di Sergio Di Cori Modigliani
Sono andato a spulciare nei blog, nei siti online e anche nei quotidiani più importanti, in cerca delle dichiarazioni scritte alla fine del mese di dicembre nel 2010, 2011, 2012. Nella maggior parte dei casi viene fuori un variegato panorama di parolai dilettanti, anche pericolosi, devoti della chiacchiera ideologica, inclini al nulla. A questo bisogna aggiungere il fatto che in più d'una occasione si sono verificati degli aspetti piuttosto sconcertanti. Alcuni leader politici, giornalisti, opinionisti, pseudo intellettuali, imbonitori, capi bastone, capi popolo, capi tutto, nonostante la realtà dei fatti li avesse clamorosamente sbugiardati dimostrando la vacuità delle loro argomentazioni, hanno aumentato il loro credito di popolarità.
E questa è la notizia che segna ciò che è accaduto negli ultimi tre anni nel nostro Paese, una proliferazione allarmante della malattia più grave che abbia colpito la nostra nazione: la diffusione della mitomania, eletta ormai a norma consuetudinaria.
Mescolata all' alzheimer psico-sociale di cui gli italiani già soffrono per condizione storica accertata, questa malattia dell'anima, collettiva, ha finito per contribuire a produrre l'assuefazione al falso, alla mistificazione, alla sottrazione di Senso, riuscendo a spacciare le parole per fatti, le proprie opinioni individuali per fatti accertati.
La fantasia personale è diventata equivalente alla previsione.
Ragion per cui mi rifiuto, nell'augurarvi uno splendido 2014, di scrivere ciò che penso accadrà, ciò che si verificherà, come e quando.
Scelgo, invece, di condividere con i miei lettori il mio auspicio: ciò che vorrei si verificasse.
La lista è molto lunga ma c'è una cosa che più desidero si verificasse, perchè la sua assenza credo che sia quell'aspetto dell'esistenza che più di ogni altro marca e sottolinea la cifra della tragedia nazionale: il ritorno all'autenticità. Auspico il ritorno, anche lessicale, di questo sostantivo un tempo molto usato, poi abusato e quindi logorato e poi sparito, insieme al suo significato.
Auguro quindi alla mia bella Italia, e a tutti noi, di ritrovare nella pratica quotidiana del vivere il gusto estetico per ciò che non è fasullo, ciò che non è artefatto, che non è costruito, non è prevedibile, non è markettizzabile, per ciò che nasce da una profondità onesta e radicata che pesca all'interno di colui che osa pensare a modo proprio, in maniera eroica.
Essere eroi vuol dire, oggi in Italia, difendere qualcosa in maniera assolutamente disinteressata: uno stile di vita, una idea, un'ambizione, un ricordo, una memoria personale, un culto, una tradizione, un sentimento.
Auguro a tutti di riuscire a respingere naturalmente ciò che è artefatto, che sa di fuffa, che ha un odore stantio, un sapore di riciclo, una parvenza di già visto, già sentito, già sperimentato.
Di riuscire a ricomporre dentro di noi, ciascuno secondo la propria caratterialità, individualità, gusto, ambizione e bisogni, uno spettro di Senso Autentico da difendere con i denti per dare un significato esistenziale alla propria vita.
Qualcosa di forte, di inossidabile, di inattaccabile.
Una passione, insomma.
Perchè questo Paese ha perso negli anni l'erotismo dell'esistenza, ed è questo ciò che manca.
Recuperare quel valore aggiunto nostrano, riconoscibile, insostituibile, che da sempre ha contraddistinto il nostro essere italiani, per battere il nemico più pericoloso che alligna ormai dentro le intelligenze collettive: la mistura di cinismo e indifferenza, di faziosità e complottismo.
Vi auguro sinceramente di appassionarvi a qualcosa, di autentico.
E' l'unica strada per sfuggire alle sirene dell'incanto, agli imbonitori dalla retorica facile.
Di recente ho letto uno splendido romanzo di un grande romanziere europeo, l'ungherese Sandor Màrai. Si chiama "Il gabbiano" ed è stato scritto nel 1942. E' di un'agghiacciante attualità. Il protagonista è un quarantenne, un alto funzionario dello Stato, un uomo di successo, intelligente, bello, ricco, elegante, privilegiato. Ma è anche pensante. Ed è consapevole di trovarsi dinanzi alla catastrofe collettiva del nostro continente. Il suo problema consiste nel fatto di essersi perdutamente innamorato di una splendida giovane donna la quale, però, è innamorata di un altro. Lei è una farmacista. Ciò che lascia sconcertato il nostro protagonista è che l'uomo che la donna ama è un anziano professore di chimica senza nessuna attrattiva apparente. Ha un modesto stipendio, non è bello, non è ricco, non è potente, non è seducente. Lui non comprende. E così un giorno va a una conferenza ad ascoltarlo per cercare di capire che cosa quell'uomo abbia che lui non ha.
Ecco come Sandor Marai descrive i pensieri del protagonista:
".....aveva immaginato accanto a lei un austero scienziato, una sorta di celebrità che gioca a tennis, presiede varie associazioni scientifiche, ha solide conoscenze nei giri che contano e abita in una villa con terrazzo sulla collina Gellert da cui si vede snodarsi il Danubio. Invece, ascoltandolo in quell'aula gremita, si accorse che quell'uomo sembrava vivere molto al di sotto della sua posizione sociale, e per giunta infischiarsene allegramente di tutto ciò che la posizione sociale rappresenta, e ancora di più ciò che la gente immagina di uno scienziato come lui. Tipi del genere non meritano di solito rispetto, dormono beati alle prime ore del mattino nel retro dei caffè bohemiennes, chini sulle pagine spiegazzate dei giornali esteri, ex rivoluzionari, confusi geni degli scacchi, preti spretati, gente che trascorre le sere a fumare sigari in un locale. Il chimico pareva uno di loro. Ma dalla sua voce rauca e soffocata trapelava la passione, così come dietro a un paesaggio sereno e assolato si intuisce il cupo ruggito di un lontano terremoto. Descriveva sostanze chimiche e anche un profano poteva rendersi conto che non diceva una parola di troppo; citava numeri e formule ed era come se, mentre parlava di realtà oggettive e controllabili, in lui ruggisse una belva, come se dietro quel che faceva e raccontava e diceva ci fosse sempre qualcosa d'altro. Quell'uomo era pieno di passione. Può darsi che la passione sia una condizione del genio, pensò, ormai capiva la folla nella sala, quella moltitudine che lo ascoltava attenta e che, verosimilmente, in quel momento, non era interessata soltanto alle formule chimiche, quanto piuttosto, e soprattutto, alla persona del relatore. Quel professore burbero, trasandato, non più giovane, dotato di pochi capelluzzi arraffati, dai modi scontati, sapeva qualcosa: c'era un motivo per il quale il suo nome era rinomato. Ma sapere qualcosa significa avere passione: il senso originario di ogni fenomeno umano è la passione con la quale un uomo risponde al mondo. Ascoltandolo, si accorse perchè l'Europa stava andando incontro alla catastrofe. Travolta dal proprio nichilismo, dalla propria vanagloria narcisistica, dalla ricerca del profitto finanziario a tutti i costi, aveva dimenticato di coltivare le passioni: senza di esse, inevitabilmente, ci si innamora della morte al fronte. Quei giovani lo ascoltavano, nel tremendo e vano tentativo di sentire di nuovo qualcosa di vero, prima di essere ingoiati dalla ferocia della guerra che sarebbe piombata di lì a pochi giorni. Mentre scendeva l'ampio scalone del grande edificio, non gli sembrava più impossibile o assurdo che Ilona amasse quell'ometto, proprio lui. Ma allora Ilona, chi e che cosa sono io per lei? si domandò sul portone. Sono un uomo a caccia di passioni, tutto qui. Il chimico, invece, è la passione in tutto il suo essere e i giovani lo sentono: è l'unico antidoto certo alla guerra. Fece cenno a un taxi e andò da lei. Erano le ultime ore di pace, adesso lo sapeva anche lui".
Buon 2014!!!