domenica 30 dicembre 2012

Finalmente provata l'esistenza del "Paradosso della Surrealtà": si trova nel cuore dell'Europa, sulle rive del Mar Baltico.



di Sergio Di Cori Modigliani


Questo è un post geo-politico molto particolare.
Sostiene una idea che, magari chi lo sa, può essere utile per comprendere alcuni misteri della situazione attuale europea. Per alcuni potrebbe trattarsi di un teatro fantascientifico, per altri di una ipotesi priva di valore. Prendetelo per ciò che è: una palestra ipotetica sulla quale riflettere e interrogarsi per cercare di comprendere.
Lo sapevate che Immanuel Kant è russo e non tedesco?
E anche lo scrittore e geniale pittore  E.T. Hoffman?
E anche la filosofa e scrittrice Hanna Arendt?
E’ ufficiale.
Se li riesumassimo dalle loro tombe, dovremmo notificargli il fatto che loro sono, a tutti gli effetti, russi e non tedeschi.
Una scoperta davvero sensazionale; sono i primi regalucci del post-Maya.
Quanti sono, a saperlo, in Europa?
Prima di dare al pubblico quella che io considero la più “sensazionale notizia” dell’intero 2012,  comunicata ufficialmente in data 27 dicembre 2012, senza che nell’intero continente europeo vi sia stata fatta menzione alcuna, è necessario introdurre una premessa.
“Come si fa a sapere in che cosa consiste ciò che non sappiamo?”
Sembra una domanda retorica, e invece è un quesito alla base della nuova realtà post-Maya.
Io, ad esempio, so con certezza di non sapere guidare un aereo, di non saper costruire un ponte, di non saper cucinare i soufflé di verdure di cui sono peraltro ghiotto. Ci sono tante tante altre cose che so di non sapere, come la maggior parte di tutti voi. Ma così come c’è un limite individuale alla conoscenza umana (nessuno –tranne Dio- è in grado di poter sapere tutto) c’è anche un limite alla non conoscenza. Tant’è vero che la maggioranza degli individui neppure sa (né, ahimè, se lo chiede) che cosa non sappia.  In verità è molto più grande e vasta la zona di “tutto ciò che non sappiamo senza sapere di non saperlo” paragonata a quella di tutto ciò che non sappiamo sapendo di non saperlo.
Anche senza essere né esperti né curiosi di fatti mafiosi, in quanto italiani, sappiamo che la mafia esiste e quindi –tanto per fare un esempio- sappiamo che di quei fatti, degli appalti, dei rapporti tra politici e mafiosi, dell’attività sul territorio dei poteri criminali, esiste un gigantesco scenario, tetro e sporco, di cui noi tutti siamo consapevoli di non sapere come funziona, chi sono e cosa hanno combinato; perché non abbiamo le informazioni, le prove, i dai certi. Diciamo che sappiamo con certezza di non sapere, e quindi, quando chiacchieriamo con un amico a cena, inevitabilmente diciamo “Mah! Caro mio, chi lo sa che cosa c’è sotto?”.
Ma come è possibile avere accesso a quella zona che rimane invece “inconoscibile”?
E’ la più importante in assoluto, perché lì alligna lo sporco clandestino.
La rivoluzione operata nel campo della comunicazione dalla novità del web consiste nel fatto che (per tantissime persone per la prima volta) c’è stata data la possibilità di toccare con mano –magari per errore o per pura casualità- di andare a sbattere da qualche parte dove abbiamo scoperto che esistono dei teatri di cui noi neppure immaginavamo l’esistenza, quindi non sapevamo di non sapere. Il web, agli inizi, è stata una portentosa e imbattibile rivoluzione proprio per questo motivo. Poi, poco a poco, il sistema oligarchico che gestisce la cupola mediatica ha capito che doveva garantirsi da questo pericolo e così ha costruito –con abilità- dei corridoi, dei binari, delle linee guida preconfezionate sulle quali far scorrere la cosiddetta informazione (comprese notizie “apparentemente” scomode) che garantiscono un flusso costante, continuo, e libero di date, dati, opinioni, flussi di pensiero, a condizione che non si corra il rischio di squarciare il velo su quella “zona nera” della vicenda umana, ovverossia: tutto ciò che noi non sappiamo di non sapere.
Dei cui contorni, poco a poco, e sempre di più, si comincia a delineare la forma.
Facciamo un esempio molto chiaro: tutti noi, sia chi viene da destra e chi viene da sinistra, consideriamo la vita italiana, dal punto di vista socio-politico, come un esercizio democratico che ha garantito il progresso nei decenni cambiando la società italiana, con qualche protesta a destra, qualche protesta a sinistra, ma tutti tronfi nel salvaguardare i principii della democrazia italiana. Ma se noi prendessimo (grazie a un marchingegno di alta bio-tecnologia fantascientifica, inventato questa mattina) le ossa di Michelangelo, Raffaello, Leonardo da Vinci, Lorenzo Bernini, li rimettessimo in vita e dessimo loro l’elenco del telefono, capiremmo che in Italia la democrazia non è mai davvero esistita “ma noi non sapevamo di non saperlo”. Tant’è vero che i nostri gloriosi predecessori (ai loro tempi frequentatori di quelli che allora contavano) si renderebbero conto che le famiglie e le dinastie dominanti del ‘400, ‘500, ‘600, ‘700 sono le stesse identiche di oggi. Le più importanti dieci famiglie di Firenze, Roma, Milano, Palermo, Messina, Napoli e Venezia, oggi, dicembre 2012, sono le stesse degli ultimi 500 anni. Non avrebbero nessun problema a rapportarsi con i discendenti dei loro amici, perché l’Italia è, tra le nazioni d’occidente, quella in cui nei secoli si è verificata la più bassa quantità e qualità di cambiamenti nella vita politico-sociale. Tutti i governi, pur nei loro distinguo, hanno provveduto a rappresentare per delega la conservazione dello status quo. I più abili sono stati coloro che sono riusciti a inventare la migliore finzione possibile. L’Italia, infatti, è l’unico paese in occidente nel quale non si è mai verificata una rivoluzione, una rivolta sociale, e nessun governo è mai stato abbattuto nella Storia dall’opposizione antagonista. Chi cade, in Italia, lo fa perché rimane vittima di un complotto dei propri associati più avveduti, i quali si “trasformano” in opposizione perché si sono già accordati con l’oligarchia al fine di modificare l’assetto, rappresentandola in maniera più efficace ed efficiente. I fascisti hanno abolito il fascismo, i comunisti hanno abbattuto il comunismo, i democristiani hanno spento la democrazia cristiana, e così via dicendo.
Monti, Bersani, Berlusconi, Vendola, e tutti gli altri, sono attori di una piece che è sempre stata la stessa; nessuno ci ha mai informato sulla qualità dei retroscena e sulla vera realtà della situazione, quindi non c’è alcuna possibilità di poter districarsi in un giuoco delle parti di cui noi ignoriamo la tessitura. Gran parte della classe intellettuale italiana ha svolto un ruolo importante nel provvedere a fare in modo che la gente non potesse neppure sospettare “ciò che non sa”.
I media italiani, e anche il nostro web, funziona quindi su questa linea.
Se infatti applichiamo la domanda relativa a “che cos’è che non sappiamo di non sapere” alla realtà dei media e soprattutto al mondo dell’informazione sul web, ci rendiamo conto che “il mito della rete” è, per l’appunto, una mitologia commerciale. La gente crede di trovare tutto, in rete. Chi lo sa, magari è anche vero. Ma se uno non è consapevole di ciò che non sa, non potrà trovarlo mai, perché non sa che cosa andare a cercare.
Negli ultimi eccezionali seminari della sua carriera di filosofo, il prof. Richard Rorty, in California, nei primi anni del nuovo millennio, incitava gli studenti a inerpicarsi nella meravigliosa e spaventevole salita di “tutto ciò che non sappiamo di non sapere” dando inizio a un diverso modo di porre le domande, spostando l’accento e quindi i quesiti, “uscendo dalla Storia intesa come gossip o come palestra investigativa” e cercando di aprire la propria mente nell’immaginare scenari (del passato) –tanto per fare un esempio- inconcepibili, addirittura opposti a quelli offerti dalla documentazione attuale disponibile. Come dire, abituarsi ad un ragionamento basato su paradossi.
E’ una tecnica che oggi, in Italia, in un paese anormale, dove c’è ormai la consapevolezza che viviamo in una Surrealtà del Paradosso, può essere davvero molto fruttuosa. La consiglio a tutti. E’ una delle pratiche della vita post-Maya. Invece di insistere nel chiedersi “ma perché hanno ucciso Aldo Moro?” sapendo di non sapere e quindi essendo consapevoli che si finirà comunque a sbattere contro un muro, optare per una scelta di domande di tipo diverso, magari cominciando a porsi delle domande assurde e all’apparenza prive di Senso, del tipo “ma perché non hanno ucciso Achille Occhetto nel 1993?”. La domanda, presentata qui nella sua forma bruta, appare come razionalmente idiota e anche stupida, del tutto insensata. Ma esiste una possibilità che possa condurre da qualche parte dove, magari, si finirebbe per avere accesso a una impensabile realtà documentata.
Non bisogna dimenticare come le oligarchie che gestiscono il potere planetario, da sempre, in ogni continente, nazione, etnia, gruppo, consorzio umano, non appena iniziano ad esercitare il potere su altri individui, la prima cosa che hanno sempre fatto sia stata quella di evitare l’accesso alla diffusione del sapere, ridurre al minimo possibile l’opportunità di sapere, imbrigliare i codici della realtà e fare in modo che si assottigli sempre di più lo spazio mentale che consente di chiedersi “che cosa c’è che non so?”.
L’istruzione e l’educazione, infatti, per millenni sono sempre state appannaggio degli individui che ruotavano intorno alle specifiche oligarchie, economiche, politiche, religiose. Così sono nate e si sono costituite le “caste”: coloro che sanno. I più abili manipolatori hanno provveduto, nei millenni, ad ammantare di una sacralità magica i depositari del sapere e della conoscenza. In Francia, ad esempio, il re era considerato un sovrano assoluto, illuminato direttamente da Dio Onnipotente, e come tale in grado anche di guarire. L’ultimo mercoledì del mese, il sovrano, a Versailles, riceveva i fortunati che avevano ottenuto l’accesso che avevano guai fisici o psicologici e con le sue mani sante li curava. O meglio, era ciò che loro credevano, oppure, se preferite, era ciò che lui faceva in modo che la gente credesse. Il che è uguale. Lui era il re, lui poteva.
E’ stato grazie alla geniale intuizione di monsieur de Voltaire, 300 anni fa, che si sono poste le basi per una evoluzione collettiva dello spirito umano, perché con la nascita del concetto di sapere enciclopedico, viene alla luce un concetto che si trasforma ben presto prima in metafora e poi in programma sociale riconosciuto. Viene riconosciuto il potere della conoscenza come chiave dell’esistenza ma ciò che più conta, viene riconosciuto il diritto e il dovere di ogni singolo individuo ad avere accesso al sapere, considerato un insostituibile passaporto verso la libertà.  Con questo approccio, Voltaire attribuisce alla “libertà” non più soltanto una valenza utopistica o retorica, perché non si ferma soltanto al “diritto come aspirazione” ma la coniuga insieme e parallelamente alla volontà individuale delle persone. Tradotto, vuol dire: “tu, cittadino, sappi che hai il diritto di sapere e devi combattere per l’affermazione di questo diritto, perché la conoscenza deve essere universale, ma sappi anche che tu devi sentire dentro di te la spinta della volontà di sapere; accanto al diritto c’è il dovere”.
Se uno non sa di non sapere, non potrà mai provare dentro di sé la voglia di sapere, quindi il proprio diritto rimarrà sempre monco, una formula vuota e inefficace. Vale soltanto se è accompagnato da una furibonda volontà interiore di aspirazione alla conoscenza. Da cui, il principio basico della cultura illuminista, tale per cui tutti devono aspirare alla libertà e alla conoscenza ma allo stesso tempo tutti devono sentire dentro di sé la voglia di volerlo fare, nel nome di un dovere che non può essere imposto dalla Legge, ma deve essere alimentato da una pulsione interna di carattere etico che trasforma l’essere umano in “cittadino”, ovvero in un soggetto individuale inserito all’interno della collettività. In questa società ideale, compito degli intellettuali consiste nel divulgare il poco o molto che sanno e soprattutto di diffondere il desiderio di sapere, perché essere avari vuol dire automaticamente sottrarre ad altri il loro diritto alla conoscenza.
Non è certo quindi un caso, né tantomeno una bislacca ossessione, il fatto che alla base delle politiche rigoriste dei teorici del liberismo mercatista ci sia sempre –come priorità immediata e assoluta- l’attacco all’istruzione pubblica, il taglio di ogni finanziamento alla cultura e l’affermazione del principio per cui la conoscenza e l’istruzione sono appannaggio di una cerchia sempre più ristretta di individui. Così sarà sempre più facile esercitare il potere sulle masse.
Negli anni’70 ci fu una poderosa quanto clamorosa svolta, in tutto l’occidente, perché la “voglia di sapere” divenne uno status sociale. L’elementare (apparentemente) argomentazione che Dario Fo e Franca Rame cominciarono a diffondere alla fine dei loro spettacoli teatrali, quando spiegavano al pubblico che “il padrone è tale soltanto perché sa mille parole più di voi” divenne un vero e proprio mantra collettivo, che contribuì a diffondere la “voglia di sapere”. Li si lasciava portandosi dietro la voglia di sapere, come pure dopo avere ascoltato Pasolini. Questa la motivazione che fu alla base dell’attribuzione del Nobel per la letteratura a Dario Fo, gli accademici svedesi sottolinearono proprio questo aspetto e fa da pendant al precedente nobel a Luigi Pirandello, il quale fu generosissimo con tutti noi quando ci spiegò che la caratteristica principale dell’essere umano consiste nel “gioco delle parti”  nell’indossare maschere utili a confondere, imbrigliando le coscienze.
Penso alla frase pronunciata da Henry Ford, imprenditore e banchiere, nel lontano 1936 e resa allora pubblica, anche se accreditata sotto la definizione “boutade snob di un aristocratico capriccioso”; la frase, riportata dal New York Times, recitava pressappoco così: “se il popolo americano sapesse che cosa noi davvero facciamo con le banche, prima dell’alba in Usa ci sarebbe la rivoluzione e noi tutti finiremmo appesi ai lampioni”.
Fu costretto a una decina di rettifiche balbettanti. Ma la sua frase passò alla Storia.
Da allora, l’intero mondo occidentale è vissuto senza che nessuno sollevasse la questione dei rapporti tra banche e stati. Fino al 2010.
Come mai? Semplice: nel 2010 il sistema si è inceppato. Si è rotto. Nello stesso identico modo in cui nel 1784 la Francia comincia ad andare economicamente a picco e quindi a nessuno importava più del fatto che il re fosse anche un mago guaritore, perché di lì a breve –come si è puntualmente verificato- non ci sarebbero più stati neppure i soldi per fare il pane.
Nel 2010 l’intero meccanismo di produzione e di complessa relazione tra stati, industrie, governi e imprenditori si è bloccato e ha mandato il pianeta in tilt. E’ saltato. Il fatto che non abbiano spiegato, con millimetrica esattezza, che cosa è accaduto non vuol dire che non si sia verificato. Tant’è vero che, da allora, si seguita a pompare denaro all’interno di un mondo finanziario che, essendo già esploso, ingurgita il contante (sia reale che virtuale) cercando di prendere tempo inutilmente. Ciò che conta davvero è che si sappia sempre meno ciò che sta accadendo; che si sappia ancora meno quali medicine e soluzioni estreme intendano trovare ma su un punto sono tutti d’accordo: “è assolutamente necessario fare in modo di diminuire drasticamente la diffusione di notizie, informazioni e cultura a livello di massa“ che tradotto vuol dire “la gente non deve sapere più un bel nulla, altrimenti non riusciamo a farcela”. E così, in ogni nazione, si organizzano e si gestiscono dei teatrini locali, la cui unica funzione consiste nel deviare l’attenzione dalla  vera posta in gioco: “controllo dell’energia, controllo delle fonti di energia e rapporti tra i produttori di energia e banche”. Il resto sono quisquilie, è soltanto pappa fritta inventata dalle mummie di un mondo che “di fatto” non esiste più.
E veniamo quindi alla notizia.
Potremmo definirla (a seconda del vostro gusto) geografica, antropologica, storica, burocratica. Come vi pare. L’aspetto interessante della notizia consiste nel fatto che tra i neonati del post-Maya questa notizia ha avuto un effetto bomba, spingendo i più diligenti e accorti a lunghe e complesse ricerche  che hanno portato alla luce un teatro davvero inedito. Il sottoscritto, ad esempio, non ne sapeva nulla. Faceva parte, per l’appunto, della serie “eventi che non sapevo di non sapere”. Alcuni osservatori, per lo più ex studenti di Rorty, nel cercare di analizzare la situazione attuale economico-politica, accorgendosi che finivano in trappole inestricabili, hanno optato per una scelta radicale: porsi domande da “mondo parallelo”. La frase base, frutto del delirio di un sociologo molto intelligente, fu la seguente: “Ma se la guerra fredda, alla fine del 1989, noi europei, in realtà, l’avessimo persa?”. Hanno cominciato a ragionare su questa paradossale e folle idea, si sono consultati e confrontati, hanno navigato in rete e il bello è che hanno scoperto dei curiosi teatri reali di cui ignoravano l’esistenza, come ad esempio, un gruppo di combattenti per i diritti civili nella zona tedesca del Mar Baltico che da decenni portava avanti una strana battaglia legale presso l’Onu, che ha trovato la sua definitiva consacrazione l’altro ieri.
Ecco la notizia secca: in data 27 dicembre 2012, il governo russo ha stabilito di abolire il nome della capitale della Prussia Orientale, Kaliningrad, attribuito da decreto legge firmato da Josif Stalin in data 15 settembre 1945,  restituendogli il nome storico di Konigsberg”.
Quando hanno saputo che i russi stavano compiendo un atto apparentemente soltanto burocratico, sono nate domande da veri neonati di geo-politica: “Ma la Prussia non appartiene alla Germania essendo una delle sue colonne storico-culturali da sempre?”   “Ma che cosa c’entra la Russia con la Prussia?”; e ancora “E perché gli restituiscono il nome?” oppure “Ma che senso ha un nome tedesco per una città che si trova in territorio russo?” e infine “Ma quando è crollato l’impero sovietico, l’Urss non aveva restituito le zone invase dando la libertà e l’indipendenza alle singole nazioni?”.
Voi mi direte: ma che ci importa, oggi?
Lo capirete da voi, dopo aver letto la questione, perché da lì è nato l’euro.
Tutto è iniziato nel lontano 1945, durante la conferenza di Yalta, sul Mar Nero.
I tre statisti che avevano vinto la guerra, Roosevelt, Stalin e Churchill, decisero le modalità con le quali si sarebbero spartiti il mondo. Oggi, ci aggiungeremmo “senza aver chiesto l’opinione a nessuno”. Allora, era diverso. Si dava per scontato che l’opinione pubblica non contasse nulla e l’opinione dei popoli era irrilevante. L’Urss si aggiudicò l’intera Europa Orientale, mantenendo “ufficialmente” gli stati, i quali divennero, in pratica, protettorati colonizzati dell’impero russo. Si raggiunse un accordo per la spartizione in due blocchi contrapposti della Germania e si posero le basi per la nascita della DDR, la Germania dell’est. Pochi mesi dopo, alla fine di agosto, mentre il mondo occidentale era tutto preso, da una parte, dall’allegria per la fine della guerra e dall’altra dall’impressione suscitata dal lancio delle bombe atomiche sul Giappone, Josif Stalin approfittò della situazione e decise di annettersi –con un semplice editto- la Prussia Orientale. Nella sua capitale, la celeberrima Konigsberg, abitavano allora circa 310.000 persone, per lo più di lingua tedesca, con una minoranza di lingua russa e lettone, che erano emigranti in cerca di lavoro. Una volta acquisita la Prussia come dominio sovietico, venne cambiato il nome alla città che diventò Kaliningrad. Stalin fece deportare i 275.700 abitanti tedeschi, riducendo la popolazione a 30 mila abitanti. I deportati svanirono nel nulla. Nessuno ha mai saputo che fine avessero fatto, dove fossero stati portati. Ufficialmente non sono morti, sono “evaporati”. La Germania era allora rasa al suolo e annichilita dalla sua auto-distruzione; non era in grado di poter dire nulla non avendo neppure né un governo né una amministrazione pubblica né a nessuno importava alcunché della sorte di cittadini tedeschi. Ma i teutonici, com’è noto, sono una etnia ossessionata dalla certificazione minuziosa degli eventi. Scrivono sempre tutto, da bravi ragionieri, classificando ogni evento. E così fecero anche allora, nel corso della deportazione che durò ben due anni. Tutta la documentazione è finita nell’archivio storico Immanuel Kant dell’università locale.
Ogni tanto, nei decenni successivi, diversi storici chiesero ragguagli in merito e le risposte ufficiali sono sempre state sempre le stesse: “Sulla base di specifici accordi internazionali intercorsi tra le potenze e riconosciuti negli anni successivi anche dall’Onu è stato stabilito che gli archivi rimarranno segreti fino al 30 giugno 2045”. Quindi non c’è mai stata nessuna possibilità di sapere che fine avessero fatto quei 275.700 abitanti. I restanti 30 mila divennero cittadini russi di lingua russa a tutti gli effetti.
Nel gennaio del 1990, le stesse identiche potenze si incontrarono per stabilire le modalità geografico-politico-economiche nel gestire la riunificazione della Germania, nonché la certificazione dell’acquisita indipendenza degli stati fino a pochi mesi prima membri di quell’Urss che era stata dichiarata “dissolta”. Con una differenza: questa volta partecipavano anche nazioni come l’Italia, la Spagna, l’Irlanda, l’Olanda, il Belgio, perché la decisione era europea. Va  da sé che Usa, Gran Bretagna e Francia facevano la parte dei padroni, ma la situazione era molto ma molto diversa da quella del 1945. L’Italia e la Germania, infatti, nel frattempo erano diventate delle fondamentali potenze economiche, così come era indubbio il contributo dato da entrambe nella vittoriosa lotta contro il comunismo imperialista sovietico, quindi avevano voce in capitolo e questa volta “in teoria” risultavano dalla parte dei vincitori. Ma sorsero immediatamente dei problemi, che ben presto divennero ostacoli giganteschi arrivando al punto di provocare una situazione di stallo molto pericoloso. La Germania, infatti, dava per scontato che le sarebbe stata restituita la Prussia, definita dall’allora rappresentante diplomatico teutonico “il nostro antico cuore pulsante culturale” mentre la Russia (la delegazione era capeggiata dal responsabile centrale del KGB, Vladimir Putin) si rifiutò sostenendo che era ormai territorio russo a tutti gli effetti. La ex Prussia, sostennero i russi, non era “parte dell’Urss, come la Georgia o l’Ucraina o la Moldavia, bensì parte integrante del territorio russo da sempre”. I tedeschi, sgomenti dinanzi a questa alterazione degli eventi storici, si impuntarono, al punto tale da provocare delle laceranti frizioni (di cui a tutt’oggi nessuno ci ha mai raccontato nulla) tra la Germania e la Russia, talmente forti, da far pensare addirittura all’impensabile rischio di una guerra, evitata soltanto per il fatto che la Germania non aveva un esercito, essendo sotto il controllo della Nato. Quattro tra i responsabili della delegazione tedesca (uno dei quali aveva dichiarato “ma noi siamo disposti anche a morire per la Prussia, è la nostra antica terra”) vennero sostituiti con altri quattro, provenienti dalla Germania dell’est. Lo scontro andò avanti per diversi mesi e il più importante tra i rappresentanti italiani, Romano Prodi (la voce ufficiale era Gianni De Michelis)  si schierò con la delegazione russa, mentre inglesi e francesi sostenevano i tedeschi, i quali, dal canto loro, fecero tali pressioni sugli americani e sul comando generale della Nato da convincerli alla fine ad appoggiarli. Ma alla fine arrivò il perentorio ricatto dei russi che considerarono la richiesta tedesca un vero e proprio affronto alla loro sovranità: se fossero stati costretti a restituire la Prussia Orientale, allora avrebbero chiuso il rubinetto del gas e del petrolio provocando una devastante crisi finanziario-energetica nel cuore dell’Europa. E così, la Germania fu costretta a cedere. Secondo alcuni storici (chiamiamoli così, tanto per capirci “storici post-maya”) questo evento spinse l’accelerazione e il lancio dell’euro nonché la guerra in Iraq, “inventata” da inglesi e tedeschi insieme. I tedeschi, infatti, nell’aprile del 1990 si resero conto che le cose si stavano mettendo in maniera molto diversa dalle previsioni perché la sconfitta dell’Urss non comportava una vittoria dell’Europa Occidentale, bensì un gigantesco costo economico e una sottomissione agli interessi russi, con un inatteso disinteresse degli Usa che -.nella nuova Russia- trovava un grande alleato con il comune obiettivo di lanciare la globalizzazione delle merci. E così la Germania rinuncia a riavere la Prussia Orientale e poco a poco, all’interno dell’amministrazione tedesca, cominciano a farsi largo funzionari provenienti dalla Germania dell’est. Ma uno sparuto gruppo di tedeschi, eredi sopravissuti nonché residenti nella prestigiosa Konigsberg, iniziano una lotta ventennale per restituire alla città il proprio nome autentico, verosimilmente per ripartire da lì verso una successiva richiesta di autonomia e di secessione dal territorio russo nei prossimi anni. Alla fine, per il momento, ci sono riusciti.
Quantomeno per ciò che riguarda il nome.
Apparentemente sembrano questioni puramente formali, di piccineria nazionalistica.
Si tratta, invece, di una questione ben più complessa, non a caso divenuta il cavallo di battaglia del programma dei verdi tedeschi in funzione anti-Merkel (principale alleato, insieme a tutti i governi italiani dal 1993 a oggi, del mondo voluto da Vladimir Putin).
E così, ci ritroviamo il 30 dicembre del 2012 con una città in Prussia che in realtà è in territorio russo, dentro l'Europa, tra la Lituania e la Polonia, sul Mar Baltico, il cui nome russo viene cancellato per rifondare quello originale tedesco. E così Konigsberg finisce per essere una provincia della Grande Madre Russia e se un tedesco vuole andare a visitarla deve munirsi di passaporto e visto.
E nessuno si è mai interrogato, pubblicamente, sulla annosa vicenda, ancora aperta.
E’ il trionfo ufficiale del Paradosso della Surrealtà che qui trova il suo apogeo.
Mi fermo qui. Per il 2012 credo davvero che basti.
Ho scelto questo esempio illuminante perché ciò che mi premeva era condividere con voi l’introduzione di un nuovo concetto che –se applicato con innocente semplicità- potrebbe tornare utile nel 2013

Vi ringrazio a tutti per l’attenzione e l’interesse manifestato nel 2012
Vi auguro con il cuore di poter brindare con chi davvero vi vuole bene, è l’unica cosa che di sicuro conta. Certificata.
Per tutto il resto, come ci suggerisce la pubblicità, ci sono le banche.
E le liste civiche di chi le odia e di chi le ama.
Tanto vale, almeno a capodanno, riderci sopra un po’.

Ben arrivato 2013.

mercoledì 26 dicembre 2012

Ingenuamente autentica, si snocciola la nuova realtà della vita post-Maya

di Sergio Di Cori Modigliani


Come va la vita nel post-Maya?

Forse è ancora un po’ presto per rendersene conto, dopotutto è iniziata soltanto cinque giorni fa.  

Ma in giro per il mondo già si manifestano i primi validi esempi.
Proprio per evitare qualsivoglia rischio, i nostro baldi oligarchi hanno provveduto a creare l’ennesima illusione da circo per ipnotizzare l’intera nazione  –tra l’altro riuscendoci alla perfezione - e quindi garantirsi del fatto che in Italia non ci sarebbe stato alcun rischio né di notizie né di contagio psicologico né, meno che meno, l’insorgere di un meccanismo collettivo di emulazione. E così la vita prosegue nel pre-Maya. A questo serve la cupola mediatica. E ci aggiungerei, (per quanto riguarda l’Italia) a questo servono i siti cosiddetti indipendenti, molti quotidiani on-line, facebook, vari bloggers, che ormai sono diventati (più o   meno inconsapevolmente) la copia conforme del mainstream, naturalmente presentato come alternativa. Ciò che conta è che si parli di Monti, se si presenta, se non si presenta, perché si è presentato, perché non si è presentato; con l’aggiunta di opinioni a fiumi su chi lo appoggia, chi lo contrasta, chi lo vuole, chi non lo vuole, che cosa farà, che cosa dirà, come e quando e perchè, ecc.

Il fascino della vita post-Maya, invece, consiste nell’essere completamente fuori da questo meccanismo, osservandolo a una certa distanza, con lo stesso gusto iconico con il quale si guarda alla tivvù una pimpante commedia in bianco e nero di Fritz Lang del 1936. Cercano di arginare la valanga e fanno ciò che possono, poveretti, bisogna anche capirli. Si sa che è solo una questione di tempo, poco a poco, l’onda si estenderà e dilagherà.
Così come è sempre avvenuto nella storia dell’umanità.
I grandi cambiamenti, infatti, gli stravolgimenti epocali, la fondazione di nuove civiltà, non è avvenuta in un colpo secco, né tantomeno i protagonisti e i partecipanti si rendevano conto di ciò che stavano facendo: loro semplicemente erano. Gli storici e i posteri hanno attribuito  valenze specifiche per riuscire a collocare nel tempo e nello spazio i “grandiosi salti epocali di coscienza collettiva” e quindi poterne parlare e descrivere lo sviluppo per comprenderne il Senso e l’Origine. Non è che 3200 anni fa, quando, in seguito a una spaventosa e inattesa gelata che aveva prodotto un perfido inverno, dei pastori scandinavi scelsero di emigrare verso sud e, attraverso perigli e contrattempi, finalmente arrivarono in una dolce, solitaria, accogliente terra ricca di ogni dono naturale, non è che una volta arrivati si presentarono ai rari pastori locali dicendo loro “salve, eccoci qui, noi siamo gli antichi greci, siamo venuti da lontano per tirar su una civiltà fantastica”. Arrivarono lì, si stanziarono al calduccio e la felicità della “sorprendente novità esistenziale” fu talmente grandiosa, così stimolante, così diversa e armonica, da gettare i semi di una nuova comunità alla quale noi abbiamo dato uno specifico nome identificandola nel tempo, nello spazio, nella Storia.

Diciamo che la vita nel post-Maya, iniziata il 21 dicembre 2012 (tanto per capirsi) è simile alla scelta di quei coraggiosi scandinavi di un tempo che –a differenza di chi scelse di non emigrare e rimase travolto dalla gelata- si assunsero la responsabilità di una scelta estrema che fu, allora, uno spaventoso salto nel vuoto, una vera e propria follia, motivata e prodotta da quel meraviglioso meccanismo bio-psichico della specie umana che unisce l’istinto di sopravvivenza alla propria eterna aspirazione ad una evoluzione collettiva. .

Se noi lo immaginiamo con i nostri occhi di oggi, ci appare come una avventura incredibile. Senza antibiotici, senza cibo, senza soldi, senza nulla, un gruppo di persone cammina per circa 2500 chilometri alla ricerca di un posto dove valga la pena di vivere una vita decente, in tranquillità, affrontando ostacoli davvero insormontabili.

L’Europa è nata così.

E in quel loro linguaggio nuovo nato dalla sintesi e dalla commistione di un antico dialetto scandinavo e della lingua fenicia, scelsero di definire quell’immenso territorio che andava dalla terra dei loro avi (la penisola scandinava) fino al ritrovato Eden (la fertile pianura della Grecia meridionale) passando attraverso tutti i territori che avevano attraversato, con il termine “Europa” che, nella loro lingua arcaica, voleva dire “ampie vedute, orizzonte largo, visione totale, vasto raggio, comunità costruita sul bene comune”.

L’Europa è nata così. Questo è il Senso etimologico del nostro continente. Da lì noi veniamo.

Ed è l’Europa che vogliono e alla quale aspirano i cittadini entrati nel post-Maya.

Splendidi esempi ci hanno annunciato un Natale “diverso”, nel mondo globalizzato occidentale, le manifestazioni dei primi vagiti della nuova era, nata dall’abbattimento e dal superamento di quella precedente, i cui echi si protrarranno ancora a lungo, ma molto molto di meno di quanto non si voglia far pensare.

E’ accaduto in diversi posti: in Grecia, in Portogallo, in Irlanda, in Gran Bretagna, in Argentina, in Brasile, negli Usa.

In Grecia, dove dei giovani disoccupati sono riusciti –a costo zero- a mettere su un circuito che si è collegato con agenzie di ricchi collezionisti d’arte antica e hanno organizzato delle piccole aste locali in cui i gestori della Chiesa greca ortodossa hanno deciso e scelto di mettere in vendita, al miglior offerente, delle antiche reliquie provenienti dal loro patrimonio. Il danaro ricavato è stato distribuito presso le persone più anziane e disagiate che, in conseguenza del rigore applicato dalla BCE, non hanno più accesso alla sanità pubblica. Hanno salvato delle vite.

In Portogallo, ad Oporto, le 152 aziende che hanno ottenuto in borsa nell’arco del 2012 un grande profitto, grazie soprattutto ai soldi avuti dalla BCE per le banche locali, hanno destinato –tutte insieme- la cifra di 20 milioni di euro per distribuire pesce fresco alla parte più indigente della popolazione, nel nome dell’amor cristiano.

In Irlanda, proprio alla vigilia di Natale (la decisione è arrivata il 23 dicembre) il parlamento ha risolto un nodo considerato “irrisolvibile” da tutti, provocato dalla scelta politica del più importante partito d’opposizione, il Sinn Feinn, organizzazione politica che fino a venti anni fa sosteneva il terrorismo dell’Irish Republican Army e che seguita a essere fortemente radicato nel territorio. Questo partito ha organizzato lo “sciopero dell’Imu”. I cittadini irlandesi, infatti, dopo aver votato la loro legge di stabilità imposta dalla BCE si sono rifiutati di pagare l’Imu in massa. Con la caratteristica e coraggiosa sfrontatezza della loro etnia hanno scelto pubblicamente di non pagare “perché lo consideriamo un sacrificio insostenibile e inaccettabile”, appoggiati dalla chiesa cattolica irlandese. I commissari della troika si erano precipitati a Dublino con la bava alla bocca alla fine di ottobre ma a braccio di ferro hanno vinto gli irlandesi. La Bce ha ceduto. La Banca centrale europea si è fatta carico del mancato pagamento attraverso un’elucubrata manovra finanziaria contabile per cui parte dei soldi regalati a pioggia alle banche irlandesi sono state conteggiate come “anticipo di pagamento tassa Imu” da parte di soggetti più disagiati, i quali avranno la possibilità legale di pagare la tassa in dodici rate mensili senza alcun interesse aggiunto e, nel caso risultino disoccupati o sfrattati o disagiati, saranno le banche a pagare a loro nome con l’accordo che i soldi verranno restituiti alle banche nella percentuale del “quinto di stipendio” di detrazione ma soltanto quando e se avranno trovato un lavoro.

In Gran Bretagna sono avvenute scene che la cronografia storica locale mediatica ha scelto di attribuire alla vanità del delirio narcisista. Nella contea del Devonshire, un Lord, di sua totale iniziativa, ha dato incarico al suo contabile di mettere a disposizione la cifra di 1 milione di sterline del suo patrimonio personale da suddividere in banconote da 100 sterline a favore di 10.000 persone iscritte alla lista di collocamento nella sua contea. L’evento, pubblicizzato alla fine di novembre, ha colpito nel vivo l’orgoglio di una sua  cugina di secondo grado, una specie di svampita che ha una trasmissione televisiva di culinaria & gossip, la quale per non essere da meno ha fatto la stessa cosa per due milioni di sterline. Del fatto se n’era parlato in Gran Bretagna contagiando la fantasia e l’immaginazione di due noti personaggi dello sport miliardario, Sir Alex Ferguson e il nostro emigrante di lusso Roberto Mancini, rispettivamente allenatori del Manchester United e del Manchester City, i quali hanno convinto i loro rispettivi miliardari datori di lavoro a mettere a disposizione come regalo un completo sportivo, maglietta, calzoncini, calzettoni e scarpette, per un controvalore di 10 milioni di sterline, da regalare a 10.000 bambini di età tra i 6 e i 16 anni figli di famiglie disagiate nella città di Manchester che vive di calcio. Hanno anche trovato gli sponsor. E’ stato uno splendido Natale per tanti bimbi poveri inglesi.
Perché la Juventus, il Milan, l’Inter, la Roma, la Lazio, il Napoli e la Fiorentina (le magnifiche sette del nostro calcio) non hanno fatto la stessa cosa?

In Sudamerica, diversi esempi di “esistenza post-Maya”.
La nostra cupola mediatica (al 100% pre-Maya) e diversi siti e bloggers nostrani hanno abbondantemente raccontato come in Argentina si siano verificati gli assalti ai supermercati da parte di gente affamata, esattamente come nel 2001, poco prima che il paese  andasse in default. La notizia è vera e falsa allo stesso tempo.
E’ vero che c’è stato l’attacco ai supermercati. Ma non si tratta di gente affamata. Quando uno ha fame e attacca un supermercato, si getta sulla carne, la frutta, il formaggio. Quando non c’è da mangiare, quello è oro. Come era accaduto nel 2001.
In questa circostanza, invece, nella totalità dei casi, le persone hanno attraversato la zona cibo riversandosi nella sezione elettronica e arraffando tablets, cellulari e televisori al plasma giganti. Ci sono stati centinaia di feriti e addirittura due morti in seguito all’intervento delle forze dell’ordine. Circa 300 arresti. In 42 casi c’è stata la confessione da parte degli arrestati, i quali hanno raccontato di essere stati abbondantemente pagati per provocare una simile situazione. L’evento, quindi, si è trasferito e si è inserito all’interno della furibonda lotta politica argentina tra chi appoggia le manovre politiche keynesiane della Kirchner e chi, invece, sostiene le decisioni del fondo monetario internazionale che vuole imporre rigore ed austerità imponendo all’Argentina tagli alla istruzione pubblica e alla sanità. Il dibattito natalizio, quindi, si è spostato (come voleva Christine Lagarde) su questi episodi definiti in Europa “un chiaro segnale del fatto che il governo ha perso il controllo sociale della nazione”. Poca attenzione, o nulla,  è stata riservata invece alla iniziativa (che venne lanciata già nel 2009) da parte di un gruppo di ricche donne autonome cattoliche, le quali hanno caricato i loro suv di quintali di farina, frutta, carne, verdura e sono andate nei quartieri più poveri e nei paesi più degradati, dove hanno allestito delle gigantesche cucine da campo cucinando per tutta la giornata centinaia di migliaia di pasti messi a disposizione per i ceti più disagiati, al grido di “il Salvatore vuole che almeno oggi tutti mangino alla grande”. Grazie al fatto che lì è estate, c’è stata una gigantesca proliferazione di “natali in piazza” che si è esteso anche in Cile, Uruguay e Brasile per trascorrere la festa natalizia insieme agli altri. Per lo più, i cattolici sudamericani più danarosi hanno scelto quest’anno di celebrare il natale mangiando e ballando per le strade insieme a quelli meno fortunati.
Perché in Italia a nessuno è venuto in mente di organizzare una cosa del genere, dato che nella nostra repubblica (pre-Maya) i dati statistici ci hanno segnalato che ben 8 milioni di persone, pari all’11,7% della popolazione (la più alta d’Europa) a Natale non avevano nulla da mangiare, mentre su facebook la ricorrente lamentela di ieri e oggi ruotava intorno al  problema dei chili di troppo dovuti all’eccesiva quantità di cibo ingurgitato?

In California, ovverossia a 20 mila chilometri più a nord, si è verificata la stessa esperienza lanciata l’anno scorso, ma in maniera molto più vasta e massiva. La società Mattel (proprietaria e produttrice delle bambole Barbie) ha comunicato di aver ricevuto da anonimi residenti locali la cifra di 500 mila dollari per impacchettare e regalare Barbie alle bambine figlie di persone iscritte alla lista dei disoccupati. La stessa cosa è avvenuta per la Lego che produce scatole di montaggio per bambini. Non solo. C’è stato il versamento da parte di anonimi, gestiti dal PTA californiano (associazione che raduna genitori e maestri delle elementari) per dare un solido contributo a 55 piccole case editrici indipendenti, che producono materiale cartaceo, a rischio di chiusura, per stampare decine di migliaia di copie di libri per l’infanzia. Una bella notizia per noi italiani consiste nel fatto che bestseller risulta l’edizione bilingue (spagnolo e inglese) di Pinocchio.

Tutto ciò ( e chissà quanto altro ancora che il sottoscritto ignora e di cui non ci riferiscono) appartiene alla creatività della nuova era post-Maya. Sono piccole iniziative sparpagliate, prive di riconosciuta valenza politica, totalmente avulse da qualunque forma di gestione partitica, frutto di idee, progetti individuali, scelte esistenziali, sicuramente non sufficienti ma necessari per l’avvio e l’alimento di una rivoluzione esistenziale e culturale.
Le idee, i progetti, le innovazioni, le soluzioni, sono la caratteristica della vita post-Maya.

Nella vita pre-Maya, invece, bisogna seguire le vicende di una ristretta, sempre più ristretta pattuglia di persone che vuol fare tutto ciò che è possibile per impedire di smuovere anche di un millimetro l’attuale status quo, in modo tale da seguitare a garantirsi il perpetrare della logica delle dinastie aristocratiche, mascherata da democrazia rappresentativa.

E’ una maschera, per l’appunto.

La coppia post-Maya, che mentre cena guarda la televisione, ascolta i soliti protagonisti del teatro della politica e, nel momento cruciale del discorso lei esclama, rivolgendosi al suo compagno: “secondo me ha messo la cravatta sbagliata”. Il compagno è in disaccordo, trova che, invece, ben si intona con quel completo di lana pettinata. Tutto qui.

La coppia post-Maya sa che sta guardando un teatro delle mummie pietrificate e quindi –come a teatro- commenta la scenografia, la scelta dei colori, la modalità delle forme, perché il resto è irrilevante, essendo il tutto privo di qualsivoglia sostanza che abbia nulla a che fare con le reali esigenze della popolazione. Dimostrare che Monti ha governato bene, oppure ha fatto male, che si candiderà oppure non si candiderà e perché e come, appartiene a un mondo di illusioni che è già passato,  a un mondo in via di estinzione e che vogliono convincerci che ancora esiste.
Mentre la Storia ha già voltato pagina e prosegue la sua marcia evolutiva verso un diverso approccio esistenziale, in Italia cercheranno di spingerci verso un passato già sepolto.

Mentre in gran parte dell’occidente si muovono nella consapevolezza che dalla malattia sociale collettiva ci si riprenderà soltanto collettivamente e da più parti si vedono, si notano, si certificano, i primi vagiti di una coscienza allargata armonica, da noi annunciano l’imminente lancio del teatro delle mummie.

Basterebbe pensare al silenzio mediatico relativo a una iniziativa post-Maya di un cittadino italiano che merita il rispetto civile dell’intera collettività e che qui, oggi, ricordo, perché il suo atto appartiene a quel senso di pacifica armonia che è caratteristica individuale e caratteriale di chi ha incorporato il concetto di Buona Volontà.

E’ accaduto il 30 novembre scorso e per un giorno se ne è parlato. Poi si è steso un velo  sulla vicenda, temendo che potesse spingere  a porsi delle domande.

E’ avvenuto in Umbria, dove un imprenditore ha avuto dal suo contabile la bella notizia che, grazie ad accorti investimenti, nel preparare il bilancio di fine anno, ne veniva fuori che, al netto delle tasse pagate, la sua azienda aveva conquistato una posizione più avanzata nei mercati mondiali, riuscendo a saldare tutti i debiti, realizzando un imprevista plusvalenza di profitto di ben 6 milioni di euro rispetto alle previsioni di bilancio. L’imprenditore, prendendo atto della buona notizia, invece di portare i suoi soldi in Svizzera inguattandoli in qualche fondo, ha dato disposizione al suo direttore generale di scrivere una lettera a tutto il personale della sua azienda annunciando loro che, oltre alla consueta tredicesima, i suoi 783 dipendenti, in data 10 dicembre, avrebbero trovato in busta paga l’aggiunta suppletiva di 6.385 euro a testa …“ dato che grazie a voi tutti la nostra azienda, nei soli primi 9 mesi del 2012, ha raggiunto un fatturato di 225 milioni di euro posizionandosi come leader del made in Italy nel segmento specifico di mercato”.
Questo imprenditore, Brunello Cucinelli, ideatore, fondatore e proprietario dell’omonima azienda di abbigliamento in cachemire puro, nella regione Umbria, ha deciso e scelto di suddividere il profitto in più con tutti i suoi dipendenti, compreso l’usciere, determinando –con il suo gesto- un immediato aumento di consumo e piccolo investimento individuale che è andato a toccare tutto il comparto dell’indotto coinvolgendo decine di migliaia di umbri.
Il giorno dopo quest’atto, inseguito e asserragliato dai media, ha diramato un comunicato stampa dove dichiarava che non voleva parlare con , non intendeva in nessun caso fare pubblicità al suo gesto e considerava il suo gesto un “fatto normale e ovvio per ogni imprenditore consapevole che il capitale sociale e umano è la base portante di ogni successo d’azienda”.  Cucinelli, qualche anno fa, ha cominciato a dedicarsi allo studio applicato della filosofia antica, meritandosi la Laurea Honoris Causa in Filosofia ed Etica delle relazioni umane, che gli è stata consegnata lo scorso anno dall’Università di Perugia.

E’ stata data una notizia secca, a denti stretti, e la cosa è finita lì.
Perché non lo hanno fatto anche gli altri?

Perché il Monte dei Paschi di Siena che negli ultimi 22 giorni ha avuto un rialzo in borsa del 32% grazie all’immeritato incasso di 3,9 miliardi di euro da parte dello stato, non ha fatto lo stesso? Perché è andato di corsa a immetterli in bilancio in attività speculative invece di provvedere a destinarne il 7%, pari a 280 milioni di euro, per venire incontro alle 22.560 piccole imprese toscane che avevano chiesto un credito per sopravvivere? In virtù della “non scelta” 10 mila di queste imprese sono fallite; alle altre toccherà entro il 31 marzo.  Potevano fare come Cucinelli. Altri imprenditori avrebbero potuto fare come Brunello Cucinelli. Non lo hanno fatto perché sono “anormali”.

Sono morti che appartengono a un mondo che non esiste più.

Lo sanno e sono disperati per questo.

Il post-Maya bussa alle porte della Storia.

Basta saperlo. Basta riconoscerlo e lasciare che si snoccioli naturalmente.

E osservare questi attori farseschi prendendoli per ciò che sono: curatori di un fallimento storico esistenziale alla loro ultima rappresentazione.

Basta capire e comprendere dentro di noi che le loro cifre, i loro proclami, i loro giochi e giochetti elettorali, non hanno alcun riferimento con la realtà delle nostre esistenze.
E il rituale di  una società che non esiste più.

E come Brunello Cucinelli ci ha dimostrato, c’è sempre un’alternativa.

Perché anche la famiglia Riva, proprietaria dell’Ilva, non ci dimostra che c’è un’alternativa?

Questa è la vita post-Maya
.
Rimettiamo a posto gli orologi.

Auguro a tutti uno splendido capodanno.

venerdì 21 dicembre 2012

Tranquilli, la profezia dei Maya si è già avverata. Basta vederla.




di Sergio Di Cori Modigliani




"Mi piace sviluppare la mia coscienza per capire perché sono vivo,
cos’è il mio corpo e cosa devo fare per cooperare con i disegni dell’universo.
Ogni secondo di vita è un regalo sublime.
Mi piace invecchiare perché il tempo dissolve il superfluo e conserva l’essenziale. (...)
Non mi piace che la religione sia nelle mani di uomini che disprezzano le donne.
Mi piace collaborare e non competere.
Mi piace scoprire in ogni essere quella gioia eterna che potremmo chiamare dio interiore.
Non mi piace l’arte che serve solo a celebrare il suo esecutore.
Mi piace l’arte che serve per guarire.."

                                                                              Alejandro Jodorowsky
E così è arrivata la fine del mondo, tra lazzi e frizzi.
Magari c’è anche chi rimarrà deluso.
Anche perché la profezia dei Maya, nell’occidente europeo, non è stata mai presentata secondo la logica culturale dei Maya, bensì secondo l’interpretazione razionale eurocentrica basata sulla divinizzazione totemica del capitalismo mercantile.
Si è fatto credere alla gente, tra una battuta e l’altra, compresa la serie dei supermarpioni editorial-mediatici new age (Mondadori docet) i quali hanno approfittato della dabbenaggine di chi soffre per lucrarci sopra; un po’ come quelle bande di farabutti che nel tardo autunno del 1999 andavano in giro nel meridione Usa a spiegare a vecchietti impauriti che il 31 dicembre del 1999 la Terra sarebbe esplosa ma ci si poteva forse salvare se si firmava un certo documento e tanti tanti vecchietti ingenui accettarono per ritrovarsi poi, il 2 gennaio del 2000, con il rogito della loro unica proprietà cambiato a favore di anonimi. L’FBI ha impiegato circa 2 anni prima di riuscire ad accalappiarne (soltanto in Arizona e Alabama) circa 15.000, ma sembra che almeno altri 50 mila siano riusciti a farla franca. Con l’inevitabile rovina di altrettante famiglie.

La profezia dei Maya, per l’appunto, indica l’inizio della fine di gente come quella.

Si è già verificata, se è per questo.

La Terra si sta davvero spaccando in due.

Intendiamoci, non geologicamente o atmosfericamente.
Ma psicologicamente certo sì.
E noi fragili umani siamo, prima di ogni altra cosa, esserucci deboli e impauriti con una mente pensante (si fa per dire). Quindi la psicologia svolge un ruolo primario.

Nel continente dove i Maya hanno vissuto per centinaia e centinaia di anni prima di essere spazzati via nel censurato genocidio, da noi europei allestito e organizzato 500 anni fa, la loro profezia è stata invece interpretata secondo la loro cultura.
L’hanno condita in una pragmatica salsa californiana, un po’ alla Castaneda, con un pizzico di Jodorowsky e quell’invidiabile giovanilistico senso di aspirazione alla giustizia caratteristico delle civiltà giovani e spensierate.

L’hanno cioè trasformata in “auto-profezia”.

In tutto il continente sudamericano, dal Venezuela e dall’Ecuador fino al Polo Sud, hanno quindi stabilito che tale profezia era vera e accurata.

Quindi si è verificata.

Tradotto nel nostro linguaggio e sintetizzato ai minimi termini vuol dire “l’età del capitalismo durata 300 lunghi anni si è esaurita ed è finita all’alba del 21 dicembre del 2012”.

Perché laggiù, a 10 mila chilometri di distanza dalla nostra ricchissima Europa –ricchissima per l’oligarchia del privilegio che gestisce il potere- una quindicina di nazioni che complessivamente ammonta a 500/600 milioni individui, stanno in questo momento festeggiando l’avvenuta profezia dei Maya.

Loro si divertono in spiaggia, annunciando l’inizio lento ma inevitabile di una nuova era, mentre noi ci cucchiamo Monti, Berlusconi, Bersani, alla plebe italiota presentati come la novità alternativa e rigenerante sotto l’albero di Natale per il prossimo 2013.

Civiltà che vai, situazione che trovi.

Un mese fa, all’Onu, nel centro di New York, nella più totale censura mai verificata in occidente da quando esiste il web, a nome di 16 nazioni del Sudamerica (lo hanno eletto a maggioranza assoluta come loro ambasciatore) davanti a una esterefatta platea di ambasciatori, per lo più abituati a vedersela con minacce di guerra e di sterminio, bombe atomiche, genocidi annunciati, veti incrociati e strategie di mercato a fini economici, il presidente della Bolivia Evo Morales (qui in Europa considerato poco più di un fenomeno da baraccone) dichiarava davanti alla platea mondiale con il suo discorso: “

Vorrei dire che, secondo il Calendario Maya il 21 dicembre segna la fine del non-tempo e l’inizio del tempo. È la fine del Macha e l’inizio del Pacha.  E’ la fine di egoismo e l’inizio della fratellanza.  E’ la fine dell’individualismo e l’inizio del collettivismo … il 21 dicembre di quest’anno avverrà perché è già iniziato. Nasce l’età di una nuoca consapevolezza collettiva e di una nuova coscienza umana al fine di costruire una società di giusti eguali.
Gli scienziati sanno molto bene che questo segna la fine di una vita antropocentrica e l’inizio di una vita biocentrica.  E’ la fine dell’ odio e l’inizio dell’amore. La fine della menzogna e l’inizio della verità. E’ la fine della tristezza e l’inizio di gioia.
È la fine della divisione e l’inizio dell’unità. ”
E poi anche il Ministro degli Esteri Boliviano ha aggiunto:
“Secondo il calendario Maya il 21 dicembre 2012 sarà la fine di una civiltà e l’inizio di un’altra che implica transizione spirituale verso una nuova coscienza cosmica.”

E poi ha aggiunto: “Vorrei ricordare che in data 15 ottobre 2012, proprio per rispettare l’avvicinamento di tale data, per il bene della nostra vita collettiva, abbiamo promulgato la “Legge quadro della Madre Terra e dello sviluppo integrale sostenibile per vivere bene”.

Come riportava e riferiva il Los Angeles Times, quotidiano della California, l’unico rappresentante mainstream che ha riferito sul discorso (divulgato poi su diversi siti e bloggers europei) La si può definire come una delle leggi ambientali più avanzate e radicali del mondo, poiché introduce una visione del mondo e della natura piuttosto diversa  da quella a cui siamo abituati e indica come deve essere perseguito lo sviluppo integrale al fine di vivere in armonia con la natura.
La Bolivia ha dimostrato una notevole lungimiranza e un grande coraggio adottando la Legge quadro,  scritta con il contributo delle associazioni di base e indigene, con cui sfida un sistema dominante che  ancora oggi concepisce la natura, l’ambiente e le persone come risorse da sfruttare e da piegare agli interessi economici.
Infatti questa legge, che segue la Legge dei Diritti della Madre Terra del 2010, sposta la visione del mondo da una concezione antropocentrica ad una olistica, che attribuisce alla Natura e agli esseri umani pari diritti: la natura diventa un soggetto giuridico in sé, introducendo un cambiamento notevole, perché sino ad ora gli unici soggetti giuridici presi in considerazione erano le persone fisiche, quelle giuridiche e lo Stato. A quest’ultimo viene affidato il compito di proteggere i diritti della Madre Terra.
La legge riprende i 14 principi già indicati nelle Legge dei Diritti della Madre Terra, tra cui la giustizia climatica, il rifiuto della mercificazione delle funzioni ambientali, la garanzia di rigenerazione e risanamento della natura, la solidarietà tra gli esseri umani, e ne definisce i concetti fondamentali. Successivamente la legge stabilisce 10 obiettivi fondamentali, tra cui la questione della sovranità alimentare, la definizione di  processi di produzione che non siano contaminanti e che rispettino la capacità di rigenerazione della Madre Terra, la democratizzazione dell’accesso alle risorse e ai mezzi di produzione, e indica come perseguirli.
Concetti fondamentali di questa legge sono quelli dei beni e degli interessi comuni. Si promuove l’utilizzo di strumenti di democrazia partecipativa e vengono creati strumenti ad hoc come il “Consiglio Plurinazionale per il Vivir bien in armonia e in equilibrio con la Madre Terra”, che dovrà elaborare le politiche ed i programmi di attuazione di questa Legge Quadro, nonché un fondo per il finanziamento e l’amministrazione per l’adattamento e mitigazione dei cambiamenti climatici.

E così, in quelle zone popolate da individui che noi europei, dall’alto dei nostri 3000 anni di civiltà imperiale, seguitiamo a considerare alla stregua di modesti selvaggi con ancora le piume in testa e idee balzane che non corrispondono alle cifre, dati, aliquote, spread e previsioni stabilite dai nostri grandi santoni guru laici, ebbene, laggiù oggi loro festeggiano la fine del mondo.

Il bello è che per loro è davvero finito. Altrimenti che auto-profezia sarebbe!

Solo che in Europa, agli europei non l’hanno ancora spiegato.

Non sia mai si facessero venire dei grilli per la testa.

In compenso da noi si discute se Oscar Giannino ce la farà o meno; se ce la farà Antonio Ingroia; se Alessandro Sallusti otterrà la grazia; se è giusto oppure no andare in televisione a farsi intervistare e se Bersani andrà a letto con Vendola oppure con Casini e Monti oppure con tutti e tre, celebrando la quadri camerale: novità superba che preparano per la nostra nazione.

Si invertiranno i poli.
Noi resteremo al palo, se non incorporiamo la loro idea e la facciamo anche nostra, iniziando dal nostro interno individuale.

Seguiteremo a discutere di cose inutili e alla fine, con un sospirone, diremo al compagno di tavola imbandita “Mah! Chi vivrà vedrà”.

Seguendo i Maya, invece, c’è chi comincia a dire, invece, sapendo ciò che sta dicendo:

Chi vedrà vivrà!”

E’ davvero tutto un altro dire.

Auguro a tutti, sinceramente il migliore tra tutti i Natali possibili.

Come suggerisce Jodorowsky, simpatico europeo, cerchiamo di essere artisti, ovvero: cerchiamo di guarire tutti insieme. Non vedo altra scelta.

Buona fortuna.