mercoledì 28 novembre 2012

ma gli intellettuali esistono? Che cosa fanno? A che cosa servono?



di Sergio Di Cori Modigliani


Sugli intellettuali italiani e il potere.
Su che cosa sono gli intellettuali, che cosa fanno, ma soprattutto a che cosa servono nella società attuale.

Dedicato ai cultori e aficionados della narrativa di fantascienza.

A metà degli anni’60, la vita intellettuale statunitense venne animata dalla pubblicazione di un romanzo scritto da un curioso e originale intellettuale: Dallas Mc Cord Reynolds.

L’aspetto particolare di quel dibattito, che presto coinvolse l’intera società, era relativo sia alla personalità dell’autore che al suo libro. Reynolds, infatti, da molti anni se ne era andato dagli Usa per protesta contro la politica maccartista, contro la persecuzione degli intellettuali, contro le liste di proscrizione per i liberi pensatori, e insieme alla moglie era andato ad abitare vicino a Potosì, nel deserto messicano. A metà degli anni’ 30 era venuto alla ribalta per la sua attività politica, in quanto segretario del Partito Socialista Americano, e aveva lanciato un nuovo trend tra gli scrittori di allora, che consisteva nella “divulgazione del pensiero economico raccontato al popolo nella autenticità della sua narrativa esistenziale” facendosi personalmente carico di divulgare le teorie keynesiane per spiegare alla gente in che cosa consistesse il programma del new deal rooseveltiano. Scriveva in giornali e settimanali di economia e gli storici della letteratura americana lo considerano uno dei promotori e artefici della genesi della stagione del grande romanzo sociale statunitense, quello di Steinbeck, Dos Passos, Caldwell, Faulkner, Styron, Katherine Anne Porter. Poi, ai primi degli anni’50, alcuni amici lo convinsero –dato il cambiamento politico- a lasciar perdere la sua nobile attività e dedicarsi a scrivere racconti di fantascienza per guadagnarsi da vivere. E così, Dallas si era inventato un nome d’arte, Mack Reynolds –e altri quattro pseudonimi- con la cui firma aveva cominciato a pubblicare decine e decine di racconti epici (tutti a sfondo sociale) pubblicati sulle riviste specializzate, considerate dagli intellettuali colti, una dimensione letteraria di serie C. I libri di Reynolds erano finiti sotto la lente d’ingrandimento di alcuni intellettuali europei grazie a Simone de Beauvoir, la quale, dalla metà degli anni’50, faceva su e giù tra Parigi e Chicago perché aveva intrecciato una lunga e complessa relazione sentimentale con il commediografo americano Nelson Algren. Per cercare di rabbonire Jean Paul Sartre che se ne stava a Parigi travolto dai morsi della gelosia e dalla competitività, e fargli capire che pensava sempre a lui, la de Beauvoir gli aveva inviato un pacchetto con cinque romanzi di Reynolds e un biglietto di accompagnamento “dovresti leggere questi libri, potrebbero davvero essere molto interessanti per te. So che consideri la fantascienza robbaccia immonda per la massa: ti sbagli. Qui in Usa è il territorio dove vige una totale libertà d’espressione e lì gli intellettuali scomodi sono liberi di esprimersi. Pagano un alto prezzo: rinunciano agli allori e alla propria vanità perché non vengono ospitati nei circoli che contano, in compenso dicono la loro. Commetti un gravissimo errore di superbia gallica se non li leggi. Ti penso sempre e comunque”. E così Reynolds era finito tra i discorsi di Edgard Morin, Sartre, Malraux, Foucault, perfino Jacques Lacan.
Potere della curiosità delle femmine generose.
Nel 1967 esce “The Rival Rigalians”. Grazie all’intercessione di Italo Calvino, il libro arriva in Italia, ma non riesce a passare nella serie A. Viene comunque pubblicato subito nella fortunatissima collana Mondadori degli Urania sotto il titolo “Genoa-Texcoco 0-0”. Il romanzo ha un tale successo da obbligare l’editore a stamparne un’edizione supplementare straordinaria, posizionandosi tra i primi 5 libri di fantascienza venduti in Italia. E in Usa, il libro di Mack Reynolds, sconosciuto autore di serie C, diventa un oggetto di culto intellettuale. Ma lui si rifiuta di ritornare in Usa “fintantoché il mio paese seguiterà a bombardare degli innocenti e pacifici contadini in Vietnam io non torno. Chiedetevi perché lo fanno”. E sceglie, invece, di andarsene con la moglie in giro per il mondo a fare conferenze sul libero pensiero.
Ecco qui, in sintesi, la trama di quell’eccezionale libro.

Siamo in un futuro molto lontano dell’umanità, intorno al 2300.
Il pianeta non ha più continenti. Gli abitanti sono circa 10 miliardi. C’è un governo centrale planetario. Il Dio che unifica le persone è la tecnocrazia. Le persone sono praticamente degli inconsapevoli robot che vivono in maniera piatta; c’è cibo e risorse materiali sufficienti per chicchessia. Da trent’anni, però, il pianeta Terra è in guerra contro gli abitanti di un pianeta in una galassia vicina, Texcoco. Il costo di questa micidiale guerra è esorbitante e il livello di vita si è qualitativamente abbassato di molto. Il punto è che la guerra non va né avanti né indietro, perché il livello tecnologico raggiunto dai terrestri è identico, al millimetro, a quello raggiunto dai texcochiani. Quindi, ogni arma sofisticata d’attacco trova una identica sofisticata arma di difesa. Il romanzo inizia con la consueta storia dell’eroe romantico, il cosiddetto “esploratore di talenti”. Costui è un funzionario del governo centrale, un privilegiato che gira per il pianeta a caccia di nuove idee tecnologicamente innovative. E’ uno che ancora pensa. Per un caso del destino, si imbatte in una certa zona adibita a scavo minerario e lì trovano dei cunicoli che portano a dei sotterranei dove abita una curiosa e antica colonia di terrestri. Dentro una specie di primitiva grotta, il nostro eroe incontra un pastore che gli spiega come loro vivano lì da centinaia di anni. Non hanno nessuna tecnologia, ma l’esploratore rimane turbato da un fatto clamoroso: costui ha memoria matematica. Fa i conti a memoria quando conta i sassi e le pecore. Lo preleva e lo porta alla centrale planetaria. Gli scienziati del potere sono sconvolti. Lo interrogano strabiliati dal fatto che, alla domanda, quanto fa 2 +2 lui risponde 4 senza connettersi al sistema integrato centrale, e sa anche quanto fa 55 x 12 e 14 al quadrato e così via dicendo. I governanti capiscono che si tratta di un’arma avanzatissima che i texcochiani, di sicuro, non hanno, poiché sia i terrestri che i texcochiani hanno abolito la memoria circa cento anni prima.  Avere una memoria matematica di tipo fisiologico dà un vantaggio grazie al quale si può vincere la guerra. Ma lì subentrano i politici. Perché se si vince la guerra, finiscono anche gli investimenti nell’industria bellica. La pace non fa guadagnare tanti soldi. Quindi, il pastore da genio diventa un nemico pericoloso per il sistema planetario. Va protetto perché i texcochiani non lo vengano a sapere, ma va anche silenziato. Il nostro eroe che si rende conto dell’intero sistema di pensiero della baracca planetaria (altrimenti non sarebbe l’eroe) rapisce il pastore e scappa via con lui inseguito dalla polizia planetaria, alla ricerca dei suoi compagni, per cominciare a diffondere sulla Terra la pratica della memoria matematica. Fine della storia.

L’autore, dopo il successo del suo libro, non ritornò mai in Usa. Però accettò di lavorare per Hollywood, attraverso i suoi agenti letterari. E così, nel 1968, accettarono la sua idea di telefilm. Si chiamava Star Trek. Lui è il padre di quella saga.

Dallas Mc Cord Reynolds era l’intellettuale classico occidentale.
E’ per questo che oggi, con entusiastico affetto, lo ricordo con passione. E’ morto nel 1983

Ma che cosa sono gli intellettuali? Qual è la loro particolarità?
E’ semplice ed elementare.
“Gli intellettuali dicono sempre, assolutamente sempre, la verità. Perché gli intellettuali non mentono mai”.
Intendiamoci: “dicono sempre la Loro verità” proprio perché –da bravi intellettuali- sanno che “La Verità” –quella cioè assoluta- esiste soltanto nella mente di Dio (per ogni credente) oppure nell’accettazione del principio tale per cui, “ogni Verità è il risultato della somma di tutte le verità singole” (per ogni laico).
L’intellettuale dice sempre la Sua verità, è per questo che è importante. E non abbassa mai la guardia. Non deroga. Non si compromette. La sua verità è fuori discussione. Può non piacere, può essere considerata brutta, odiosa, antipatica, ma non può mai essere considerata “non vera” cioè Falsa. E’ la sua personale verità nata dalla sua idea del mondo formata dalle sue letture, dai suoi studi, dalle sue peregrinazioni, dalle sue esperienze sia di lavoro che di vita. Per un intellettuale, il valore primo nell’esistenza, è la difesa della sua verità. Non può mai abdicare, altrimenti non sarebbe più un intellettuale. Se la sua verità è considerata piacevole ed è riconosciuta come buona per la cittadinanza, lei/lui è contento, può perfino soddisfare la sua vanità. Se invece non è né accolta né riconosciuta, può soffrire, può essere frustrato, forse rattristato dal suo isolamento. Ma non cambia nulla. Perché ciò che conta per loro, è l’espressione della loro verità specifica. Gli intellettuali –qualunque sia il loro specifico campo di competenza, artistico o scientifico- si occupano sempre anche di economia e soprattutto di politica.

Un intellettuale, ad esempio, può sostenere una personalità politica perché ritiene che quel soggetto politico veicoli nel suo progetto la propria idea del mondo che appartiene alla propria verità. Può fargli propaganda, ne può divulgare il pensiero e la sostanza. Ma non può mai dipendere da lui. Caso mai, è il politico che può dipendere da lui. Perché, avendo l’intellettuale come primo valore in assoluto la salvaguardia e la difesa della propria verità, ne può mantenere e custodire l’efficacia solo e soltanto esclusivamente se è sempre autonomo e indipendente. Il lunedì può appoggiare un candidato qualunque alle elezioni, ma il mercoledì può non appoggiarlo più se il candidato politico (per motivi suoi) svela una idea del mondo e della società che non corrisponde alla verità specifica dell’intellettuale che lo sosteneva. Questo è il motivo per cui un intellettuale può spendersi in maniera esorbitante nell’appoggiare questa o quella idea, questo o quel partito, questo o quel candidato, a condizione che –in caso di vittoria e affermazione- non usufruisca di alcun vantaggio per tale vittoria, in nessun campo. Perchè, per l’intellettuale, ciò che importa è vedere la “sua verità” affermarsi. Se ne trae un vantaggio, anche minimo, allora vuol dire che l’affermazione della sua idea non è più un valore assoluto e quindi lui deve scegliere: o accetta l’idea di non essere più un intellettuale, oppure deve rinunciare ai benefici. Non sono compatibili.

La nostra civiltà occidentale è nata così.

La figura “dell’intellettuale” nasce con Socrate.
Viene condannato a morte. Una esperienza davvero angosciante, estrema.
Lui spiega con molta chiarezza che quella sentenza e la sua esecuzione appartengono però alla sua verità, corrispondono. Quindi, lui deve accettarla. Potrebbe fuggire e salvarsi. Ma in tal modo sarebbe costretto a rinunciare alla sua verità, quindi il suo Io si affloscerebbe, la sua vita perderebbe Senso.
Questa è la ragione per cui gli intellettuali nei millenni, e tuttora, affrontano anche il plotone d’esecuzione –se va male- pur di salvaguardare la propria verità.
La figura dell’intellettuale, quindi, diventa interessante e comprensibile –oltre che utile per la società- soltanto se si accoglie il principio formativo di base, ovvero l’accettazione del principio per cui si sta ascoltando, leggendo, comprendendo, la specifica verità di quella singola persona, non la Verità oggettiva. Si può poi scegliere se aderire o confutare; approvare o contestare. Ma non si potrà mai dire che non è vero, si può soltanto dire che non è piacevole. Quando l’intellettuale, invece, abdica alla propria funzione di autonomia e indipendenza rispetto al potere, perde la propria identità e non può più essere definito tale. Si trasforma in un qualcosa d’altro. Diventa un funzionario di quella determinata e specifica fazione politica e diventa un essere che usa come strumento e competenza la facoltà dell’abilità intellettuale. Ma non può più essere definito un intellettuale. Non combatte per la sua verità. Combatte per la verità di qualcun altro. Quindi diventa e si trasforma in un impiegato di idee altrui. Scade di livello. Rinuncia a se stesso, e qualunque cosa dica, scriva o mostri, non avrà alcun valore, perché tutti sapranno che il valore di riferimento non è la sua verità, bensì il guadagno e l’utilizzo che ne ricava.

Alcuni esempi:
Franco Battiato è un intellettuale italiano. Il suo specifico talento consiste nel cantare. Ma potrebbe anche fare il pittore o il musicista o il fisico nucleare, sarebbe uguale. Lui, però, noi sappiamo, ci ha sempre tenuto alla sua identità. In quanto intellettuale è stato nominato assessore alla cultura della regione Sicilia, perché i politici hanno stabilito (e sembra che i siciliani siano d’accordo) che “la sua verità” (ovvero la battiatitudine del mondo) possa essere utile, funzionale ed efficace. Lui, quindi, si mette al servizio della collettività, da intellettuale. E tale resta. Nel farlo, infatti, non riceve alcun vantaggio. Nessuno tra i suoi fans, ma proprio nessuno, acquisterà mai un suo disco perché lui è assessore. Giustamente ha dichiarato che non vuole stipendio e ha precisato che può sempre dimettersi in un qualunque momento. Perché è per l’appunto un intellettuale. Lui domani può svegliarsi e stabilire che nel suo mondo socio-mentale è fondamentale allestire uno spettacolo di burlesque tra le colonne del tempio di Selinunte con Nicole Minetti vestita da pompiere. Se nel presentare la sua bislacca iniziativa, gli dicessero che non è il caso, lui si dimetterebbe subito e se ne andrebbe via disgustato. Non ho alcun dubbio. Non potrebbe vivere rinunciando alla sua verità. E’ stato scelto proprio in virtù della sua idea del mondo, della sua verità. Se piace, tanti applausi. Se non piace, lui se ne va a casa, lo sceglie lui.  
Gabriel Garcia Marquez venne contestato, di recente, per il suo incondizionato appoggio a Fidel Castro. Sfidato da un altro premio nobel sudamericano, il grande Mario Vargas Llosas, ci fu uno splendido confronto pubblico a Buenos Aires su questo argomento. In tale occasione, Vargas Llosas espresse la sua verità: salvare il diritto e la democrazia, quindi contestare Castro perché mette in galera gli oppositori. Marquez con grande onestà chiarì che la democrazia non appartiene alla sua verità. Lui considera la democrazia una diabolica invenzione delle potenze coloniali europee e quindi trovava Castro perfettamente in linea con la sua di verità. Avevano entrambi ragione.
Due intellettuali onesti.
Due diverse proprie verità.
Ciascuno poi sceglie e decide a quale aderire.
Ciò che conta è la propria verità intrinseca, qualunque essa sia.
Quando Pier Paolo Pasolini venne a tenere un seminario al liceo classico che frequentavo a Roma, ci disse “siate intellettuali; dovete essere degli intellettuali”. Noi eravamo adolescenti e non capimmo. Fingemmo lì per lì di aver capito. Pensavamo che lui volesse da noi che studiassimo a memoria la tragedia greca per prendere 8 all’interrogazione. Furono necessarie altre riunioni per capire.
“Siate appassionati, siate veri” ci spiegò poi “andate nel vostro lavoro civico di cittadini ad occuparvi di ciò che volete nel nome di una appassionata idea interiore che voi sentite vostra, unica, insostituibile. Se siete figli di zingari, ebbene: siate zingari. Perché quella è la vostra verità. E il mondo ha bisogno anche della zingaritudine, così come ha bisogno di tutto il resto. Non aderite al pensiero omologato, al pensiero consumistico della televisione, al pensiero collettivo che è rassicurante, ma non è mai intellettuale, perché non esprime nessuna verità e tantomeno somma di verità: è soltanto la verità del profitto che si presenta sotto mentite spoglie”.

Un intellettuale non si può candidare in un partito alle elezioni. Mai. Per nessun motivo.

Può, se vuole, scegliere di formare il candidato X del partito Y che lui vuole sostenere.
E’ una cosa diversa.

E’ la spaccatura che si è procurata in Europa nel 1949 tra la Francia e l’Italia, quando le due nazioni scelsero di andare per strade diverse; quando i francesi difesero come leoni l’esistenza della classe intellettuale e gli italiani, invece, decisero di rinunciarci.
Accadde in seguito alla conferenza stampa di due intellettuali francesi: Andrè Malraux e Jean Paul Sartre, di ritorno in Francia dal loro viaggio a Mosca.
Stalin, infatti, aveva saputo che entrambi si erano lanciati in una furibonda campagna contro l’adesione della Francia nella Nato e contro il colonialismo francese in Nord Africa. Li invitò quindi a Mosca. Ci andarono, per venticinque giorni. Erano due colonne della sinistra combattente di allora. Nella conferenza stampa organizzata dal partito comunista francese a Parigi, nel teatro Olympia gremito di folla, Malraux parlò per venti secondi. Disse: “Sono sempre stato comunista da quando avevo tredici anni. Essere stati in Urss è stato fenomenale, meraviglioso. Posso dirvi, quindi, che non essere comunisti a diciotto anni è da criminali; ma esserlo, dopo i quaranta, è da imbecilli irresponsabili. Io ho 41 anni”. La gente lì per lì non capì e rimase attonita. Prese la parola Sartre che attaccò subito: “Il comunismo è una colossale truffa: è la morte del libero pensiero”.
Il giorno dopo i due vennero identificati come due mascalzoni agenti della Cia.
In Italia si fece una scelta diversa e gli intellettuali accettarono, poco a poco, invece, di aderire –formalmente e ufficialmente- a delle consorterie politiche che imponevano scelte che non consentivano l’esibizione della propria verità. Perché “il partito era la Verità”.
Come è tuttora.
Qualunque sia il partito.
Quando Leonardo Sciascia, grande intellettuale siciliano, si iscrisse al partito comunista palermitano, la sua avventura durò tre giorni. Venne espulso e sbattuto fuori per mancanza di disciplina. Per sua fortuna Pannella lo accolse offrendogli copertura tra i radicali garantendogli che la “sua verità” sarebbe stata rispettata. Come avvenne.
Accadde lo stesso con la più grande intellettuale che l’Italia abbia avuto negli ultimi 50 anni, di cui non si parla mai, proprio mai (e non è un caso) Maria Antonietta Macciocchi, finita poi in auto-esilio volontario a Parigi.

In Italia gli intellettuali non esistono più, a differenza degli altri paesi occidentali.
O meglio, esistono, ma non hanno accesso al mercato. Sono marginali, clandestini, nascosti. Esistono, ma la loro presenza ed esistenza è negata e relegata ai margini. Sono diventati i veri banditi del nostro tempo; perché sono stati banditi dal sociale.
Sono considerati pericolosi. E’ vero. Lo sono.
Il 99% dei cosiddetti intellettuali italiani nnon sono tali: sono funzionari che veicolano verità non loro. Sono impiegati funzionari di alto livello, tutto qui.
E’ il trionfo del berlusconismo.
Basta vedere facebook o leggere i siti on line e la produzione media standard sul web per accorgersene.
Le persone vivono ormai in un mondo dove è considerata norma veicolare idee non proprie, verità non proprie, assunte da link, da altri, da fonti esterne a se stessi. Gli italiani stanno perdendo la facoltà minima di relazionalità, basata sul fatto di esporre la propria idea sul mondo manifestando una propria opinione radicata, qualunque essa sia. Hanno sempre bisogno di fare citazioni, di fornire (o chiedere, il che è uguale) fonti, date, dati, aggrappandosi a eventi esterni a se stessi. Diventa sempre più raro leggere qualche rigo scritto da qualcuno senza che venga menzionato qualcun altro, qualche teoria, qualche punto di riferimento, qualche scuola, qualche ente, qualcosa cui aggrapparsi pur di non essere se stessi. Si è sviluppato un egocentrismo becero mescolato a narcisismo e culto settario di certi totem che elimina la possibilità di sviluppo intellettuale, di confronto, di dibattito. Vogliono tutti dare risposte e tutti le pretendono.
Gli intellettuali non offrono mai risposte. Non ne hanno. Non è il loro compito.
Questo spetta alla Politica.
Gli intellettuali, ed è questo il loro compito, pongono invece domande. Aiutano a porsele. Tutto qui.
A questo servono.
A porsi domande, e a spingere a farle agli altri.
I più grandi e potenti intellettuali del mondo, com’è noto, sono i bambini, tra i 3 e i 5 anni. E’ l’età in cui vivono soltanto di domande perché vogliono capire, vogliono sapere; hanno voglia di essere intellettuali, di costruirsi la propria verità. E spesso fanno domande portentose che inducono più di un adulto a riflettere a lungo, a interrogarsi. Perché sono liberi. Sono ancora liberi. Ci penserà poi a 6 anni la scuola a ghettizzare la loro libertà.
E’ un’altra storia, quella dei liberi. E’ fatta di domande.


Quando aveva 22 anni e frequentava la facoltà di medicina a Padova, Galileo Galilei finì nel suo primo grande guaio. Chiese a un professore perché mai veniva dato per scontato che il pianeta Terra fosse un ente immobile incastrato dentro una sfera celeste; chi l’aveva detto che non si muoveva? Venne espulso per sei mesi, capì l’antifona. Galileo era senz’altro un uomo dotato di poderoso talento e di genio unico. Ma è probabile che, allora, ce ne fossero tanti altri come lui. Toccò a Galileo emergere. Perché lui “pose delle domande” ad altri e a se stesso. Gli altri, invece, davano per scontato ciò che c’era. Dasoli, in quanto ricercatori, si condannarono alla non conoscenza.
L’intellettuale serve per rileggere la realtà con occhi diversi.
E’ la molteplicità e la somma di tante potenti proprie verità che arricchisce una Cultura e la rende solida, formativa.
In Italia,si sta diffondendo sempre di più una totale adesione a verità che non sono verità ed è davvero raro leggere o ascoltare qualcuno che sostiene la “propria intrinseca verità”. E’ la caratteristica di una società chiusa e gretta, che non si pone più domande perché non è più abituata a porsele. Cerca soltanto risposte, come nel gioco d’azzardo e in tutte le compulsioni fobico-ossessive: si cerca la soddisfazione immediata e garantita. Si evitano le domande, si preferisce rincantucciarsi in risposte già note in precedenza, sono rassicuranti. Così facendo si rinuncia ad aumentare il proprio potere personale, perché non aumenta l’allargamento dentro il proprio Sé della “propria verità intrinseca”.

In questi giorni si vota all’Onu per accogliere la Palestina tra gli stati membri. La Francia e la Spagna voteranno sì. La Germania ha detto che voterà no. La Gran Bretagna (che aveva spinto da un anno per l’evento) all’ultimo momento ha dichiarato che ha cambiato opinione: si asterranno. In Italia, poiché non c’è stata possibilità alcuna di dibattere e confrontarsi sull’argomento (a differenza del resto d’Europa) nessuno può comprendere il perché l’Europa sia spaccata a metà su questa vicenda, tantomeno comprendere l’impatto che avrà sull’interesse generale geo-politico, e quindi economico ed esistenziale.
L’Italia che cosa vota? E perché vota sì, oppure vota no, oppure si astiene?
Non si sa neppure, in Italia, che il Regno d’Arabia Saudita non voleva che si portasse adesso la domanda all’Onu. In Arabia Saudita sta nascendo una poderosa nuova borghesia emergente che sta producendo degli inediti quanto clamorosi risultati, e laggiù sta nascendo una classe di intellettuali mussulmani pensanti di grande spessore che vogliono radicalmente cambiare la struttura del mondo mussulmano. Essendo l’Arabia Saudita il più grande e importante paese arabo –in quanto è sede dei due luoghi santi dell’Islam- tutto ciò diventa fondamentale per la comprensione del nuovo quadro geo-politico planetario. Da noi, la gente di tutto ciò non sa nulla. Così come nessuno sa nulla a proposito del fatto che da quattro giorni il ministro Riccardi, insieme al plenipotenziario del Vaticano, è chiuso dentro una stanza a El Cairo insieme ai quattro più importanti ayatollah mussulmani della zona del Mediterraneo a discutere. Di che? Di che cosa parlano? Come mai non ci dicono niente ufficialmente? Come mai il governo italiano, all’improvviso, è diventato una pedina così importante nello scacchiere mediterraneo? Di tutto ciò se ne parla a Praga, a Copenhagen, ad Amsterdam, ad Aberdeen, a Oporto, a Kiev, e in tutto il continente americano. Ma non in Italia.

Tutti a caccia di risposte. Immediate, per giunta.
Tutti in cerca di un guru, di un comico, di una setta, di un salvatore, di una teoria che fornisca immediatamente la risposta paradisiaca, senza comprendere che le risposte sono irrilevanti.

Ciò che bisogna cambiare è la qualità della domanda.
Così si apre il proprio cervello.

Se non si cambiano le domande, le risposte saranno sempre le stesse, anche se sembrano diverse.

Che poi, a dare le risposte, siano Romano Prodi o Silvio Berlusconi o Pierluigi Bersani o Pierferdinando Casini o Matteo Renzi o Beppe Grillo, che cosa cambia?
Dato che si chiede loro sempre la stessa cosa?

Come qualcuno comincia a capire e rendersene conto -guarda caso quando le chiacchiere risultano zero e arrivano i veri conti e le domande sono di tipo diverso- la risposta è talmente agghiacciante da far comprendere a chiunque che fino a quel momento erano state sbagliate le domande: e mi riferisco qui all’Ilva, e alla risposta del potere: o morite di fame o morite di cancro.

Questa sarebbe una risposta?
Questa è una risposta accettabile per una società democratica?
Questa è una risposta consentita nella più ricca nazione d’Europa?
Questa è una risposta comprensibile nella nazione che risulta la prima produttrice manifatturiera dell’Europa?
Questa, vi sembra, è la risposta di una nazione evoluta?

Cominciate a cambiare il tipo, la forma e la qualità delle domande.

Vedrete come Mario Monti comincia a sudare freddo.

Loro viaggiano su software sicuri per una società sempre più robotizzata. Hanno risposte standard buone per le solite domande. Se la domanda cambia vanno in tilt. Come tutti i robot.

Cambiate le domande se volete capire.
Le risposte, non hanno importanza.
Ciò che importa è la qualità degli interrogativi.

E’ un po’ come per i viaggi.
Non conta tanto la destinazione, quanto il viaggio di per sé mentre uno lo vive.

A questo servono gli intellettuali: a far circolare le idee senza imporne nessuna.
Purchè siano idee e non un pasto precotto dall’odore nauseabondo.

In Italia, davvero pericolosissimo.

Altrimenti la gente non si berrebbe Bersani o Berlusconi come una novità.

lunedì 26 novembre 2012

Tranquilli! I Maya non arriveranno. Per nostra fortuna, sono già arrivati.



di Sergio Di Cori Modigliani


GLOCAL.

Una parola che mi piace da matti.

Sono innamorato del Senso e del Significato di questo termine. La considero un ottimo passepartout per poter avere accesso a quella cassaforte che, una volta aperta, ci consente di poter comprendere meglio la reticolazione della complessità del mondo in cui viviamo.

E’ una parola, di per sé, esteticamente rivoluzionaria, pregna di significati multipli. Non appartiene al repertorio piccolo-borghese della vanità anglofona, non ha -per sua natura intrinseca- una valenza nazionalistica, non è restrittiva, è priva di riferimenti ideologici, non veicola alcuna tesi preconcetta, consente di sottrarsi al sistema di contrapposizione bipolare che crea antagonismo e conflitto, e, dulcis in fundo, consente di combattere politicamente i due schieramenti reazionari che vogliono salvaguardare lo status quo planetario, per impedire che le giovani generazioni siano in grado di costruire una società migliore, più equa, più solidale e umanamente più gradevole per tutti.

Glocal, infatti, in quanto sintesi di globale/locale, toglie il 50% della sua forza all’onnivora e strozzina presenza delle multinazionali, sorrette dai colossi della finanza speculativa, obbligandoli a fare i conti con l’esistenza e il rispetto delle singole realtà locali, quindi dell’esistenza della diversità. Allo stesso tempo, toglie il 50% della sua forza alla reazionaria moda dilagante che vede nell’esaltazione di un protezionismo locale, di una salvaguardia provinciale di interessi piccoli, miopi e ottusi, la possibilità di fare demagogia esaltando il valore assoluto di un luogo, di una merce, di una idea, di un progetto, di una etnia, senza tener conto del fatto che siamo ormai tutti intrecciati, interconnessi, interdipendenti.

Perché, volenti o nolenti, siamo finiti dentro una REALTA’ COMPLESSA.

E quindi, per chiunque voglia comprendere come situarsi e capire il funzionamento della realtà (una volta che si è fuori dai comizi) è necessario affrontare le singole tematiche secondo nuovi schemi complessi, che utilizzano nuovi algoritmi di riferimento, che devono essere per forza polivalenti e devono applicare, giocoforza, il concetto di all inclusive, perché basta  anche l’esclusione di un piccolo frammento –anche minimo- e il puzzle non può essere completato. Quindi non si può vedere la figura per intero. Di conseguenza non è possibile avere una immagine aderente al quadro della realtà.

E’ la caratteristica principale del tempo storico attuale nel quale siamo immersi.

Un momento davvero meraviglioso, epico.

Al di là delle singole mestizie, dolori, problemi, confusione, incertezza, derivanti per ciascuno di noi dai problemi legati a una situazione personale, familiare, sociale, comunale, regionale, nazionale, continentale, appare oggi –come non era mai accaduto nella storia della civiltà sul pianeta Terra- la consapevolezza sempre più diffusa che siamo alla vigilia di un salto di coscienza planetario. Gli esseri umani, nella loro singola identità socio-politico.geografica, hanno raggiunto il limite massimo dell’entropia e la tenuta planetaria non è più sostenibile: o la Specie Umana si evolve e quindi prosegue la propria epopea esistenziale inoltrandosi verso un successivo anello della catena evolutiva (spaventevole, perché nuovo, quanto affascinante, essendo una novità) oppure corre il rischio di implodere, esaurirsi, spegnersi. Ci sono stati altri momenti epocali sul pianeta, ma sempre locali, mai planetari. Quando il grande impero persiano si scontrava con la grande civiltà greca coinvolgendo metà del pianeta, nell’altra metà (cioè i Maya, gli Incas, gli Aztechi, gli Araucani, i Wichi, i Sioux, gli Apaches e tutte le popolazioni africane) neppure arrivava la notizia, tanto meno l’impatto o una qualche conseguenza; se si imponeva il Grande Serse oppure il Grande Alessandro era irrilevante per gli altri, per quelli dell’altra metà del mondo. E così via dicendo.

La Specie Umana si è espressa sul pianeta, fin dalle sue origini, applicando l’unico principio possibile dal punto di vista bio-psichico: la proiezione nel sociale collettivo del proprio hardware, ovverossia il cervello umano che, com’è noto, è fisiologicamente strutturato in due sezioni diverse: una è quella alla quale noi attribuiamo la responsabilità della nostra emotività e affettività, e l’altra è quella deputata al controllo razionale della realtà. Questo fatto ha comportato una interpretazione del mondo bipolare, per cui l’esistenza è stata incorporata come se fosse un binario parallelo, di cui esistono anche degli immediati riferimenti bio-geografico-atmosferici: la vita e la morte, la notte e il giorno, il caldo e il freddo, la fame e la sazietà, la stagione della semina e del raccolto, e poi via via che l’umanità proseguiva nella propria maturazione intellettuale, l’applicazione del concetto base metaforico di ogni civiltà storica e religione: la contrapposizione del Bene e del Male. Il cervello, contento, registrava questi avvenimenti, e il nostro dna li trasmetteva alle generazioni successive, accelerati e moltiplicati dalla programmazione neuro-comportamentale attuata da genitori, maestri, scuole, amicizie, esperienze collettive sociali. L’Umanità è proseguita, quindi, in maniera lineare, secondo questo schema bipolare primitivo e oggi ci possiamo anche aggiungere “barbaro”: grazie a questa dicotomia di base, la trascendenza genetica della nostra memoria scimmiesca ha affermato, fin dalle origini del nostro essere umani, il primato della violenza e del diritto del più forte su quello del più debole. Nei millenni, questo principio si è poi manifestato e affermato secondo modalità socio-storiche, che ha prodotto l’invenzione di re, dinastie, aristocrazie, eletti, privilegiati, illuminati, enti (ed entità) superiori di vario genere e di varia natura. Il tutto, seguendo e alimentando sempre la logica bipolare sulla quale si è retto il mondo, occidentalisti e orientalisti, settentrionali e meridionali, fascisti e comunisti, guerra fredda tra Urss e Usa, ecc. Fino a tempi recentissimi.

Anche se a noi, oggi, può sembrare strano e davvero buffo, in Europa, fino a 300 anni fa (in tempi storici, quindi, un nulla, praticamente l’altro ieri) le popolazioni erano davvero convinte che gli aristocratici avessero nelle loro vene sangue di colore blu. Non era una diceria, neppure una metafora. Era un fatto reale. Questa perversa fantasia veniva alimentata dal fatto che non esisteva nessun contatto tra gli eletti e gli inferiori, i quali non avevano possibilità di accesso diretto con i mondi socialmente superiori. Aumentando, via via, la complessità sociale, i superiori, nei millenni, hanno costruito una folta classe di intermediari -loro custodi- che si occupavano, attraverso le successive sottoclassi, di confermare tale fantasia, che successivamente è stata trasferita in termini metaforici e mantenuta rigorosamente in termini reali. Da “possessori di sangue blu per vie genetiche ereditarie” si è passato all’affermazione di “comparti burocratici di aderenti a selezionati club di esseri al di sopra della Legge”, il che è uguale.

Cambia la forma ma non la sostanza.  Basterebbe pensare che le 34 persone responsabili dei destini di 500 milioni di europei (parlo di oggi novembre 2012) e cioè Draghi, Barroso, Juncker, Van Rompuy, Lagarde e gli altri 29, sono persone che nessuno ha mai eletto e stanno lì come funzionari esecutivi, esattamente e in copia conforme a quanto facevano nel 1703 i funzionari che rappresentavano gli interessi dei proprietari di sangue blu nelle loro vene. E’ un consueto, normale e piatto proseguimento dell’applicazione di un concetto bipolare mentale dei due emisferi dell’encefalo, trasferiti in campo sociale.

Ma il progresso scientifico, venti anni fa, ha posto l’inizio della parola fine a quest’idea dell’esistenza, perché ha fatto irruzione sul teatro della storia un evento impensabile fino a qualche tempo prima: la complessità.

Ma soprattutto la complessità nell’interconnessione.

Cioè l’invenzione del web.

I computer che noi usiamo, anche i più sofisticati e avanzati, sono macchine basate sulla applicazione matematica della logica binaria, che è una rappresentazione, in termini numerici, dei due emisferi del cervello. Il limite del computer, che lo rende un deficiente stupido se paragonato a un qualsivoglia umano, consiste nel fatto che non comporta l’esistenza –per sua natura- del principio di contraddizione, base essenziale della natura umana. Se uno dà ordini contrastanti ad un computer, per esempio “accenditi e spegniti, allo stesso tempo”, il computer non lo capisce, si impalla e va in tilt. Mentre per ogni essere umano, è la cosa più normale al mondo, addirittura presente e reale perfino nella sessualità; per esempio ci si può sentire molto attratti da un essere umano ma contemporaneamente, nello stesso identico momento, si ha voglia di respingerlo: si chiama magia dell’esistenza. Era lo scoglio sul quale gli ingegneri cibernetici, i matematici, gli studiosi delle comunicazioni, erano andati a sbattere arenandosi intorno agli anni’70. Finchè, nei primi anni’80, grazie alla geniale idea di coinvolgere nelle ricerche cibernetiche anche i biologi e i neurofisiologi, si è compiuto un salto epocale.

Si è abbandonata l’idea, durata 10.000 anni, di proiettare nella realtà in tutte le sue forme il sistema binario dell’encefalo e di “leggere” il cervello umano secondo una logica diversa, ovverossia occuparsi della velocità di passaggio di energia elettrica tra un neurone e l’altro, della produzione di sinapsi nel cervello attraverso i ricettori e, invece di ragionare pensando al cervello come a un gigantesco hardware composto da due parti contrapposte, pensare al cervello come un ente unico il cui hardware di base consiste nella reticolazione delle decine di miliardi di cellule neuronali che in ogni millesimo di secondo della nostra vita lavorano incessantemente e a pieno ritmo per garantire al nostro corpo, alla nostra anima e alla nostra esistenza, l’espletamento di ogni funzione psico-fisica.

Per quasi dieci anni, i migliori scienziati hanno lavorato su questa ipotesi, finanziati dai militari che vedevano in questa ipotesi la possibilità di agguantare una formidabile arma logistica di intelligence. Tra tutti, i più avanti erano i russi, grazie alla tradizione del loro pensiero scientifico, che agli inizi del ‘900 si era avvalso delle geniali intuizioni del matematico Ouspenski, autore di una monumentale e succosa sintesi tra scienza ed esoterismo. E’ stata la fine del comunismo e la salvezza del popolo russo. I sovietici avevano il web già nel 1978 e lo sperimentarono per la prima volta nell’invasione dell’Afghanistan. La Cia era disperata perché in occidente non riuscivano ancora ad arrivare a quel tipo di dimensione applicativa. Come spiegava il professor Rorty nelle sue lezioni, grazie a questa scoperta, la Russia è riuscita a conquistarsi un record unico sul pianeta nella storia della civiltà: “è l’unica nazione al mondo che dopo aver perso completamente una guerra, arrendendosi senza condizioni, invece di pagare i danni si fa pagare”. Nel febbraio del 1990, 125 ingegneri elettronici russi del centro polivalente della facoltà di Mosca e 55 neurofisiologi dell’istituto Lenin di Kiev, grazie alla nuova realtà politica, venivano assunti al Mental Research Center di Palo Alto, nella Silicon Valley, in California, dando vita a quella che, di lì a due anni, sarebbe stata commercializzata con il nome di web.

In Italia e in tanti altri luoghi arretrati del mondo è arrivata con enorme ritardo.

Oggi, il pianeta è interamente connesso, con l’unica eccezione al mondo della Corea del Nord. Ogni governo, consapevole del pericolo insito in questo mezzo di comunicazione, a seconda della propria situazione, cerca di annacquarne gli effetti, imbrigliarlo, imbavagliarlo ma sono consapevoli del fatto che giorno dopo giorno diventa sempre più arduo e difficile. Basta ormai davvero poco per riuscire ad aggirare ogni forma di oscuramento, i governi lo sanno e, i più retrivi, dispotici e reazionari, cercano di spingere quanto più a lungo è possibile per un ritorno al passato, ovverossia impedire alla gente di connettersi secondo il flusso, ovvero seguendo la corrente generata dalle sinapsi, ma spingerli verso la logica binaria encefalica, ovverossia fare in modo di attivare dei meccanismi continui e ossessivi di spaccatura bi- frontale, eccitare il ragionamento fazioso di parti contrapposte, fare in modo di operare secondo le modalità da topo di laboratorio, incastrati in un gioco delle parti che appartiene a un mondo sempre più in via di estinzione, basato sul concetto dell’esclusione, elemento nel quale la pratica dell’odio svolge una funzione fondamentale e direi imprescindibile. Nel flusso di energia del nostro cervello, invece, l’esclusione non esiste, non esistono compartimenti stagni; perché il sangue e la corrente elettrica è sempre in movimento e arriva comunque dovunque, come la rete potrebbe consentire (teoricamente),  arricchendo e ingigantendo la connessione.  

In Italia, invece, nazione (com’è noto a tutti noi) particolarmente regredita e regressiva, l’idea dell’allargamento dei contatti e delle connessioni basate sul concetto di flusso all inclusive è ancora di là da venire. Mario Monti & co. possono davvero dormire sogni tranquilli. Fintanto che c’è il tifo, la preselezione dell’argomentazione, la ricerca dell’esclusione del diverso, fintanto che c’è l’internauta, che in rete pratica la bulimica caccia alla notizia, all’ informazione, al fatto relativi a un’ idea preconcetta, allora vuol dire che ci si sta sottraendo all’idea evolutiva del web. O ancora peggio, lo si usa a proprio inconsapevole detrimento: si ingrossano le sbarre della propria prigione sociale e si finisce col vivere una idea del proprio cervello ormai limitata. Si diventa una macchina e l’energia non fluisce. Basterebbe un elementare esempio tratto dalla cronaca quotidiana politica, quello relativo a Matteo Renzi, rispetto al quale non mi schiero né a favore né contro, altrimenti la mia argomentazione non avrebbe alcun significato. Nel presentare il suo programma, qualche mese fa, dichiarò che si rivolgeva a tutti gli  italiani, perché voleva vincere le elezioni, quindi anche a tutti coloro che avevano votato per Berlusconi ma ne erano stati delusi. Venne definito una specie di agente segreto inviato dalla destra per distruggere la sinistra. La gente partecipò a questo dibattito tra, diciamo così, involuti. Si trattava, infatti, di un ossimoro: “quando mai potrei vincere una elezione se il mio massimo obiettivo consiste nel puntare a raggiungere una minoranza matematica?”. Tale idiozia era basata, per l’appunto, sul concetto di tifo che si rifà all’idea del proprio cervello come la somma di due emisferi (quando va bene) e non un flusso di energia costante dove le due parti sono sempre e inequivocabilmente interconnesse.

Si può usare quindi il mondo dell’informazione e in particolare la rete, in due modi che sono diversi: cercare ciò che conferma quello che già penso, seguire ciò che sostiene il mio punto di vista che esclude quello degli altri, cercare eventi, notizie e fatti a suggello di tesi che seguo per ideologia, partigianeria, faciloneria, o identità gruppale, al fine di mantenere inalterata la mia identità garantita dalla divisa che porto, ecc. Oppure, cercare sempre e comunque di connettersi nella maniera più dilagante possibile, cercando di attivare un flusso di corrente alternata non con i propri pari, bensì con i propri dispari, non con chi la pensa come noi bensì con chi non la pensa come noi, non con chi è d’accordo su A e B bensì con chi è in disaccordo e magari scoprire che nel mio A c’è tanto da cambiare ma nel C e nel D esistono delle novità affascinanti che non avrei mai immaginato, dato che per il solo fatto che le accetto, l’aumento di corrente elettrica nel cervello fa un balzo in avanti progressivo e io divento più colto. Ne so di più sul mondo. Perché accetto l’idea che la A e la B che ho da tempo interiorizzato non sono l’Alfa e l’Omega, bensì A e B. Accetto quindi l’idea che io so A e so B ma so anche di non sapere che cosa c’è dalla C alla Zeta.

C’è un mondo là fuori che sta cambiando, fortunatamente.

E’ un mono davvero bellissimo.

E’ un mondo dove, oltre a non esserci odio, non c’è neppure paura, altrimenti non sarebbe all inclusive, ed è accessibile attraverso la rete. Sta qui, sta a portata di mano, è gratis, è per tutti.

La settimana scorsa, in seguito al conflitto armato tra Israele e Gaza si è scatenata sulla rete italiana (il fenomeno è stato soprattutto italiano) una contrapposizione frontale davvero perniciosa. Per un giorno mi sono fatto coinvolgere, vivendo in Italia. Poi, mi sono sottratto e me ne sono andato a fare i miei giri liberi sul web e ho incontrato delle bellissime realtà: siti mussulmani palestinesi di pakistani, sauditi, gaziani, giordani, pullulanti di persone con le quali parlare, discutere, confrontarsi, la maggior parte delle quali sostenevano ipotesi, idee e interpretazioni inconcepibili per la maggioranza dei tifosi italiani.

Il mondo, per fortuna, non è quello dei due emisferi cerebrali contrapposti. Non lo è più.

Quantomeno, non è soltanto quello.

E’ soprattutto quello delle libere interconnessioni e del flusso e del reticolato.

Per dirla in sintesi divulgativa folcloristica: “ la profezia dei Maya è già avvenuta”.

Non si è trattato di un evento dell’epica hollywoodiana. E non accadrà nulla secondo l’idea cinematografica dell’esistenza.

Ma il mondo dei primati si sta già avviando verso la sua estinzione.

Si sta sviluppando sul pianeta Terra una bellissima interconnessione di soggetti appartenenti alle più diverse culture, religioni, etnie, classi, che si riconoscono (a pelle o a input elettronici) per il solo fatto di applicare il concetto all inclusive a priori. Si tratta dell’acquisizione e incorporazione di un livello di consapevolezza spirituale che comporta l’accettazione di una visualizzazione del nostro cervello vissuto come reticolo intrecciato e non più come la somma di due emisferi spaccati a metà; il che vuol dire la pianificazione comune di energia equo-sostenibile; l’idea di una società fattibile, realistica e probabile,  senza la suddivisione tra privilegiati e schiavi, tra chi comanda e chi esegue, tra superclassi di eletti intoccabili e sottoclassi di umani passivi. Esiste già questa realtà. E si sta diffondendo sempre di più, con insospettabili meravigliose sorprese che poco a poco cominciano ad arrivare dai punti più disparati del pianeta.

La vecchia macchina della specie umana bipolare si è rotta.

C’è chi è sceso e se ne sta andando a piedi: la strada è lunga e faticosa e molto spesso davvero molto poco comoda, anzi non lo è affatto.

Ma si incontrano davvero un sacco di podisti esistenziali davvero divertenti, tra i più stravaganti e inconsueti.

E i  numeri cominciano a essere davvero grandi.

Per questo c’è chi vuole la guerra in giro per il mondo, non sanno come fare a contrastare l’evento. Hanno capito che si tratta di una rivoluzione invisibile.

E soprattutto Glocal.

E’ dovunque, è comunque e, nonostante sia globale, in ogni paese, in ogni cultura e in ogni continente, si sta cominciando a manifestare secondo modalità diverse, distinte, autoctone.

Mi piaceva cominciare questa difficilissima settimana con una bella notizia per tutti.

Ma non chiedetemi il link.

Non esiste.

Oppure, se c’è, sta soltanto dentro la mente di Dio.

Il che vuol dire dentro l’intelligenza del cuore di ciascuno di noi.

Nessuno escluso.

Neppure i commentatori imbecilli.

All inclusive, vuol dire davvero tutti, ma proprio tutti.

Ci faremo carico anche dei più sciocchi.

venerdì 23 novembre 2012

Basta con l'odio puro sul web. Abbiamo tutti voglia e bisogno di Amore e Pace



di Sergio Di Cori Modigliani


Mi ero chiesto, ieri sera, accorgendomi che (su facebook e nella maggior parte dei siti online e sul web italiano) non c’era alcuna felicità alla notizia della tregua, non c’era alcuna allegria all’idea che là, nel martoriato Medio Oriente, non volano più missili e, in un modo o nell’altro, se ne stanno seduti intorno a un tavolo a scannarsi con le parole…ebbene….mi ero chiesto “che cosa faranno adesso tutte queste persone che si sono gettate a pesce nel costruire e diffondere soltanto odio, livore e faziosità?”. Si troveranno all’improvviso vuote e disoccupate, pensavo io ingenuamente. Macchè. Insistono.
Lì c’è la tregua.
(per fortuna)
In Italia no.

Seguitano dovunque e comunque a pubblicare orribili immagini necrofile (peraltro false, ma questo è il meno) seguitano a diffondere notizie false, e addirittura stanno creando dei veri e propri scenari immaginari.
Non è facile argomentare con persone simili.
Una mia lettrice, che si firma Pia Di Benedetto e che ha deciso di fare una sua guerra personale inondando la sua pagina di facebook con dei deliri (ma la pagina è sua e ci faccia ciò che vuole) comprese immagini relative a incidenti sul lavoro verificatisi nell’Oman nel 2003 che lei presenta (sembra che sia l’unica ad avere questa informazione) come il frutto di “particolari e segrete armi sconosciute usate dall’esercito israeliano” che avrebbero come fine quello di deturpare bambini provocando malattie incurabili, si avvale di interviste a medici che lamentano la mancanza di plasma e sangue a Gaza e –naturalmente- un brulichio di consensi che finisce in certi specifici siti dove…voilà…c’è la manina tesa di chi chiede un obolo, qualche assegno, una sottoscrizione, da inviare subito a Gaza, dove i vostri soldi arriveranno di sicuro (loro ve lo garantiscono) nelle mani di contadini palestinesi bisognosi: parola della rete.
Così va l’Italia, oggi.
Ho ricevuto diverse lettere piuttosto insultanti e offensive come al solito, ma si sa che il livello in Italia sta scadendo ogni giorno di più, sostenendo che non volevo dire la mia (più di ciò che ho fatto non so proprio) accusandomi tra l’altro di non essere un fautore del Libero Pensiero, ormai l’unico cavallo di battaglia che mi è rimasto.
E così, ho deciso di rispondere a questa Pia di Benedetto, la quale protestava sostenendo che in Italia non esiste antisemitismo, non esiste razzismo e tutti i mali del mondo derivano semplicemente dal fatto che stiamo assistendo al massacro di inermi cittadini palestinesi da parte dei perfidi israeliani.


Ecco che cosa le ho scritto:
"Sono d'accordo con lei, non esiste una violenza buona e una violenza cattiva; in compenso, però, esiste una buona informazione e una cattiva informazione. Le faccio un esempio. La striscia di Gaza di cui tutti oggi parlano senza avere nessuna reale competenza in merito, nel 1948 è stata occupata militarmente dall'Egitto, il 24 febbraio del 1948. Quando è nato lo Stato d'Israele, Gaza apparteneva alla repubblica d'Egitto, era una sua provincia. Dal 1948 al maggio del 1966, gli egiziani hanno gestito quella zona con pugno di ferro; in diciotto anni hanno ucciso circa 25.000 palestinesi, obbligando la maggioranza dei palestinesi residenti a emigrare nel regno di Giordania. Nel giugno del 1967, l'esercito egiziano invade in maniera unilaterale Israele, uccidendo centinaia di coloni ebrei e marcia su Tel Aviv. Ma l'esercito israeliano lancia una controffensiva militare guidata dal generale Moshe Dayan e sconfigge l'esercito egiziano raggiungendo il canale di Suez. Di conseguenza, Gaza finisce occupata, nel 1967, dagli israeliani che avevano vinto una guerra non voluta da loro. In seguito ai trattati tra Egitto e Israele (durati circa 25 anni di trattative) è finita che Israele ha restituito "formalmente e legalmente tutti i territori occupati nel 1967 a coloro che là risiedevano prima, sotto controllo politico egiziano". Ma in quella zona, invece di mettere su un governo autonomo dei palestinesi (che gli israeliani volevano e auspicavano) gli egiziani hanno dato la delega a dei gruppi di fondamentalisti islamici che praticano il terrorismo che hanno preso il controllo della situazione dichiarando che "non riconoscevano l'esistenza di Israele". L'Egitto ha deciso di lavarsi le mani giocando quindi su due sponde. Non è un caso che l'Onu ha chiamato tre giorni fa l'Egitto e ha detto loro "quella è zona vostra, voi avete lanciato la guerra, voi la dovete finire" ed è quello che è accaduto. Da notare che i palestinesi cacciati dall'Egitto dalla zona di Gaza dal 1948 al 1967 che si erano rifugiati in Giordania sono stati per lo più massacrati dal re di Giordania con la totale complicità di Usa, Russia Gran Bretagna, Iran, Egitto e tutta l'Unione Europea alla fine degli anni'70 (decine di migliaia di morti innocenti). Nacque così, allora, la più aggressiva organizzazione terroristica palestinese che si chiamava "settembre nero" (dal nome del tragico settembre in cui la Giordania scatenò la mattanza dei palestinesi innocenti); si dà il caso che tale organizzazione aveva una sua anòmala e inèdita particolarità: CHIAMAVA A RACCOLTA LE POPOLAZIONI ARABE CONTRO L'IPOCRISIA, LA FALSITA' E LO SFRUTTAMENTO da parte dei governi arabi legati alla dinastia saudita, reclamando l'autonomia e l'indipendenza dei palestinesi. E' andata a finire che settembre nero è stata sciolta come organizzazione, i loro leader sono stati tutti assassinati dai sauditi e dagli emirati del Golfo Persico, i quali hanno dato vita alle organizzazioni islamiche fondamentaliste che hanno poi assunto il nome di Hamas, Hezbollah, Jihad Salafiti. E nell'immaginario collettivo dei pacifinti europei si è fatto credere che "settembre nero" fosse relativo a una presupposta strage compiuta da israeliani, mentre invece erano stati i giordani. Costoro hanno DELIBERATAMENTE detto e costruito il falso sostenendo che il nemico era Israele. Il nemico dei palestinesi è sempre stato, è tuttora, e sempre sarà, l'integralismo dei governi oligarchi fascisti arabi che hanno bisogno di diffondere sentimenti anti-israeliani e odio antisemita per impedire le rivolte interne dei loro popoli che aspirano alla democrazia. La verità -ma in quelle zone la verità la sanno tutti- è che lo Stato d'Israele è la migliore difesa in assoluto e l'unica garanzia per i palestinesi di poter avere una zona dove vivere in pace, avere lavoro e costruirsi una comunità di persone libere e pacifiche. E' ciò che non vogliono i governi criminali arabi, legati alla grandi lobbies del petrolio texano e dei colossi finanziari speculativi che sostengono i loro squallidi governi dittatoriali. Queste sono le informazioni storiche relative alla situazione in medio oriente. Quello che lei chiama e definisce "massacro a Gaza" è il frutto di una ottusa, miope, e falsa argomentazione nata dalla propaganda ideologica dei poteri forti e dittatoriali delle dittature arabe. Pensare che degli sceicchi miliardari, soci della famiglia Bush, possano anche minimamente avere a cuore –anche per un millesimo di secondo- i destini della popolazione povera civile palestinese (parlo qui dei poveri veri) è davvero una semplice follia, oppure un'illusione, oppure un grave errore, oppure il frutto di cattive informazioni (quando si è in buona fede, come penso e mi auguro lo sia lei); quando si è in malafede, è semplicemente il frutto di menti corrotte e irresponsabili che stanno lucrando tutti i giorni sulla pelle dei poveri palestinesi, vittime predestinate che tutti coloro che oggi fingono di stare dalla loro parte dietro una tastiera, seduti comodamente a casa, stanno avviando verso un massacro annunciato, che -per l'ennesima volta- verrà compiuto, orchestrato e realizzato dai dittatori arabi. Come ha già iniziato a fare Assad in Siria nella più totale indifferenza del mondo. Con la deliberata indifferenza di voi tutti. Che guarderete in televisione gli eventi, nella più squisita delle ciniche indifferenze europee, complici inconsapevoli della eliminazione degli inermi cittadini palestinesi, vera e propria carne da macello, così usata dai dittatori oligarchi arabi fascisti per impedire le rivolte democratiche nei loro rispettivi paesi, e fare in modo che i palestinesi non si chiedano: “come mai l’emiro del Qatar Al-Thani quando gli abbiamo chiesto 100 milioni di dollari per costruire un ospedale pediatrico ha detto NO, però ci ha fatto avere in compenso missili a lunga gittata per un controvalore di 450 milioni di euro?””.


Piantatela di diffondere odio puro. Andate dallo psichiatra.

Se non ce la fate, sospendete l’attività sul web e cercatevi un bravo medico. Così facendo ottenete un duplice risultato: fate del bene alla vostra salute mentale, fate del bene alla collettività.
La società ringrazia.

Abbiamo bisogno di messaggi e input positivi e d’amore e di pace.
Non delle irresponsabili chiacchiere di chi scarica la propria frustrazione esistenziale in rete, alimentando l’odio in Italia, diffondendo cattiveria, rabbia e faziosità ottusa.

Tutti questi, da qualunque parte sostengano di essersi schierati, sono sempre stati, sono e sempre saranno I VERI NEMICI DELL’UMANITA’, i cosiddetti facitori di odio puro.
Che poi, a soffrire, siano palestinesi, israeliani, malgasci, boliviani o norvegesi, per me, è davvero irrilevante e indifferente.

L’unica vera discriminante è tra chi vuole e auspica la pace e chi invece diffonde ogni giorno odio.