestra per combattere per i diritti civili del progresso. Nel 1948, nel corso della precedente olimpiade londinese, il New York Times pubblicava ogni giorno un commento alle gare oltreoceano. Non c’era ancora la televisione, la radio non funzionava così a distanza, non esisteva la rete. C’era soltanto il cartaceo. Il giorno dopo la finale dei 100 metri piani, il prestigioso giornale pubblicava un entusiasta articolo lungo quattro colonne nel quale raccontava l’impresa di un atleta americano del Maine che si era classificato quinto battendo anche forti concorrenti russi, tedeschi, inglesi. Alla fine del lungo reportage c’erano due righe, dedicate alla notizia che la medaglia d’oro l’aveva vinta un altro statunitense. Il fatto è che era nero, mentre il quinto proveniva da una famiglia molto ricca della finanza, di pelle bianca. Successivi articoli pubblicati negli anni successivi da intellettuali e artisti diedero inizio a un dibattito e confronto acceso proprio da questo evento. Indimenticabile quello di William Styron, superbo romanziere, bianco progressista libertario del profondo sud che descriveva la narrazione esistenziale dell’atleta nero che sulla nave che andava in Gran Bretagna era stato messo in terza classe, da solo, con il suo allenatore personale, mentre gli altri viaggiavano in prima. Nel viaggio di ritorno,  il discobolo che aveva vinto l’argento, offrì la propria suite al connazionale nero e volle andare lui in terza classe, in aperto disprezzo di quelle convinzioni. Un’olimpiade è anche questo. Deve essere questo. L’Italia conferma il proprio essere medioevale nella incapacità professionale dei propri corrispondenti nel fare il proprio lavoro, parlano solo di idiozie prive di Senso, grafici, tempi, record, ecc. Se i media fossero stati attenti e presenti nel 2004 nel decifrare e captare i segnali simbolici forniti dall’olimpiade di Atene, forse si sarebbe cominciato a parlare allora della crisi finanziara e dell’imperialismo tedesco in Europa. In Australia lo fecero, elogiando se stessi per avere sfruttato l’occasione dell’olimpiade 2000 a Sidney che consentì di lanciare un gigantesco piano di investimenti pubblici di carattere sociale che hanno risolto molti problemi sociali rallegrando l’intera collettività. Allora, in tutta l’Oceania uscirono diversi articoli dal titolo “a noi ci ha arricchito, alla Grecia l’impoverirà”. Era un segnale, un sintomo, nessuno ne parlò (in Europa).  I media italiani hanno  taciuto sull’olimpiade di Pechino nel 2008, neppure un rigo su ciò che accadde sei mesi prima e la notte dell’inaugurazione a Los Angeles. Steven Spielberg che fino al novembre del 2007 era il direttore artistico della manifestazione, si era dimesso con una conferenza stampa (disertata dai media mainstream) per protesta contro la presenza cinese nel Darfur, sostenendo che i cinesi stavano massacrando milioni di innocenti per impossessarsi delle loro risorse energetiche. Dichiarò che non intendeva essere complice del “nuovo olocausto annunciato dei popoli africani” e si dimise proponendo il boicottaggio politico della olimpiade. I tecnocrati planetari gli saltarono addosso  e da allora la sua stella marketing si è offuscata. La notte dell’apertura dei giochi (eravamo in piena campagna elettorale americana e la finanza cinese sosteneva i repubblicani) molti artisti, intellettuali, vecchie stelle dello sport, accademici, divi famosi, organizzarono una serata a Los Angeles, una grande cena di beneficenza al costo di 10.000 dollari a biglietto. Era organizzata da Richard Gere, Susan Sarandon, Michael Douglas, Warren Beatty, Sarah Jessica Parker, Tim Burton, Michael Moore, Steven Spielberg, Steven Soderbergh, gli accademici Noam Chomsky, l’economista Christina Rohmer,e tanti altri, sui diritti civili e sulle modalità di affrontare le tematiche nel mondo mediatico-globalizzato. Era un’idea movimentista di alternativa ai giochi olimpici. Raccolsero circa 10 milioni di dollari che non diedero in beneficenza a pioggia, ma costituirono un fondo che servì a finanziare imprese agricole locali nel sud della California, a carattere biologico eco-sostenibile, che diede lavoro a migliaia di emigrati poveri messicani. Oggi, più di un sociologo americano individua, in quelle modalità di pretta marca hollywoodiana, il primo germe che produrrà nel settembre del 2011 la nascita ufficiale di “occupy wall street” e la diffusione di un sistema socio-politico anti-cinese in tutto il continente sudamericano, con una forte spinta anti-tecnocratica, sintetizzato dallo slogan governativo argentino “siamo orgogliosi di essere la prima nazione al mondo che non importa nulla dalla Cina, e che in Cina non produce, perché noi non alimentiamo la diffusione dello schiavismo nel mondo”. Ma in California, a New York, a Rio de Janeiro, a Buenos Aires, a Auckland, a La Paz, a Canberra, nel 2008 c’era una classe intellettuale sveglia, attiva, partecipe. Sapevano ciò che stava accadendo. L’hanno detto. Non così in Europa, non così in Italia. In questi giorni, nessuno in Italia “legge” le olimpiadi andando a sondare e dibattere sugli spunti, ricchi e tanti, che un’olimpiade offre. Se uno vuole saper leggere, si intende.

 

Il punto 2. Il costo dell’olimpiade inglese si aggira sui 12 miliardi di euro che graverà sullo stato. Avviene nel momento in cui la Gran Bretagna si trova ad affrontare la peggiore crisi economica dal 1948 a oggi, in piena recessione, ala vigilia di potenziali, quanto esplosivi, conflitti sociali, che diversi sociologi prevedono potrebbero far scatenare delle impressionanti violenze incontrollabili.  La città di Londra si avvia (a olimpiadi concluse) verso una sua metamorfosi urbana gestita da un pool di grandi finanzieri legati alla oligarchia internazionale legata al Qatar, ai grossi proprietari immobiliari di derivazione conservatrice britannica e all’ingresso di capitali provenienti da miliardari russi accolti a braccia aperte nel regno unito.  Interi quartieri verranno sventrati, migliaia e migliaia di famiglie verranno sfrattate contro la loro volontà, abbandonate al loro destino. Il tutto sembra uscito dalla fantasia di Charles Dickens nel descrivere la condizione esistenziale dei britannici all’inizio della rivoluzione industriale. E’ il grande sogno della spietata oligarchia cannibalica che intravede in queste olimpiadi una opportunità di realizzare guadagni impensabili. Tutto ciò, sulla carta, Tutto ciò fino allo scorso inverno. Ma negli ultimi tre mesi, in Gran Bretagna ha cominciato a diffondersi il dibattito sul “costo sociale e umano” di tale operazione, e lo schieramento non è tra conservatori al governo e laburisti all’opposizione. Nient’affatto. E’ trasversale. Perchè gli inglesi sono pragmatici. E i conti non tornano. Perché i sondaggi rivelano che mai è stato così forte il disadoro della popolazione nell’aver identificato la corona come un ufficio di gestione di affari e niente più di questo. E per l’immagine che l’impero ha di sé stesso è un dato allarmante. E i keynesiani cominciano a fremere. E la loro opinione comincia, di nuovo, a essere ascoltata e non più soltanto sul Guardian o nei raduni antagonisti, ma ben dentro i circoli accademici, politici, finanziari che contano. Addirittura dentro il ristretto circolo aristocratico di Elisabetta, il principe Charles e pochi altri. C’è un certo subbuglio, e non da poco. C’è una gran voglia di rimescolare le carte e Cameron dovrà dimostrare che l’impresa urbanistico-speculativao-olimpionica veramente vale la pena, nel senso che contribuirà a ridurre il dato negativo del pil. Dovrà provarlo inventandosi una idea (vera e autentica e originale, non retorica) che consenta il varo di ammortizzatori sociali applicabili immediatamente. La finanza britannica non è più tanto sicura che si sia trattato di un’operazione conveniente, questa olimpiade, e temono che possa scattare “l’effetto Grecia 2004” e si stanno muovendo. Quotidianamente aumentano in parlamento le interrogazioni di giovani deputati su questa vicenda, di tutte le fazioni. E gli estratti parlamentari rivelano che il tabù (cioè il solo nome di Keynes) è stato abbattuto e l’eredità del grande economista britannico sembra diffondersi in maniera imprevista: ha raggiunto un livello di citazioni come non si ascoltava in parlamento dal 1955.  Cameron viene ormai identificato sempre di più come una pallida comparsa a fianco della Merkel. Ai britannici non piace. E così muovono le loro “pedine simboliche”. Il primo atto, clamoroso e unico nel suo genere, è avvenuto giovedì scorso. Va da sé sottaciuto e censurato da tutti i media nazionali dell’Italietta (ma non in giro per il mondo). Il presidente della Bce, Mario Draghi, ha compiuto un atto formale che alcuni giuristi rigorosi europei arrivano addirittura al punto di sostenere che potrebbe aprire un “caso Draghi”. In Italia è stato scambiato il signiificante per il significato, alterando la notizia, cioè è stata presentata “l’informazione” come se la notizia fosse “ciò che Draghi ha detto”. Non era quella. Ha detto le stesse identiche cose che ha detto altre quattro volte. La vera notizia era un'altra, “dove” l’ha detto. E’ formalmente scandaloso che il presidente della BCE faccia una dichiarazione così importante non nella sua sede a Bruxelles, bensì all’interno di un club privato, in una città la cui moneta non fa parte dell’euro, in una riunione ristretta che non aveva ufficialità, tant’è vero che non esistono comunicati, scritti, neppure riprese televisive. Hanno fatto vedere soltanto un riquadro (analizzato da bloggers esperti in prossemica) da cui si ricava che il luogo era molto piccolo; hanno fatto vedere per cinque secondi un signore anonimo in maniche di camicia seduto su una poltroncina, e nessun altro (uno dei più potenti finanzieri della terra). Draghi ha parlato, le borse tutte su e lo spread giù. Perché questa volta sì, le altre no? “Perché l’ha detto dal cuore della finanza britannica”  e non da Bruxelles “che conta molto di meno” questa è la notizia, fondamentale per comprendere come si muovono le truppe al fronte della Guerra Invisibile.

Immediata (va da sé) la reazione della Bundesbank: ha protestato la dichiarazione di Draghi non considerandola valida, inevitabilmente smentita della Merkel che non poteva rischiare un incidente diplomatico interno all’euro, pena il rischio default di Spagna e Italia. I tedeschi, quindi, hanno incassato il colpo simbolico ben assestato. La notizia politica (così viene presentata nei circoli finanziari occidentali fuori dall’euro) sta nell’idea che “nei momenti decisivi finanziari, ciò che conta è ciò che si decide a Londra che batte moneta sovrana in Europa, tant’è vero che Draghi deve venire a parlare in Inghilterra per avere una reazione positiva, altrimenti i mercati se ne fregano”.  Che cosa si sono detti in quella riunione? Nessuno lo sa. O meglio, non è pubblico. Ma ciò che conta è il simbolico. L’Impero Britannico ha chiarito che i conti senza l’oste non si possono fare. Perché in Gran Bretagna il vento sta cambiando. Loro sono arrivati alla frutta, molto peggio dell’Italia. Non essendo piagnoni e mitòmani come gli italiani, non fanno proclami, ma è così. L’Impero Britannico sa che si gioca tutte le sue ultime carte per recuperare lo smalto sperduto e la corona sa benissimo che David Cameron non ha le palle di Winston Churchill. L’Inghilterra non ha l’arroganza dei francesi, che pensano di poterla far franca sottraendosi alla piovra tedesca. Gli angli sanno che se la lex teutonica si impone in Europa definitivamente, toccherà poi a loro. E’ già accaduto nel 1940. Ma soprattutto avranno perso per sempre la loro supremazia. E loro ragionano in termini imperiali, a differenza degli statunitensi che si comportano da imperialisti ragionando da businessmen, il che è tutta un’altra cosa.

E in Europa, John Maynard Keynes è di nuovo una forte icona pop, è come i Beatles.

Milton Friedman no.

Gli inglesi (e la corona) tutto ciò lo sanno benissimo.

Lo sanno anche i tedeschi, è per questo che la Bundesbank ha protestato Mario Draghi.

Davvero bravissime le nostre fiorettiste, splendidi i nostri arcieri.

Loro sì che hanno una buona mira, a differenza della nostra classe politica dirigente, la quale, è più che probabile, di tutto ciò non avrà capito un bel niente..

venerdì 27 luglio 2012

« Il coraggio intellettuale della verità e la pratica politica sono due cose inconciliabili in Italia. » (Pier Paolo Pasolini)


di Sergio Di Cori Modigliani


Ma sì, fa caldo, divertiamoci. Facciamo zapping e vediamo che cosa ci raccontano:

ho visto alla televisione per qualche istante la sala in cui erano riuniti in consiglio i potenti (a) che da circa trent'anni ci governano. Dalle bocche di quei vecchi uomini, ossessivamente uguali a se stessi, non usciva una sola parola che avesse qualche relazione con ciò che noi viviamo e conosciamo. Sembravano dei ricoverati che da trent'anni abitassero un universo concentrazionario: c'era qualcosa di morto anche nella loro stessa autorità, il cui sentimento, comunque, spirava ancora dai loro corpi. I richiami di (b) all’ancien regime, pieni di ampollosa spregiudicatezza, erano talmente insinceri da rasentare il delirio; i giovani descritti da (c) erano fantasmi quali possono essere immaginati solo dal fondo di una fossa dei serpenti; il silenzio di (d) era intriso di un cereo sorriso di astuzia terribilmente insicura e ormai, timida, senza riparo.

Il brano precedente non è mio.
E’ l’incipit di un lunghissimo editoriale pubblicato sulla terza pagina del corriere della sera il 18 febbraio 1975, a firma Pier Paolo Pasolini, il cui titolo era “I Nixon italiani”.
Per evitare che lo riconosceste subito per via dei nomi usati, al posto dei cognomi ho messo delle lettere, laddove (a) sta per democristiani, (b) sta per Fanfani, (c) sta per Moro e (d) sta per Andreotti.
Era necessario usare questo trucco da baraccone per introdurre l’argomentazione, che oggi, è doppia:
A). Dal 18 febbraio del 1975 sono trascorsi 37 lunghi anni, due generazioni: non abbiamo fatto un passo avanti. Anzi.
B). Oggi, la situazione è peggiore e siamo già entrati a “pieno regime” nella deriva autoritaria che ben prefigura la imminente catastrofe della democrazia rappresentativa.

Il punto B, è chiaro, deve essere inteso come tragica conseguenza e risultato del punto A.

Quell’articolo sul corriere è fondamentale per comprendere l’attuale fase che stiamo vivendo. Perché se “non si conosce il proprio passato non è possibile comprendere dove si sta e non c’è alcuna possibilità di sapere dove si sta andando”.

Siccome ho figliato, oltre alla mia caratteriale passione civile sono animato da un profondo interesse altruista per il futuro della civiltà, non mi va di morire pensando che i miei figli si troveranno in mezzo alla totale barbarie, mi fa sentire in colpa. Meglio morire combattendo per impedire che la barbarie prevalga, è un’eredità migliore da lasciare.

C’è anche il punto C, da non sottovalutare. E’ relativo a un’idea che nei decenni è andata acquistando sempre più vigore, sempre più forza, e sempre più consistenza, (nei circoli di esseri liberi, pensanti, e ben informati) relativa all’assassinio di Pasolini, e che identifica la sua morte dentro la cornice di “omicidio politico con regolari mandanti” finendo quindi per iscriverlo tra i vari atti del nostro passato, da Piazza Fontana alla strage di Brescia, Italicus, fino alla ben curiosa e inquietante vicenda della bomba al liceo Morvillo-Falcone di Bari. Tutti d’accordo nell’identificare questo editoriale come la inconsapevole condanna a morte di Pasolini, il suo suicidio annunciato, né più né meno di quanto non avesse fatto il 28 giugno 1992 Paolo Borsellino con la sua intervista di allora su la repubblica.

Punto A).
E’ agghiacciante il fatto di leggere quelle righe, oggi, e accorgersi che è -fatta la dovuta tara-  il linguaggio argomentativo base usato da Beppe Grillo, perché siamo nella stessa identica situazione, a differenza della Germania, Francia, Usa, Argentina, Sudafrica, Nuova Zelanda, Cina, Finlandia (ho preso dei nomi a casaccio) che oggi vivono una loro specifica e localistica realtà completamente diversa, ben inserita nel contesto della globalizzazione planetaria. Nello stesso anno, in Usa si facevano battaglie per riuscire ad avere un sindaco nero in una piccola città, in Sudafrica Nelson Mandela stava  a marcire in galera, in Cina non riuscivano ad alimentare la popolazione e si trovavano in mezzo a una guerra civile sanguinosa, in Argentina c’erano i fascisti militari al governo, la Germania era spaccata in due e la sua economia, pur forte e vigorosa, era inceppata e bloccata dalla guerra fredda, la Finlandia era una provincia abbandonata, colonizzata dalla piovra sovietica, la Nuova Zelanda aveva un reddito pari a quello dello Zimbabwe di oggi, e via dicendo. Il mondo era diverso. Poi, si può aggiungere “nel bene o nel male” ed è una questione di punti di vista, in questa sede, per il momento irrilevante. Ciò che conta è toccare con mano l’irrigidimento della società italiana medioevale che va sempre di più delineandosi nello scacchiere europeo come il cancro della situazione attuale. Noi stiamo ancora lì. Soltanto un paese di individui malati di narcolessia perniciosa può considerare plausibile un’argomentazione anti-teutonica facendola passare come valida, addirittura ad personam (la Merkel come mostro nazista assetata di sangue vivo perché lei è cattiva e indossa pantaloni larghi ) o l’identificazione della “speculazione internazionale” presentata come la Spectre dei film di James Bond, cioè senza faccia, senza firma, senza identità, così, a vacca, o la pretesa di usare in maniera manipolatoria il termine “globalizzazione” attribuendo ai mercati internazionali la responsabilità dell’attuale crisi italiana: che cosa c’entra la globalizzazione con il fatto che Lusi è un ladro? E la famiglia Bossi pure? Che cosa c’entra l’Europa e la BCE con il fatto che la popolazione italiana ha “ufficialmente” scoperto soltanto nel febbraio del 2012 (per caso) che la vittoria nel referendum del 1993 con la quale si sanciva la volontà popolare nell’eliminare il finanziamento pubblico dei partiti era stata violata e stuprata dall’idea del cosiddetto “rimborso elettorale”? Che cosa c’entra Goldman Sachs con il fatto che Gianfranco Fini e Massimo D’Alema godono oggi della possibilità di poter usufruire con sereno piacere i tanti soldi prelevati dalle tasche dei contribuenti italiani in quanto rimborso spese per i DS (estinti) e AN (estinta) finanziando persone, uffici stampa, riviste, film, libri, case editrici e fondazioni? (potrebbero tranquillamente godere dell’epiteto di “cari estinti”). Che cosa c’entra Mario Draghi con il fatto che la Banca Popolare dell’Emilia Romagna (un tempo vero polmone creditizio per le imprese emiliane) ha il massimo numero di filiali nella zona meridionale della Calabria, 40 soltanto nella città di Crotone, e la sua quotazione in borsa è passata da 22 euro ad azione a 2,3 in cinque anni mangiandosi il risparmio di milioni di brave persone e facendo fallire migliaia di aziende gestite da imprenditori per bene? Che cosa c’entra l’Islam e gli emigrati extra-comunitari con il fatto che dal 1975 a oggi, tutti i governi –nessuno escluso- ha fatto sì che le risorse governative destinate all’istruzione pubblica, ricerca scientifica e sanità, passassero dal pubblico al privato cattolico (gestito da istituzioni vaticane esentasse) in misura sempre maggiore? Ecc.,ecc.
Quest’articolo mi è venuto alla mente saettando come una freccia, ieri sera, mentre guardavo la televisione e ho visto lì, appollaiati sui loro bravi sgabelli, tre rappresentanti fondamentali dei media nazionali: Giuliano Ferrara, Paolo Mieli, Gad Lerner, ospiti di Mentana. I tre, nella mente di Mentana, rappresentavano “l’Italia che conta” e cioè la destra (Ferrara) il centro progressista (Mieli) e la sinistra antagonista (Lerner). Tre zombie.

Tutti e tre, baci in bocca e abbracci misti a salamelecchi, hanno intonato grandi peana in appoggio a Mario Monti, esaltando Mario Draghi, parlando di un mondo che non ha nulla a che vedere con quello reale, esattamente come nell’argomentazione di Pasolini nel 1975. In un contesto del genere, perfino il concetto di rivolta diventa obsoleto e inutile. Perfino l’indignazione diventa inefficace e antica e risuona, tonante e rombante, l’auto-definizione fornita da Pier Paolo Pasolini nel giugno del 1975 quando sferrò il decisivo attacco contro la corruzione dilagante del potere politico che poi gli costò la vita: “"lo non ho alle mie spalle nessuna autorevolezza: se non quella che mi proviene paradossalmente dal non averla o dal non averla voluta; dall'essermi messo in condizione di non aver niente da perdere, e quindi di non esser fedele a nessun patto che non sia quello con un lettore che io del resto considero degno di ogni più scandalosa ricerca. Forse qualche lettore troverà che dico delle cose banali. Ma chi è scandalizzato è sempre banale. E io, purtroppo, sono scandalizzato. Resta da vedere se, come tutti coloro che si scandalizzano (la banalità del loro linguaggio lo dimostra), ho torto, oppure se ci sono delle ragioni speciali che giustificano il mio scandalo." 

E’ l’unico intellettuale italiano che abbiamo oggi a disposizione per comprendere, ancora attivo. E’ morto. Ma in un paese di zombie, un morto è già qualcosa, se in vita valeva. E’, quindi, da riesumare perché serve a comprendere la vera identità degli zombie che ci stanno strozzando. Se lo tirate fuori dalla tomba e lo fate resuscitare, guarderà l’Italia e dirà “ok, è uguale al 1975, posso riprendere il cammino”.
Dovete scandalizzarvi. Dobbiamo scandalizzarci tutti. Dobbiamo uscire dalla mefitica palude del cinismo e ritrovare quella passione civile (che non vuol dire aderire a una lista civica o andare ad applaudire Grillo a uno dei suoi comizi intrisi di comichese d’attacco) ma vuol dire sentirsi continuamente infiammare da una forza ritrovata di impegno culturale che alimenta la propria intelligenza civica.
 Ferrara, Mieli e Lerner sono tre zombie del 1975 che oggi non possono aspirare a godere il rispetto della società civile pensante. Andrebbero messi sotto processo per “diffusione di menzogne, falsificazione costante della realtà, alterazione del dna antropologico della nazione al fine di sfruttare le risorse umane, esistenziali, spirituali, culturali e materiali con l’unico interesse di godere di privilegi iniqui per salvaguardare interessi privati criminali”. Così Pier Paolo Pasolini scriveva nell’estate del 1975 sostenendo che l’intera classe democristiana, socialista e comunista dovevano andare sotto processo per far fare un salto evolutivo alla nazione “e dare la soddisfazione al popolo di toccare con mano che, una volta nella Storia, paga chi ha compiuto il danno”.

E così che si ricostruisce il Senso, e quindi si può comprendere il Significato di ciò che sta accadendo. Se pensate di vivere in un paese a capitalismo avanzato ascoltando le parole dei mitòmani meneghini convinti che ciò che accade alla borsa valori di Milano abbia anche una minima importanza, diventerete mitòmani anche voi. Venite sviati, pilotati. Il settimanale democristiano “La Discussione” in data 29 settembre 1975, poco prima della sua morte, fu il primo a minacciarlo scrivendo questo:
“Processo alla DC uguale processo all’Europa, ecco cosa vuole. Dirlo può essere divertente e anche intelligentemente stimolante. Farlo implica un prezzo che non risparmierebbe certamente gli amici di Pasolini e nemmeno lo stesso Pasolini. E’ bene che lo sappia”.
Il 29 ottobre 1975, esattamente come fece Borsellino nell’estate del 1992, andò a visitare Calvino. Pasolini era disperato, si sentiva isolato, abbandonato, calunniato. Era la prima volta che si mostrava preoccupato. Gli disse andando via “Spero soltanto che Gesù esista per davvero e che voglia accogliermi in Paradiso”. Il giorno dopo, 30 ottobre, scrisse sul settimanale di finanza Il Mondo, perché dal mese di giugno aveva cominciato a occuparsi di finanza ed economia.  “Rispondo in questo modo agli attacchi del potere marcio clerico-fascista, perché è necessaria una mutazione immediata del nostro dna, un risveglio civico e virile della nazione, pena la totale disfatta. I politici sono difficilmente recuperabili a una tale operazione. La loro è una lotta per la pura sopravvivenza. Devono trovare ogni giorno un aggancio per restare attaccati e inseriti là dove lottano (per sé o per gli altri, non importa). La stampa rispecchia fedelmente la quotidianità, il vortice in cui sono presi e travolti. E rispecchia anche fedelmente le parole magiche, o i puri verbalismi, cui sono attaccati riducendovi le prospettive politiche reali ("morotei", "dorotei", "alternativa", "compromesso", "giungla retributiva"). I giornalisti autori di tale rispecchiamento sembrano essere complici di tale pura quotidianità, mitizzata (come sempre la "pratica") in quanto "seria". Manovre, congiure, intrighi, intrallazzi di Palazzo passano per avvenimenti seri. Mentre per uno sguardo appena un po’ disinteressato non sono che contorcimenti tragicomici e, naturalmente, furbeschi e indegni.  
I sindacalisti non possono essere di maggiore aiuto. Lama, sotto cui tutti i facitori di opinione hanno preso l’abitudine di accucciarsi come cagnette in fregola sotto il cane, non saprebbe dirci nulla. Egli è uguale e contrario, ossia contrario e uguale a Moro, con cui tratta. La realtà e le prospettive sono verbali: ciò che conta è un oggi arrangiato. Non importa se Lama è costretto a questo, mentre i democristiani vivono di questo. Oggi pare che solo platonici intellettuali (aggiungo: marxisti) - magari privi di informazione, ma certo privi di interesse e di complicità - abbiano qualche probabilità di intuire il Senso di ciò che sta veramente succedendo: naturalmente però a patto che tale loro intuire venga tradotto - letteralmente tradotto - da scienziati anch’essi platonici, nei termini dell’unica scienza la cui realtà è oggettivamente certa come quella della Natura, cioè l’Economia politica.
Due giorni dopo il corriere della sera gli comunicò che la sua collaborazione era sospesa. Stampò il suo ultimo intervento, rispondendo alla domanda gossip del suo stupido interlocutore: “Che cosa vogliono davvero gli italiani, oggi? Lo chiediamo a un intellettuale in grado di interpretare i gusti della nazione”.
Ecco la sua risposta il 1 novembre del 1975:

“Gli italiani vogliono consapevolmente sapere quale sia stato il vero ruolo del Sifar.

Gli italiani vogliono consapevolmente sapere quale sia stato il vero ruolo del Sid.

Gli italiani vogliono consapevolmente sapere quale sia stato il vero ruolo della Cia.

Gli italiani vogliono consapevolmente sapere fino a che punto la Mafia abbia partecipato alle decisioni del governo di Roma o collaborato con esso.

Gli italiani vogliono consapevolmente sapere quale sia la realtà dei cosiddetti golpe fascisti.

Gli italiani vogliono consapevolmente sapere da quali menti e in quale sede sia stato varato il progetto della «strategia della tensione» (prima anticomunista e poi antifascista, indifferentemente).

Gli italiani vogliono consapevolmente sapere chi ha creato il caso Valpreda.

Gli italiani vogliono consapevolmente sapere chi sono gli esecutori materiali e i mandanti, connazionali, delle stragi di Milano, di Brescia, di Bologna.

Ma gli italiani - e questo è il nodo della questione - vogliono sapere tutte queste cose insieme: e insieme agli altri potenziali reati col cui elenco ho esordito. Fin che non si sapranno tutte queste cose insieme - e la logica che le connette e le lega in un tutto unico non sarà lasciata alla sola fantasia dei moralisti - la coscienza politica degli italiani non potrà produrre nuova coscienza. Cioè l’Italia non potrà essere governata.

Il Processo Penale di cui parlo ha (nella mia fantasia di moralista) la figura, il Senso e il valore di una Sintesi. La cacciata e il processo (istruito - dicevo - se non celebrato) di Nixon dovrebbe pur voler dire qualcosa per voi, che credete in questo gioco democratico. Se contro Nixon in America si fosse svolto un gioco democratico, quale sembra esser da voi concepito, Nixon sarebbe ancora lì, e l’America non saprebbe di sé ciò che oggi sa: o almeno non avrebbe avuto la conferma, sia pur formale (ed è importante) della bontà di ciò che essa reputa buono: la propria democrazia.

Ma se (come mi pare evidente, con immedicabile mortificazione) l’opinione pubblica italiana - che anche voi rappresentate - non vuole sapere - o si accontenta di sospettare -, il gioco democratico non è formale: è falso. Nasce così il Falso”.

Nasce così il Falso, in quegli anni, in quei momenti. Pochi giorni dopo, viene assassinato.

Da allora, nessuno ci ha mai spiegato nulla. Nessuno ci ha mai detto nulla. Nessun elemento, strage, eccidio, assassinio, omicidio, è stato mai chiarito. Nessuna personalità politica –ad un certo livello- ha mai “parlato”, ha mai sentito il bisogno di dire come stanno le cose. Mai.

37 anni dopo siamo ancora lì.

Merita, quantomeno, alcune riflessioni.

 

Punto B).

E’ la netta conseguenza dell’esistenza del punto A. Ma per sottrarsi alla possibilità di diventare uno schiavo stupido, o uno schiavo passivo o quella che mi sembra la tendenza sempre più emergente oggi in Italia “schiavo a propria insaputa” è necessario armarsi di strumenti di comprensione culturale e uscire dal gregge. Oggi è peggio che nel 1975. Perché oggi la manipolazione ha raggiunto tali livelli per cui le persone non sono neppure in grado di comprendere quale sia “il gregge”. Pensano che cliccare sul sito di Pinco Palla che reca l’intestazione “qui vi diciamo cose che la finanza oligarchica non vi dirà mai” (il neo-gregge italiota del 2012) promuova immediatamente verso un territorio di Verità, mentre invece si va a finire nel territorio del Falso al quadrato. La spasmodica e bulimica ricerca di “informazioni” è una malattia epidemica del gregge. Per spiegarlo e chiarirlo è sufficiente un’argomentazione elementare: “Che cosa ci fate con le informazioni se non avete strumenti interiori in grado di decifrarle?”. Che Senso ha che Einstein regali una formula matematica al Trota? Che cosa ci fa il Trota? Nulla. Che cosa fa la gente, le brave persone innocenti, ingenue ma sincere e oneste, la sera a casa quando ascolta al telegiornale “informazioni oggettive” sullo spread, aliquote, grafici, il tutto all’interno di una pappa gossip mescolata di tekno-politichese? Non ci fa nulla. Che cosa ci fareste voi se vi facessi leggere una informativa super segreta che il presidente di Goldman Sachs ha inviato a Mario Draghi? Nulla. Neanche io ci farei nulla. Per chiunque di noi sarebbe incomprensibile; in Italia (se va bene) saranno in 20 in grado di sapere e capire ciò che c’è scritto.

Questo sistema è blindato, è bene prenderne atto. Ho avuto una chiara visione (definitiva) ieri sera guardando alla tivvù quei tre clown mediatici che mi hanno ispirato questo post.  Evolversi vuol dire “sottrarsi all’informazione per non essere deformato”. Non fatevi disossare della vostra qualità umana. Non cercate “informazioni” in maniera mitòmane: è INSENSATO, è ciò che vuole il Potere. Rimboccatevi le maniche, prendete atto che vivete nel medioevo e mettetevi a studiare. Se l’avete già fatto e poi avete smesso, ebbene, riprendete la via. A che cosa serve avere “l’informazione” che il quotidiano Libero dal febbraio del 2012 guida in maniera violenta l’opposizione contro Monti? (fatto vero e incontestabile, è una realtà linguistica). E’ una informazione inutile. Non solo. Nonostante sia Vera, in realtà è un Falso. Se io, questa “informazione” non la lego a un’altra “informazione” e cioè che in data febbraio 2011 il quotidiano è stato condannato da un tribunale per truffa ed è stato obbligato a risarcire allo Stato 16 milioni di euro di sovvenzioni ottenute con false fatture, evento cancellato dal governo Berlusconi in data 18 settembre 2011, ma poi riesumato da un magistrato della corte dei conti e riconfermato (in via definitiva) esattamente 24 ore prima che Libero scendesse in campo con argomentazioni simili a quelle di Paolo Barnard; se io non possiedo anche questa “informazione” che lega i due eventi, a che cosa mi serve la prima informazione? A nulla.

A questo servono i partiti che oggi compongono la classe politica: a far da filtro e impedire che si diffonda la cultura, “la formazione” in modo tale da avere strumenti operativi tali per cui si riescono a connettere i puntini e si riesce ad avere una visione di insieme. E’ per questo che sono tutti contro la Cultura, la temono più di ogni altra cosa in assoluto.

“L’informazione” oggettiva è inutile. Conta “l’in-formazione” ovvero l’introduzione di notizie, concetti, eventi che possano essere decrittati, decifrati, tradotti da coloro che hanno strumenti di formazione adeguati e competenze tecniche necessarie e sufficienti per capire il Senso. E il Senso che ci hanno sottratto lo si recupera non andando a caccia di risposte, bensì cambiando le domande che ci si pone: è facile, è alla portata di tutti. Potete cominciare da subito.

Esempio unico valido per tutti. Domanda politica a chiunque: “Scusi, perché la Minetti dovrebbe dimettersi?”. Nessuno la fa, e così il potere gongola perché riesce a provocare la frattura tra gonzi che si dividono tra chi dice che si deve dimettere e chi sostiene che non deve; l’importante è che nessuno si interroghi sul perché.

Domanda: “Perché in data 26 luglio 2012 Mario Draghi dice una frase identica, identica, nel Senso di identica, a quella detta il 28 giugno, il 17 giugno, il 12 giugno e il 30 maggio, ma questa volta provoca un rialzo in borsa clamoroso per imprese decotte e lo spread si abbassa? Come mai? Perché?”. La notizia (cioè la “vera informazione”) non sta in ciò che Draghi ha detto ieri (cioè nulla) ma perché il Potere e la truppa mediatica asservita hanno stabilito (di comune accordo) di attribuirgli un valore Altro. Quella è la vera notizia, ma è un’informazione comprensibile soltanto se si è formati, altrimenti è inutile.

Punto C.

La morte di Pier Paolo Pasolini decretò il tramonto di un grande dirigente editoriale, Piero Ottone, direttore allora del corriere della sera, l’uomo che aveva portato nel quotidiano Pasolini. I documenti pubblicati negli ultimi 35 anni ci mostrano come gli ultimi articoli di Pasolini siano stati identificati come un pericolo reale al punto tale da aver accelerato il processo di organizzazione del diabolico e criminale piano di un materassaio di Frosinone, certo Licio Gelli, che si incontrò con agenti della Cia per pianificare la totale ristrutturazione e controllo dell’intero sistema di comunicazione mediatica in Italia. Tant’è vero che poco tempo dopo la morte di Pasolini, Ottone ebbe il ben servito sostituito da uno sconosciuto giornalista alle prime armi, certo Franco Di Bella, importante pedina della P2, ecc.,ecc.

La morte di Pasolini fu alchemizzata dal potere politico come un sintomo. Capirono, allora che tremendo pericolo potesse essere un intellettuale libero e non compromesso, indipendente, non sulla lista paga di chicchessia. Micidiale per ogni potere costituito. Da allora iniziò la mattanza di cui nessuno ha parlato mai: la compravendita dei cervelli italiani, la prostituzione di massa delle menti pensanti, rispetto al quale, i giochetti erotici della Minetti sono roba da educande della prima elementare.

Questo è il vuoto che ci hanno lasciato.

Questo è il vuoto pneumatico nel quale ci fanno nuotare.

Questo è il vuoto che noi tutti dobbiamo andare a riempire.

Abbiamo un precedente. Abbiamo una eredità alle spalle.

Raccogliamone la staffetta.

Se non si ricomincia ad alzare il tiro della Cultura e dell’Intelligenza, non avremo scampo.
Perché un paese di bèceri farlocconi ignoranti, lo annienti come, quando e per quanto vuoi.
“Lo chiede l’Europa tecnocratica delle oligarchie”, è proprio il caso di dirlo.

Oh yes!

mercoledì 25 luglio 2012

La bufala di Rajoy? Oppure un piano ben congegnato?


di Sergio Di Cori Modigliani


Se Atene piange, Sparta non ride.
La bufala di Mariano Rajoy, primo ministro spagnolo, rappresenta la quintessenza del fallimento dell’Europa tecnocratica, ben evidenziata da un comportamento che segnala lo stato di deriva isterica che sta contagiando il sistema del potere politico in diverse nazioni europee. In una nazione civile, evoluta e democratica (cosa che il Regno di Spagna ha ampiamente dinmostrato di non essere) il re avrebbe convocato il suo primo ministro e gli avrebbe concesso un’udienza della durata di dieci secondi: “Domattina, voglio le sue dimissioni sul mio tavolo prima delle ore 9. La ringrazio per quanto ha fatto finora. Le auguro una buona giornata”.
Tradotto in cifre, infatti, l’impatto della sua bufala corrisponde dalla dichiarazione ufficiale che l’euro sta andando alla deriva verso la sua naturale catastrofe finale e quindi si sta fornendo una indicazione a tutti gli investitori mondiali: non venite a portare neanche un dollaro nelle economie mediterranee. Grazie mille.
Invece, Rajoy lì è rimasto.
E’ bene (nel caso qualcuno non sia al corrente della notizia) riassumere in poche righe l’evento.
Ieri, martedì 24 luglio, alle ore 16.40, con le banche spagnole a picco e alla vigilia di un clamoroso potenziale default, il primo ministro spagnolo ha dichiarato “La Spagna, insieme all’Italia e alla Francia hanno presentato una richiesta formale alla BCE e a Bruxelles affinchè vengano immediatamente applicati i parametri di salvaguardia dello spread sulla base degli accordi che erano stati presi in data 28 giugno 2012”. Immediata la reazione dei mercati, molto positiva, anche in Italia. Tant’è vero che la borsa di Milano chiude con un -2,7% invece che un -4,5% come si prevedeva intorno alle ore 16. A Madrid, addirittura il titolo Bankia (seconda più grande banca spagnola che in borsa ha perso negli ultimi quattro mesi il 78% del suo valore) da un -9% è passata in mezz’ora a un +0,56%. Un giochetto da bambini. Chiusi i mercati alle ore 17.30, si fanno i conti. Alle 17.50 il ministro degli esteri francesi, Bernard Cazeneuve smaschera la bufala di Rajoy e dichiara “E’ una pura invenzione, siamo a bocca aperta, non sappiamo proprio che cosa dire”. Quaranta minuti più tardi, il governo italiano si allinea con quello francese e dichiara “Non ci risulta che sia avvenuto ciò che sostiene Rajoy”. Fine dell’evento.
Su tutta la stampa mondiale per tutta la sera (e la notte) l’evento diventa “il giallo di Rajoy”. Poi, cala il silenzio e la censura.
Noi non possiamo che abbandonarci alla più spudorata dietrologia, non abbiamo possibilità di sapere che cosa abbiano concertato, ma possiamo usare l’intelligenza per cercare di comprendere e quindi ricavare alcune informazioni importanti.
Se fosse stata una bufala totale, Rajoy si sarebbe dimesso. L’evento è inconcepibile.
Nessuno ha chiesto le sue dimissioni. Quindi è stata concertata.
Secondo la sinistra danese (al potere) e quella ceka (al potere nei settori locali finanziari) e in qualche network catalano della sinistra, gira una interpretazione che io considero la più attendibile tra tutte: è stata una trappola ben congegnata dell’ala più reazionaria e retriva europea (destra mista a vaticano) gestita dall’accoppiata Rajoy-Monti per “accorpare e inglobare” la Francia, identificandola e facendola passare come una nazione che si trova nella stessa situazione di Italia e Spagna, come a dire “stiamo sulla stessa barca”. Sarkozy avrebbe accettato. Hollande, invece, era furioso e si è sottratto.
E’ stata una manovra mediatico-finanziaria gestita con accurata strategia. A mio avviso era tutto calcolato. Vista la reazione francese, Monti ha sbugiardato Rajoy. Insieme hanno provveduto a fare in modo che da oggi non si parli più né in Italia né in Spagna della vicenda. Non ne sentirete parlare mai più. Così come non c’è stato nessun articolo su la Repubblica, ad esempio, in questi giorni, che spiegasse come a Bruxelles non c’era stata nessun accordo: era stata una pura invenzione di Mario Monti al fine di procurare un rialzo in borsa (potrebbe essere denunciato alla corte de l’Aja per aggiotaggio) e placare la società politica italiana, davvero un giochetto infantile da bambini di quattro anni. In realtà, la Merkel aveva spiegato con chiarezza che “forse” “magari” “sarebbe bello che” “staremo a vedere” il che è molto diverso da un accordo.
L’accordo c’è o non c’è? C’è stato o non c’è stato?
Incredibile ma vero, a questa elementare domanda nessuno è in grado di fornire una risposta. Monti e Rajoy sostengono di sì (ma non c’è nessuna firma, nessun pezzo di carta, nessun intervento reale nei mercati finanziari) la Merkel dice di no, visto che i suoi giudici ermellinati hanno dichiarato che faranno sapere se è “legalmente compatibile con la legge tedesca” in data 15 settembre. Tradotto vuol dire che Italia e Spagna fino al 15 settembre si devono arrangiare.
Oggi, 25 luglio, alle ore 13, Hollande, facendo finta di niente sulla bufala di Rajoy, ha chiesto ufficialmente “che gli accordi presi a Bruxelles vengano rispettati” chiarendo che si sta facendo latore presso la Merkel di una richiesta di aiuti per Spagna e Italia. Ha rifiutato di fare un comunicato congiunto con Rajoy e Monti questa mattina, e sta cercando di comunicare –e spiegare anche ai sordi- che la Francia non intende sottoscrivere nessun accordo d’alleanza con Rajoy e Monti, il che è comprensibile, sono animali incompatibili. Valgono soltanto accordi tra i 27 oppure tra tutte le nazioni dell’eurozona insieme.
I media italiani stanno svolgendo una pesante attività di falsificazione molto dannosa.
Non stanno raccontando la verità sulla Francia, su Moody’s, per tentare di “de-politicizzare” l’attuale crisi, farla passare cioè per una crisi che ha “bisogno” di una soluzione tecnica per essere risolta. E’ Falso. E’ una battaglia Politica che fa parte della Guerra Invisibile.
Dal 15 giugno del 2012, grazie alla maggioranza totale in parlamento dopo le politiche, i socialisti francesi hanno iniziato “la modificazione nell’applicare i criteri del rigore necessario per sanare i conti pubblici”. Politicamente sono schierati con il Regno di Danimarca, con gli Usa di Obama e con la regina Elisabetta alla quale Cameron non piace più; glie lo ha già fatto sapere: o cambia politica o se ne va e che vadano al governo i laburisti che i sondaggi danno vincenti per un 60% contro il magro 32% di Cameron..
Noi siamo finiti dalla parte sbagliata del fronte bellico, come al solito. La Storia insegna.
Insieme alla più retriva forza reazionaria europea (quella spagnola) sostenuta finanziariamente dall’opus dei vaticanense che controlla il 75% delle banche iberiche, degna erede di Francisco Franco nella sua versione soft post-moderna. Mario Monti si sta arrampicando sugli specchi per garantire i crediti alle banche spagnole, il che vuol dire Ior. Di fatto –venendo al crudo nudo e puro- poiché il tesoro italiano (in quanto seconda economia europea) è quello che dà la più alta percentuale di contributi al fondo salva stati, hanno creato una situazione tale per cui il contribuente italiano (a propria insaputa) sta finanziando i debiti del vaticano in terra spagnola. I soldi che andranno alla Spagna (100 miliardi di euro immediati) serviranno a coprire dei buchi amministrati da una lunghissima teoria di funzionari, politici corrotti, tutti di stretta derivazione clericale. Il contribuente italiano sarà il responsabile dell’affossamento definitivo dell’istruzione pubblica spagnola, a favore di quella privata gestita dagli istituti privati religiosi, finanziata con i soldi delle tasse italiane. Questa è la ragione per cui il debito pubblico italiano è destinato a non essere sanato e aumenterà. Forse, addirittura, a fine agosto dovremo accollarci un ennesima manovra per far fronte alle esigenze finanziarie degli istituti religiosi di istruzione nel regno di Spagna. A voi sembra una cosa normale? Il tutto presentato sotto forma di ricatto mafioso: o ci date i soldi oppure affondiamo e vi portiamo appresso con noi.
L’alternativa che ci propongono è, quindi, o schiavi o affondati.
Forse la vera alternativa sarebbe quella di imparare a nuotare, così si può rispondere “ok, affondateci, noi nuoteremo fino a riva, faremo anche a meno del canotto, ci dispiace per chi affogherà”.
Ecco perché, in Italia, non è possibile parlare della svolta attuata dal governo di sinistra nel regno di Danimarca, della svolta sudamericana dovuta a una pianificazione keynesiana dell’economia locale, e men che meno della Francia, politicamente abbandonata al suo destino dalla sinistra italiana, che ha scelto di far quadrato intorno a Monti e Napolitano buttando a mare il patrimonio ideale della propria origine sociale.
Il tutto per salvaguardare gli interessi corporativi della pletora di raccomandati, incompetenti, e clientelari cittadini italiani assunti, o in via di assunzione, improvvisamente innamorati all’idea di considerare più interessante come interlocutore il cardinale Tarcisio Bertone e lo squallido Pierferdinando Casini piuttosto che la forte eredità lasciata da Giuseppe Di Vittorio, Pietro Nenni, Pio La Torre, Ernesto Rossi, Gaetano Salvemini, tanto per citare –a caso- i primi di una ricca lista di combattenti per una società più giusta ed equa.
Come al solito ci qualifichiamo come un paese di traditori doppiogiochisti.
E’ ciò che la sinistra democratica italiana è diventata.
Preferisco far propaganda alla Kirchner, a Evo Morales, al regno di Danimarca e a monsieur Hollande. Male che va, so per certo che sono tutti contro la schiavitù.
Il che, in un paese medioevale come questo, comincia a diventare il requisito basico per segnare la frontiera di discriminazione tra conservatori e progressisti: “in questa guerra tu da che parte stai? Con gli schiavisti o con quelli che la combattono?” com’era nella Russia del 1885, negli Usa del 1863, ecc., ecc.