venerdì 4 gennaio 2019

L'amore ai tempi della guerra fredda






di Sergio Di Cori Modigliani


E' possibile, oggi, ai tempi dei social media, riuscire a fare un film in cui si coniugano i temi della consueta tragedia classica di stampo romantico a quelli della denuncia sociale e della ricerca antropologica culturale di stampo etnico?
E se a questo aggiungessimo anche il dibattito sulle differenze sentimentali di genere, nonchè la pretesa di offrire una poesia visiva non prodotta da effetti speciali (fregandosene di pedinare l'audience) si troverebbe mai qualcuno disposto e disponibile a produrre un film così fatto, niente affatto leggero, con l'aggravante di dover rispettare la pretesa retro del regista che a tutti i costi lo vuol girare con un bianco e nero anni'50?

Sì, è possibile.
A condizione che il regista sappia che cosa sta facendo, dove vuole andare e dove intende portarci.
A condizione di appartenere a un paese della Ue che ha una solida tradizione cinematografica alle spalle e sa come utilizzare i fondi europei a disposizione del cinema come strumento culturale.
Per non parlare della condizione fondamentale di avere un attore maschio e un'attrice femmina (niente divi o nomi appariscenti) che devono essere dotati di più che solido impianto recitativo -entrambi davvero sexy al di là di ogni dubbio- pienamente integrati nel loro ruolo, in grado di regalarci emozioni, sensazioni e piacere visivo.
Se si è polacchi e ci si chiama Pavel Pawlikowski, Joanna Kulig e Tomasz Kot, allora è possibile.
Consiglio a tutti i cinefili di andare a vedere il film.

Per quanto riguarda lo stato della nostra nazione, rassegnamoci accettando ciò che siamo, oggi, nel mercato internazionale: all'ultimo glorioso posto tra quelli che contavano.
A Varsavia fanno la fila per andare a vedere i loro eroi.
Da noi, top leader Massimo Boldi e Christian De Sica.
A ciascuno il suo.

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