di Sergio Di Cori Modigliani
“L’Italia è l’unica nazione capitalista al mondo, in cui
il comunismo non mai caduto”.
Indro Montanelli. Ottobre 1999.
Primo
post di una serie di 2.
Geopolitica
e trattativa stato-mafia.
Silvio
Berlusconi è un leader politicamente finito.
Lo
sa lui, lo sanno i suoi, lo sanno tutti.
Tutto
sta a vedere –questa è l’unica risposta ancora da decifrare- se finirà nei guai
anche economicamente, finendo sul lastrico, trascinandosi appresso tutte le sue
aziende, ma proprio tutte, nessuna esclusa. Il che, non è probabile, ma è
ampiamente possibile.
Dipende
da lui salvare la sua ricca baracca o meno.
Sempre
che, nel suo personale e comprensibile delirio di onnipotenza -per quanto
pragmatico, cinico e realista- non sia stato preso anche lui da un attacco di
mitomania e abbia finito per credere, pensare, e addirittura convincere i suoi,
che lui è uno di quelli che davvero contano. Sarebbe davvero doloroso, oltre
che per se stesso, i suoi familiari, i suoi seguaci, i suoi dipendenti e tutte
le sue clientele di miserabili straccioni appresso, anche e soprattutto per
l’economia nazionale e la salvaguardia dell’intero paese.
Chi
dovesse pensare, in questo momento, che Berlusconi è finito nei guai per via
della condanna della Cassazione, si sbaglia di grosso: ha preso un tragico
abbaglio.
Vuol
dire che non è informato su ciò che è accaduto in Italia (e nel mondo) negli
ultimi 20 anni, non ha capito ciò che è accaduto negli ultimi due anni, e
soprattutto ciò che sta accadendo in Egitto, in Usa, e nell’economia italiana.
Ma soprattutto vuol dire che è caduto nella trappola della comunicazione
berlusconiana, tutta protesa a far credere proprio questo di lui: una vittima
della magistratura italiana.
E’
esattamente il contrario.
La
magistratura italiana non è poi così tanto libera, né indipendente e nemmeno coraggiosa (come vogliono farci credere) da andare a impelagarsi per
davvero con uno che conta. Non lo ha mai fatto in Italia, se non in brevissimi
tratti della Storia di un passato, ahimè, davvero molto remoto, quasi antico.
Altrimenti, a quest’ora, nelle patrie galere, in una oscura cella in qualche
sotterraneo bunker, languirebbero nel dimenticatoio gli assassini di tanta
brava gente innocente, i nostri tanti (troppi troppi troppi) compianti
cittadini, uccisi come animali, nelle varie stragi operate dallo Stato, dalla
bomba alla Banca Nazionale dell’Agricoltura a Piazza Fontana, il 12 dicembre
1969 a Milano, al massacro di civili a Piazza della Loggia a Brescia; dalle
bombe sul treno Italicus alla strage nella stazione di Bologna. Passando per
l’assassinio dei giornalisti Mauro De Mauro, Mauro Volterra, Mauro Rostagno,
Ilaria Alpi, del generale Dalla Chiesa, di Giovanni Falcone e di Paolo Borsellino, per dirne alcuni. E per non parlare delle
migliaia e migliaia di aziende mandate in fallimento da mafiosi, ‘ndranghetisti
e camorristi, con la rovina esistenziale delle vite di centinaia di migliaia di
onesti cittadini italiani, senza che lo Stato abbia mai fatto sentire la
propria presenza ed esistenza sul territorio. La magistratura italiana è, per
l’appunto, italiana. E’ composta da ottimi professionisti, che sono prima di
tutto italiani in carriera, e non baldi eroi donchisciotteschi. Nessuna persona
importante in campo politico ha mai pagato il suo conto con la magistratura nel
nostro paese. Mai. A meno che non abbia fatto il riottoso, il ribelle, il
mitomane, l’onnipotente. Come nel caso di Bettino Craxi.
E
quando accade, allora si fa di necessità virtù.
Quando
al senatore Giulio Andreotti –uomo davvero intelligente e molto pragmatico-
hanno spiegato e comunicato che il suo turno era finito e lui era licenziato
per sempre, non si è affatto scomposto. Ne ha preso atto, ha ringraziato per il
sollazzo ottenuto in quei decenni e si è ritirato a vita privata scomparendo
nel nulla. E’ morto di vecchiaia venti anni dopo, allietato dall’affetto dei suoi
cari.
Mi
auguro sinceramente per Berlusconi (non voglio, per principio, mai il male di
nessuno) che sia in grado di far prevalere l’intelligenza sull’ansia di
vendetta, il pragmatismo sull’irreale delirio di onnipotenza. Gente ben più
importante di lui e 100 mila volte più ricco e potente, da Chang Kaishek a
Gheddafi, da Saddam Hussein a Somoza, quando gli è stato presentato il
benservito, compresa lauta liquidazione, pensione dorata e magari anche un
anticipo miliardario per un libro di memorie, hanno scelto di dire mai nella vita pensando di essere
persone che contavano in maniera autonoma. Si erano dimenticati di essere solo
e soltanto degli impiegati utili, chiamati a interpretare sullo scenario della
vita politica internazionale la parte di quelli che contano per davvero, da
bravi attori consumati. Hanno finito per identificarsi con la parte, tragico
errore che nessun grande professionista commette mai.
Berlusconi
è finito nell’agosto del 2011 e, come al solito, ci ha tenuto a fare lo
spiritoso. Quando le sue aziende, il 30 ottobre di quell’anno, sono arrivate
“ufficialmente” alla canna del gas, ha prevalso il senso pratico del
businessman e si è ritirato. Non era certo contento e soddisfatto. Ma in un
mondo realista, sarebbe riuscito addirittura ad ottenere dei crediti di stima
da parte di chi contava per la sua capacità, diciamo sportiva, di prendere atto
della situazione e finire, perché no, come Andreotti. In perenne ritiro
spirituale. Invece no. Dal suo punto di vista ha anche ragione, è comprensibile,
dato che il suo comportamento denota una personalità infantile regredita. Ha
detto: “allora, se le cose stanno così, ce ne andiamo a casa tutti” come Beppe
Grillo augurava e, se ben ricordate, consigliava addirittura con generosa
bonomia. Ma gli hanno risposto: “nient’affatto, a casa ci vai soltanto te”. I
compagni di cordata pensavano di essere più furbi di lui ma dopo qualche
mesetto si sono accorti che la faccenda si stava invece complicando alla
grande. Perché in verità, se fossero andati tutti a casa nell’ottobre del 2011
-ma allora, ahimè, non c’erano le condizioni- l’Italia, a quest’ora, navigava
nella complessa e multiforme gestione della ripresa post-recessione e il peggio
ce lo avevamo ormai alle spalle, soprattutto in campo economico.
Invece,
sta precipitando sotto gli occhi di tutti. Oops! Volevo dire, sotto gli occhi
di chi vuole, può e sa vedere.
Gli
amici di merenda e scorribande gli hanno detto: “ok facciamo un altro giro”
pensando così di averla fatta franca. Anche loro erano convinti di essere gente
che conta, da Mario Monti a Enrico Letta, da Massimo D’Alema a Pierluigi
Bersani. Non sono individui con il senso dello Stato, dotati di lungimiranza e
ampie vedute. Si sono messi di buzzo buono e gli hanno salvato le aziende (in
cambio di un velo pietoso su tutte le squallide vicende di Mps, della Banca
della Marche, della Banca Carige, della Banca Popolare di Emilia Romagna, della
Fondazione San Paolo, ecc. senza che la magistratura –e il Tesoro- “osassero”
dire neppure una parola, neanche un intervento, neppure un paio di manette
importanti) consentendogli una ricapitalizzazione in borsa di ben 4 miliardi di
euro e mettendo il nostre prode cavaliere nella felice e invidiabile condizione
di andare a trattare a Londra con Rupert Murdoch da una posizione di forza,
senza buttarsi per terra chiedendo pietà. Un record borsistico europeo: dal 25
febbraio 2013 al 10 agosto un balzo di ben 156%.
I
nostri ottusi piccolo-borghesi, però, avrebbero dovuto già cogliere proprio i
segnali londinesi. Già da lì era chiaro come si stava mettendo la faccenda.
Rupert Murdoch, il più abile squalo predone nel campo mediatico planetario,
infatti, è uomo che quando si siede a un tavolo per trattare un affare non si
alza finchè non ha ottenuto ciò che vuole, ed è noto per la sua velocità di
esecuzione. Se fiuta l’affare, firma immediatamente. Invece, con scuse varie,
ha cominciato a prendere tempo facendo sapere a The Economist, al Financial
Times, al Wall Street Journal che non era poi “tanto convinto” dei rapporti
presentati dai consulenti di Ubs (colosso finanziario svizzero che spingeva
all’acquisto di Mediaset in borsa) e aveva bisogno di tempo per riflettere. I
nostri baldi impiegati, invece, non si erano accorti che, nel frattempo, le
condizioni internazionali stavano mutando a un ritmo impressionante. Eppure gli
era stato spiegato. Ma loro, prima di ogni altra cosa, sono italiani, quindi si
considerano abilitati a comportarsi seguendo regole di ambiguità, di menzogna,
soprattutto doppiogiochismo, e invece di applicare complesse e vincenti
strategie a lungo termine, badano al sodo: pochi, maledetti e subito. Proprio
come nei western di Sergio Leone. In fondo, l’Italia è diventata proprio il set
di uno spaghetti western, dove la cittadinanza sopravvive alla meglio facendo
la comparsa, nella speranza di non beccarsi una pallottola vagante.
Le
alleanze politiche internazionali che erano in piedi nel settembre del 2011,
non esistono più. Checchè ne pensino i complottisti d’accatto e quelli che non
vedono al di là del proprio naso, il mondo, oggi, è completamente diverso dal
punto di vista economico, politico, sociale, da quello che esisteva nell’agosto
del 2011. Essendo l’Italia un paese ingessato e congelato nel Tempo, è
difficile da noi cogliere le modificazioni, i cambiamenti, gli slittamenti
progressivi, perché noi viviamo sotto una cappa virtuale che impedisce di
leggere la realtà internazionale. Stando in Italia, è impossibile sapere come
va il mondo. Ad agosto del 2011, la Cina andava alla grande, e la Germania la
seguiva a ruota, il Sudamerica era finito sotto la scure del Fondo Monetario
Internazionale, il Giappone, la Francia e gli Usa soffrivano sull’orlo di un
gigantesco disastro annunciato, con enorme felicità della Russia che aveva
accelerato la sua alleanza con i cinesi prendendo possesso di tutto ciò che
poteva, sia in Africa che in Europa, sorretti entrambi da un accordo di ferro
con le due più importanti economie asiatiche e occidentali, troppo prese dalla
risoluzione dei propri problemi interni per occuparsi sempre del resto del
mondo.
24
mesi dopo la situazione internazionale è completamente diversa. La Cina ha
iniziato a frenare e già intravede spaventosi guai all’orizzonte (loro sono una
etnia con lo sguardo lungo) e trema alla grande, la Germania comincia –con
autentico malcelato terrore- ad accorgersi che, forse, la sua idea della
gestione dell’euro e del continente finirà –come sempre è accaduto in Europa-
per trasformarsi in un gigantesco boomerang. In compenso, la Francia si sta
lentamente ma certamente avviando a sostituire l’Italia come seconda economia
in Europa acquistando a man bassa aziende decotte nostrane, mentre il
Sudamerica ha trovato un inatteso appoggio all’Onu e alla Banca Mondiale da
parte degli Usa. Il Giappone è ripartito alla grande e si sta riprendendo tutto
il mercato del sudest asiatico strappandolo ai cinesi, che glie lo avevano
soffiato a metà degli anni’90. Gli Usa stanno già marciando alla grande a un
ritmo economico da vertigine, al punto tale da aver scelto di frenare in alcuni
comparti della propria economia. Da notare la diffusione di annunci mediatici
di fondamentale importanza, di cui in Italia non è stata fatta neppure
menzione. Il Wall Street Journal ha pubblicato un esaustivo pezzo, poi
commentato dal presidente in persona in una conversazione televisiva, nel quale
(due giorni fa) gli Usa hanno annunciato di essere la prima nazione al mondo
che può “permettersi il lusso di potersi definire totalmente autosufficiente al
100% nel campo energetico, alimentare, dei servizi, e dell’alta tecnologia
elettronica”. Non devono acquistrare nessuna di queste merci da nessuno, quindi
non sono ricattabili. Hanno scelto di mandare definitivamente in pensione il
carbone, riuscendo a battere la potentisima lobby dell’industria estrattiva che
la sosteneva, ormai arresa all’evoluzione dei tempi. Si sono già riconvertiti
alle energie eco-sostenibili alternative per un 25% e contano per il 2017 (cioè
dopodomani) di raggiungere il 50%. Calcolano che nel 2055 non consumeranno più
neppure una goccia di petrolio. Hanno convinto le grandi multinazionali
petrolifere texane e californiane ad iniziare un gigantesco piano di
riconversione industriale, considerato molto meno costoso per l’amministrazione
statale che non andare in giro per il mondo a fare guerre inutili e criminali per
dei pozzi di petrolio. Ed è molto più profittevole per quelle industrie. Il più
importante sostenitore finanziario, in Usa, oggi, dell’energia eolica e solare
è formato da un consorzio i cui principali azionisti sono la Federal Reserve,
Il Ministero dell’Industria, la Mobiloil e la Texaco. Com’era da noi l’Iri nel
1970. Idem per il Giappone. La Cina, dal canto suo, ha aumentato del 156% la
produzione di carbone altamente inquinante ed è diventato il primo acquirente
di carbone dalla Russia che vendeva agli Usa per un controvalore annuo (2005) di
ben 25 miliardi di euro all’anno, cifra che nel 2013 è stata ridotta a zero. Se
vanno avanti così, i cinesi finiranno per suicidarsi tutti morendo dentro una
gigantesca camera a gas a cielo aperto, che si stanno costruendo da soli.
Tutto
ciò ha modificato completamente gli equilibri planetari perché ha lanciato il
concetto di “glocal” come nuovo modello di crescita mondiale, una buona sintesi
armonica tra protezionismo necessario e abbattimento delle frontiere.
L’Italia,
che seguita a essere importante dal punto di vista strategico, è finita, in
virtù del proprio immobilismo, al palo.
E
poiché si è in guerra e a dettar legge, in questo momento –nel senso di quelli
che davvero contano- sono gli Usa, Giappone e Sud America da una parte e
Cina-Russia dall’altra, i giochetti all’italiana, per l’Italia, non vanno più
bene.
Così
come la musica era cambiata nel 1992, quando la Cia mandò in soffitta la loro
criminale politica di gestione degli affari italiani, così oggi l’Italia si
trova costretta a prendere atto che si è verificata una nuova gigantesca
trasformazione planetaria che impone un totale, nonché definitivo, cambiamento
generazionale nella gestione del paese. Vero.
Tradotto,
vuol dire che il maquillage non funziona ed è inutile.
Tradotto,
vuol dire che l’attuale classe dirigente politica italiana sta interpretando il
proprio ruolo considerando se stessi come depositari di una interpretazione
economica, sociale, politica e psicologica che è obsoleta, al di fuori della
attualità e del mondo reale, e non fa gli interessi dei padroni che li avevano
assunti, nei diversi decenni, come deferenti e baldi impiegati al lioro
servizio.
Sono
diventati inutili.
Ma
loro non lo hanno capito.
Oppure,
fingono di non averlo capito.
Tant’è
che dall’11 agosto è ricominciato il bailamme di Mediaset in borsa. In sole
cinque sedute ha perso circa 600 milioni di euro, idem Mondadori e Mediolanum che
comincia a scricchiolare di nuovo. Diciamo, per essere franchi, che –per il
momento- tutti gli investitori stranieri hanno scelto e deciso di mollare il
nostro prode cavaliere. Il segnale è chiaro e forte. Anche dichiarato. In
Italia invece si parla di diritti costituzionali e altre dabbenaggini del
genere.
Rupert
Murdoch mica è scemo. Già oggi paga tutto con un 12% in meno rispetto a dieci
giorni fa.
Tutto
ciò per spiegare le motivazioni del cosiddetto “rigurgito aggressivo del PDL a
sotegno della necessaria agibilità politica del loro leader”: roba da clown di
periferia.
Il
cavaliere è sato fondamentale per le multinazionali anglo/americane e per la
gestione italiana da parte dei colossi finanziari del nostro patrimonio
industriale dal 1993 al 2011. Adesso non serve più, è stato già licenziato. La
magistratura italiana, sempre ottima, accorta e lungimirante, nel saper leggere
chi comanda e chi serve, ha preso atto di uno stato di cose direi, di banale
oridnaria amministrazione. Il problema non è più Berlusconi né tantomeno i
giannizzeri straccioni del suo seguito di elemosinieri da strapazzo, bensì il
management del PD. Sono loro la vera anomalia della nazione. Non possono
dichiarare lo stato delle cose, perché così facendo perderebbero le loro
clientele alimentate dalla corruttela del patto eterno con il cavaliere.
Ma
il grande problema, questo sì fatale, in questo momento di crisi internazionale
e di grandi rivolgimenti, ci rende terribilmente fragili: il controllo totale
della criminalità organizzata, attraverso la politica, dei gangli vitali della
Repubblica, delle Istituzioni, dell’industria, delle banche, dei media,
dell’intera economia. La totale presa di possessso del terreno economico
nazionale, soprattutto nel settentrione, è l’unico segmento in cui ha trionfato
il “glocal all’italiana”. Leader del Made in Italy nel mondo è diventata la
criminalità organizzata siciliana, calabrese, napoletana. Lo sanno tutti.
Ma
c’è un problema.
Lo
stesso identico problema che si era verificato nel 1992.
Di
questo ne parliamo nella seconda puntata, domani o dopodomani.
Tutto
ciò per condividere, con voi, tutta questa fuffa berlusconiana: è tutto fumo
negli occhi. Si arrampicano sugli specchi arraffando nel frattempo ciò che possono.
Sia
il PDL che il PD.
I
giochi, in questo momento, sono ben altri.