domenica 30 settembre 2012

Lo squallore dei fascisti in questo turbinoso 1922. Pardon. Volevo dire 2012.



di Sergio Di Cori Modigliani


Il lapsus del titolo non è retorico, ma è reale.
Quando scrivo un mio post, l’input dell’ispirazione mi viene sempre da un fatto della cronaca, da notizie che ricevo dalla realtà, da qualche elemento della quotidianità che suscita in me una reazione istintiva. E prima viene sempre il titolo, che mi regala la sintesi del testo. Ieri stavo, per l’appunto, seduto a un bar a prendere un caffè, elaborando alcuni pensieri. Mi è venuto in mente il titolo e ho preso subito degli appunti, con la penna stilografica, in automatico, preso dai miei pensieri. Mi sono accorto che avevo scritto 1922 e il fatto mi ha colpito. Invece di correggere subito la data, mi sono fermato a riflettere e  l’ho interpretato come un lapsus calami, evento al quale Freud attribuiva un significato decisivo, che si manifesta quando si è preda di un rigurgito emotivo istintivo.
E così, invece di scrivere il post, ho deciso di rimandarlo. Una volta a casa, ho scelto di fidarmi del mio inconscio, invece che considerarmi una persona distratta. Mi sono divertito ad andare in rete a spulciare negli archivi attendibili, per andare a vedere che cosa stava accadendo in Italia nel 1922, di che cosa parlavano, di che cosa discutevano, quali erano i temi collettivi di allora che appassionavano i nostri antenati di quattro generazioni fa. Soprattutto qual era il linguaggio usato, per cercare di comprendere quale fosse stato il meccanismo collettivo di consenso che aveva coagulato così tante simpatie ed appoggi al programma politico del socialista Benito Mussolini, “sovranista per eccellenza” come lui stesso si definiva allora. Fatta la tara di alcuni elementi inevitabilmente obsoleti, perché la struttura attuale della società italiana è molto cambiata ed è diversa da quella di 80 anni fa, sono rimasto davvero molto colpito da un numero di similitudini e accostamenti con l’attuale situazione italiana, in misura, direi, addirittura strabordante. Ma è stato il linguaggio usato allora, che mi ha colpito davvero.
Una modalità di approccio (e qui mi ripeto, riproponendo un post di qualche giorno fa) che in Italia non è stata mai nè affrontata, né discussa, né tantomeno elaborata, alchemizzata, e quindi superata, ragione per cui ci troviamo 80 anni dopo a vedercela, nella loro versione aggiornata post-moderna, con i fascisti di allora.
Qui intesi come sostantivo, ovverossia, gli eredi dell’ideologia sovranista nazional-socialista populista, che ha distrutto la nazione portandola allo sfracello. Un’idea della vita, dell’esistenza, e di conseguenza anche una modalità dell’attività politica e delle scelte economiche, che hanno bloccato ogni forma di modernità e di progresso, facendo arenare la nazione, costretta –da quel momento in poi- ad essere inevitabilmente serva di interessi terzi. Nelle decadi a seguire, i fascisti sono sempre stati in prima linea a fare il lavoro sporco per impedire il progresso del paese, alleandosi con la criminalità organizzata e con i servizi segreti stranieri per gestire una stagione di stragi e assassinii, iniziata con Portella delle ginestre in Sicilia, 60 anni fa, per proseguire con Enrico Mattei, Mauro de Mauro, Mino Pecorelli,  Pio La Torre, Giuseppe Fava, due tentativi di golpe militare, la strage degli innocenti di Piazza Fontana, di Piazza della Loggia, del treno Italicus, della stazione di Bologna. E mi scuso per quelli non citati. A questa mattanza militare nostrana (tutta italiana) da sempre gestita dai fascisti, si è accompagnata una lenta espoliazione intellettuale del libero pensiero, a garanzia della tenuta economica della grande rendita fondiaria, aristocratica e oligarchica del paese. Non a caso, la stessa di oggi, degli anni’50, degli anni’60, ecc.
Le 200 più importanti famiglie italiane nel 1922 sono le stesse di oggi.
Era così nel 1952, era così nel 1962. Ma non era più così nel 1972, anno decisivo e fondamentale per tutto l’occidente, perché in Italia, Francia, Germania, Gran Bretagna (e di conseguenza in tutte le loro colonie sudamericane) il gigantesco progresso economico mescolato al successo delle grandi conquiste sociali, stava –e in Italia per la prima volta dal 1861- modificando la spina dorsale del potere. Con la scusa della guerra fredda, la cupola oligarchica planetaria iniziò una campagna di destabilizzazione internazionale che nell’arretrato Sudamerica vide l’affermazione di dittature criminali efferate, ma che in Europa e in Usa, poco a poco, pur mantenendo l’apparente tenuta dell’assetto democratico, vide l’inizio costante di un processo di omologazione verso il basso, accompagnato da un sistematico, pianificato e voluto sistema di corruzione della classe politica, che ha avuto gioco facile nella compra-vendita di menti e anime colte, imbavagliando in maniera permanente le classi intellettuali, pronte e prone a servire il sovrano di turno. La Spagna, questo passaggio epocale non lo ha vissuto, perché la penisola iberica è stata l’unica zona del continente europeo che ha attraversato l’intero arco degli anni’60 e ’70 senza vivere, vedere e sapere ciò che accadeva nel resto del continente e del mondo, una società totalmente chiusa, ingessata, e terrorizzata dalle autoritarie dittature criminali dei generali Salazar in Portogallo e Francisco Franco in Spagna. Quando alla fine degli anni’70 sia il Portogallo che la Spagna si liberano delle loro dittature ed entrano a pieno titolo tra le democrazie europee, inizia in quelle due nazioni, immediatamente, un fragoroso processo di consapevolezza collettiva. Per un decennio, in Spagna, si producono film, romanzi, saggi, documentari, editoriali, che ruotano tutti intorno al dibattito il cui tema principale è “perché siamo stati franchisti per 40 anni?”. In Italia (ma è comprensibile) di tutto ciò arriva poco o niente, era parte del loro psicodramma culturale nazionale, e a noi poco interessava Ma quei dieci anni di lacerazione hanno prodotto un sistema auto-immunitario di coscienza di popolo e di nazione in forma evoluta, finendo per partorire anche una classe dirigente e una classe intellettuale locale di pretta marca moderata e conservatrice ma allo stesso tempo solidamente anti-franchista e fortemente democratico-liberale: quella che in Italia non è mai nata. Da noi c’erano i fascisti. E non sono mai andati via.
Questa premessa era necessaria per introdurre la giornata di ieri nell’Europa mediterranea, che ha visto due teatri contrapposti e direi “specularmente identici in maniera capovolta a quelli del 1972”: a Madrid il popolo in piazza in massa, a Roma una modesta pattuglia di fascisti (qui intesi come sostantivo) alcuni a loro insaputa.
E’ una gigantesca differenza.
Con delle aggiunte, va da sé, tutte italiane.
Ed è questo il vero titolo del post odierno, sparato a caratteri cubitali sulla prima pagina del mio consueto quotidiano surrealista:
“A Roma i nazi-fascisti tentano di coagulare il disagio sociale, manipolando persone in buona fede, con il dichiarato intento di costruire un fronte antagonista di opposizione ma usando parole d’ordine, modalità e comportamenti del fascismo storico degli anni’30”
L’organizzazione “catena umana circondiamo il parlamento” è una organizzazione fascista (sostantivo) ben identificata, ben collaudata, che sta andando a situarsi nel Vuoto Culturale Perenne, approfittando della tragica latitanza degli intellettuali e delle menti pensanti italiane (troppo prese, ahinoi, dallo sfavillio farfalleggiante della loro continua e inutile presenza nei talk show televisivi e sulla stampa della cupola mediatica) e cerca di manipolare il disagio reale collettivo. Non a caso si insiste “a tambur battente” nel far passare la linea della omologazione del pensiero unico che abolisce la distinzione tra destra e sinistra. E’ un Falso.
L’intento, più o meno consapevole, è quello di appiattire il dibattito, di provocare caos sociale, di far passare il principio qualunquistico fascista dell’identificazione del sistema di corruzione attuale  come elemento collettivo della nazione, senza operare dei distinguo, in modo tale da far passare il principio tale per cui “sono tutti corrotti e sono tutti ladri” il che equivale a dire che nessuno è corrotto e nessuno è ladro.
Perché il punto è il seguente: “come è possibile che le parole d’ordine della destra fascista (sostantivo) finiscano per essere le stesse di chi ha sempre combattuto e combatte contro il fascismo italiano?”.
E, ancora oltre: “è possibile davvero che si abbia lo stesso nemico?”
E, inoltre: “esiste una modalità di interpretazione tale per cui si possa comprendere la differenza?”.
La differenza si deve capire.
Il nemico è diverso. Come sempre. Da sempre.
Punto primo: mentre i fascisti sostengono “il nemico sono le banche”; gli anti-fascisti hanno molto chiaro in mente che le banche non sono affatto il nemico. Affatto. Non solo, ci aggiungo anche che “chi sostiene che le banche siano il nemico, è un fascista a sua insaputa”. Perché sostenere che le banche siano il nemico vuol dire ridurre lo scontro a un fattore economico-ragionieristico. Mentre, invece, lo scontro è e deve essere, squisitamente politico.
Il nemico è una classe politica dirigente di stampo fascista che non ha mai voluto, non vuole, e non vorrà mai che le banche lavorino sotto stretto controllo istituzionale del parlamento, dello Stato, il quale impone specifiche leggi che obbligano le banche ad una trasparenza sull’uso dei loro fondi e  li obbliga (per Legge) a produrre credito alle imprese che lavorano sul territorio e producono merci.
 “Perché è arrivato il momento di dire e chiarire una volta per tutti, che il popolo italiano ha il diritto di eseguire la propria assoluta, indomabile e incrollabile sovranità; quella idea di popolo che oggi ci viene negata dalle banche asservite ai poteri forti giudaico-massonici, sorretti da un parlamento che non è in più in grado di funzionare, che è inutile, che non serve, e che va abolito per dar vita alla luminosa rimonta del popolo in arme, ormai pronto ad assicurarsi il dispiego verso il nuovo orizzonte sociale che lo attende, garantiti dall’eroica presenza dei fasci da combattimento che davanti a nulla si fermeranno, mai” Benito Mussolini, 24 maggio 1924, nel suo discorso preparatorio quando spiega e annuncia l’inutilità del parlamento, la sua definitiva futura chiusura, e, di fronte alla ferrea opposizione del deputato socialista Giacomo Matteotti che in aula sta denunciando i brogli elettorali, dà l’ordine (eseguito) di farlo assassinare il 31 maggio 1924.
Il nemico è la criminalità organizzata che si è infilata dentro i partiti e si è fatta eleggere in parlamento per avere la garanzia che le banche avrebbero avuto semaforo verde per fare ciò che volevano senza nessuna forma di controllo: quello è il nemico in Italia.
Come mai tutti coloro che parlano sempre di fermiamo le banche, le banche sono il nemico, odio le banche, ecc., non parlano (e soprattutto non scrivono) mai una parola contro la criminalità organizzata? Facendo nomi e cognomi?
E’ molto facile prendersela con le banche: tutti oggi hanno bisogno di soldi.
E’ molto più complesso combattere e lottare affinchè il parlamento faccia varare delle ferree leggi che obblighino le banche a rispettare l’esigenza finanziaria degli imprenditori che creano lavoro e occupazione.
Non è vero che noi stiamo nelle mani delle banche.
Noi stiamo nelle mani di un gruppo molto ristretto di oligarchi finanziari che paga una classe politica corrotta affinchè garantisca loro l’esecuzione di un mercato libero da leggi, senza nessun controllo da parte dello stato. La banca è uno strumento, è un mediatore. Ciò che conta è –e deve essere- la collettività che fa le leggi: le promulga e, SOPRATTUTTO, si avvale di una classe politica e di una classe di funzionati governativi che provvedono a controllare che tali leggi vengano rispettate.
Il nemico, in Italia, non sono le banche.
Il nemico è la mancanza di quelle leggi che impediscono il consociativismo tra diversi istituti finanziari obbligandoli a non poter avere cariche cumulative. In questo modo si allargherebbe lo spettro della concorrenza e il sistema bancario si aprirebbe al mercato.
Se si fermano le banche, vince l’aristocrazia che senza banche può operare.
Il grande imprenditore Del Vecchio, in una bellissima intervista rilasciata qualche mese fa (sulla quale avevo fatto un post) ricordava come “il cancro dell’Italia è che non esiste più una classe di dirigenti bancari che fa gli interessi della banca stessa e finanzia le imprese, perché sono funzionari che non rispondono alle leggi dello stato e agli interessi dei loro azionisti, bensì seguono ordini che provengono dalle segreterie dei partiti. Quando, negli anni’70 ho capito che era arrivato il momento di espandermi, sono andato a parlare con il direttore della Banca Commerciale Italiana e gli ho detto che mi servivano svariate centinaia di milioni di dollari per andare all’attacco del mercato Usa. Mi chiese: fammi leggere il business plan. Mi chiamò e mi disse: l’abbiamo letto, può funzionare. E mi diede i soldi necessari che mi hanno permesso di conquistare il mercato mondiale”. Del Vecchio parlava di quel dirigente bancario con nostalgia. Faceva intendere che oggi, persone del genere non esistono più, perché sono state sostituite da funzionari burocrati corrotti. L’obiettivo non è andare contro le banche. Ma fare in modo che le banche funzionino per chi lavora e non soltanto per chi ricicla.
Punto secondo: come si fa a capire quando parlano i fascisti (sostantivo e aggettivo) essendo oggi il sistema dello scambio linguistico omologato e appiattito?
La discriminante dovrebbe essere la comportamentalità e l’uso del linguaggio.
I gruppi fascisti che hanno organizzato la cosiddetta catena umana intorno al parlamento hanno una pagina su fb dove molti, come me, avevano messo un “mi piace” distratto (non ricordo, infatti, quando l’ho fatto), forse attratti da un post condivisibile (la cosa inquietante che mi ha indotto a queste riflessioni)  su una pagina anonima come tante altre su fb. Ricordo, però, molto bene, perché mi colpirono, i toni usati alla fine di luglio, quando il tentativo di organizzare la stessa manifestazione fallì miseramente. Questa volta idem. Hanno pubblicato l’immagine di un gregge di pecore per insultare chi non aderiva alla manifestazione.
La discriminante è tra chi pratica la comprensione umana, la solidarietà tra simili e coloro che, invece, si ritengono migliori della massa che merita invece disprezzo.
Un’altra discriminante è la trasformazione di qualsivoglia forma di teoria in un evento che ben presto diventa un totem religioso, e che in pratica, nel sociale, si traduce nella impossibilità di dialogo e/o confronto: o si è d’accordo o si è inferiori.
Eccone alcuni attivissimi in rete:
“Lo sviluppo.it”
“Pas-fermiamolebanche.it”
“Marra.it”
“Signoraggio,it”
“Salvatore Tamburro”
“la scala di cristallo”
“Fronte di liberazione dei banchieri”
“Lega Italica”
“Regione Capitanata”
“Padre Pio”
“Il complotto”

Molti di questi siti si sono organizzati accorpandosi. Un certo Salvatore Tamburro (uno dei leader fascisti) si presenta come un fiero sostenitore di Keynes e della MMT. Nel suo sito i commentatori ci spiegano la necessità di eliminare presto gli ebrei dall’Europa, veri responsabili dell’attuale sconquasso, e le ragioni di base per cui la libertà in Europa passa attraverso la loro eliminazione. Recentemente ha pubblicato due lunghi articoli, uno dal titolo “Istituzione dei campi di concentramento dei banchieri” (sempre nel nome di Keynes) e l’altro, invece “Hitler e Chavez” con l’intento di far presa sull’elettorato italiano venezuelano, molto alto, presentando il leader venezuelano come un nazista.
 Sia chiaro che il sottoscritto non auspicherà mai l’apertura di campi di concentramento per rinchiuderci nessuno.
Se qualcuno è contento all’idea livorosa di lanciare i campi di concentramento è meglio che non frequenti questo blog.
Tutti questi gruppi dichiarano (di solito in alto a destra) che “non più destra non più sinistra non più etichette ma solo movimento di lotta diretta per colpire l’oligarchia del privilegio che si manifesta nel rito del voto”. Il linguaggio è chiaramente fascista, perchè per loro è sempre reiterativo e ossessivo  sia il richiamo alla ritualità e ai simboli sia quello che deve spingere a non votare, a considerare il parlamento come un luogo da eliminare e da abolire.
Questi siti di destra si sono impossessati dei miei articoli e alcuni li pubblicano senza far riferimento alla fonte originaria del mio blog; in tal modo, la mia firma viene presentata come automatica adesione ai loro programmi, facendo intendere, in maniera surrettizia, che condividiamo la stessa idea.
Questi blog e siti hanno, pare, una gestione comune legata all’avvocato Marra, a Sara Tommasi e a Scilipoti. Non a caso, le poche volte che parlano di politica, fanno intendere che Berlusconi è il candidato migliore, presentato di recente come il nuovo vate della politica keynesiana, nemico giurato dell’euro e nemico delle banche.
Invito tutti a una riflessione e, in conclusione, aggiungo un mio fatto personale con i fascisti, perché sia chiara la mia posizione di netta distanza, di opposizione totale e perenne.
Siamo su fronti opposti e lo saremo sempre. E non voglio essere mescolato a gente del genere, di cui denuncio qui la loro perdurante attività di falsificazione e di continuo ladrocinio dei miei post. Lo faccio qui in pubblico per dare ai lettori la possibilità di andare a vedere questi siti  e rendersi conto come oggi i fascisti si stanno organizzando.
Non fatevi incantare dagli slogan e dallo schieramento keynesiano.

I fascisti, sono sempre fascisti. And nothing more.

venerdì 28 settembre 2012

La guerra tra le due Cristine e l'impatto sull'Europa. Soprattutto sull'Italia.



di Sergio Di Cori Modigliani


Sudamerica, media e diritti politici su un argomento sottaciuto.

In Gran Bretagna gli hanno dato un nome preciso e ormai la seguono come se fosse una telenovela nella sezione geo-politica: “The Christines at war”, la guerra delle Cristine, che sarebbe una fiction a puntate davvero impossibile non seguire.
Ci siamo anche noi, dentro, naturalmente, e il nostro ruolo in questa telenovela non è certo dalla parte dei buoni. La Storia ci ha messo nella situazione di dover interpretare il ruolo di quei personaggi che quando entrano in scena, dopo le prime due battute, ci spingono a dare una gomitata al nostro compagno di poltrona per commentare “questo mi sa che fa una brutta fine”. Non siamo certo gli eroi di questa fiction iper-realista.
La nuova puntata (vera chicca per gourmet) si è svolta in un sontuoso teatro internazionale: la East Coast degli Usa, tre giorni fa uno scambio di battute al fulmicotone tra la segretaria del Fondo Monetario Internazionale, Christine Lagarde, dalla sede di Washington –reduce da un incontro ufficiale con il ragionier vanesio- la quale, infantilmente ha minacciato l’Argentina usando di proposito una metafora calcistica “per il momento sto mostrando a quella nazione il cartellino giallo; ma c’è una inderogabile scadenza che è il 10 dicembre 2012. Superata quella data scatterà automaticamente il cartellino rosso e l’Argentina verrà espulsa dal Fondo Monetario Internazionale”.  La presidente argentina si trovava in quel momento a un tiro di schioppo, stava a New York, al palazzo dell’Onu. Da aggiungere che (gli sceneggiatori sono abili professionisti di mestiere) nell’esatto momento in cui madame Christine minacciava la senora Cristina, la presidente stava parlando all’assemblea dell’Onu a Manhattan perorando la causa dell’indipendenza del Sud America e chiarendo –con gravi toni minacciosi ben coperti dalla consueta retorica diplomatica- che il teatro internazionale geo-politico non è più quello degli anni’70 e che la grande stagione dello schiavismo colonialista è tramontata. Finito il suo intervento, i suoi segretari le hanno comunicato immediatamente l’esternazione della sua omonima francese. E la presidente Kirchner ha dichiarato subito: “L’Argentina è una grande nazione. Ma prima ancora è una nazione grande. Abbiamo un vasto territorio baciato dalla fortuna naturale. Abbiamo risorse nostre, che ci consentiranno la salvaguardia della nostra autonomia e della nostra indipendenza. Ma soprattutto siamo un paese orgoglioso che ci tiene alla propria dignità. Vorrà dire che staremo fuori”.
Chi non ha seguito tutte le puntate della telenovela (ci sono stati anche dei morti, come il giovane economista Ivan, in una storia che ho  raccontato mesi fa) forse non può seguire in maniera palpitante questo fronte bellico della Guerra Invisibile e potrebbe non capire di che cosa si tratta. Ha a che vedere con la Gran Bretagna, l’Italia, la BCE e la loro relazionalità con il Sud America. Ma soprattutto ha a che vedere con lo scontro tra l’interpretazione keynesiana e friedmaniana dell’economia e con lo scontro dichiarato tra l’interpretazione social-progressista dell’esistenza quotidiana e quella liberista conservatrice. Questo duello è stato riportato, dibattuto e commentato in tutto l’occidente. Neanche a dirlo, Italia esclusa. I servizi della, peraltro, brava Daniela Bottero, corrispondente della Rai di New York, parlavano  del nuovo ipad5, di come a New York si vive l’incipiente autunno,  ammaliandoci con la descrizione variopinta della scelta di Mario Monti relativa a quali ristoranti andare, a quali club partecipare e a quali inviti aderire. In Gran Bretagna, invece, (il vero cuore del problema) a questa puntata hanno dato un risalto talmente forte che la BBC ha scelto di destinarle ben cinque piattaforme mediatiche diverse: televisione di stato, radio, sito on line, diretta streaming, l’intera stampa cartacea mainstream. Per evitare di essere subissato dai consueti commenti della serie “dacce ‘sto link”, in un post scriptum, in copia e incolla, trovate l’articolo preso dal sito on line della BBC, sintetico ma esaustivo.
Qual è il contenzioso?
Eccolo esposto in maniera molto semplice e sintetica:
Il Fondo Monetario Internazionale sostiene che, sulla base dei propri dati a disposizione, l’inflazione in Argentina ha raggiunto la cifra del 30% in seguito alla irresponsabile azione di emissione di carta moneta da parte del Banco de la Naciòn perché in Argentina è stata scelta (il termine usato è “irresponsabile”) la strada degli investimenti in infrastrutture, salvaguardia del territorio idro-geologico, salario minimo garantito, credito agevolato alle imprese, protezionismo (con aliquote altissime praticate a tutte le multinazionali che in Argentina producono ma non investono il loro profitto in attività locali per favorire la occupazione)  e aumento del proprio disavanzo di bilancio al fine di potenziare istruzione pubblica, ricerca scientifica e innovazione tecnologica. Un’inflazione così alta comporta il rischio di “implosione del sistema economico” e quindi il resto del mondo economico, per salvaguardarsi, deve prendere le distanze da un modello economico così disastroso, definito “ormai fuori controllo” e quindi o l’ Argentina si adegua oppure viene espulsa. Una volta fuori, immediatamente verrà chiesto il saldo di tutti i loro bonds, il pagamento di tutte le transazioni internazionali di merci, e l’intero sistema finanziario del pianeta dichiarerà “inagibile” ogni forma di finanziamento all’Argentina, la quale, inoltre, dovrà immediatamente abolire gli investimenti e lanciarsi in una poderosa manovra di austerità, rigore e stretta creditizia, pena la cancellazione dei contratti internazionali di import-export.
Il governo della Repubblica Argentina, invece, sostiene che la propria inflazione è intorno al 9%. E dichiara che i dati forniti dal Fondo Monetario Internazionale non sono dati veri, perché le aziende di rating che hanno fornito le informazioni sono agenzie private finanziate –fatto questo noto- da J.P.Morgan, Citibank e Societè Generale, che sono parte in causa e vogliono destabilizzare l’intero Sud America per avere la possibilità di poterci speculare sopra. L’Argentina, inoltre, ritiene che l’ FMI “ha lanciato un sistema di punizione” nei confronti delle nazioni dotate di un sistema finanziario economico centrale che vieta (come appunto nel caso dell’Argentina) ogni attività finanziaria speculativa sui derivati, perché gli investimenti finanziari sono consentiti solamente su titoli e aziende che producono merci reali. Come ultima considerazione, l’Argentina ritiene che il Fondo Monetario Internazionale abbia come compito quello di monitorare la situazione economica delle nazioni senza dover mai intervenire sulla qualità delle politiche economiche nazionali e locali essendo il principio dell’autodeterminazione dei popoli un valore riconosciuto dalla carta internazionale dell’Onu in data 1948.
Queste sono le due posizioni.
Poiché non si tratta di Juventus-Roma (forza capitano) dove il tifo è lecito, ciò che conta, in questo caso, è comprendere di che si tratta. Ma soprattutto che cosa accade se vince una o l’altra delle due Cristine.
I rapporti di forza non sono affatto come istintivamente si può credere, ovvero Davide contro Golia, perché c’è un piccolo paese, laggiù nel polo sud, che conta poco o nulla, e da solo si è messo contro i poteri forti. Questa è la retorica perdente terzomondista che vive di ideologia e favole sentimentali.
Si tratta di un poderoso braccio di ferro politico, che ci riguarda tutti. Italia in prima fila.
(e vi spiegherò più avanti il perché).
Chi vincerà? Non lo so. Però so chi voglio che vinca. E so, con matematica certezza, che cosa accadrà sia nell’uno che nell’altro caso.
Personalmente parlando (qui è il mago che si esprime) penso che abbia molte più chance l’Argentina che il Fondo ;Monetario Internazionale. Il bello è che lo pensano anche i britannici, altrimenti non avrebbero dato un così ampio risalto alla vicenda.
Christine Lagarde fa la voce grossa a Washington, insieme a Monti come partner, perché si sente sicura della vittoria, e a mio avviso sbaglia di grosso. La sua vittoria  ha queste tre tappe: il 7 ottobre a Caracas (elezioni politiche in Venezuela, paese fondamentale per l’intero occidente in questo momento); il 6 novembre in Usa (elezioni politiche presidenziali); il 15 novembre, data in cui la troika consegnerà il proprio rapporto sullo stato impietoso della Grecia; a quel punto la nazione ellenica verrà protestata, spinta fuori dall’euro e surprise! invece del contagio, non accadrà un bel nulla se non uno scossone della durata di 48 ore. Si mostrerà e dimostrerà, pertanto, che l’euro funziona e regge ogni urto, la Grecia sprofonderà nella miseria e nell’incertezza (dimostrando che senza l’euro non c’è salvezza) e l’euro sorretta dal petrolio scontato del Venezuela, sorretta da Wall Street (che nei dieci giorni successivi alla vittoria di Romney sarà andata alle stelle con enormi guadagni di tutto il sistema bancario europeo) finalmente si potrà assestare e dare ordini al resto del mondo. Quantomeno alla parte occidentale. Questo è ciò che pensa la Lagarde.
Ma quali armi ha l’Argentina? Enormi, gigantesche. E le sta usando tutte.
Vi racconto una delle armi usate nel recente passato (finito con successo venti giorni fa) relativa a una precedente lontana puntata della telenovela dal titolo “La guerra dei limoni tra le due Crisitne” con una successiva puntata dal titolo “Coke is the real thing, baby!”.
Veniamo alla puntata dei limoni.
Quando nel 2004 l’Argentina, reduce dal suo fallimento, comincia a rimboccarsi le maniche per  l’auspicata ripresa, si avvale di diverse forme di consulenza economica, tra cui quella di un gruppo di scienziati tedeschi: per tradizione storica, i tedeschi sono di casa laggiù. Arrivano gli agronomi verdi dalla Germania, portandosi appresso la nuova tecnologia ecologica, evoluta nel campo dell’agricoltura. I tedeschi scoprono che i limoni argentini sono eccellenti. E varano un ingegnoso piano. Grazie al fatto di avere uno sterminato territorio a disposizione, il governo investe una massiccia quantità di denaro per lanciare un sistema di cooperative agricole occupando circa 150.000 ettari per produrre il più vasto limoneto del pianeta. Per avere il frutto ci vogliono anni, ma la tecnologia aiuta. Finalmente, alla fine del 2009, ecco i succosi limoni. Vanno al mercato internazionale. La frutta risulta seconda, per qualità, soltanto ai limoni italiani (la più pregiata specie in assoluto) con l’aggiunta del fatto che ha un prezzo di mercato inferiore del 212% ai limoni siciliani, liguri, greci, turchi, spagnoli, provenzali. I più grossi consumatori di limoni in Europa sono tedeschi e britannici, per via della loro alimentazione. Ai tedeschi servono per condire una loro insalata e i krauti di cui sono ghiotti e agli inglesi servono per spruzzare il loro piatto unico quotidiano, i celebri “fish&chips”, cartoccio composto da filetti di baccalà e patate fritte che ben si accompagnano con la pinta di birra al pub, ogni sacro giorno alle ore 17.,30. I tedeschi si avvalgono di forte sconto ma arriva anche la Coca Cola, il cui amministratore delegato, in persona, vola a Buenos Aires e firma un accordo commerciale della durata di 25 anni per avere i limoni con i quali compone la ricetta di ben 22 delle sue 30 bibite sparse in tutto il mondo. L’amministratore dichiara che il 93% dei propri limoni li prende in Argentina, il restante 7% dalla Florida. Poco tempo dopo, si passa alla soia. E arriva la Cina: contratto commerciale della durata di 50 anni; acquistano il 92% della produzione nazionale di soia (decine di migliaia di ettari coltivati sempre dai tedeschi) e 10 milioni di vacche. I bovini vengono allevati da produttori argentini nelle sterminate praterie d’altura, macellati, squartati come piace ai cinesi, incartati, messi su giganteschi aerei frigoriferi e ogni giorno  partono 50 giganteschi aerei da trasporto che portano a Pechino la carne necessaria per sfamare circa 250 milioni di cinesi. Arrivano anche i giapponesi che si prendono la produzione di acqua minerale di ben 122 ghiacciai del polo sud per un totale di 20 milioni di ettolitri al mese per 50 anni. I giapponesi bevono l’acqua argentina ma non lo sanno. Tutto ciò contribuisce a un aumento del pil argentino dell’ordine di un +5% all’anno e sarà il trampolino di lancio della loro ripresa economica. Dai cinesi, l’Argentina si fa pagare in dollari e bpt italiani; dai giapponesi in dollari e bpt tedeschi. Dai tedeschi e inglesi in euro. Ma nel 2010 la situazione geo-politica cambia precipitosamente. Dall’Unione Europea partono chiare indicazioni di andare all’attacco delle economie floride keynesiane. Per un fatto politico. La Gran Bretagna è la prima ad adeguarsi. E’ il primo atto del neo-eletto David Cameron. Non appena insediatosi, scopre che i limoni argentini –all’improvviso- non rispettano i parametri sanitari internazionali. Di conseguenza, si rivolge per protesta all’Unione Europea e Van Rompuy in persona denuncia l’accordo chiedendo una penalizzazione per l’Argentina, oltre a chiuderle l’accesso alle esportazioni internazionali. Per un mese l’Argentina protesta, soffre e si preoccupa. Dopodichè si fanno venire in mente un’ottima idea. La Kirchner personalmente scrive una lettera al quartier generale della Coca Cola ad Atlanta dove spiega alla multinazionale che dal giorno dopo non beccano più neppure un limone. Non solo. Avvalendosi della denuncia dell’Unione Europea, confortata dalle dichiarazioni di origine stampate sulle bibite della Coca Cola, si appella all’OMS chiedendo che vengano tolte dalla circolazione in tutto il continente europeo le 22 bibite che contengono limoni argentini “perché prive dei dispositivi di salvaguardia sanitaria previsti dalle convenzioni europee vigenti, visto che l’Europa sostiene che i nostri limoni non vanno bene, si deduce che non possono andare bene neppure bibite composte con i nostri limoni”. Per la Coca Cola si tratta di un danno di circa 25 miliardi di euro. Inizia un contenzioso durato ben 20 mesi, un braccio di ferro tra le due Cristine. Il finale della puntata è noto. Il presidente della Coca Cola  tranquillizza la Kirchner dicendole “ghe pensi mi”. E ci riesce. 1-0 per l’Argentina.
Fine della precedente puntata.
Quella prossima, datata 13 dicembre 2012, non si sa come andrà a finire. Ma si sa che cosa accadrà se vince la Christine francese: 48 ore dopo, l’Argentina, accettando l’espulsione, protesterà il contratto con la Coca Cola, dirà ai cinesi che staranno senza carne e senza soia; dirà ai giapponesi che staranno senz’acqua da bere; dirà ai tedeschi che non avranno più il petrolio con lo sconto. E tutta questa gente andrà a chiedere ragioni alla Christine a Parigi. L’Argentina, quindi, avrà come avvocati difensori la Coca Cola, la Cina, il Giappone, l’industria agricola tedesca.
E l’Italia?
Automaticamente fallirà la Telecom, e due giorni dopo la Enel annuncerà che la propria fattura viene triplicata. Intesa San Paolo, Banco Popolare di Milano e Mediobanca subiranno in borsa un crollo di almeno il 40% del loro valore. Perché?
Perché la Telecom è un’azienda decotta. Eppure i suoi bilanci sono buoni: è vero. Ma il profitto (che la tiene a galla) lo prende da Telecom Brasile e da Telecom Argentina, nazioni nelle quali gestisce l’intero sistema di telecomunicazioni digitali, terrestri e satellitari. Verranno subito nazionalizzate. Non solo. Verrà anche nazionalizzata subito anche l’Enel, che gestisce tutto il sistema dei servizi di erogazione di energia elettrica a Buenos Aires, in Bolivia, a Rio de Janeiro e che per la bilancia italiana è fondamentale. Inoltre, verranno messi subito all’incasso bpt italiani per un controvalore di 22 miliardi di euro, proprio alla vigilia di Natale. E se l’Italia non ha da pagare, si arrangi. Che vada a farseli dare da Christine Lagarde.
Per ridurla in sintesi, si tratta, in realtà, di una lotta squisitamente politica.
La telenovela sta tutta lì.
Non c’entra niente il business, né il commercio, né gli scambi. Proprio no.
E tantomeno l’economia.
Come ha detto con molta chiarezza la sudamericana Cristina Kirchner “io pretendo che venga rispettata la mia dichiarazione politica”. E si riferiva allo scontro micidiale a Montevideo lo scorso novembre (quando il giovane economista morì impiccato),  nel corso del quale Christine Lagarde la minacciò di sanzioni e isolamento se non cambiava politica economica. In quell’occasione la Kirchner disse: “Preferisco avere un’inflazione altissima e spropositata se so che la disoccupazione dal 34% è scesa al 3,5%; che la povertà è diminuita del 55%; che il pil viaggia di un +8% annuo; che la produttività industriale è aumentata del 300%; che c’è lavoro in Argentina, c’è mercato per tutti, e il mio popolo è molto ma molto più felice di prima, piuttosto che avere un’inflazione del 3% come in Italia, dove c’è depressione, disperazione, avvilimento e l’esistenza delle persone non conta più. E questa è un’affermazione politica. Di principio e sostanziale. Non lo ha ancora capito?”
Sembra che non lo abbia capito.
Sembra che non lo abbiano capito neppure gli italiani.
La crisi economica è uno specchietto per le allodole.
Si tratta di uno scontro micidiale politico tra due diverse modalità, totalmente contrapposte, di interpretare l’esistenza. E in questo scontro, l’economia, lo spread, ecc, sono semplicemente uno strumento di minaccia e ricatto per far passare un disegno politico di espoliazione, espropriazione e schiavizzazione degli esseri umani in Europa.
Altrimenti non si chiamerebbe Guerra Invisibile. Perché non si vede.
Non è certo un caso che la cupola mediatica, in Italia, abbia scelto di non acquistare i diritti per trasmettere le puntate della telenovela delle Due Cristine. Meglio che nessuno la veda.
Ed è meglio anche che nessuno sappia nulla dei limoni, dei verdi tedeschi, ma soprattutto che non venga né detto, né spiegato, né tantomeno mostrato, come se la passano quelle nazioni che hanno avuto l’ardire e l’ardore di dire no all’austerità, no alla sudditanza nei confronti dei colossi finanziari, ma soprattutto no ai diktat delle banche centrali.
Mentre da noi Monti & co. officiano continue messe da requiem dell’ingegno, della creatività, del lavoro e della voglia e bisogno di imprendere della nazione, da qualche altra parte del mondo si balla il tango e la milonga, e ci si sente vivi. Sono molto più poveri di noi, hanno molto meno di noi, sono molto meno ricchi di noi.
Eppure, sono molto ma molto più felici.
Non è questo, dopotutto, che conta nella vita dei popoli e delle nazioni?


P.S.




Ecco l’articolo della BBC:

IMF's Christine Lagarde says Argentina faces 'red card'

Christine Lagarde gave Argentina three months to produce reliable data
International Monetary Fund head Christine Lagarde has warned Argentina it could face sanctions unless it produces reliable growth and inflation data.
Ms Lagarde gave Argentina until 17 December to address the problem.
The IMF head said the fund had given Argentina a "yellow card" but it could face a red.
Private economists say annual inflation in Argentina is at 24%, much higher than the official 10% figure.
"We had to choose between the yellow card and the red card. We chose the yellow card. If no progress has been made, then the red card will be out," she said.
Speaking in Washington, Ms Lagarde said Argentina had been given three months to provide reliable estimates on growth and inflation.
'Free country'
Analysts in Buenos Aires say the IMF has been adopting tougher language towards the government of President Cristina Fernandez de Kirchner.
The IMF and Argentina have been at odds over the figures since last year.
Private sector economists say the government has ignored the growing pace of inflation.
Last year, the authorities introduced measures restricting the purchase of US dollars.
Memories among Argentinians of the days of rampant inflation in the 1980s and a devalued national currency are still vivid, correspondents say.
If Argentina fails to meet IMF demands, it could face sanctions, lose voting rights and even be expelled from the organisation.
"Argentina is good in football and it certainly understands what we are talking about," said Ms Lagarde.
Earlier, Ms Fernandez, who is visiting the United States this week, rejected claims that her country was facing economic disaster.
And she sent a defiant message: "The rich countries don't want partners or friends; they just want employees and subordinates."
"And we're not going to be anybody's employees or subordinates. We are a free country, with dignity and national pride."

giovedì 27 settembre 2012

La cupola mediatica e il caso Sallusti.



di Sergio Di Cori Modigliani


Se vivessimo in un paese normale farei subito due dichiarazioni parallele per introdurre l’argomento. La prima sarebbe:
 “Solidarietà per Alessandro Sallusti.  Protestiamo per impedire che venga arrestato, garantendo a tutta la nazione il rispetto per la libertà d’espressione, la salvaguardia della libertà di stampa e il diritto sacrosanto a esprimere la propria opinione, sia per i giornalisti professionisti che per qualunque cittadino”.
La seconda  sarebbe:
“Essendo un Libero Pensatore, figlio di Monsieur Voltaire, pur manifestando la mia serena disistima civile individuale per la persona di Alessandro Sallusti, gli riconosco il diritto alla sua piena libertà d’espressione, nonché il diritto a combattere – ed io starò al suo fianco e lo sosterrò- per salvaguardare il proprio legittimo diritto a esprimere liberamente la sua opinione personale”.
Le due parallele formerebbero il binario della libera stampa in libero Stato.
Ma questo non è un paese normale.
E i cittadini italiani, che hanno memoria corta, non hanno la possibilità di farsi una esatta idea della realtà.
E infatti veniamo alla notizia del giorno, così come io la fornisco a voi che state leggendo questo post. Così apparirebbe sulla prima pagina del mio quotidiano surreale: “Una spia dei servizi segreti militari italiani confessa in aula, alla Camera dei Deputati, di essere lui e non Sallusti l’autore del testo”.
Accanto a quest’articolo apparirebbero almeno due editoriali, firmati da due esponenti di rilievo del mondo professionale giornalistico o della classe intellettuale; diciamo uno di estrazione moderata, conservatore, l’altro di matrice progressista. Entrambi gli autori, nel nome dell’applicazione dello Stato di Diritto, scriverebbero una lettera aperta all’Ordine dei Giornalisti chiedendo “l’immediata convocazione del collega Alessandro Sallusti da parte del comitato interno dei probiviri per fornire spiegazioni relative al fatto di aver pubblicato un articolo, sapendo che era firmato da un giornalista  quando era ancora  radiato dall’albo per indegnità etica, perché  identificato, documentato e provato che si trattava di un regolare agente segreto, in forze al servizio di informazioni riservato militare del Ministero degli Interni, il cui compito consisteva nel pubblicare dei falsi costruiti. Per pubblicare tali falsi, l’autore era pagato con i soldi dei contribuenti. Scoperto, denunciato e processato per tale attività, il giornalista veniva conseguentemente espulso e radiato dall’albo. Il quotidiano “Il Giornale” era perfettamente a conoscenza dei fatti in questione, tant’è vero che per impedire l’insorgere di polemiche aveva accettato di pubblicare i suoi articoli firmandoli con uno pseudonimo di fantasia, coperto dal legittimo diritto alla privacy delle fonti giornalistiche”.  Accanto a questi due editoriali, un bislacco articolo firmato da un giornalista con lo pseudonimo “più-realista-del-re”. In tale articolo, l’autore si chiede se tale giornalista “avvalendosi di una inusuale prerogativa di guadagno che – per sua costituzione- esula dal’essere publicizzata perché è, per l’appunto, segreta, nel momento in cui diventa manifesta, non debba essere sottoposta a regolare fatturazione, e far parte della regolare denuncia fiscale presso gli organi competenti dell’ufficio nazionale delle tasse”.
Ma di che cosa stiamo parlando?
Stiamo qui parlando del segreto di Pulcinella.
Un nuovo scoop di questo blog che fa parte della serie “lo scoop che non è per niente uno scoop perché lo sanno tutti da sempre e perfino la rete è piena zeppa di abbondanti notizie su tale signore”.
E la notizia di ieri, quale sarebbe?
La seguente:
Ieri al pomeriggio, verso le 17.30, nello stupore generale, in diretta televisiva (Rainews24) poco dopo aver risposto all’on. Antonio Di Pietro, nel corso di una regolare interrogazione parlamentare relativa alla legge sulla diffamazione, il Ministro degli Interni, Cancellieri, si è sentita chiedere la parola da un deputato del PDL. Gliel’ha concessa.
L’onorevole Renato Farina, eletto nella circoscrizione di Como nell’elezione politica del 2008, si è alzato in piedi e ha dichiarato:
Signor Ministro, onorevoli colleghi, in margine a quanto stiamo affrontando in questa sede, e per fugare ogni rischio di ambiguità, rivendico la paternità dell’articolo apparso nel febbraio del 2007 sulla testata “Il Giornale” firmato con lo pseudonimo Dreyfuss. Io sono l’autore di quell’articolo. Sallusti non c’entra. E' vero, l'articolo in questione era sbagliato e chiedo scusa al giudice Cocilovo. Ma non lo ha scritto Sallusti, l'ho scritto io. E per evitare un'ingiustizia chiedo per il direttore la Grazia del Presidente della Repubblica o la revisione del processo. Intervengo per un obbligo di coscienza e per ragione di giustizia. Se Sallusti conferma la sua intenzione di rendere esecutiva la sentenza accadrà un duplice abominio: sarebbe sancito con il carcere l’esercizio del diritto di opinione e Sallusti finirebbe in prigione per errore giudiziario conclamato. Quel testo a firma ‘Dreyfus’  lo ho scritto io e me ne assumo la piena responsabilità morale e giuridica. Chiedo umilmente scusa al magistrato Cocilovo: le notizie su cui si basa quel mio commento sono sbagliate. Egli non aveva invitato nessuna ragazza ad abortire: la ha autorizzata, ma non è la stessa cosa. Chiedo umilmente per Sallusti la grazia al Capo dello Stato o che si dia spazio alla revisione del processo. Se qualcuno deve pagare per quell’articolo, quel qualcuno sono io”..

Poi si è rimesso a sedere.
La ministra lo ha ringraziato e ha cambiato argomento.
La notizia  ha avuto poco rilievo perché tutti eravamo presi dal fatto che Berlusconi viaggiava in treno invece che in aereo ed eravamo molto animati dall’interesse “politico” sulla nuova attività mercantile del consigliere regionale della Lombardia, Nicole Minetti.
Il problema consiste nel fatto che la confessione dell’on. Farina, obbliga automaticamente l’Ordine dei giornalisti a prendere atto che il direttore del quotidiano pubblicava articoli di un professionista radiato dall’albo “per indegnità, falso, diffusioni di notizie diffamatorie, originate e provenienti dalla sua provata e documentata attività di agente segreto al servizio del SISMI, come già ampiamente provato dalla Cassazione, oltre che da questo Ordine”.
Nessun rilievo alla notizia. Omertà della cupola mediatica.
Eppure si sapeva tutto da tempo, quantomeno nell’ambiente. Ma non si poteva dire perché non c’erano prove dirette. Con la confessione dell’agente segreto alla Camera dei Deputati, in diretta televisiva, da oggi lo si può dire. Ma non lo dice nessuno (perché sennò sono guai, è ovvio) e quindi l’Ordine presumibilmente non farà nessun intervento. Il che, tradotto, in termini di mercato, vuol dire che i servizi segreti italiani seguiteranno a inserire dei loro agenti (per l’appunto “segreti”) all’interno delle redazioni dei quotidiani, pagandoli in alcuni casi anche 5, 10, 15 mila euro per un solo articolo, purchè il contenuto venga stabilito “interessante e strategicamente rilevante ai fini della difesa e salvaguardia degli interessi nazionali dello Stato” (come recita la normativa interna che regola l’immissione dei disinformatori all’interno della cupola mediatica).
Questo fatto apre diversi fronti, tra cui, la reazione lecita di ogni cittadino italiano dotato di buon Senso, buona volontà e senso civico del pudore etico: “visto che è norma consolidata, accettata dall’Ordine, e da ieri anche “ufficialmente” dalla Camera dei Deputati, che gli agenti segreti vengano pagati con i soldi dei contribuenti per diffondere falsi dichiarati ed essere attivi nella pratica della diffamazione (“per la salvaguardia degli interessi nazionali”), che garanzie abbiamo che ciò non avvenga anche in altre testate? Magari avviene in tutte le testate? Quali sono gli autentici rapporti legali che intercorrono tra le testate cartacee –che usufruiscono di sovvenzioni statali e quindi sono pagate dai contribuenti, ad esclusione de Il Fatto Quotidiano- e gli uffici competenti del Ministero degli Interni e del Ministero della Difesa? Questo vuol dire che in Italia deve essere considerata pratica normale che i servizi segreti determino l’andamento del pensiero reattivo della cittadinanza, provocando quindi un orientamento anche in sede elettorale, decidendo dove e come e quando far scrivere articoli falsi e diffamatori sulle testate? Se La Stampa, la Repubblica, Corriere della Sera, i telegiornali Rai, La7, e tutti gli altri, oggi non protestano con vigore denunciando ciò che ieri al pomeriggio è accaduto è dovuto al fatto che sono completamente rimbecilliti? Oppure è legato al fatto che hanno anche loro qualcuno da nascondere e coprire nelle loro testate, visto che è considerata “norma usuale e consolidata”? Oppure, più banalmente, non lo fanno perché è meglio non correre rischi andando a scoperchiare il vaso di Pandora visto che prendono svariati milioni di euro l’anno dallo Stato e quindi basta una telefonata del Ministero degli Interni o del Ministero della Difesa per far cancellare la sovvenzione? Ma se non vogliono raccontare i fatti, se non vogliono correre rischi, che razza di giornalisti sono? A che cosa serve leggere le loro testate? Soprattutto, a chi?
La signora Sonia Alfano, Presidente della Commissione Antimafia Europea, così scriveva a proposito dell’on. Enrico Farina in data 11 giugno 2012 (lo trovate in rete, dato che è stato pubblicizzato in TUTTA EUROPA e l’intero continente ci considera un paese fascista medioevale anche e soprattutto per fatti come questi):

Convenzione di Strasburgo: relatore una spia, Betulla
11 giugno 2012 articolo firmato Sonia Alfano, Presidente Commissione Antimafia d’Europa.
Chi poteva essere a Montecitorio il relatore del testo della Convenzione di Strasburgo sulla corruzione se non un pregiudicato? Certo, non condannato per corruzione. Solo per favoreggiamento. Non si trattava però di un furto di galline, ma del rapimento dell’ex imam di Milano Abu Omar. Parliamo del deputato PdL Renato Farina, alias Betulla, radiato dall’Ordine dei Giornalisti per aver pubblicato su Libero un falso dossier preparato dal Sismi. Renato Farina, colui che, dopo il rinvio a giudizio chiesto dal sostituto procuratore di Milano Armando Spataro, scelse il patteggiamento nonostante si ritenesse innocente. Una scelta discutibile; se ti ritieni innocente affronti il processo e con tutta probabilità sarai assolto. Tant’è, ha preferito dichiararsi colpevole. Risultato: condanna a sei mesi di reclusione, commutati in 6.800 euro di multa. Betulla, peraltro, sostiene di aver agito in nome dell’art. 52 della Costituzione: “Difendere la Patria è sacro dovere del cittadino”. Inconcepibile. Per me. Ad ogni modo Renato Farina, nonostante tutto, ancora oggi è libero non solo di scrivere sui giornali (perché con una sentenza depositata il 30 giugno 2011 la terza sezione civile della Suprema corte ha annullato la radiazione da parte dell’Ordine dei Giornalisti), ma anche di fare il parlamentare, grazie al PdL che ha voluto premiarlo per il suo operato regalandogli un posto alla Camera dei Deputati, e persino il relatore di un provvedimento così importante ed atteso. L’Ordine dei Giornalisti (che non è di recente istituzione, sappiamo bene chi lo ha voluto) non lo ha mai difeso, mentre il partito di Berlusconi lo ha addirittura premiato, forse riconoscendolo come un giornalista sacrificato sull’altare del tanto vituperato giustizialismo. Oggi, dopo anni (tredici, per l’esattezza) di attesa, la Camera dei Deputati discute finalmente sulla ratifica della Convenzione. Noi cittadini onesti avremmo certamente preferito che il relatore fosse una persona limpida, non legata a certi ambienti, non condannata. Ma si sa, nel Parlamento italiano, e soprattutto tra le fila del PdL, è difficile. Oggi, nel ventottesimo anniversario della morte di Enrico Berlinguer, che tanto ci ha trasmesso sulla “questione morale”, il relatore della ratifica della Convenzione di Strasburgo è un signore con un “nome d’arte” (Betulla), che passava al Sismi informazioni “estorte” in ambienti giornalistici e con false interviste. E’ uno che riceveva dal Sismi decine di migliaia di euro. Insomma, una spia. Peraltro, nei mesi scorsi, il procuratore aggiunto milanese Ilda Boccassini gli ha inviato un avviso di garanzia in cui si ipotizzavano i reati di ‘falso in atto pubblico‘ e ‘falso commesso da un pubblico ufficiale‘. Il deputato-spia si era presentato nel carcere di Opera con un 18enne, per fare visita a Lele Mora, ma, piuttosto che presentarlo come amico personale di Mora ed ex aspirante “tronista”, lo ha presentato come “consulente per i rapporti umani”

In un video che trovate su you tube se vi interessa (datato 21 Gennaio 2008) il giornalista Marco Travaglio spiegava chi era Renato Farina, che cosa faceva, che cosa voleva da noi. Non ci fu, allora, nessuna reazione da parte della società civile e da parte della società politica che trovò normale, lecito e consuetudinario il fatto che venisse messo in lista elettorale nella specifica circoscrizione del PDL, fortemente sostenuto dal senatore Marcello Dell’Utri e da Silvio Berlusconi.
Sia la televisione che la stragrande maggioranza della stampa mainstream italiana ha  preferito non dar voce ai magistrati che hanno scelto di emettere questa sentenza, “apparentemente” odiosa e liberticida, di fatto, intelligente e bizantina modalità da parte della magistratura per lanciare (alla nazione) un gigantesco grido d’allarme –grazie signori giudici, io l’ho raccolto-  per l’intera popolazione italiana, relativa alla vera natura della posta attualmente in gioco; e allo stesso tempo inviare ai servizi segreti, al Ministero degli Interni e al Ministero della Difesa, un severo ammonimento per chiarire la loro indipendenza rispetto alle pressioni da parte dei servizi segreti. Come a dire. “esiste ancora il Diritto, noi lo applichiamo”.
Nel caso qualcuno ancora non lo sapesse, l’articolo incriminato si chiamava ‘Il dramma di una tredicenne. Il giudice ordina l’aborto’ e l’articolista, ovverossia la onorevole spia Renato Farina, accusava di omicidio il magistrato incitando il lettore, cioè l’elettore, cioè l’opinione pubblica, a muoversi traendone le dovute conseguenze.
Ecco che cosa sostiene la Corte di Cassazione:
Riteniamo opportuno precisare alcuni aspetti del caso Sallusti non esattamente evidenziati dalla stampa nei giorni scorsi. E cioè, primo fra tutti, il fatto che la notizia pubblicata dal quotidiano diretto dal Dott. Sallusti era falsa. La notizia pubblicata dal quotidiano diretto dal dott. Sallusti era ‘falsa’ (la giovane non era stata affatto costretta ad abortire, risalendo ciò ad una sua autonoma decisione, e l’intervento del giudice si era reso necessario solo perché, presente il consenso della mamma, mancava il consenso del padre della ragazza, la quale non aveva buoni rapporti con il genitore e non aveva inteso comunicare a quest’ultimo la decisione presa). A questo va aggiunto, inoltre la non corrispondenza al vero della notizia (pubblicata da La Stampa il 17 febbraio 2007) dato che era già stata accertata e dichiarata lo stesso giorno 17 febbraio 2007 (il giorno prima della pubblicazione degli articoli incriminati sul quotidiano Libero) da quattro dispacci dell’Agenzia ANSA (in successione sempre più precisa, alle ore 15.30, alle ore 19.56, alle 20.25 e alle 20.50) e da quanto trasmesso dal Tg3 regionale e dal Radiogiornale (tant’è che il 18 febbraio 2007 tutti i principali quotidiani, tranne Libero, ricostruivano la vicenda nei suoi esatti termini). A questo va anche aggiunto la non identificabilità dello pseudonimo ‘Dreyfus’ e, quindi, la diretta riferibilità del medesimo al direttore del quotidiano”.
La notizia, quindi, qual è?
Qui non c’entra la libertà d’opinione.
E nel nome di questa bandiera falsa, di questa falsa battaglia, di questo ennesimo FALSO, si rischia di garantire la totale immunità degli agenti segreti all’interno del mondo della comunicazione, esattamente come avveniva durante il fascismo.
Avete tutti gli elementi per comprendere e fare una vostra scelta personale.
La mia?
E’ presto detto:
FUORI  LE SPIE DAL PARLAMENTO DELLA REPUBBLICA
Prima che le spie finiscano per devalorizzare il parlamento a tal punto da poter legittimare  la sua soppressione.
Come fece Benito Mussolini.
Come hanno intenzione di fare.
Ribellarsi e denunciare questo stato di cose non soltanto è giusto, ma diventa, oggi, impietosamente doveroso.
Se non ci ribelliamo subito e tutti, domani, quando la mannaia si sarà abbattuta e l’intera nazione sarà finita sotto controllo militare, con un bel governo dittatoriale, nessuno di noi potrà più dire “io non lo sapevo”, “non ce ne accorgevamo”.
Diventeremo tutti dei fascisti, a nostra insaputa, per la seconda volta in 100 anni.
Temo che il disegno sia proprio questo.
Penso che ci siamo capiti.


mercoledì 26 settembre 2012

Dublino, Atene e Madrid in rivolta. L'Europa dei popoli si ribella. E noi?



di Sergio Di Cori Modigliani


La scritta che vedete qui riprodotta in bacheca ha decisamente un sapore rètro. E’, infatti, datata 28 aprile del 1968, quando apparve per la prima volta in pubblico a Parigi..
Il suo glamour vintage ha però una forte valenza simbolica, giustamente ignorata da chiunque abbia meno di 50 anni, se non per il fatto di averlo saputo da qualcuno.
Sociologi e antropologi sono d’accordo nell’averla identificata come il “nucleo originatore della cultura pop europea del movimento di protesta del ‘68”. Intraducibile.
Tant’è vero che nessuno ha mai osato neppure provarci.
La traduzione letterale sarebbe “non è che l’inizio, continuiamo a combattere”.
Basterebbe questo per spiegare e giustificare il ruolo protagonista che la Francia, come nazione e soprattutto come Cultura, ha avuto nella formazione, contagio e propagazione, della simbolica necessaria per costruire l’immaginario collettivo delle giovani generazioni. Questa frase è il simbolo del pop europeo.
Non è nata come “moda da seguire” proveniente, ad ovest, dagli Usa, o ad est dalle rivolte studentesche di quella che allora veniva chiamata la ”primavera di Praga”. Fu un mantra originale che si trasformò presto in una febbre e divenne lo slogan propulsore che diede avvio alle rivolte che cambiarono la faccia del sistema allora vigente.
Dietro questa frase c’era una classe intellettuale di pensatori superbi, impeccabili dal punto di vista etico-morale individuale, qualunque fosse la loro origine ideologica. Se c’erano delle contestazioni da fare – e ce ne furono allora a tonnellate- erano sempre comunque relative alle loro posizioni, applauditissime (alcune) detestate (altre). E la Francia diventò, di nuovo, 186 anni dopo la rivoluzione, il punto di riferimento di ogni ribellione europea. Anche la Spagna è sempre stata in Europa un punto di riferimento culturale e politico essenziale nella formazione dei necessari nuclei culturali di rivolta collettiva.. Ma allora (purtroppo per loro e per tutti noi) fu costretta al silenzio e all’isolamento perché viveva sotto la grigia e ferrea censura della dittatura franchista di stampo fascista; un regime al potere dal 1938 che proprio nel 1968 represse immediatamente, nel sangue e con il sangue, qualsivoglia possibilità anche remota di far partecipare il popolo spagnolo alla nuova epica europea.
L’Italia, come al solito, arrivò per ultima. Noi italiani, nei secoli, abbiamo assunto il ruolo dei “comodi pedinatori” delle mode, per scelta di convenienza. Tutto ciò che è accaduto di originale in Europa, in Italia è arrivato sempre con grave ritardo e quindi l’onda d’urto, per forza di cose, è arrivata affievolita. Con un’unica eccezione negli ultimi 300 anni: il fascismo.
Il fascismo è stato l’unico, il primo e l’ultimo, autentico movimento originale politico culturale che abbia permeato la nazione. Tutti i fascismi europei, da quello di Hitler in Germania a quello di Franco in Spagna e Salazar in Portogallo, sono nati come figli del fascismo italiano: il primo a irrompere sullo scenario della Storia. Ed è finita come sappiamo. Esaurita la sua carica, il fascismo avrebbe potuto essere per gli italiani “il primo” modello di rivolta e stravolgimento politico originale, che, in seguito, nei decenni a venire, avrebbe potuto e dovuto –una volta alchemizzato- consentire la gestazione di altri movimenti culturali di pretta originalità italiana che nascevano come evoluzione progressista delle istanze originali del fascismo. Invece non è accaduto. Dal 1946 in poi, si è abbattuta sull’Italia la peggiore tra tutte le cappe possibili: quella della negazione della realtà e dell’immediato passato, della rinuncia all’assunzione di responsabilità in proprio, della discussione, analisi, confronto, dibattito, della impossibilità di elaborare il lutto collettivo (doloroso e tragico come ogni lutto che si rispetti) consentendo al corpus sociale della nazione di dar vita a degli anticorpi necessari e sufficienti per avviare un processo alchemico di trasformazione che avrebbe spinto l’Italia verso la sua evoluzione e il progresso. Non è avvenuto nulla.
Non perché fosse negato o imposto dalla Legge. Anzi.
Per una ragione davvero molto elementare e banale, ma che ogni italiano sensato è in grado di riconoscere subito come “assolutamente tutta nostra”.
Il lutto, la discussione, il dibattito non ci fu, alla fine degli anni’40, per il semplice motivo che non si trovava un fascista a pagarlo a peso d’oro. Non solo. Non c’era più neppure un cittadino italiano che avesse il coraggio di sostenere che lo era stato, come se Benito Mussolini fosse stato un agente estraneo al dna culturale nostro e qualcuno lo avesse appiccicato sopra lo stivale obbligando la popolazione a seguirlo. Questa procedura, abile marchingegno culturale di derivazione gesuitica, comportò la possibilità (per i fascisti che contavano) di riciclarsi all’interno del nuovo sistema politico italiano, offrendo una pratica comportamentale identica a quella sperimentata decenni prima. Con la novità che seguitavano a essere fascisti sotto la bandiera del Vaticano, dei socialisti, dei comunisti, della democrazia cristiana. In tal modo, la società italiana ha seguitato a perpetrare il modello fascista e clerico-fascista senza aver prodotto alcun sistema immunitario adeguato, senza aver prodotto alcuna evoluzione, condannando se stessa a riproporre per l’eternità sempre e soltanto l’unico modello originale che ha prodotto. Tant’è vero che, quando nel 1969, il più libero e geniale provocatore intellettuale che l’Italia abbia prodotto negli ultimi 60 anni, Pier Paolo Pasolini, cominciò a denunciare l’allora sistema vigente come “la prosecuzione del sistema clerico-fascista di cui democristiani e comunisti ben rappresentano la mummificata deriva che impedisce all’Italia la necessaria mutazione antropologica” venne considerato un pazzo pericoloso, accettato soltanto come “artista capriccioso e visionario” ma niente di più. Finchè non venne identificato il pericolo reale delle sue argomentazioni e fisicamente eliminato. Come fecero anche con la Grande Madre del Pensiero Libero Italiano, una intellettuale poderosa, stupefacente interprete e leader di istanze davvero rivoluzionarie, Maria Antonietta Macciocchi (in Italia pressoché sconosciuta al 99% della popolazione) la quale nel 1969 venne radiata dal PCI “per indegnità”, rea di aver iniziato, allora, a denunciare “il pericolo del consociativismo tra l’uso clientelare del potere democristiano e le forze di opposizione, elemento pericoloso per il tessuto sociale, perché sta spingendo il paese verso una omologazione il cui fine obbligato sarà una totale e definitiva incorporazione di un concetto piatto e mercantilista dell’esistenza che spazzerà via il tessuto connettivo dell’intelligenza e della cultura nazionale”. Ci provò un grosso storico, un bravo intellettuale di area moderata, nel 1971, dopo un intenso e magnifico lavoro di ricerca documentata durato ben sette anni di lavoro collettivo, il Prof. Renzo De Felice, che diede inizio alla pubblicazione in diversi volumi della monumentale Storia del Fascismo pubblicata allora dalla casa editrice Einaudi di Torino. In Italia, il suo superbo lavoro venne considerato uno scandalo. Perché aveva osato –nel terzo tomo- dedicare 350 pagine all’analisi di quel periodo che lui aveva definito “Gli anni del consenso” nei quali descriveva, con la consueta meticolosità dei consumati storici d’archivio di prima caratura, il perché, il come, il quando, il quanto, il popolo italiano avesse amato e adorato il fascismo. Venne considerato un mascalzone reazionario. 25 anni dopo, l’Italia non era ancora pronta a ripensare se stessa. Allora, nel dibattito che si aprì (e frettolosamente si chiuse ) nacque una inèdita sorpresa: la cultura ufficiale cattolica sposò la tesi comunista e attaccò il prof. De Felice con le stesse identiche argomentazioni. Sintetizzate in una frase banale: “non è vero che Mussolini ebbe il consenso del popolo; gli italiani furono vittime innocenti di un dittatore”.
Non è così.
Aveva ragione il prof. De Felice, che riposi in pace.
Questa era una premessa per arrivare al tema del giorno che è il seguente:
“Comincia ad allargarsi, provenendo dalla Francia intellettuale, che sta svolgendo un ottimo lavoro capillare silenzioso, un nuovo movimento collettivo di rivolta in Europa. Che sta nascendo adesso in forme nuove e originali, e che ha come baricentro la Spagna”.
 Ma non è nato lì. Come “movimento” è nato in Irlanda, etnia orgogliosa, la quale da tre mesi sta affrontando tecnicamente un problema (un problema soprattutto per la BCE e per la Unione Europea) non di lieve entità: il partito Sinn Feinn ha lanciato, con enorme successo, lo sciopero delle tasse. Al 31 luglio 2012, il 67% dei cittadini che doveva pagare la loro IMU si è rifiutata di farlo, con una argomentazione davvero elementare e nient’affatto ideologica: “non abbiamo i soldi”. Il che vuol dire (in Irlanda vale l’uso delle nazioni anglo-sassoni dove l’evasione fiscale è considerato reato penale contro l’integrità dello Stato) che – in teoria- avrebbero dovuto mettere agli arresti milioni di cittadini. L’Europa, saggiamente e subdolamente, ha deciso la strada più ignobilmente sensata: far finta di niente. Gli irlandesi non hanno pagato, ma non verranno puniti, perché intanto si sono inventati di sana pianta un nuovo e magico dispositivo che consente loro (stanno cambiando apposta delle leggi) di pagare in un prossimo futuro. Ma le notizie, anche se esiste la censura della BCE, comunque sia, viaggiano. E, arrivate in Grecia, hanno provocato la richiesta da parte del governo greco “allora anche noi vogliamo delle dilazioni, perché gli irlandesi sì e noi no?” e non potendo dire loro “no, voi no” allora l’hanno risolta così:  la troika, ad Atene, avrebbe dovuto emettere un comunicato-sentenza  (la scadenza era il 15 settembre) e invece ha dichiarato “abbiamo deciso di rimandare l’emissione del nostro definitivo rapporto al 15 novembre 2012”. La BCE ha accettato.
Che io sappia, non c’è stato nessun giornalista italiano che abbia speso un grammo di energia per andare a domandare ai membri della troika: “perché il 15 novembre?”.
E’ la data entro la quale, secondo l’oligarchia finanziaria, i giochi dovrebbero essere stati fatti definitivamente. Puntano alla sconfitta di Chavez il 7 ottobre, alla sconfitta di Obama il 6 novembre e alla resa incondizionata del Giappone il 31 ottobre che,  per la prima volta nella propria storia dal 1945 ad oggi, abbandonerebbe la politica economica keynesiana –pena l’espulsione dal FMI  (è per questo che tengono il paese alla corda con la ridicola e pretestuosa storiella di quella isoletta sperduta nel pacifico) e accetterebbe di rispettare i parametri restrittivi, cancellando così il proprio programma di investimento di 2000 miliardi di euro previsto per il 2013. Puntano alla soluzione diplomatica della guerra civile in Siria, sostenuti dall’ingresso dei capitali qatarioti e arabo-sauditi dentro le industrie italiane e spagnole, si sposteranno le aziende più succose nel Golfo Persico e si userà l’Europa continentale come enorme bacino di mano d’opera e forza lavoro pronto a esportare ingegneri, architetti, scienziati, designer, manovali, edili, operai specializzati.  Come hanno spiegato molto bene alla televisione spagnola qualche giorno fa “davanti al ricatto o sei disoccupato e muori dalla fame oppure vai a lavorare a Doha, nel deserto, è chiaro che si accetta l’idea di andare lì; ma qual è il prezzo culturale ed esistenziale che paghiamo per tutto ciò? Vale la pena?”.
Ritorniamo quindi ai movimenti.
Dall’Irlanda e dal vicino Portogallo (continue manifestazioni, scioperi, serrate, scontri avvenuti negli ultimi quaranta giorni nel paese) e adesso la Spagna, si è venuto a formare un vastissimo movimento in tutta la zona mediterranea, che sta valicando anche i monti Pirenei, che è andato al di là della consueta e mediatica “indignazione”, perché è sostenuto da una teoria culturale. Ha la forza di un movimento originale autoctono. E’ basato sul recupero della narrativa esistenziale, sulla salvaguardia della propria forza locale e sul principio dell’auto-determinazione in funzione sovranista. A tal punto da aver svegliato addirittura le fantasie scissioniste dei catalani, da decenni assopite, visto che a Barcellona, a San Paol de Mar, si cominciano a formare – spuntano come funghi- delle fortissime sacche di protesta e resistenza non contro la BCE e non contro la Merkel, bensì contro il governo di Madrid, non più identificato come capitale del Regno, bensì come cancelleria di un governo globale extra spagnolo e quindi nemico della fortissima identità iberica di quell’etnia.
Noi, questo lusso, non ce lo possiamo ancora permettere.
Gli italiani non si sono neppure accorti che vivono sotto al fascismo, come potrebbero organizzare una ribellione a qualcosa della cui esistenza non sono consapevoli? Intendiamoci, non il “fascismo” inteso come sostantivo, ovverossia quella specifica ideologia che si richiama a Benito Mussolini, che ha quei simboli, quelle effigi, e pensa al Duce o clownerie del genere. Qui, uso il termine “fascismo” come aggettivo (nel senso pasoliniano e macciocchiano del termine) ovverossia l’identificazione di un sistema politico, culturale, mediatico e quindi anche e soprattutto economico, basato sull’idea che una ristretta cerchia di privilegiati oligarchici ha il diritto di esercitare un predominio di dominanza sul resto della popolazione perché sono superiori come classe, come ceto, come status, garantito dai partiti e dalla leggi vigenti. Il che mi consente di dire che Fiorito è un fascista (lui lo è anche come sostantivo) né più né meno di quanto non lo sia Lusi o Penati o Tedesco, i quali, in teoria sarebbero di sinistra, ma in realtà sono dei fascisti come aggettivo: è l’esecuzione della loro comportamentalità che li definisce. Che veicolino nei comizi dei discorsi di destra o di sinistra, laici o credenti, è irrilevante; così come è irrilevante il partito o la fazione alla quale appartengono.
Una ribellione autentica italiana (nel senso di “assolutamente originale e non scopiazzata”) non è la variante tricolore di” occupy wall street”, Dio me ne scampi e liberi. Quella sarebbe soltanto moda e marketing mediatico, quindi destinato a una pronta usura.
Un’azione originale, necessaria subito, consiste in una trasformazione individuale e interiore, prima di ogni altra cosa, che cominci a produrre delle immediate mutazioni comportamentali, compresi gli anticorpi necessari per individuare subito in qualsivoglia interlocutore il “fascista come aggettivo” andando a rifondare e ritrovare il seme proficuo della grande tradizione della Cultura Italiana, dove ci mescoliamo insieme Michelangelo e Adriano Olivetti, Federico Fellini ed Enrico Mattei: tutti fratelli tra di loro.
Perché quelli sono i Fratelli d’Italia.
E’ sulla esistenzialità che si verifica la novità originale.
E’ sull’applicazione di un nuovo modello psico-culturale che non sia fascista, che non sia autoritario bensì autorevole, che non sia spaventevole bensì eccitante, che non sia avvilente bensì esaltante, in grado di fornire un nuovo modello culturale della solidarietà a partecipazione umana, che parta dal presupposto di porre al centro di ogni vicenda, ogni teoria, ogni impulso, ogni discorso, le persone nella verità delle loro esistenze. E non più teorie, aliquote, grafici, tendenze, mode, e astruse locuzioni incomprensibili che finiscono per operare in maniera terroristica offuscando la possibilità di praticare il libero esercizio del proprio pensiero. Esattamente come operava il fascismo (come sostantivo).
Il vero problema italiano, tutto italiano, non consiste nel fatto che non si hanno più neppure dieci euro, bensì nella codificazione delle proprie fantasie più profonde, tali per cui si invidia uno come Fiorito invece che nutrire per lui un sereno e naturale disprezzo civile. Quando ciò accadrà, quando il furbo sarà disprezzato e non invidiato, allora si potrà cominciare a pensare all’ipotesi di poter organizzare e gestire delle manifestazioni coordinate di protesta come in Spagna.
Quando cominceremo a riappropriarci del Senso esistenziale della Cultura, che avrà abbattuto il fascismo che è in noi, allora saremo pronti a costruire un’alternativa.
Perché la consapevolezza nasce dall’assorbimento e interiorizzazione di una Cultura italiana innovativa, che va verso l’evoluzione della nostra etnia.
Nel frattempo, non possiamo che seguitare a seguire mode altrui.
In attesa che nostra zia Maria ci telefoni per darci la buona notizia che ha convinto il cugino Piero (che noi disprezziamo da sempre) a farsi latore presso l’assessore di turno per aggirare la Legge. Nel nome di “tengo famiglia”. Lo stesso principio che nel 1943 spingeva qualcuno ad andare alla Gestapo a fare la delazione di anime innocenti per avere un tornaconto.
Se non si uccide il fascista aggettivo che è in noi non si può aspirare a pensare di combattere un governo fascista sostantivo. Gli spagnoli lo sanno benissimo. Loro hanno avuto Garcia Lorca. Noi no. E’ per quello che protestano, noi non lo possiamo ancora fare. 
Siamo un popolo di fascisti invidiosi, questo siamo diventati. 
E tanto prima ne prenderemo atto, tanto più ce ne libereremo.
La strada è ancora molto lunga.
Sta a ciascuno di noi fare in modo che il percorso si accorci sempre di più, per regalarci di nuovo lo splendido panorama di una possibile utopia per la quale valga la pena di combattere e poter capire, dentro al nostro cuore, il Senso di una bellissima frase del reverendo Martin Luther King “se un uomo non riesce a trovare, nella propria esistenza, qualcosa di talmente forte per cui vale la pena di morire pur di sostenere quell’idea, quel principio, quel valore, allora quell’uomo ha buttato via la sua esistenza e la sua vita non vale nulla”. 
Lui ci credeva nella sua lotta per dare pari dignità ai neri d’America, e si è fatto uccidere per questo. Sapeva che di lì a qualche decennio un nero sarebbe diventato il loro presidente. Da noi ci sono stati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, sono stati i nostri Luther King.
Il fatto di toccare con mano che la vittoria della criminalità organizzata in Italia, oggi, passa attraverso la constatazione che la classe politica che ci rappresenta ha incorporato un atteggiamento individuale di “autentica criminalità esistenziale legalizzata”, la dice tutta sull’inutilità del loro sacrificio e sul grave ritardo dell'intera cittadinanza, compresi i movimenti tutti. Nessuno escluso.
Restituire alla Cultura la prerogativa dell’egemonia sul gossip, vuol dire recuperare il gap.
Non abbiamo molto tempo.