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di Sergio Di Cori Mlodigliani
A proposito dei luoghi comuni su Hollywood e della perdurante idea anti-americana che l'industria cinematografica statunitense si sia affermata nel mondo perseguendo soltanto l'idea del profitto.
Ieri notte ho rivisto dopo tanti anni il film The Hustler (in italiano "Lo spaccone") con Paul Newman, Piper Laurie, Jackie Gleason e uno strepitoso George C. Scott. Ancora oggi, esattamente 50 anni dopo, è ancora un capolavoro assoluto con una ottima sceneggiatura e brani di dialogo che rimangono indelebili nella memoria. Ad un certo punto, nel film, il protagonista maschile, un vagabondo spostato, solo al mondo, che ha incontrato una giovane donna, sola al mondo, una intellettuale scrittora, alcoolizzata e zoppa, discutono sul loro potenziale futuro. Siamo agli albori degli anni'60, John Fitzgerald Kennedy ha appena vinto le elezioni e gli Usa innescano la marcia verso un cambiamento di modello di vita. La scena sentimentale clou del film, dopo che lei gli ha spiegato di essere una "donna emancipata che tiene alla propria indipendenza e autonomia" li vede seduti sul letto che affrontano le potenzialità del loro futuro insieme.
Paul Newman, ad un certo punto le dice: "Siamo realisti. Ci siamo incontrati, ci siamo fatti compagnia, abbiamo fatto l'amore. Io non avevo e non ho nessuna idea sull'amore. E neppure tu. Se passeggiando per Central Park, insieme, per caso avessimo incontrato l'Amore, non saremmo stati neppure capaci di riconoscerlo".
Piper Laurie lo guarda e gli risponde "Io sì. Perchè sono una donna".
E' un film nato da una scommessa intorno a una piscina.
Quando ancora c'era anche qualcosa in più del denaro. Come oggi.
I grandi studios di Hollywood facevano soldi a palate distribuendo i loro film in giro per il mondo, ma si stava diffondendo la voglia di cominciare a produrre anche dei film di rilievo, rischiosi dal punto di vista del profitto perchè affrontavano temi relativi al disagio umano, esistenziale, sociale.
In una festa nella villa di un grandissimo produttore, Hans Mayer (uno dei fondatori della Metro Goldwin Mayer, quello del leone che rugge) si discuteva, per l'appunto, di questo.
E naturalmente la scusa relativa al fatto che non si poteva investire nella cultura ruotava, come al solito, sui costi troppo elevati e sulla idisonicrasia del pubblico ad andare al cinema a vedere film che non fossero di intrattenimento puro.
Ad un certo punto, uno scrittore di New York che di lì a qualche mese sarebbe diventato poi celebre e famoso, Norman Mailer, sfidò i produttori sostenendo che "se un film ha una sceneggiatura di ferro, un direttore delle luci e un regista con le palle, due protagonisti e due comprimari che sanno dare emozioni, si può anche fare un film in una stanza e in bianco e nero che non costi nulla".
Tutti si misero a ridere.
Hans Mayer -che era reduce da un incontro alla Casa Bianca dove il neo eletto Ministro della Giustizia Bob Kennedy gli aveva "formalmente" chiesto di spingere Hollywood per aiutare il Presidente e l'America a "educare i nostri cittadini verso una evolzuione più robusta"- decise di raccogliere la sfida, e davanti ai suoi colleghi (nonchè concorrenti) diede ragione allo scrittore. Ne nacque una discussione. Allora, un film medio costava intorno ai 2 milioni di dollari -corrispondente agli attuali 20 milioni di euro- era molto arduo riuscire a produrre un film di qualità a una cifra inferiore.
Jack Warner (fondatore della Warner Bros.) propose una scommessa a Hans Mayer.
"Visto che adesso fai il galletto e ti piace appoggiare i cosiddetti artisti, tu pensi che saresti capace di produrre un film con soltanto 100 mila dollari e guadagnafrci anche?"
La cifra corrispondeva a circa un milione di euro di oggi, con la quale si può oggi sì e no fare un buon documentario.
Hans Mayer (che era un giocatore spaccone, proprio come il protagonista del film) gli rispose davanti a tutti:
"Ne faccio anche cinque, se è per questo, anzi....dieci. Entro la fine del prossimo anno io produco dieci film a un prezzo inferiore ai 100 mila dollari ciascuno e scommetto che riesco ad avere un profitto del 500% per ciascuno di questi film. Scommetti un milione di dollari? O hai paura?".
Jack Warner accettò.
Hans Mayer vinse la scommessa e quindici mesi dopo andava in giro per Hollwyood sostenendo di aver trovato un modo geniale per farsi pagare i film dalla concorrenza.
"Lo spaccone" è stato il primo della serie, il decimo fu "Il laureato".
Questo film gli costò neppure 50.000 dollari perchè convinse Paul Newman -sensibile ai problemi sociali- a non farsi pagare prendendo una enorme fetta in percentuale sugli incassi. Prese tutti professionisti disoccupati, che erano finiti sulla lista nera nel decennio precedente durante la caccia alle streghe. Il regista, Robert Rossen, prese una cifra minima e fece fare le prove tetrali per due mesi prima di girare per risparmiare la pellicola. Invece dei consueti 90 giorni per girare il film ne impiegarono 22, per risparmiare.
Lo girarono per intero nella casa di campagna del produttore.
Invece che a colori lo stamparono in bianco e nero.
Lui stesso, di persona, andò a scovare uno per uno, a casa loro, tutti quelli di cui aveva bisogno: scrittori, montatori, scenografi, costumisti. Uno dei due sceneggiatori era senza tetto, viveva in spiaggia, dormiva sotto il pontile del promontorio di Santa Monica.
Il film costò alla fine 48.500 dollari.
Dodici mesi dopo ne aveva incassati 50 milioni.
Un introito superiore del 1000% rispetto al capitale investito.
Fonti attendibili e molto bene informate ci danno la buona notizia che Hollywood, oggi, sta affrontando lo stesso guado. La prova sta nella palma d'oro a Cannes a Malick per "The tree of life", un regista culto (il film è di una bellezza strepitosa e coinvolgente, un vero e proprio capolavoro).
Il suo successo ha convinto i nuovi dirigenti delle majors di Hollywood a cambiare registro spostando capitali dagli effetti speciali a film d'autore.
Una splendida notizia per tutti gli autentici amanti del cinema.
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