martedì 15 novembre 2011

Cambia il vento: è il momento delle "toghe rosa". Questa donna si chiama Francesca Mioni e a Firenze ha condotto l'inchiesta "le mani sulla città" facendo arrestare il capogruppo del PD.


di Sergio Di Cori Modigliani

I loro nomi sono poco noti, le loro facce pure. Non le vediamo intervistate sui rotocalchi e alla televisione “meno male  e per fortuna” risponde una di loro.
Non sono in cerca né di visibilità né tantomeno di pubblicità.
Vogliono soltanto fare il loro lavoro.
Quella che vedete nell’immagine in bacheca si chiama Giuseppina Mioni e non piace al PD.
Così come Ilda Bocassini non piace al PDL e Francesca Loy non piace a Gustavo Raffi e alla massoneria conservatrice di destra.
Basterebbero queste tre per spiegare l’esistenza delle “toghe rosa alla riscossa”.
Da sole coprono, praticamente, tutto l’arco costituzionale della presenza politica in parlamento, cioè, di quella parte della nostra classe politica che pensa alla propria casta, al proprio partito, al proprio gruppo chiuso, dimenticandosi che si vive in iun consorzio collettivo e che la Legge è uguale per tutti.
Quantomeno in teoria.

Ciascuna nel proprio ambito, nella propria procura, nel proprio territorio, queste donne si sono trovate a portare alla sbarra i tre centri politici più importanti della vita nazionale: i democratici di sinistra, Berlusconi, i vertici della Massoneria. E poi c’è Alessia Tavarnesi a Perugia e Francesca Passaniti a Roma che si occupa dell’indagine sui Grandi Appalti e ha in mano l’inchiesta (che ha voluto portare avanti lei) su tutte le concessioni legate ai mondali di nuoto a Roma.
Giuseppina Mioni –e il risultato del lavoro suo personale e della sua equipe presso la Procura generale di Firenze- potrebbe essere anche una delle tante spiegazioni dei malumori dichiarati di gran parte del management del PD nei confronti del sindaco Matteo Renzi, reo di essersi rifiutato di prendere qualunque posizione in merito, rispettando il principio della totale indipendenza della magistratura rispetto alla vita politica degli amministratori. Non è forse un ‘eccessiva dietrologia sostenere che non sia proprio un caso che proprio tre mesi dopo la sua elezione, la magistratura fiorentina piomba negli uffici del capogruppo PD con le manette.
Meno male che secondo Bersani, nel PD, non esiste una questione morale.
Giuseppina Mioni, dopo aver chiuso l’istruttoria di indagine (denominata in Toscana “le mani sulla città”) è passata agli atti ufficiali d’accusa, e così per Alberto Formigli, capogruppo del PD al comune sono arrivate le manette e in seguito gli arresti domiciliari. Sono finiti in carcere anche Giovanni Benedetti, 51 anni –geometra ufficiale del comune di Firenze- il pensionato Bruno Ciolli, 63 anni, ex funzionario all’ufficio edilizia privata del comune (oltre che funzionario del PD) e altre dodici persone. Tutto ruotava intorno a una società di architetti “Quadra” che da sempre gestiva –in cambio di voti, soldi, favori- il sistema degli appalti comunali nella capitale toscana.
E mentre la Bocassini lavora a Milano e la Mioni lavora a Firenze, e a Roma prosegue la gestione dell’inchiesta sui grandi appalti, la procura generale della capitale si prepara all’appuntamento del 22 novembre, prima udienza contro Valori e Baldassarre, due colonne che sorreggono il traballante impero personale del capo del GOI massonico.
Il dito lo punterà contro Maria Francesca Loy, un'altra donna.
A colpi di codici.
Ce ne stanno anche altre sei che lavorano a Cagliari, a Venezia, a Udine, a Catanzaro, a Enna. A settentrione, al centro e al sud, piccoli centri, grandi centri. E tutte le loro inchieste ruotano intorno a un unico argomento “corruzione e interesse privato in atto pubblico”, non si occupano di omicidi, rapine o altri reati.
Mi sono chiesto il perché.

Una coincidenza? Un caso fortuito? O forse le magistrate sono più idonee, meno ricattabili, più oneste e pulite dei maschi? Oppure c’è qualcosa nella natura femminile che spinge queste persone ad esercitare il loro ruolo e la loro funzione con un comportamento diligente ed efficace molto più potente di quello dei loro colleghi maschi?
Prendiamo atto di questa bella notizia nazionale, ne abbiamo bisogno.

Esistono le “toghe rosa” che fanno spirare un’aria diversa, con loro cambia il vento.

Sono andato a chiedere un’opinione a una italiana pensante, una intellettuale, una donna animata da una autentica passione civile, Sandra Giuliani, presidente della associazione culturale “Donne di carta” che si è sempre occupata di tematiche civili legate a movimenti femminili, al ripristino della legalità e all’espressività delle donne.
Per evitare di spezzettare di continuo la logica del discorso con diverse domande, le ho ridotte tutte in un unico quesito che li accorpa tutti. La sua lunga risposta mi sembra un contributo non indifferente su quest’aspetto della nostra attualità, e della nostra società civile, al quale non era stato dato, finora, alcun risalto.

"Come mai le magistrate in Italia sono più efficaci ed efficienti e irreprensibili dei loro colleghi maschi? E' un caso puramente fortuito oppure c'è qualcosa nell'elemento femminino strutturale che le porta a superare scogli per i maschi insuperabili?".
Risponde Sandra Giuliani, a nome delle donne italiane:

“La tua domanda sollecita due universi di discorso: uno appartiene a una riflessione più ampia sul ruolo del femminile nella vita pubblica e quindi riguarda tutti i settori lavorativi, l'altra coincide con il mondo di pertinenza della giurisprudenza: l'amministrazione della giustizia.
Sulla prima linea di pensiero, per me importante come scenario per tentare una riflessione sensata, bisogna partire  dall'educazione imposta alle donne da questa società che le pretende "belle, brave e buone" proprio in quanto femmine, con una propensione alla diligenza e alla cura che s'intrecciano nella vita di una donna come stimoli socio-culturali indotti (la prima) e come componenti strutturali socio-biologici (la seconda), alla fine difficilmente districabili.
Crescere con il modello della triade suddetta porta le donne, al momento dell'uscita pubblica, a esercitare con estrema efficienza, rispetto deontologico, rigore e severità etica e operativa ogni tipo di professione soprattutto laddove essa si applichi su terreni analoghi alla cura domestica che, volenti e nolenti, è il retroterra culturale ed esperenziale comune: il prendersi cura degli altri, gestire l'economia di una casa, amministrare beni e persone è un talento e un esercizio che una donna conosce bene fin da piccola alimentando un'idea del valore di sè che si forma attraverso il servizio per l'altro.
Fin dalla nascita tutto concorre a costruire questa percezione del Sè femminile come un'entità che ha valore solo se "serve", in un regime di utilità che non ha ricadute economico-commerciali ma appartiene al registro del sostegno gratuito (le donne sono sempre in debito).
Si abituano le bambine a giochi che saranno poi i comportamenti ruolizzati di domani.
Ciò che la società chiede alle donne di fare (ciò che si aspetta che le donne siano) deve coincidere con l'Idea donna: madre, moglie, badante... e non è un caso che i primi lavori in cui le donne vengono accettate come soggetti non sono altro che l'estensione del territorio domestico: la cura e l'insegnamento intesi come educazione non come trasmissione di sapienza.
Ed è anche la ragione socio-psicologica per cui, in molti settori a maggioranza femminile, le donne stesse si autoescludono dai giochi di potere accontentandosi di svolgere ciò che loro compete: e in questo (belle brave e buone a vita) a dare il loro meglio.
Perché questo "meglio", il perfezionismo delle donne, è la carta che assicura loro riconoscimento e accettazione da parte dell'Altro: il maschile sociale e spesso, infelice condizione del servo, l'unica uscita di valore (di autopercezione del valore) anche per se stesse.
Un uomo è un essere sociale fin dalla nascita. Una donna no.
L'uomo cresce per entrare nella cosa pubblica e la donna per sostenere la cosa privata.
Quando questo equilibrio discriminante storicamente va in crisi accadono conseguenze complesse: le donne che conquistano i territori sociali devono, per forza di cose e per forza di abitudine, dimostrare un valore che nessuno riconosce loro e quindi spostano l'energia della triade indotta sul terreno di applicazione, costrette a essere competitive semplicemente per riuscire a essere visibili: devono essere più brave di un uomo.
Una donna nasce nella vita sociale come un errore quindi non può commettere errori se vuole sopravvivere e non ricadere nel limbo da cui è appena emersa.
Nello stesso tempo la donna che cresce in consapevolezza (autostima socio-psico-culturale) si porta dietro un rigore che in parte deriva da questa necessità: una  risposta difensiva ai continui attacchi alla sua stima (interni ed esterni) e, dall'altra parte, a mio avviso, è il rigore dello schiavo liberato che ha vissuto sulla pelle la discriminazione e l'invisibilità e che quindi si fa portavoce sano dell'ordine e dell'equilibrio, parametri che rimettono a posto in qualche modo la disuguaglianza.
Il rispetto delle regole è una valvola di salvezza perché il rispetto della Norma (in tutte le professioni) assicura comportamenti più oggettivi, tiene a bada – supera – le dinamiche di Genere.
Ti faccio un esempio popolare: si è sempre detto che le donne vigili siano più stronze dei vigili maschi, bene: tutti i luoghi comuni sono una espressione malriuscita di una verità.
Chi è passato con il rosso innesca due aspettative rispetto a chi ha il potere di punirlo: se il vigile è una donna si aspetta una sua presunta e pretestuosa bontà in quanto essere femminile (le donne sono nella scala cromatica della bontà gentili, comprensive e misericordiose) e quindi percepisce la negazione di questa aspettativa come una trasgressione inaccettabile (allora è stronza); se il vigile è un uomo non si hanno aspettative legate al suo sesso ma al suo ruolo e socialmente l'abitudine alla corruzione è un linguaggio che i soggetti maschili di questa società utilizzano continuamente – e di comune accordo - come accade a chi da sempre è abituato al potere perché ne ha fissato le regole ( e quindi le deviazioni).
Un vigile donna non ha scritto quel codice, lo attua sapendo che il rispetto a una Norma le garantisce una parità di comportamenti; lo attua perché non ragiona sul singolo caso ma è abituata a prendersi cura del contesto più esteso (la sicurezza di tutti), tutelando il rispetto di una Norma tutela la vita collettiva: sta servendo.
Se questo "servire" diventasse socialmente un elogio, quindi un valore, la spinta verso la parità delle rappresentanze, in tutti i settori, acquisterebbe una forza di cambiamento notevole: le donne non dovrebbero essere costrette a essere più brave: sono brave. Non sarebbero costrette a essere più efficienti, sono efficienti. In egual misura spesso degli uomini, a volte di più. Dipenderebbe dalle persone.
Passo al terreno di riflessione più circoscritto ma è chiaro ormai dove vado a parare: la giustizia è il terreno principe in cui poter esercitare al meglio la capacità antica di amministrare (governare, tutelare, conservare) delle donne a cui si aggiunge di fatto che la Norma qui tutelata è legata eticamente al concetto di Giustizia e quindi alla possibilità reale di esercitare un'intelligenza che nasce dalla comprensione antica di ciò che giusto non è  e che si rafforza nella convinzione che l'esercizio di questo potere di cura della cosa pubblica è una strada di liberazione per tutti.
Ma sono riflessioni astratte perché nel concreto è solo dal 1963 che le donne possono accedere a determinati concorsi nell'ambito giudiziario e che molte sono state le voci discordi sulla possibilità per una donna di essere un magistrato per via del suo eccesso di sensibilità emotiva (forse non tutte belle, forse non tutte brave ma sicuramente tutte troppo buone) e solo dagli anni 90 esiste un Comitato delle Pari Opportunità  del CSM che si preoccupa di sanare le discriminazioni di fatto che penalizzano in ambito lavorativo le donne magistrato".


4 commenti:

  1. Molto chiara la risposta nel definire dove nascono le specificità femminili nella gestione di ruoli di responsabilità. Della riflessione che comporta su quanto la differenza femminile pesi sull'essere sociale della donna e di quanto ancora troppo lo caratterizzi rendendo difficile a ogni donna di muoversi e viversi solo come persona.

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  2. Dai su! Questi magistrati vanno avanti solo ed esclusivamente perchè hanno il culo ben parato, a differenza per esempio di Falcone e Borsellino! Ed il fatto che siano tutte femmine è solo funzionale alla identificazione simbolica del loro "paraculo". Quote "rosa"...

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  3. ti ringrazio e a onor del vero vorrei riportare qui due note. Su come è nata questa risposta: stamattina appena sveglia con la questione che mi aveva affaticato il sonno e la lunga conversazione avuta con un'amica che mi ha sorpreso all'alba come angelo in soccorso per un evento da preparare... ne abbiamo discusso, e rovesciato la domanda, e cercato cercato. Poi lei è andata al lavoro e io ho scritto.
    Poi leggo il Blog e mi difendo subito da presentazione che fa del mio pensiero (anzi del nostro) una cìvoce a nome di tutte le donne: mi tiro indietro... sono una... non rappresento le altre... e splendidamente -al suo solito - Sergio mi risponde con una citazione della Fallaci che in sintesi dice "chi ha il coraggio di alzarsi e dire la sua è la voce di tutti quelli che stanno zitti". Ecco il senso che arriva... il senso stesso di quello che ho cercato di "analizzare": il mio tirarmi indietro senza pensare che in quello che scrivevo c'era la conversazione di stamattina con un'altra donna e la mia vita di ogni giorno, come donna. Parlo di valore. Il mio passo indietro... tipicamente femminile. Bene: mi prendo tutta la responsabilità di questo "servire" a dare voce. In prima persona, sì ma per tutte.

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  4. Sergio, lo hai pubblicato al momento giusto, arriveranno commenti interessanti.

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