"Un bel morir, tutta una vita onora".
Francesco Petrarca
di Sergio Di Cori Modigliani
Chissà se negli ultimi istanti della sua esistenza terrena l’avrà capito.
Se avrà visto il senso del grande mistero che voleva disvelare. Quantomeno a se stesso.
Perché era quella la sua Grande Curiosità. E non ne aveva mai fatto mistero.
Lui così laico, inter-connesso con il big business, con la disumanizzante alta tecnologia, con i miliardi, così scevro da tutto ciò che apparentemente poteva sembrare appartenesse al mondo della spiritualità e della cultura, in verità era un uomo dotato di un profondo misticismo interiore, davvero raro.
In uno dei suoi celebri discorsi di presentazione di un nuovo prodotto, Steve Jobs, con ogni probabilità ignaro che stava citando Francesco Petrarca, rivolto ai giovani adolescenti che lo ascoltavano, nella grande platea di Stanford, nel nord della California, nel maggio del 2005, disse loro:
“Quante volte nella mia vita ho fatto cose, lavori, viaggi, incontri che lì per lì non avevano alcun senso. Quante volte ho fatto dei lavori, magari controvoglia, chiedendomi perché mai sto in quest’ufficio a fare questa cosa? Senza riuscire a trovare una risposta. Poi, magari un anno dopo, o tre, o quindici, all’improvviso la vita mi metteva davanti una prospettiva nuova, una possibilità inedita, che presupponeva una certa competenza. E allora mi rendevo conto –a ritroso- che quella specifica competenza io l’avevo acquisita anni prima in quel lurido ufficio che odiavo, e quella specifica tecnica che avevo appreso, adesso, dodici anni dopo, all’improvviso mi serviva. Lì avevo imparato qualcosa….è un po’ come quei giochetti per bambini che si trovano nei giornaletti di enigmistica, quelli dove vi presentano una serie di punti con un numero progressivo e voi con la matita dovete unire tutti i punti fino all’ultimo numero. Soltanto alla fine, quando toccate l’ultimo puntino, allora vedete l’intera immagine e capite il Senso della figura….è ciò che ho sempre cercato di fare con Apple: fornire uno strumento che consenta di sviluppare la creatività interna a tal punto da consentire a chiunque di poter collegare quei puntini della propria esistenza. Perché soltanto alla fine del Grande Viaggio, quando ciascuno di noi vedrà la propria figura nella sua totalità, allora capirà quale sia stato il Senso di tutto ciò. Io produco e invento strumenti, tutto qui, come la cazzuola per il muratore e l’aratro per il contadino. Poi, sta a voi, tirare su il muro della vostra casa e arare il vostro campo per la semina. Cercate di seguire il vostro tracciato interiore e non abbiate paura. You…just think different”.
Lo diceva sempre che lo scopo della sua esistenza consisteva nel riuscire a cogliere in un lampo, un attimo prima di andarsene per sempre, la Visione Totale della sua vita e di quella di tutti noi.
C’è molta gente al mondo che, magari, ha lo stesso obiettivo ma poi finisce per dimenticare, strada facendo, quale fosse la propria via e lascia che l’esistenza gli scorra addosso come gocce di pioggia inutile. Non così Steve Jobs.
Mi piace ricordarlo così, oggi.
Non il tecnocrate, il visionario industriale, il grande business man, l’innovatore tecnologico, il furibondo mercante, un enorme affabulatore. Troveremo elogi, in questo senso, dovunque e comunque oggi in tutti i media del pianeta.
Mi piace ricordarlo e ricordare ai lettori la sua vena mistica, che era davvero profonda e autentica.
Mi piace ricordare l’aspetto più bello tra i tanti della sua multiforme personalità: un instancabile ricercatore.
Tant’è vero che la sua ultima grande creazione –purtroppo non è riuscito a vederla realizzata perché è ancora in costruzione- costata 750 milioni di dollari è il simbolo della parte migliore della società statunitense, e aggiungerei dire, della “cultura californiana”, quella parte della società che crede nella ricerca scientifica, nella sperimentazione, nella produzione delle idee, nell’innovazione, nelle grandi visioni, nel futuro immaginifico, nella cultura d’impresa, e spinge imprenditori e miliardari a investire in tutto ciò. Il suo sogno mercantile era questo e lui non lo vedrà perché sarà pronto soltanto a giugno del 2012 : il nuovo quartiere generale della Apple (di cui vedete l’immagine del progetto architettonico in una delle immagini di questo post) costruito in un’area di 75.000 metri quadri, dotato di campus, campi da calcio, piscina, dormitori in grado di ospitare fino a 1.500 residenti, due alberghi a cinque stelle, tre a tre stelle e otto motel a prezzo irrisorio; con un ufficio “programmazione di idee e sviluppo” dotato dei più avanzati sistemi di progettazione e calcolo elettronico oggi disponibile sul mercato, dove 400 scienziati (ingegneri elettronici, architetti, disegnatori, matematici, fisici teorici) raccolti in tutto il mondo su bando di concorso pubblico che verrà pubblicato a marzo del 2012, si troveranno lì, insieme, per inventare chissà che. Accanto alla sezione “ricerca scientifica e sviluppo” dodici grandi edifici e quaranta giganteschi loft ospiteranno circa 500 disegnatori grafici industriali, architetti, fotografi, graffitari di strada e pittori classici che vivranno nel centro in pianta stabile creando le nuove “apple factories”: veri e propri monasteri del nuovo millennio all’interno dei quali creatività, innovazione, arte, scienza, business, industria avanzata, si incontrano per produrre nuove soluzioni.
Chissà se Steve Jobs, negli ultimi momenti della sua esistenza, quando si è accorto che la linea del destino toccava l’ultimo puntino disponibile, avrà visto e còlto il Senso di quell’immagine totale che cercava. Spero per lui di sì, così come lo auguro a me stesso e a tutti voi che leggete.
Chissà se avrà pensato alla risposta –che stava aspettando- da parte del Ministero della Sanità, per varare il piano federale per la costruzione di speciali computer con schermi psicosensoriali al titanio per ciechi, da lui chiamato “hightech happy braille” splendida generosità innovativa per i meno fortunati tra tutti no., potentissimi e velocissimi.
Chissà anche se avrà lasciato specifiche disposizioni per l’inizio del programma misto –protocollo già firmato con la Walt Disney e con la George Lucas Co. a San Francisco- per il lancio dell’applicazione “IFeel” un dispositivo che consente tecnicamente, grazie all’utilizzo di uno specifico mini-guanto al cadmio e silicio, di far scattare nel cervello delle sinapsi in sintonia sensoriale con le immagini che si vedono, in modo tale da entrare in una nuova insospettabile dimensione del medium cinematografico e visivo: dopo la vista e l’udito, l’incorporazione anche del tattile.
Steve Jobs è stato un grande visionario.
Un grande visionario statunitense.
Soprattutto californiano.
E in California c’è una usanza che ha incorporato un’antica tradizione degli indiani Cherokee. Quando si celebra un defunto e si fa l’elogio funebre (soprattutto per ciò che riguarda le figure pubbliche di spessore) non si parla mai del passato, di ciò che ha fatto, di quanto fosse stato buono o meritevole. La si considera inutile retorica. Nelle prime 72 ore dal momento in cui il defunto è spirato (il tempo in cui, secondo i Cherokee, tutte le idee e sentimenti profondi dell’individuo impiegano per dissolversi nell’aria abbandonando il corpo fisico che si avvia alla putrefazione; ciò che noi, in occidente, chiamiamo “anima”) ebbene, in quel lasso di tempo, chi ha stimato, amato e apprezzato il defunto, deve parlare del suo futuro, dei suoi progetti irrealizzati, delle sue ambizioni irrealizzate, dei suoi sogni nel cassetto. Perché tra gli ascoltatori ci può essere qualcuno, magari anche un bambino, che accoglierà dentro di sé quell’evocazione, la farà sua,e forse, un domani, raccoglierà la staffetta e andrà avanti.
Mi piaceva ricordarlo come lui aveva chiesto di fare.
In the californian style, così aveva detto tre mesi fa.
Have a nice trip Mr. Jobs.
In memoriam.
Una bellissima interpretaziine di un elogio funebre. Grazie Sergio.
RispondiEliminaSono davvero dispiaciuto che se ne sia andato Steve Jobs,bellissima la tradizione dei Cherokee,dovremmo farlo anche noi.
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