domenica 29 maggio 2011

Memorie letterarie: l'immortale grandezza di Colette

di Sergio Di Cori Modigliani


 "Io voglio… io voglio… io voglio fare quello che voglio! […]. Voglio recitare la pantomima, anche la commedia. Voglio danzare nuda se il costume mi impaccia e umilia la mia plasticità, voglio ritirarmi su un'isola, se mi pare, o frequentare signore che vivono delle loro grazie, purché siano allegre, bizzarre, persino malinconiche e sagge come lo sono molte delle donne di vita. Voglio scrivere libri tristi e casti dove non ci saranno che dei paesaggi, dei fiori, della tristezza, dell’orgoglio, e il candore di animali affascinanti che si spaventano dell’uomo… Voglio sorridere a tutti i volti amichevoli, e allontanarmi dalla gente brutta, sporca e puzzolente. Voglio amare teneramente chi mi ama e dargli tutto ciò che possiedo al mondo: il mio corpo ribelle al destino, il mio cuore così dolce e la mia libertà! Io voglio… io voglio! »
Non c’è nessun motivo per celebrarla, oggi.
Non c’è una ricorrenza, un festeggiamento, una data.
L’Amore e il Rispetto, quando sono tali, hanno forse bisogno di scuse?
C’è soltanto una domanda, questa sì davvero imperiosa, che seguita a martellarmi da sempre; ed è la seguente: “perché la scrittora che in tutto il mondo occidentale è considerata la numero uno, la più armoniosa, profonda, libera e potente, amata e venerata da scrittrici femministe, scrittori maschi maschiacci maschilisti, critici letterari, in Italia non ha mai goduto di adeguato riconoscimento?”.
E’ uno dei tanti misteri della nostra vita provinciale.
Colette (1873-1954) è stata la prima donna a essere insignita di tutte le più alte onorificenze possibili (arrivate tutte insieme) come omaggio alla sua ricca e variegata esistenza, nel 1953 quando compie 80 anni e riceve tributi e onorificenze quali la medaglia della Città di Parigi, l’elezione a membro onorario del National Institute of Art and Letters di Nuova York, e il grado di Grand’Ufficiale della Legion d'onore.

Un’autora che ha una particolarità unica nel mondo letterario e nella cultura contemporanea del secolo ventesimo: è riuscita –nella sua assoluta competenza e nella sua totale libertà esistenziale- ad affascinare sia femministe intellettuali come Simone de Beauvoir che scrittori maschilisti anti-femministi come Philip Roth. E’ riuscita a farsi considerare come la top assoluta in una immaginaria hit parade sia da Camille Paglia che da Henry Miller. Nel 1948, Truman Capote andò a Parigi per conoscerla di persona. Nel 1950 quando uscì “Il giovane Holden” di D. Salinger –il più famoso romanzo della letteratura statunitense- l’autore pubblicò una auto-recensione sul New York Times dichiarando “se il mio romanzo non piace a Colette io mi ammazzo”.
Due anni fa, sul New Yorker apparve una lunghissima intervista a Philip Roth, nel corso della quale la giornalista chiedeva al celebre romanziere americano quale fosse –se ce l’aveva- il più grande cruccio della sua esistenza. “Uno ce l’ho, e ha reso sempre la mia vita miserabile e forse inutile, al punto tale da avermi fatto sentire un fallito: quello di essere nato troppo tardi, il mio primo libro comparve quando lei era già morta. Non aver fatto l’amore con Colette, non aver potuto godere del privilegio di sapere che lei leggeva i miei libri, non aver potuto trascorrere un pomeriggio a chiacchierare con lei prendendo il thè. Una tragedia che mi porterò sempre appresso”.
In Italia è considerata un culto, letta e stimata da uno sparuto manipolo di gustatori di libri dotati di sopraffino palato. Niente di più.
Praticamente sconosciuta.

Era una contro tutti e tutte.

Le femministe la adoravano perché lei diceva (e scriveva) dei maschi: “I maschi sono dei criminali, tutti: è per questo che noi donne siamo affascinate dai gialli e dal crimine. Io non potrei vivere senza i criminali. Basta saperlo”.

E i maschilisti l’amavano per ciò che diceva e scriveva sulle femministe: “«Femminista io? Starà scherzando. Le suffragette mi fanno schifo. E se a qualche francese salta in testa di imitarle, spero che le facciano capire che comportamenti del genere in Francia non sono tollerati. Sa che cosa meritano le suffragette? La frusta e l’harem» (risposta di Colette ad un intervistatore che nel 1910 le chiese se fosse femminista).

Lei scriveva così:
vai oltre il dolore,e cerca le tue risorse..la tua forza..la tua fede...alzati e porta con te la lanterna della gioia per illuminare il cammino buio..tu puoi vincere quando vivi nella piena potenza di una vita libera di paure e scoraggiamento.."

Ha scritto e pubblicato circa 90 libri tra romanzi, saggi, racconti, novelle, critiche sociali e letterarie.
In Italia, soltanto due editori, Adelphi e Passigli hanno pubblicato qualche suo libro.
Seguita a essere sconosciuta e ignorata dal pubblico.
Un grande mistero.

  • Nelle edizioni Adelphi: Il puro e l’impuro (1980), Il mio noviziato (1981), Chéri (1984), La fine di Chéri (1985), La nascita del giorno (1986), Sido (1989), Il grano in erba (1991), Gigi (1992), Il kepì (1996), Julie de Carneilhan (1997)
  • Nelle edizioni Passigli: L’ancora (1994), I retroscena del music-hall (1994), Mitsou (2002), Per un erbario (2002), Camera d’albergo (2003), Luna di pioggia (2003)

·      "Da un capo all’altro del libro, non un cedimento, non una ridondanza, non un luogo comune"[17] e anche "Che splendido argomento è quello che ha scelto! E con quale intelligenza, padronanza e conoscenza dei segreti meno confessati della carne"[.   così scriveva di lei il premio Nobel Andrè Gide nel 1935.
Co
Claudine, serie composta da quattro romanzi con lo stesso personaggio protagonista:

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