di Sergio Di Cori Modigliani
Ormai la chiamano "a ganadora", che in lingua locale vuol dire la vincitrice. Nel suo paese la settimana scorsa ha vinto il primo premio come "la nonna più bella del mondo". 53 anni di età, nessun intervento chirurgico (era una delle condizioni del regolamento per impedire che i corpi delle concorrenti diventassero pubblicità per i celebri chirurghi estetici locali) madre di quattro figlie, con la primogenita che le ha regalato due gemelli sei anni fa, uno dei quali, Minù, gioca già a calcio nella squadra dell'asilo infantile. E' celebre, nello stato da cui proviene, Paritimba, nel Mato Grosso, per il fatto di portare fortuna. Figlia di un ingegnere minerario belga emigrato in Sud America alla fine della seconda guerra mondiale e di una biologa uruguayana, Sonja è diventata il simbolo del Brasile, la nuova potenza economica, militare, culturale di cui tutti parlano: in Cina, negli Usa, nei paesi scandinavi, in Germania, in Francia.
Tranne che in Italia dove si pensa ancora a questa nazione come produttrice di caffè, ballerine oba oba, il carnevale, e un manipolo di calciatori miliardari.
Non è così.
Il Brasile nel 1985 era situato intorno al 42esimo posto nella classifica mondiale delle nazioni produttrici di ricchezza quando l'Italia era saldamente posizionata al sesto posto e stava strappando alla Gran Bretagna la quinta posizione. Dal settembre del 2011 -cioè tra tre mesi- il Brasile prenderà "ufficialmente" il posto dell'Italia all'ottavo posto spingendo la nostra repubblica al nono. Il che vuol dire (tradotto in termini di immagine economica) che al prossimo G8 già previsto a Rio de Janeiro dal 3 al 10 dicembre di quest'anno, per la prima volta dal 1965, l'Italia non comparirà. Per il semplice motivo che non possiamo essere invitati. Siamo stati esclusi dalla più importante riunione planetaria di ministri economici e delle finanze per un motivo elementare, descritto nella motivazione depositata venti giorni fa presso gli uffici della Banca Mondiale "mancanza di crescita economica, contrazione dello sviluppo industriale interno, mancanza di investimenti per l'allargamento del consumo interno, mancanza di investimenti in un piano quadriennale per il potenziamento delle aree di investimento produttivo, mancanza di una pianificazione di investimento per l'aumento e lo sviluppo delle risorse scientifiche e culturali". Così ci considerano nel mondo, checchè ne dica il nostro ministro dell'economia Tremonti nelle sue conferenze stampa, diventate ormai, puramente auto-celebrative. Dieci anni fa, in Brasile, esistevano ancora 50 milioni di persone che vivevano al di sotto della soglia di povertà. Due anni fa il numero era sceso (in otto anni di buona amministrazione) a 3 milioni. Nel 1998 la disoccupazione giovanile viaggiava intorno al 45% (nelle grandi città) con un incremento di sivluppo della criminalità organizzata da far paura. Nel 2010 la disoccupazione giovanile è scesa al 5%, il numero di delitti contro la persona -rispetto alla decade precedente- è diminiuito del 642%. La produzione industriale di manufatti è aumentata del 42% negli ultimi due anni e il surplus nella bilancia economica dei pagamenti indica un aumento delle esportazioni del 18% e una diminuzione delle importazioni -rispetto alla decade precedente- del 65%. la grande svolta è avvenuta intorno al 2002 quando un grosso sindacalista metalmeccanico, Lula, è diventato Presidente vincendo le elezioni con un magro 50, 2%, al ballottaggio. Ha iniziato subito una sostenuta campagna contro la povertà e contro la delinquenza aumentando le tasse del 400% ai grossi latifondisti, alle famiglie super ricche (soprattutto europee) e del 1200% a tutte le multinazionali presenti nel paese. Ha ridotto a zero le tasse a tutti coloro che guadagnavano meno di 5000 dollari l'anno. Ha incentivato le imprese locali e nel 2003 ha chiesto al Fondo Monetario Internazionale un prestito di 2 miliardi di dollari. Motivazione? "Investimento in alta tecnologia, ricerca scientifica e cultura". Glie l'hanno dato. E così Lula ha costruito 132.000 scuole in luoghi dove esisteva prima soltanto la droga, la violenza e l'ignoranza. Ha aperto 2500 scuole di musica per aggregare i cittadini in un nuovo modello di socialità condivisa e ha lanciato un programma di analisi e studio geologico del territorio che ha dato grandi frutti, concedendo le licenze di sfruttamento dei nuovi giacimenti (ferro, zinco, uranio, nichel, rame) soltanto ed esclusivamente a società il cui 51% fosse brasiliano e a condizione che il 90% dei profitti venisse reinvestito in attività industriali locali che producevano nuovo lavoro. Ha tirato su 450 nuovi centrio d ricerca scientifica universitaria attirando cervelli da tutto il mondo e -fidandosi dei suoi scienziati nazionalisti- nel 2004 ha investito 700 milioni di dollari (per il Brasile una cifra davvero immensa) a caccia di petrolio in fondo all'Oceano Atlantico. Ganzo Alves de Abreu, ingegnere minerario specializzato in trivellazioni e ricerche marine giurava che lì c'era, proprio davanti alla baia di Rio de Janeiro. Nel 2008, dopo quattro anni di ricerche, arriva la notizia bomba: trovato il più vasto giacimento petrolifero al mondo a 400 metri di profondità nell'Oceano Atlantico, il cui sbocco in superficie erutta a 22 miglia dalla costa. Ma (siamo nel maggio del 2008) appena 97 ore dopo la notizia, esattamente nel punto indicato nella conferenza stampa, arriva la portaaerei Eisenhower scortata da due incrociatori leggeri e quattro barche di tecnici. Gli Usa annunciano "ufficialmente" che essendo acque internazionali il petrolio è del primo che ci arriva. Il Brasile protesta sostenendo che la falda che genera il petrolio nasce in un luogo che si trova a 145 chilometri all'interno del territorio brasiliano. Ma gli Usa non mollano. E così, Lula, compie un atto senza precedenti che ha cmabiato il corso degli eventi e della Storia in tutto il Sud America, e probabilmente anche nel mondo: dieci giorni dopo, correndo un macroscopico rischio, fa schierare l'intera (nonchè modesta) squadra navale militare da guerra di cui dispone -145 incrociatori, 12 sommergibili di cui due nucleari, una piccola portaaerei e 640 barche- circondando la flottiglia americana. "State pure lì" fa sapere all'ammiraglio statunitense "non vi faremo fare neppure un metro". Al grido di "O petroleo eu brasileiro" per settimane e settimane le piazze del paese si riempiono di manifestanti, mentre le multinazionali petrolifere godono della complicità planetaria (con esclusione di tutta l'America Latina) dato che n' in Europa, nè in Asia, nè in Usa e Canada viene data la notizia. In quel momento Bush era al minimo di gradimento e stava in campagna elettorale. L'unica possibilità consisteva nel dichiarare guerra al Brasile. Sceglie, invece, di mollare. Le sue navi si ritirano e il Brasile diventa una potenza produttrice di petrolio grezzo, in quantità talmente grande da soddisfare il 100% del bisogno interno con un surplus del 32% che vende -a prezzo amichevole- a Francia, Germania e Svezia. In cambio, la Volvo, la Volkswagen e la Renault chiudono 400 impianti industriali in giro per il mondo e aprono 257 fabbriche in Brasile facendo assumere, complessivamente, 2 milioni di addetti.
In data 20 maggio 2011 arriva la duplice notizia da parte della Banca Mondiale: il Brasile è stato innalzato nel suo rating industriale finanziario dal grado A al grado AAA; la Repubblica Italiana, per la prima volta dal 1961 è scesa dal grado AAA+ al grado AA. Il dato è stato presentato da Standard & Poors, l'agenzia che segnala il miglioramento o peggioramento della situazione economica delle nazioni e il valore della ricchezza prodotta. Per l'Italia è la "firma ufficiale" dell'inizio di un declino economico.
Il Brasile ospiterà nel 2012 le Olimpiadi. Nel 2013 i momdiali di atletica. Nel 2014 i mondiali di calcio.
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