lunedì 30 dicembre 2013

Buon 2014 a tutti.



di Sergio Di Cori Modigliani

Sono andato a spulciare nei blog, nei siti online e anche nei quotidiani più importanti, in cerca delle dichiarazioni scritte alla fine del mese di dicembre nel 2010, 2011, 2012. Nella maggior parte dei casi viene fuori un variegato panorama di parolai dilettanti, anche pericolosi, devoti della chiacchiera ideologica, inclini al nulla. A questo bisogna aggiungere il fatto che in più d'una occasione si sono verificati degli aspetti piuttosto sconcertanti. Alcuni leader politici, giornalisti, opinionisti, pseudo intellettuali, imbonitori, capi bastone, capi popolo, capi tutto, nonostante la realtà dei fatti li avesse clamorosamente sbugiardati dimostrando la vacuità delle loro argomentazioni, hanno aumentato il loro credito di popolarità.
E questa è la notizia che segna ciò che è accaduto negli ultimi tre anni nel nostro Paese, una proliferazione allarmante della malattia più grave che abbia colpito la nostra nazione: la diffusione della mitomania, eletta ormai a norma consuetudinaria.
Mescolata all' alzheimer psico-sociale di cui gli italiani già soffrono per condizione storica accertata, questa malattia dell'anima, collettiva, ha finito per contribuire a produrre l'assuefazione al falso, alla mistificazione, alla sottrazione di Senso, riuscendo a spacciare le parole per fatti, le proprie opinioni individuali per fatti accertati.
La fantasia personale è diventata equivalente alla previsione.
Ragion per cui mi rifiuto, nell'augurarvi uno splendido 2014, di scrivere ciò che penso accadrà, ciò che si verificherà, come e quando.
Scelgo, invece, di condividere con i miei lettori il mio auspicio: ciò che vorrei si verificasse.
La lista è molto lunga ma c'è una cosa che più desidero si verificasse,  perchè la sua assenza credo che sia quell'aspetto dell'esistenza che più di ogni altro marca e sottolinea la cifra della tragedia nazionale: il ritorno all'autenticità. Auspico il ritorno, anche lessicale, di questo sostantivo un tempo molto usato, poi abusato e quindi logorato e poi sparito, insieme al suo significato.
Auguro quindi alla mia bella Italia, e a tutti noi, di ritrovare nella pratica quotidiana del vivere il gusto estetico per ciò che non è fasullo, ciò che non è artefatto, che non è costruito, non è prevedibile, non è markettizzabile, per ciò che nasce da una profondità onesta e radicata che pesca all'interno di colui che osa pensare a modo proprio, in maniera eroica.
Essere eroi vuol dire, oggi in Italia, difendere qualcosa in maniera assolutamente disinteressata: uno stile di vita, una idea, un'ambizione, un ricordo, una memoria personale, un culto, una tradizione, un sentimento.
Auguro a tutti di riuscire a respingere naturalmente ciò che è artefatto, che sa di fuffa, che ha un odore stantio, un sapore di riciclo, una parvenza di già visto, già sentito, già sperimentato.
Di riuscire a ricomporre dentro di noi, ciascuno secondo la propria caratterialità, individualità, gusto, ambizione e bisogni, uno spettro di Senso Autentico da difendere con i denti per dare un significato esistenziale alla propria vita.
Qualcosa di forte, di inossidabile, di inattaccabile.
Una passione, insomma.
Perchè questo Paese ha perso negli anni l'erotismo dell'esistenza, ed è questo ciò che manca.
Recuperare quel valore aggiunto nostrano, riconoscibile, insostituibile, che da sempre ha contraddistinto il nostro essere italiani, per battere il nemico più pericoloso che alligna ormai dentro le intelligenze collettive: la mistura di cinismo e indifferenza, di faziosità e complottismo.
Vi auguro sinceramente di appassionarvi a qualcosa, di autentico.
E' l'unica strada per sfuggire alle sirene dell'incanto, agli imbonitori dalla retorica facile.
Di recente ho letto uno splendido romanzo di un grande romanziere europeo, l'ungherese Sandor Màrai. Si chiama "Il gabbiano" ed è stato scritto nel 1942. E' di un'agghiacciante attualità. Il protagonista è un quarantenne, un alto funzionario dello Stato, un uomo di successo, intelligente, bello, ricco, elegante, privilegiato. Ma è anche pensante. Ed è consapevole di trovarsi dinanzi alla catastrofe collettiva del nostro continente. Il suo problema consiste nel fatto di essersi perdutamente innamorato di una splendida giovane donna la quale, però, è innamorata di un altro. Lei è una farmacista. Ciò che lascia sconcertato il nostro protagonista è che l'uomo che la donna ama è un anziano professore di chimica senza nessuna attrattiva apparente. Ha un modesto stipendio, non è bello, non è ricco, non è potente, non è seducente. Lui non comprende. E così un giorno va a una conferenza ad ascoltarlo per cercare di capire che cosa quell'uomo abbia che lui non ha.

Ecco come Sandor Marai descrive i pensieri del protagonista:

".....aveva immaginato accanto a lei un austero scienziato, una sorta di celebrità che gioca a tennis, presiede varie associazioni scientifiche, ha solide conoscenze nei giri che contano e abita in una villa con terrazzo sulla collina Gellert da cui si vede snodarsi il Danubio. Invece, ascoltandolo in quell'aula gremita, si accorse che quell'uomo sembrava vivere molto al di sotto della sua posizione sociale, e per giunta infischiarsene allegramente di tutto ciò che la posizione sociale rappresenta, e ancora di più ciò che la gente immagina di uno scienziato come lui. Tipi del genere non meritano di solito rispetto, dormono beati alle prime ore del mattino nel retro dei caffè bohemiennes, chini sulle pagine spiegazzate dei giornali esteri, ex rivoluzionari, confusi geni degli scacchi, preti spretati, gente che trascorre le sere a fumare sigari in un locale. Il chimico pareva uno di loro. Ma dalla sua voce rauca e soffocata trapelava la passione, così come dietro a un paesaggio sereno e assolato si intuisce il cupo ruggito di un lontano terremoto. Descriveva sostanze chimiche e anche un profano poteva rendersi conto che non diceva una parola di troppo; citava numeri e formule ed era come se, mentre parlava di realtà oggettive e controllabili, in lui ruggisse una belva, come se dietro quel che faceva e raccontava e diceva ci fosse sempre qualcosa d'altro. Quell'uomo era pieno di passione. Può darsi che la passione sia una condizione del genio, pensò, ormai capiva la folla nella sala, quella moltitudine che lo ascoltava attenta e che, verosimilmente, in quel momento, non era interessata soltanto alle formule chimiche, quanto piuttosto, e soprattutto, alla persona del relatore. Quel professore burbero, trasandato, non più giovane, dotato di pochi capelluzzi arraffati, dai modi scontati, sapeva qualcosa: c'era un motivo per il quale il suo nome era rinomato. Ma sapere qualcosa significa avere passione: il senso originario di ogni fenomeno umano è la passione con la quale un uomo risponde al mondo. Ascoltandolo, si accorse perchè l'Europa stava andando incontro alla catastrofe. Travolta dal proprio nichilismo, dalla propria vanagloria narcisistica, dalla ricerca del profitto finanziario a tutti i costi, aveva dimenticato di coltivare le passioni: senza di esse, inevitabilmente, ci si innamora della morte al fronte. Quei giovani lo ascoltavano, nel tremendo e vano tentativo di sentire di nuovo qualcosa di vero, prima di essere ingoiati dalla ferocia della guerra che sarebbe piombata di lì a pochi giorni. Mentre scendeva l'ampio scalone del grande edificio, non gli sembrava più impossibile o assurdo che Ilona amasse quell'ometto, proprio lui. Ma allora Ilona, chi e che cosa sono io per lei? si domandò sul portone. Sono un uomo a caccia di passioni, tutto qui. Il chimico, invece, è la passione in tutto il suo essere e i giovani lo sentono: è l'unico antidoto certo alla guerra. Fece cenno a un taxi e andò da lei. Erano le ultime ore di pace, adesso lo sapeva anche lui".

Buon 2014!!!

domenica 29 dicembre 2013

Finalmente svelato il nome dello spin doctor che si cela dietro Beppe Grillo. Almeno, sappiamo come stanno le cose.


di Sergio Di Cori Modigliani

Oggi, sul blog di Beppe Grillo, è stato pubblicato un post con il titolo "gli speculatori non muoiono mai".  
Forse è il post più politico in assoluto che il leader del M5s abbia pubblicato in questo turbinoso 2013, che rivela e svela -a scanso di ogni dubbio- quale sia la strategia e la visione del mondo che sorregge l'impianto del movimento a cinque stelle e che ruota intorno a tre concetti base: denuncia e attacco frontale alla speculazione finanziaria, centralità del lavoro e della occupazione, piano immediato per la ripresa dell'economia.

L'ho letto con molta attenzione e ho riflettuto a lungo, sentendo dentro la mia testa degli echi che mi ricordavano qualcosa, qualcuno.
A un certo punto ho fatto la connessione e sono andato a verificare.

Così ho scoperto, finalmente, chi è lo spin doctor di Grillo.
E' la risposta alla domanda "ma chi c'è dietro Grillo?".
Qui di seguito vi ripropongo il brano più importante del discorso dal quale Grillo ha tratto l'ispirazione. 
In alcuni passi, al di là della totale identificazione nei propositi e negli scopi, ci sono addirittura le stesse parole e concetti.

Quindi, da lì si viene e lì vuole andare il M5s.
A fare che?
Appunto.....leggete entrambi i post e lo capirete.

Se non altro, quando qualcuno vi chiederà: "ma tu lo sai chi c'è dietro Beppe Grillo?'" potrete sempre dire: "sì lo so".

Ecco il testo d'origine:



"I valori sono discesi a livelli fantasticamente bassi; le imposte sono cresciute; la nostra capacità di pagamento è diminuita; ogni categoria di amministrazione deve tener conto di una notevole diminuzione delle sue entrate; nelle correnti commerciali si è prodotto un vero congelamento delle possibilità di scambio; per ogni dove si posano le foglie secche dell'iniziativa industriale; gli agricoltori non trovano mercati di sbocco per i prodotti della terra, e migliaia di famiglie hanno perduto i risparmi pazientemente accumulati in lunghi anni. Ancora più grave è la circostanza che una folla di disoccupati si trova di fronte al tetro problema della propria esistenza, mentre un numero non minore di cittadini continua a lavorare con scarso profitto. Solamente uno sciocco ottimista potrebbe negare l'oscura realtà del momento.

Eppure le nostre vicende non derivano da alcun fallimento sostanziale. Né siamo colpiti da alcun flagello di locuste. Questo accade perché quanti dominano nel campo dello scambio dei beni materiali, venuti meno dapprima al loro compito per ostinazione ed incompetenza, ammettono poi il loro fallimento ed abdicano alle loro responsabilità. Davanti al tribunale dell'opinione pubblica, condannati dal cuore e dalla mente degli uomini, stanno i sistemi degli SPECULATORI. DI FRONTE AL FALLIMENTO DEL CREDITO HANNO SAPUTO SOLTANTO PROPORRE DI RICORRERE A NUOVE CONCESSIONI DI CREDITO. Quando è stato loro impossibile continuare a prospettare il miraggio del profitto per indurre a seguire le loro false teorie di governo, hanno creduto di poter correre ai ripari con pietose esortazioni invitanti a concedere ancora la perduta fiducia. Non conoscono altre norme, che quelle di una generazione di difensori dei propri interessi. NN HANNO ALCUNA LARGHEZZA DI VISIONE, E QUANDO MANCA TALE ELEMENTO I POPOLI DECADONO.

LA MISURA PIU' O MENO VASTA DI UNA RESTAURAZIONE DIPENDERA' DALLA PROPORZIONE NELLA QUALE VERRANNO APPLICATI VALORI SOCIALI PIU' NOBILI DI QUELLI DEL PURO E SEMPLICE PROFITTO MONETARIO.

La felicità non consiste esclusivamente nel possesso del denaro; essa si concreta nella gioia del raggiungimento di uno scopo, nell'emozione data da ogni sforzo di creazione. Nella folle rincorsa dietro profitti evanescenti non si deve più dimenticare la gioia e lo stimolo morale prodotti dal lavoro.
Il riconoscere la falsità della ricchezza puramente materialistica come indice di successo procede di pari passo con l'abbandonare la falsa convinzione che i posti di alta responsabilità pubblica e politica si identificano con i fini dell'ambizione e del profitto personale.

Bisogna PORRE FINE A QUELLA LINEA DI CONDOTTA BANCARIA E COMMERCIALISTICA che ha permesso di perpetuare impunemente il male secondo criteri spietatamente egoistici. C'è poco da meravigliarsi di fronte alla diminuita fiducia, perché la confidenza prospera solo se alimentata dall'onestà, dal senso dell'onore, dal mantenimento delle obbligazioni assunte, da un costante spirito di protezione e da una linea di condotta altruistica. In mancanza di tali elementi la fiducia è destinata a morire.

Ma la ricostruzione non esige solo modificazioni di indole morale. Il nostro primo grande compito è di dare lavoro al popolo. Non è un problema insolubile, se affrontato con saggezza e coraggio. Può essere parzialmente risolto per mezzo di ingaggi diretti da parte del governo, affrontando la questione come si affronterebbe in caso di bisogno la mobilitazione per una guerra; ma nello stesso tempo non dimenticando che tale impiego di uomini va diretto al compimento di opere DI GRANDE UTILITA' PUBBLICA, realizzando progetti adatti a provocare e riorganizzare l'uso delle nostre risorse nazionali. Questo compito può essere facilitato dal RIDURRE LE IMPOSTE. Può essere facilitato unificando attività oggi inadeguate, antieconomiche e mal distribuite. Può essere facilitato per mezzo di un PROGETTO NAZIONALE PER L'ORGANIZZAZIONE E LA SORVEGLIANZA SUI TRASPORTI, LE COMUNICAZIONI E ALTRI SERVIZI, CHE HANNO CARATTERE SPICCATAMENTE PUBBLICO.

Molti sono i mezzi per risolvere il problema, che non verrà tuttavia mai risolto soltanto col continuare a parlarne. Occorre agire: e dobbiamo agire rapidamente. LE NOSTRE RELAZIONI COMMERCIALI CON L'ESTERO, benché importanti, dal punto di vista dell'urgenza vengono necessariamente in seconda linea, e NON POSSONO ESSERE AFFRONTATE CHE DOPO LA RIORGANIZZAZIONE DI UNA SALDA ECONOMIA NAZIONALE.

Infine, nel nostro progresso verso una ripresa del lavoro occorre tenere presenti due salvaguardie contro i mali del vecchio ordine di cose: BISOGNA ESERCITARE UNA STRETTA SORVEGLIANZA SU TUTTO IL SISTEMA BANCARIO, CREDITIZIO E DI INVESTIMENTO NEL DENARO; BISOGNA FINIRLA CON LE SPECULAZIONI BASATE SUL DENARO ALTRUI; ED E' NECESSARIO PRENDERE DISPOSIZIONI PER RAGGIUNGERE UNA CORRETTEZZA ADEGUATA, MA SOLIDA. 
E VA FATTO SUBITO".



Questo discorso è stato pronunciato alle ore 10,30 del mattino del 4 marzo 1933, e diramato per radio, in diretta dal Congresso Usa, all'intera nazione. Lesse questo comunicato Franklin Delano Roosevelt che in quella data presentò alla cittadinanza americana il New Deal progettato, ideato e firmato, dall'economista britannico John Maynard Keynes, che poggiava sull'assunto di abbattere immediatamente la speculazione finanziaria, imbavagliare le banche e restituire la primogenitura all'economia che era stata distrutta dalla libera finanza, perchè l'idea iper-liberista che aveva trionfato negli anni'20 (quella di Draghi-Monti-Tremonti-PD-PDL- tanto per intendersi) aveva prodotto soltanto fame, miseria, disoccupazione, e uno spropositato arricchimento di una esigua pattuglia di privilegiati oligarchi, nonni, bisnonni e trisavoli di coloro che oggi compongono l'attuale classe politica dirigente europea. 

Esiste un precedente storico, quindi.
E' l'alternativa realistica vincente per cambiare passo e rifare l'Europa.
Soprattutto costruire delle nuove esistenze dotate di Senso.

Buona domenica.








venerdì 27 dicembre 2013

Possono, i poveri, fare cultura? E quella cultura può fare mercato creando lavoro, diffondendo istruzione, abbassando la disoccupazione?



di Sergio Di Cori Modigliani

Chi gestisce il potere mediatico e culturale in Italia, nel corso di questi anni, ha costruito una cappa di mistificazione pericolosa, davvero miope e suicida, incentrata nella costruzione di nuove mitologie tese a sostenere l'inevitabile primato della finanza sull'economia e, di conseguenza, quella degli economisti sui filosofi e gli artisti, che ha consentito di fondare l'atroce paradigma italiano (è un'idea originale solo dell'Italia) basato sull'assunto che da noi la "cultura non dà da mangiare" oppure "la cultura non fa mercato". Il che è notoriamente falso.
In realtà è l'opposto.
A questo assunto è stata aggiunta, in parallelo, un'altra colonna dell'idiozia corrente che abbatte il concetto di idealità, di lavoro intellettuale e di attribuzione di valore a qualsivoglia attività dell'ingegno umano, sia in campo scientifico che artistico. L'Italia è diventato il Paese del mondo occidentale con il più basso indice di produttività culturale ma, soprattutto -caratteristica che ormai ci distingue da tutti gli altri- un paese in cui il valore intellettuale è stato sindacalizzato applicando il concetto base del liberalismo: la definizione del Lavoro come "costo" invece che come "investimento".
L'immane tragedia sociale che stiamo vivendo è basata su una falsificazione, divenuta argomentazione scontata che viene replicata di continuo senza che vi siano mai dei distinguo. Trappola micidiale alla quale i sindacati nostrani hanno dato un enorme contributo nel costruire il declino del nostro Paese. Non ho mai sentito un sindacalista famoso ai talk show televisivi rifiutarsi di usare il termine "costo del lavoro" sostenendo che vada invece usato il termine "capitale sociale d'investimento". Sono due mondi diversi e contrapposti.
Il nostro declino è il frutto dell'incorporazione di questa falsità.
Ciò che conta, ormai, è la capacità di eseguire ordini seguendo mode, parametri, statistiche, invece che promuovere l'attività pensante.
Ieri -ultimo esempio in ordine cronologico- il dirigente del PD Mario Orfini, che viene considerato un esponente della sinistra di quel partito, ha dichiarato "le idee non bastano e non sono sufficienti". Era anche contento dopo aver detto questa bella frase. Penso che non sia neppure consapevole di ciò che dice, perchè lui veicola dei sentito dire e sa che, nel nostro Paese, questa frase fa effetto: ha un sapore pragmatico. 
Le idee, invece, bastano e avanzano, se è per questo.
Sono state le idee degli uomini e delle donne che hanno cambiato il mondo e il corso della Storia, certamente più di una Legge o di un dispositivo tecnico.
In un Paese come questo, porsi dunque la domanda del titolo di questo post, non ha alcun Senso. Da noi la Cultura non ha alcun valore per i ricchi, figuratevi per i poveri che devono badare a sopravvivere.
 A nessuno verrebbe in mente di sostenere che la parte intellettuale dei poveri (una fetta consistente di cui non si parla mai) è in grado, oggi più che mai, di "inventare e fare mercato". E' accaduto nel XIX secolo, quando le condizioni erano ben peggiori di quelle odierne, è accaduto negli anni '50, è accaduto, ad esempio, in Argentina nel 2005.
L'esistenza dei "poveri" in Italia è stata censurata fino a qualche mese fa.
Adesso ne hanno preso atto e a tratti qualcuno ne parla, ma sempre in termini statistici, o spirituali, o come "fenomeno" sociale che viene identificato come "piaga". 
La mancanza di una classe intellettuale attiva e passionale, lucida, non schierata per motivi di bottega narcisistica a favore delle segreterie dei partiti, ha prodotto una totale censura del dibattito come se i poveri fossero una specie di massa informe di individui affamati di cui, prima o poi, bisognerà occuparsi. 
Pensando, va da sè, di cavarsela con delle briciole di carità stucchevole.
Nel frattempo si seguita a vivere come se i poveri non esistessero. Eppure esistono. 
Fino a qualche decennio fa erano molto pochi. Poi, sono cominciati ad aumentare di numero, di volume, di spessore, di qualità individuali.
Ma i poveri non hanno nessuna possibilità di poter essere presi in considerazione come esseri umani se la loro condizione non viene alla ribalta e loro vite diventano visibili. 
I poveri esistono da sempre, dagli albori della civiltà, basta leggere la Bibbia per capirlo.
Quell'evento, dal sapore metaforico e simbolico, deve senza dubbio essere stato replicato in tutto il pianeta migliaia e migliaia di volte. I deboli sono morti, uccisi dal fratello prepotente. I forti, invece, ce l'hanno fatta. 
Il primo povero deve essere stato qualcuno preso a sassate e calci dal fratello invidioso e malvagio ed è rimasto tramortito e sanguinante a terra. L'assassino se n'è andato a casa e la vittima, invece di morire, si è ripresa. Sofferente e in preda a un trauma per essersi accorto che il proprio fratello era un assassino, si è ritirato in un posto lontano incorporando un trauma individuale -l'abbandono, il tradimento, il sopruso, la violenza subìta- ma è sopravvissuto, inebetito dal dolore. E si è mescolato con altri poveri come lui. Nei millenni, i poveri si sono trasmessi questo trauma indotto, crescendo senza aver nessuna possibilità di recupero per via di una loro debolezza acquisita, essendo invece vincenti i violenti, i prepotenti, gli arroganti, e sono andati ad abitare nelle periferie del mondo.
I poveri sono l' Ombra, in senso junghiano.
Se non si incorpora la loro esistenza, si condanna se stessi a non vivere pienamente la propria, di esistenza, perchè non si ha accesso alla parte umbratile dell'essere umano, che è una parte fondamentale, proprio perchè la più emotiva, la più fragile, la più traumatizzata di fronte al più grande mistero della vita degli Umani: l'esistenza dell'ingiustizia e della sperequazione sociale.
Socialmente i poveri sono delle non-persone, rese invisibili perchè non si prenda atto della loro esistenza.
Nella storia della civiltà del mondo è avvenuto che si siano mostrati e ribellati.
Pochissime volte è accaduto, ma è accaduto.
La più grande rivolta planetaria (quantomeno in occidente) dei poveri si è verificata 2.050 anni fa, nel cuore dell'Impero Romano, quando uno schiavo, Spartaco, organizzò la rivolta delle non-persone e sfidò Roma che, allora, traballò. Finì, va da sè, male. Ma l'idea della rivolta dei poveri venne interpretata come un pericolo talmente forte da obbligare il potere a dare un segnale molto forte, di terrore, di paura, di violenza. Dopo averli battuti in campo aperto, infatti, i romani, invece che riportarli in stato di schiavitù, scelsero di ucciderli tutti. Li crocifissero, uno ogni 25 metri, dal Campidoglio fino al porto di Brindisi, sui due lati della Via Appia. Li crocifissero vivi e obbligarono il popolo ad andare a vederli per non dimenticare. Il numero era talmente grande (si parla di decine di migliaia di persone, comprese donne e bambini) che i soldati impiegarono diversi mesi per coprire la distanza da Roma a Brindisi.
Ma fu efficace.
Talmente efficace che i poveri scomparvero dalla scena della Storia per quasi duemila anni, mèmori di quell'evento e terrorizzati all'idea di fare quella fine orribile.
I poveri, quindi, in Europa, crebbero e si diffusero in silenzio, discretamente, ai margini, mentre il potere costruiva teorie che ne giustificassero l'esistenza.
Fino alla metà dell'800, quando, nell'arco di soli cinque anni, dal 1845 al 1850, i poveri irrompono con fragore sulla scena sociale d'Europa.
Non è stato un politico, neppure un economista, a compiere questo miracolo.
Sono stati quattro artisti: un giornalista, un filosofo, un imprenditore, un romanziere, tutti attivi in quegli anni. 
Loro hanno "inventato" i poveri, perchè li hanno resi visibili e hanno reso palese e condivisibile la narrativa esistenziale delle loro vite, li hanno sdoganati obbligando il resto della società a prendere atto della loro presenza umana.
Tre dei quattro che hanno realizzato questo evento rivoluzionario, va da sè, erano poveri, poverissimi. Il quarto, invece, era un ricco imprenditore che scelse di finanziare l'artista filosofo.
Erano Charles Dickens, Fedor Mickailovitch Dostoevskij, Karl Marx e Friedrich Engels.
Prima di loro, i poveri non esistevano nella coscienza collettiva europea. Stavano lì nelle loro vite pubbliche, ma considerati e trattati come cani e gatti (quando andava bene).
E' stata la letteratura ad aprire l'armadio dalle cui ante è fuoriuscita l'Ombra del Mondo Sociale. E la filosofia.
Marx era talmente povero che fu costretto a non poter seguire la carriera accademica perchè non aveva neppure i soldi per mangiare, ma l'incontro con questo imprenditore illuminato, molto ricco, gli consentì di portare avanti i suoi studi. Quando Engels lo incontrò rimase sedotto dal talento vorticoso di quel giovane filosofo e lo portò con sè in Inghilterra dove gestiva una importante multinazionale dell'epoca. Dopo qualche mese di conoscenza, Engels propose a Marx un contratto scritto con il quale gli garantiva una rendita perenne fino alla morte affinchè potesse dedicarsi agli studi relativi alla "diffusione della necessaria acquisizione di consapevolezza del proprio sè nel mondo dei reietti dell'umanità".
Nella prima metà dell'800 le due più forti potenze europee erano la Russia e l'Inghilterra che dettavano il bello e il cattivo tempo in campo economico, politico, militare, culturale. Napoleone aveva tentato di opporsi a entrambe ma aveva fallito. E la quantità di poveri, tra il 1815 e il 1845 cominciò a crescere a dismisura, alimentando con la loro energia umana, il necessario capitale sociale d'investimento da parte dei capitalisti che avevano bisogno di braccia e menti che lavorassero per loro.
Si intende: quasi gratis.
A questo servono i poveri.
Nel 1845 un giovane studente di università, poverissimo, in quanto figlio di un piccolo imprenditore agricolo maciullato dalla gigantesca crisi economica prodotta dall'affermazione della rivoluzione industriale in Russia (era la seconda potenza economica al mondo) presentò il suo romanzo d'esordio a un editore che lo accettò, per sbaglio. E lo pubblicò. Si chiamava "Povera gente" e descriveva la sentimentalità, la narrativa emotiva di una coppia di giovani russi, le loro ambizioni, i loro sogni, le loro aspirazioni, presentandoli -per la prima volta nella Storia- come esseri umani a pieno titolo. Quel libro venne letto soltanto da chi povero non era, dato che la stragrande maggioranza dei poveri erano analfabeti. Ciò che turbò le coscienze pensanti della borghesia russa fu che vennero a sapere che quei poveri avevano anche delle idee, ma soprattutto un'anima.  L'autore di quel libro non aveva neppure un posto dove dormire ed era ospite di un contadino nella cui stalla soggiornava. Si venne a sapere che i poveri erano dotati di Animus, erano Persona. Al giovane scrittore venne riconosciuto subito il meritato successo e così pensarono di inglobarlo nella borghesia in espansione ma lui, proprio in quanto povero consapevole, non subiva le illusioni di status della piccola borghesia, perchè "paradossalmente libero proprio in quanto povero" (sublime genialità sociologica di Dostoevskij). Quel romanzo produsse la genesi di circoli, associazioni, gruppi che cominciarono a dedicarsi alla promozione dei talenti meritevoli tra i poveri e il romanzo venne tradotto in inglese, francese e tedesco. 
Nello stesso tempo, in quel di Londra, Charles Dickens si affermava come l'inventore del romanzo sociale. Nato e cresciuto in una famiglia di piccoli commercianti, quando aveva dodici anni subì lo shock che decretò il suo destino. Il padre, travolto dalla nuova organizzazione sociale nata dalla rivoluzione industriale, fallì e venne arrestato per debiti. Seguendo la normativa di allora, gli fu consentito di portarsi in galera l'intera famiglia, la moglie e gli otto figli, i quali, altrimenti, non avrebbero avuto di che vivere. Charles si rifiutò di andare e a 12 anni si ritrovò per la strada, solo al mondo, pieno di rabbia, di livore, di frustrazione, avido di conoscere e apprendere. Trovò lavoro come operaio in diverse aziende finchè venne assunto come aiuto tipografo di un quotidiano e lì scoprì il giornalismo e lo rivoluzionò. Iniziò dalla gavetta e ben presto inventò due concetti che non esistevano: il giornalismo di inchiesta e il giornalismo investigativo, raccontando sui quotidiani come vivevano i poveri deportati dalle campagne per venire a vivere in miseria lavorando come operai nelle fabbriche tessili di Londra. Cominciò a guadagnare dei soldi e aprì un suo personale quotidiano che andava a distribuire da solo insieme ai suoi amici e iniziò a pubblicare i suoi primi libri, a puntate, seguendo la moda dell'epoca, basata su un miscuglio di gossip mondano e di umorismo britannico: l'unica modalità accettabile di scrivere critica sociale. Finchè non decise di dar vita alla narrazione dall'interno della vita dei poveri. Nel 1949 inizia la pubblicazione della sua autobiografia romanzata, David Copperfield, caposaldo della letteratura europea, che esce a puntate settimanali sul suo giornale per diciassette mesi. Ma Dickens non era contento, perchè sapeva che i poveri non leggevano "non perchè non vogliano, bensì perchè non sanno che esiste la narrativa in quanto gli aristocratici vogliono che loro non lo sappiano, altrimenti si ribellerebbero al loro infausto destino di animali, chi non sa leggere è condannato a essere una bestia da soma". Fu Andrew Blake, un suo assistente, povero in canna anche lui, studioso di letteratura con ambizioni impossibili da realizzare, che ebbe un'idea geniale che trasformò la società di allora: inventò il mestiere de "il lettore". Per inventarsi e costruirsi il mercato lo fece gratis per le prime tre settimane, poi cominciò subito a farsi pagare una cifra accessibile per i poveri, il corrispondente di oggi di due euro. Andava in giro nei quartieri dove i poveri vivevano e proponeva loro di incontrarsi due volte a settimana al pomeriggio, tutti insieme nel sottoscala del condominio, dove lui leggeva le puntate di David Copperfield. E funzionò. La gente si entusiasmò nell'ascoltare quella storia e ben presto si diffuse come moda in maniera talmente massiccia che nacque il lavoro di "lecturer for poor people". Centinaia di giovani intellettuali poveri si presentarono al giornale di Dickens proponendosi e andarono a fare quel lavoro che divenne di tendenza (si direbbe oggi). Le persone si "assiepavano" per ascoltare quelle storie e poi rimanevano a discutere, animate dal lettore, condividendo un nuovo livello più evoluto di consapevolezza.
 Il successo di quella iniziativa divenne talmente dirompente che l'aristocrazia lo fece proprio e istituì addirittura la figura accademica del "reader", ancora oggi la più ambita mansione in ambito accademico nella cultura anglosassone, inesistente in Italia e Spagna dove non si è mai affermata. 
I "readers" di David Copperfield formarono i primi nuclei delle originarie organizzazioni sindacali, riunioni alle quali l'imprenditore Engels portò il suo amico Karl perchè ne traesse stimolo per le loro attività.
E' accaduta la stessa cosa nel 2005 a Buenos Aires, in Argentina, quando il paese stava cercando di riprendersi dalle conseguenze del default e la disoccupazione intellettuale aveva raggiunto punte spaventose, in seguito alle politiche iper-liberiste di Menem e del Fondo Monetario Internazionale che avevano distrutto la diffusione dell'istruzione pubblica. Nacquero  "los talleres literarios" (trad.: "officine letterarie") sul dichiarato modello dickensiano. E così, i disoccupati intellettuali argentini, filosofi, scienziati, psicoanalisti, scrittori, pedagoghi, architetti, ecc., organizzarono "las lecturas" a casa loro dove per la cifra (diciamo di 10 euro) si andava ad ascoltare qualcuno con una competenza specifica su un certo tema e si stava insieme ad altre persone bevendo caffè e mangiando pasticcini. Reclamizzati con dei foglietti appiccicati agli alberi di tutti i quartieri (nessuno poteva permettersi pubblicità) ben presto si è affermata come scelta di vita per gente che voleva pensare, dibattere, acculturarsi, socializzando con i propri simili a un prezzo abbordabile per chiunque. In pochissimo tempo le "officine" sono diventate migliaia e migliaia, dedicate agli argomenti più disparati, e poco a poco questo fenomeno ha cominciato a spingere gli argentini a ritornare a partecipare attivamente alla vita politica. Il crollo di Menem, il default, e i conseguenti disastrosi governi di emergenza avevano spinto l'Argentina per la prima volta nella sua Storia -un paese dove la Politica era sempre stata una passione condivisa da tutti- a disertare le urne dissociandosi da ogni partecipazione. Nel 2003 e 2004, si erano verificate gigantesche manifestazioni di massa dove non c'erano più slogan peronisti, della destra, della sinistra, ma un unico striscione di apertura su cui c'era scritto "que se vayan todos" (trad.: "tutti a casa"). La gente non ne poteva più. E così, poco a poco, riesumando un'idea vincente vecchia di 150 anni, gli argentini hanno cominciato a modificare il proprio destino, e allo stesso tempo una marea di intellettuali disoccupati e disperati hanno trovato un sistema per sopravvivere svolgendo allo stesso tempo una funzione sociale che è stata poi ampiamente riconosciuta da tutti.
Senza diffusione del sapere, senza istruzione, i poveri e gli oppressi rimarranno sempre tali.
E in Italia?
Questo è un paese talmente decimato interiormente da non aver più neppure il coraggio di fare domande e produrre creatività e inventarsi il mercato.
Nei momenti di grave crisi come questa è necessario seguire la strada letteralmente opposta a quella suggerita da Mario Orfini del PD, la via da battere è proprio quella di "servono idee da applicare subito" perchè senza idee non si va da nessuna parte e le idee o ci sono o non ci sono. E chi non le ha fa di tutto per far credere che non servano.
In conclusione, per gli amanti dei link e delle denunce, come prova dell'indolenza e dell'ignavia collettiva, vi invito a leggere con attenzione un bell'articolo esaustivo scritto da Antonio Vanuzzo sul sito on line che si chiama linkiesta.it. 
Spiega come e perchè la Commissione Europea si è ripresa 1 miliardo e mezzo di euro che erano stati stanziati per la "diffusione della cultura, salvaguardia del patrimonio culturale" per le quattro regioni meridionali italiane, ai quali si aggiungono altri 2 miliardi che l'Europa si riprenderà. In questo caso non c'è da denunciare nessuna banca, nessuno squalo, nessun deputato corrotto. Quelle cifre, stanziate, non sono state usate perchè non sono state presentati i progetti e quando sono stati presentati non erano scritti a norma.  Il Presidente della provincia di Siracusa, Nicola Bono, che ha denunciato la questione come "allarmante forma di degrado dell'intera nazione" ha fatto notare che gran parte di quella somma è stata "riallocata" sotto altre voci che con la cultura e il patrimonio culturale on c'entrano nulla.

Se non si cambia dentro come individui, come gruppo, come etnie, con tutte le malsane abitudini incorporate nei decenni di malgoverno e clientelismo, se non cambiamo tutti noi e non ci appassioniamo di nuovo con impeto e furore per costruire un nuovo modello culturale europeo, per combattere la guerra contro la povertà, stare dentro l'euro o uscire dall'euro, avere più Europa o averne di meno, è irrilevante.
Bisogna prima vincere la guerra contro la povertà di idee e la guerra contro la povertà di passione civile e la mancanza di domanda di apprendimento e voglia di conoscenza.
Il mondo, da solo, non cambia. Non è mai accaduto.
E non aspettiamo che lo cambi chi considera la povertà un "danno collaterale".

http://www.linkiesta.it/italia-fondi-europei-cultura-spesi-male
estratto dal lungo articolo di  Antonio Vanuzzo su linkiesta.it
Un miliardo e mezzo di euro destinati alla cultura italiana sono già rientrati nelle casse di Bruxelles, e altri due sono sulla buona strada. Sono le risorse del “Programma Attrattori Culturali 2007-2013”, che – a dispetto del nome – non sono mai state impegnate operativamente, nonostante gli innumerevoli progetti stilati in questi anni, tutti rimasti sulla carta. Si tratta dei cosiddetti Poin e Pain, acronimi che indicano i programmi operativi e attuativi interregionali per il Sud, cioè «lo strumento principale attraverso cui promuovere e sostenere lo sviluppo socio-economico delle Regioni del Mezzogiorno attraverso la valorizzazione, il rafforzamento e l’integrazione su scala interregionale del patrimonio culturale, naturale e paesaggistico in esse custodito». Obiettivi per realizzare i quali l’Europa aveva previsto «una dotazione complessiva di circa 2 miliardi di Euro, di cui una quota di poco superiore al miliardo di euro (1.031 M€) a valere sui fondi strutturali del FESR e del relativo cofinanziamento nazionale ed una leggermente inferiore (898 M€) resa disponibile dalle risorse aggiuntive della programmazione nazionale del Fondo Aree Sottoutilizzate (FAS)», come si legge sul relativo sito. Fondi che non solo non sono stati spesi, ma sono stati riallocati per finanziare altre voci di spesa che non c’entrano nulla con la cultura. È quanto ha denunciato il presidente della Provincia di Siracusa Nicola Bono, che è responsabile del settore Cultura e turismo dell’Unione delle provincie italiane e membro del Consiglio di sorveglianza del Poin, in una missiva indirizzata, tra gli altri, al ministro della Coesione Territoriale, Fabrizio Barca.

martedì 24 dicembre 2013

E' venuto al mondo il 25 dicembre, per dirci che? Buon Natale a tutti.



"Quando uno Stato dipende per il denaro dai banchieri, sono questi stessi e non i capi dello Stato che dirigono le cose. La mano che dà sta sopra a quella che prende. I finanzieri sono senza patriottismo e senza decoro". 
                                                                                   Napoleone Bonaparte


di Sergio Di Cori Modigliani
Il Natale è, per definizione acquisita, una festa religiosa, la più importante in assoluto per il mondo cristiano. Ho avuto occasione, nella mia vita, di vivere in diverse nazioni cristiane e quindi di trascorrere questa festività secondo gli usi e le consuetudini locali. Se oggi mi chiedessero quale sia la particolarità dell'Italia nel celebrare il Natale, non avrei dubbi nel rispondere: la totale mancanza di spirito religioso e l'indifferenza generale per il messaggio del Cristo. Se un italiano ha l'avventura di vivere all'estero si accorge, con il trascorrere degli anni, che l'Italia può essere definita e considerata una nazione cattolica soltanto dal punto di vista tecnico, ovvero come evento storico di tradizione culturale e come dato statistico ma in realtà non lo è.
Questo è un paese dove negli ultimi decenni si è verificato un sommovimento antropologico che ne ha modificato radicalmente la tessitura e, l'abitudine ad accogliere come norma il linguaggio, il lessico e la comunicazione della classe dirigente, ha comportato il fatto di considerare irrilevante la menzogna non attribuendo alcun valore formale (tantomeno formativo) al concetto di verità oggettiva.
Eppure, il 25 dicembre si celebra la venuta al mondo del Salvatore, la cui idea del mondo è basata tutta sull'assunto "Conoscerete la Verità e la Verità vi renderà liberi" (Vangelo di S. Giovanni). Nelle ultime tre settimane ho chiesto a 14 persone che conosco (tutti cattolici italiani) chi fosse l'autore di questa frase. Soltanto 1 su 14 l'ha attribuita a Gesù. Le risposte sono state le più disparate (si va da Marx a Chomsky, da Ingroia a Gino Strada) e la dice tutta sullo stato di impoverimento interiore culturale collettivo. Poichè tutte e 14 hanno fatto catechismo, sono persone colte ed evolute, sono rimasto colpito dalle risposte. In questo Paese è stata incorporata (inconsciamente e subliminalmente) l'idea che la verità non esiste, oppure se c'è è relativa o, ancora meglio, è nascosta e occultata e quindi inutile, perchè dedicargli dei pensieri? 
Il discorso di Enrico Letta alla nazione di ieri è perfettamente in linea con questa modalità.
Non a caso è primo ministro del Gran Regno d'Ipocritania che non ha nulla di cristiano.
Il primo anno che ho trascorso in Usa, convinto di provenire da un paese fortemente cattolico come l'Italia e di essermi trasferito in un paese laico e indifferente alle ragioni del Cristo, sono rimasto sbalordito nell'essere testimone dell'eccitazione collettiva davvero sbalorditiva che si diffonde i primi del mese di dicembre nel fare a gara a chi dà di più, a chi fa più beneficenza e a chi è socialmente più generoso: è uno status delle classi abbienti. poi, mi sono abituato, perchè in Usa il Natale è ricordato come "colui che veglierà sui poveri" e quindi l'intera società celebra la festività occupandosi dei poveri. Si parla di povertà e di poveri in maniera continua e costante fino al 26 dicembre. Il record è stato battuto quest'anno. Complessivamente, le prime 1.000 aziende multinazionali statunitensi hanno messo a disposizione la cifra complessiva di 15 miliardi di dollari (detraibili dalle tasse) per far fronte alla realtà dei più disagiati e alla tivvù tutte le campagne pubblicitarie gareggiano nel farsi vanto di tale attività. I soldi non vengono dati a enti, associazioni, fondazioni, società farlocche. Vanno direttamente nelle mani di chi ne ha bisogno. Intel ha messo a disposizione 250 milioni di dollari per finanziare startup di giovani poveri, Apple -nello Stato della California- ha versato un assegno da 500 milioni di dollari per finanziare progetti culturali e scientifici di giovani non abbienti a reddito zero, e così via dicendo. Da Obama e Michelle al più modesto sindaco di un piccolo paesino, l'intera classe politica dirigente si occupa dei poveri e incita le aziende a distribuire un po' di ricchezza. Destra, sinistra e centro, non si sottrae nessuno.
Poi, il 27 dicembre ritorneranno a fare gli squali.
Il mio ultimo Natale fuori dall'Italia è stato quello del 2009. Stavo in Argentina, e la mia compagna di allora era una fervente cattolica praticante che lavorava per il governo come sottosegretario all'istruzione. Ero rimasto molto colpito dalla società argentina, non sapevo che fosse così radicalmente cattolica in una maniera che per gli italiani (cinici e indifferenti) è davvero impensabile. In quel 2009 c'era una grande eccitazione e tutto il dibattito politico ruotava intorno alla frase lo va a decir vas a ver que lo va a decir (che vuol dire "lo dirà vedrai che lo dirà") sostenuta dai cattolici, mentre  i laici ritenevano che "non l'avrebbe detto". Si riferivano alla dichiarazione della Kirchner che aveva chiuso politicamente (in maniera vincente) un braccio di ferro con la curia argentina relativo ai finanziamenti per l'istruzione che erano stati stornati dalle sovvenzioni alle scuole cattoliche verso l'istruzione pubblica gratuita. Si attendeva la risposta ufficiale dell'arcivescovo di Buenos Aires, Bergoglio. Il giorno di Natale, per amore, accompagnai la mia compagna alla messa alla cattedrale e lì ebbi occasione di conoscere l'attuale papa. Ricordo a memoria le sue parole che mi colpirono. Disse: "Oggi si celebra la nascita di colui che si è incarnato e sacrificato per salvarci a tutti e regalarci la speranza di un mondo migliore. Se oggi, il nostro Salvatore comparisse di nuovo direbbe senza dubbio "a me questa festa di Natale non piace per niente" e protesterebbe contro la fiera della vanità e del consumo esibizionista che dimentica l'esistenza dei poveri. Perchè Lui ha parlato ai poveri, ha parlato per i poveri, a nome dei poveri. Ed è quindi giusto, oggi, nel celebrare la nascita del Figlio di Dio far sapere al governo che la Chiesa è disponibile e a disposizione del governo per stare in prima fila e al fronte nella guerra contro la povertà. Essere cattolici e celebrare il Signore significa scendere in campo e in guerra contro la povertà". Tutti, allora, in Argentina, cominciarono a sostenere che il loro arcivescovo era l'unica personalità politica in grado di poter salvare la Chiesa se fosse diventato Papa. 
Già da allora si faceva strada quell'idea del mondo che io ho definito "l'era del post-Maya".
C'è da scommettere che domani, a San Pietro, Papa Francesco sarà l'unica personalità politica attiva sul territorio della Repubblica Italiana che parlerà dei poveri e ai poveri.
Perchè questo non è più un paese cattolico e il Natale non è una festa religiosa rispettata dalla classe politica e imprenditoriale dirigente. E' un paese che ha scelto di servire gli interessi delle banche e dei consorzi finanziari e quindi il governo ha chiarito la propria posizione.
Nelle nazioni dove i politici sono intelligenti e accorti, è dalle Istituzioni che deve partire la dichiarazione formale di guerra alla povertà. 
E' ciò che fanno nelle più importanti nazioni cristiane del mondo in questi giorni.
E' avvenuto nella Regione Marche.
E' sempre stato uno dei grandi polmoni industriali d'Italia e una delle regioni più ricche e industriose d'Europa, un tempo baluardo della DC, poi passato al PCI e poi -con meraviglia e sorpresa di tutti- dal 24 febbraio 2013 al M5s che ha ottenuto il massimo numero di voti regionali in Italia (circa il 31% dei voti). In questa regione, il punto di riferimento finanziario per l'imprenditoria era la Banca delle Marche, solido istituto che andava a gonfie vele e che aveva usufruito negli ultimi 7 anni di aiuti, sovvenzioni, finanziamenti, appoggi. Ben 12 ispezioni della Banca d'Italia (tra il 2006 e il 2012) erano state bloccate.  E così le ispezioni sono passate a marzo. Prima hanno scoperto che c'era un buco di 200 milioni, poi il buco è diventato di 400, infine si è consolidato a 600, finchè l'ultima ispezione (la quinta in tre mesi) non ha prodotto un risultato eclatante: il buco è intorno a 1 miliardo e l'intero consiglio di amministrazione è stato denunciato alla magistratura per truffa nei confronti dello Stato, truffa in bilancio, alterazione dei libri contabili e sono tutti indagati, a partire dal presidente. E' arrivato il prefetto a giugno che ha commissariato la banca per due mesi. Ma a settembre, in seguito ad una successiva ispezione, il commissariamento è diventato "definitivo". Il presidente si è dimesso, dopo aver preso 15 milioni di euro di buona uscita. E' venuto fuori che sono stati elargiti mutui in quantità esorbitante senza alcuna garanzia a decine di migliaia di soggetti, mentre circa 10.000 aziende sono state fatte fallire distruggendo e radendo al suolo l'intero patrimonio imprenditoriale delle Marche e gettando centinaia di migliaia di persone nella disperazione. Ebbene, il presidente dieci giorni fa ha ricevuto dal Quirinale la bella notizia che era stato selezionato  e gli veniva conferita la nomina di "cavaliere del lavoro per meriti professionali e per aver contribuito a creare una efficiente rete di servizi finanziari finalizzati alla promozione e sviluppo delle attività imprenditoriali ed economiche nazionali". Il Presidente ha informato il Prefetto di Pesaro che ha organizzato subito la cerimonia ufficiale in presenza del vice-sindaco di Macerata (sono le tre persone che vedete nell'immagine in bacheca) nella sede locale regionale.
Nessuna reazione.
Questa classe dirigente politica ha scelto di premiare l'uomo che ha contribuito ad impoverire la regione più ricca d'Italia.
Così si celebra il Natale in Italia.
Nessuna protesta.
Due eccezioni soltanto: una è di Aldo Benfatto, segretario provinciale della CGIL che ha inviato una lettera al prefetto di Macerata, Piero Giardina, e che qui ripropongo.  Appare come una  iniziativa personale di un segretario provinciale, persona alla quale va il mio personale rispetto di cittadino italiano.
Ecco che cosa ha scritto, inviando una lettera a tutti i giornali ma pubblicata dal Messaggero:
«Condividiamo con il signor Prefetto l'indignazione della Cgil di Macerata per la nomina a cavaliere del lavoro di Lauro Costa, da diversi anni presidente e vice presidente di Banca delle Marche. Ancor più grave è la motivazione, "..per meriti legati alla gestione della Banca" stessa. In questo momento drammatico ci sentiamo di rappresentare le preoccupazioni dei lavoratori dipendenti stabili e precari di Banca Marche, delle famiglie e delle imprese in difficoltà per l'accesso al credito, reso problematico dalla crisi della banca dovuta anche alle scelte di chi in questi anni l'ha amministrata e diretta. Per questi motivi e alla luce degli avvenimenti accaduti in questi ultimi mesi sarebbe stato opportuno non concedere tale onorificenza a chi è stato presidente fino a pochi mesi fa di una banca che attualmente è commissariata dalla Banca d'Italia».

L'altra protesta è di Sandro Forlani, Presidente dell'associazione "DIPendiamo Banca Marche", con sede a Pesaro, che rappresenta gli interessi dei correntisti e dei lavoratori della Banca, attivo da molti mesi nel denunciare lo sfacelo dell'istituto finanziario. Ecco la lettera:

«L'Italia è il paese delle meraviglie. E così accade che un prefetto della Repubblica premi con un titolo ambitissimo l'ex presidente di una banca che, insieme ad altri insigni benemeriti, hanno contribuito a condurre quella stessa banca sull'orlo di un baratro dal quale non sappiamo ancora se saprà salvarsi. Ciò avviene mentre il sindacato e l'attuale gestione della banca stanno cercando di trovare accordi che comunque significheranno sacrificio per i lavoratori. Nello stesso tempo altri lavoratori, giovani precari ormai da molti mesi e mai garantiti, stanno incontrando tutti coloro che nel territorio potrebbero aiutarli a fare diventare realtà il diritto a un posto di lavoro a tempo indeterminato loro negato dall'attuale grave congiuntura di Banca Marche. Il sottoscritto Sandro Forlani, suggerisce al cav. Lauro Costa di chiedere alla nostra Repubblica di sospendere questo riconoscimento, almeno fino al giorno in cui su Banca Marche non ci saranno più veli da squarciare».

Poichè le nomine prefettizie vengono stabilite dai più alti livelli delle istituzioni, non possono essere abolite. E' quindi necessario che la persona premiata rinunci al premio sua sponte.

Questi sono gli esempi che forniscono le istituzioni italiane, e in questo Natale non potevo non condividerlo con i miei lettori. E' malsano dare per scontato atteggiamenti come questo.
E' sano indignarsi e scandalizzarsi perchè il messaggio che in questo Natale è stato inviato ai giovani marchigiani, agli imprenditori industriali e agricoli, agli artigiani, agli operatori turistici, è quello di dire: "violate pure la legge, rubate pure, scrivete il falso, e noi vi diamo un premio".
Lo considero un atto simbolico da parte delle istituzioni davvero molto grave.
Sono convinto, infatti, che la Verità davvero ci renderà liberi a tutti.
Quantomeno renderà liberi coloro che la vogliono vedere.
Addirittura premiare chi produce poveri mi sembra una ignominia.
Ci tenevo a condividere il mio disadoro il giorno di Natale con tutte le persone di buona volontà in cerca di una illuminazione.

Buone feste a tutti.







venerdì 20 dicembre 2013

La bufala di wired.it: come la disinformazione corre sul web.


Questo post contiene due notizie, anzi quattro: la prima è bellissima, la seconda è bruttissima, la terza è bellissima, la quarta è bruttissima.
E infine, un breve commento.

La prima bellissima notizia è relativa a quella squisitezza tutta nostra, unica e italiana, quel valore aggiunto che mescola cultura e creatività, imprenditorialità e stile, eleganza e rischio, ed è sempre stata (e sempre sarà) imbattibile: il Made in Italy. E’ ciò che fa dire di noi italiani, in tutto il mondo: “però, come lo fanno gli italiani, non lo fa nessuno”.
Si tratta di quella che la guida Michelin ha definito “la più bella libreria del mondo”, quella di cui lo scrittore giapponese Haruki Murakami parlava in un suo articolo apparso qualche mese fa, in cui raccontava l’esperienza che ha vissuto quando ci era andato “vale la pena di attraversare il pianeta e andare da Tokyo in Italia soltanto per andare a trascorrere una giornata in questo posto a Venezia: è una esperienza mistica zen”. Così, la libreria viene descritta in un articolo apparso nel maggio del 2013 sul sito “amanti dei libri” 

La si può descrivere come una delle librerie più bizzarre e originali del mondo e si trova proprio in Italia, a Venezia. Si chiama “Libreria Acqua Alta” e su internet è stata definita “la libreria più bella del mondo”. I suoi centomila libri in vendita, fra nuovi e usati, non sono sistemati ordinatamente sugli scaffali, ma accatastati all’interno di barche, canoe, gondole e vasche da bagno.
La stravaganza di questa enorme libreria in Calle Lunga Santa Maria Formosa, ricavata da un magazzino al piano terra che l’acqua alta “visita” frequentemente, attira l’attenzione di tutto il mondo: i giornalisti stranieri ne sono affascinati, i giapponesi hanno già realizzato numerosi servizi per le loro televisioni; inoltre, i turisti francesi e tedeschi vogliono assolutamente visitarla.
Il suo ideatore si chiama 
Luigi Frizzo e nove anni fa ha aperto “Acqua Alta”, oggi ha 72 anni e racconta quanto sia importante per lui che l’intelletto, le mani e la creatività siano una cosa sola: “Non si può solo leggere e studiare: bisogna anche fare, creare qualcosa con le mani – dice Frizzo – Solo facendo, si salta fuori: i libri parlano per insegnarci come agire”.
Nella libreria ci sono libri introvabili sulla storia di Venezia, classici in lingua straniera, fumetti, stampe, cartoline, una galassia di esemplari sull’erotismo, e persino i profilattici del Casanova, che i turisti comprano come souvenir. Le uniche cose “tecnologiche” presenti nella libreria sono il telefono e la luce elettrica.
Gianni Coppola, il fidato collaboratore di Frizzo, è colui che cerca tutti i libri che desiderano i clienti e racconta come, quando la marea cresce, i due soci vendano i libri con gli stivali di gomma addosso. In questo posto, infatti, l’acqua entra che è un piacere, ma i libri sono tutti sistemati a quindici centimetri da terra, grazie all’utilizzo di barche, vasche da bagno e una gondola, posizionate lì apposta per mettere in salvo i volumi dall’acqua, ma anche per dare un’identità particolare a questa fantastica libreria.

Una cosa di cui essere davvero orgogliosi.

La seconda notizia, davvero bruttissima, consiste nel fatto che la libreria, purtroppo, chiude in questi giorni, e stanno svendendo a pochi euro i libri per sloggiare: una tragedia. La notizia è stata diffusa dalla rivista wired sul suo sito web “wired.it” con un titolo a effetto:
https://www.facebook.com/wireditalia/posts/639372132767701‎ "chiude a Venezia la libreria più bella del mondo”.
La notizia è stata diffusa due giorni fa e da allora circola in rete, riempiendo di sgomento e tristezza non soltanto i veneziani ma tutte le persone che hanno seguito la vicenda.

La terza notizia, davvero bellissima, è che la notizia diffusa da wired.it è una bufala.
Nel senso di clamoroso e volgare falso. Una notizia inventata di sana pianta. Ho parlato per telefono dieci minuti fa con il proprietario e ideatore Luigi Frizzo, il quale mi ha raccontato (davvero sconcertato) che da ieri è sommerso da telefonate di gente che vuole sapere quando chiude e lui non capisce che cosa sia accaduto.
Un sito gestito da un gruppo di veneziani che fanno pubblicità alle bellezze che Venezia può offrire al turismo internazionale ha pubblicato la smentita che trovate qui

Non chiude la Libreria Acqua Alta. Da un paio di giorni si era rincorsa per il web la clamorosa e triste notizia di una imminente chiusura della Libreria Acqua Alta, “the most beautiful bookshop in the world”, come recita una scritta fuori dal negozio (vedi foto). Allora, sollecitato anche da una gentile lettrice del blog, in apprensione per la sorte della libreria, ci sono andato oggi per verificare la situazione di persona. 
Uno dei proprietari (non era il mitico Luigi Frizzo) mi ha assolutamente smentito la chiusura della Libreria Acqua Alta e mi ha riferito che la voce di una tale eventualità era stata messa in giro in internet chissà da quali persone. I fedeli clienti di questo negozio possono quindi dormire sonni tranquilli: continueremo a vedere aperta la Libreria Acqua Alta per molto tempo ancora, così come si potranno accarezzare i simpatici gattoni che vivono al suo interno. Comunque, per avere una smentita “ufficiale” della chiusura, mi recherò nuovamente nella libreria quando sarà presente il Sig. Frizzo. Il quale spero metterà la parola fine a questa messa in scena, ordita presumibilmente da chi voleva fare della cattiva pubblicità alla Libreria Acqua Alta.

Infine, la quarta e bruttissima notizia, che consiste nell’ennesima manifestazione di involgarimento del tessuto connettivo dello scambio sociale in Italia, basato sull’inganno, il falso e la furbizia. Poiché hanno capito tutti che la rabbia, il livore, l’incazzatura e lo sconcerto regnano sovrani, diffondono sciocchezze prive di Senso di indubbio effetto emotivo con l’unico e dichiarato intento di lucrare sulla vostra ingenua, onesta e sincera indignazione, facendo presa sullo stato di sfacelo emotivo della cittadinanza. L’obiettivo è conquistare contatti per guadagnare dalla pubblicità.
E’ una moda ormai dilagante (tutta italiana, ahimè) che sta velocemente trasformando il web in una immonda spazzatura dove vincono i più furbi, i più volgari, i meno colti e preparati. La notizia è scomparsa sostituita dal titolo di forte impatto ma quando si va a cliccare e si entra dentro non c’è (molto spesso) nessuna notizia e ci si trova sommersi dalla pubblicità. Campione negativo di questa oscena moda è il sito lafucina.it.
Si cercano soltanto brutte notizie, pugni allo stomaco per far salire la rabbia e l’odio.
Il tutto condito e accompagnato da roboanti sottotitoli del tipo “questo sito vi dice cose che nessun altro sito vi dice” oppure “questo è il sito che vi rivela cose che la casta non vuole che voi sappiate” ecc,ecc. Questo fenomeno sta provocando una situazione che sta avvilendo e svuotando l’informazione perché nella stragrande maggioranza dei casi questi siti e questi blog sono gestiti e diretti da persone che non sono professionisti, non hanno idee, non hanno nulla da dire, non sanno niente, copiano roba in giro e veicolano dei sentiti dire e banalità demagogiche imparaticce e niente di più; si tratta di persone singole (gruppi e aziende) che hanno bisogno di soldi e hanno capito che se si scrivono delle righe (si fa per dire, di solito è roba scopiazzata) in cui si manifesta l’odio per le banche, il disprezzo per i disonesti, l’indignazione contro il privilegio, allora si fa audience.
E’ la trasposizione sul web del meccanismo mercatista pubblicitario di Berlusconi, basato sul pedinamento della pancia delle persone per impedire loro di pensare e di ragionare, regalando la scarica di adrenalina legata all’evento annunciato nel titolo. La gente, ormai assuefatta, nonostante sia continuamente ingannata e truffata, seguita a digitare facendo click perché ogni volta pensa (e spera) che ci sia davvero ciò che il titolo annuncia, e nonostante la delusione provata ingloba la spazzatura e la volta dopo ci ricasca.
C’è chi aggiunge immagini erotiche molto forti, dichiarazioni estrapolate dal contesto che falsificano l’evento, notifiche di eventi mai realizzati.
Andando avanti così, l’informazione sul web finirà per  diventare una piattaforma circense priva di alcun valore dove la gara è a chi denuncia l’evento più fosco e torbido, riproponendo un modello televisivo nella versione copia/incolla dallo schermo tivvù a quello del computer.
E’ un segnale dell’appiattimento culturale della nazione, che finirà per fare il gioco della televisione e dei loro programmi spazzatura.
Per poter sottrarsi a questa tragica moda che è ormai dilagata è necessario cominciare a trovare dei meccanismi pubblicitari di tipo diverso e originale, non legati cioè ai contatti.
In un paese di furbi truffatori come questo vuol dire esporsi di continuo al rischio di essere ingannati.
Non è un caso che lentamente si sta creando una forte spaccatura tra siti e blog solidi (qualunque siano le opinioni espresse) e il chiacchiericcio di denuncia il cui unico obiettivo è riuscire a imbonirvi, trasformandovi in piatti robot che pigiano un tasto a comando, senza sapere che siete diventati degli inconsapevoli procacciatori d’affari per far guadagnare qualche centesimo di euro a qualcuno che non ha niente da dire e nel caso abbia una qualche idea su qualcosa non sa come si fa ad esprimerla.

Non ne posso più di queste truffe continue.

Se non cominciamo a praticare una inversione di tendenza, il web, in Italia, diventerà molto presto inutile, se non per chi guadagna sulla buona fede delle persone ingenue..