martedì 4 ottobre 2011

Perchè e come Silvio Berlusconi è dventato un totale perdente.

di Sergio Di Cori Modigliani


Silvio Berlusconi è un perdente.
Su questo non vi è alcun dubbio.
Ma lo è oggi, 4 ottobre 2011.
Non lo era affatto il 4 ottobre 2001, tantomeno il 4 ottobre 1996.
L’aspetto grave del suo essere, inoppugnabilmente, perdente a tutti i livelli, comporta una grave tragedia per la nazione per il fatto che è il Presidente del consiglio dei ministri, e in quanto capo dell’esecutivo non può che far perdere mercati internazionali, mercati nazionali, credibilità, energia, tempo, e alla fine pazienza.
Parlare del perché sia perdente, lo ritengo –personalmente- un grave errore intellettuale; non consente di capire le ragioni del suo dissesto, quindi del nostro. Intendendo per “nostro” l’individualità di popolo che si fa nazione, da lui ufficialmente e legalmente rappresentata.  C’è chi applica categorie morali (le sue avventure sporcaccioni private) per identificare il suo “essere perdente”; chi, invece,  applica quelle etiche (spregiudicato manipolatore della Legge); chi quelle complottiste (è il capo di un gruppo nascosto di oligarchi super potenti); chi quelle politiche di stampo obsoleto (il vento è cambiato e il popolo non vuole più la destra al potere- a sinistra); (è un eroe immolato alla causa della libertà caduto sotto la falce di magistrati comunisti forcaioli- a destra); chi quella dietrologica (l’elenco è interminabile, ce n’è davvero per tutti i gusti), ecc.
Se a queste interpretazioni ci aggiungiamo anche il peso della satira, dell’odio, della faziosità (elementi che per lui sono ossigeno puro perché gli garantiscono “ancora” un’altissima visibilità) si finisce in un imbuto condito da una pappa massificata e informe che non consente e non permette di comprendere la vera natura di Silvio Berlusconi, del berlusconismo, e della realtà attuale del mondo in cui viviamo.

Noi italiani, purtroppo, come etnia, amiamo le vittime perché abbiamo incorporato nei secoli l’identità di chi è stato oggetto continuo di invasioni esterne. L’Italia è l’unico popolo al mondo che è stato invaso negli ultimi 2000 anni da tutto il resto del pianeta, nessuno escluso.
Fino a 20 anni fa i sociologi ci aggiungevano “Cina esclusa”.
Adesso non si può più neppure dire questo.
Silvio Berlusconi lo sapeva e ha goduto dell’enorme vantaggio nel potersi presentare al popolo come vittima di qualcuno, di qualcosa.

Ritengo, invece, molto più interessante ed evolutivo cercare di comprendere e capire perché Silvio Berlusconi fosse stato e sia stato vincente.
Modalità interpretativa, questa, che non promette consensi, poiché contiene al suo interno l’assunzione di responsabilità collusiva da parte della sua attuale opposizione, la quale ha lucrato in abbondanza (quando lui era vincente) e vuol far credere al popolo –ingannandoli- che non condivide oggi con lui il suo “essere perdente”.
Questo è il primo falso ideologico.
Silvio Berlusconi è oggi perdente, nello stesso identico modo in cui lo sono Bersani e  Casini.
Ecco perché non fa piacere a Bersani o Casini comprendere perché Berlusconi fosse vincente, perché lo sia stato. Loro erano una parte importante e fondamentale di quella vittoria rappresentandone il rovescio della medaglia.
Ma la realtà del pianeta terra in questi ultimi 20 anni è cambiata.
Quella moneta dalla doppia faccia è finita fuori conio.
E con lei, purtroppo –e inevitabilmente- anche il made in Italy, l’industria italiana, il nostro benessere, la nostra alta qualità della vita.
Ridotto in una immagine facile da visualizzare è un po’ come se l’Italia politica fosse un commerciante che insiste, sulla sua allegra e pimpante bancarella al mercato, a vendere i suoi prodotti in cambio di lire mentre la moneta di scambio è l’euro o il dollaro o lo yen.
Inevitabile generare una inestricabile confusione, che produce inefficacia e blocca il sistema.

Gli italiani, come etnia, detestano comprendere e capire le motivazioni dei vincenti.
Adorano, in compenso, capire e comprendere sempre le ragioni dei perdenti.
Poiché si sentono dentro nel profondo del loro cuore, “dei poveracci con le pezze al culo” (come ci ammoniva Pasolini) detestano i vincenti fintantoché non vincono; dopodiché salgono sul carro del vincitore da perdenti e lo seguono in maniera acritica e irrazionale, mai con felice consapevolezza complice.

Ricordo ancora lo sconquasso intellettuale –e politico- provocato nei primissimi anni’70, quando frequentavo l’università, perché un professore molto serio e colto, uno storico di indubbio merito e di altissima competenza tecnica, uno storico di professione accreditato dovunque, “osò” pubblicare il frutto di una ricerca complessa durata quindici anni: “Storia del fascismo”, pubblicata dall’editore Giulio Einaudi di Torino.
Si chiamava Renzo De Felice.
Ci furono addirittura scioperi all’università; subì due attentati personali. Venne insultato, attaccato, aggredito, contestato, perché si era permesso di scrivere un corposo studio nel quale spiegava agli italiani perché e come Benito Mussolini avesse vinto ed esercitato il potere con il consenso degli italiani adoranti. Nel 1973, in Italia, si insegnava a scuola, all’università, sui giornali e in televisione, che il fascismo era una specie di metafora nebulosa, composta da venti persone malvagie che governavano il paese con il terrore, senza avere l’appoggio di nessuno. Quindi “un evento magico” .
Il prof. De Felice spiegò, invece, agli italiani perché Mussolini fosse vincente nel 1925.
Fu fondamentale.
Consentì –agli spiriti più liberi- comprendere e capire le motivazioni per cui nel 1938 –quando non era più vincente- fini per portare la nazione verso la catastrofe annunciata.
Così come dopo il 15 novembre del 1989, non appena cadde il Muro di Berlino, venne detto agli italiani che nessuno era mai stato comunista -tra i comunisti- anche qui era stato un evento dal sapore "magico".

E’ ciò che ci separa dalle culture pragmatiche come quella anglo-sassone, composte da etnie che hanno incorporato, a differenza della nostra, una diversa antropologia culturale inconscia, pensando se stesse in termini imperiali e quindi identificati con i vincenti e sui perché dell’essere vincenti. Se si prendono, ad esempio, 500 libri tedeschi scritti da storici e intellettuali accreditati dal 1948 al 1958, non si trova neppure un testo in cui Adolf Hitler viene trattato come un banale criminale e basta. Si descrivevano i perché della sua genesi e come avesse ipnotizzato la nazione. Per comprenderne gli effetti ed evitare la deriva criminale che aveva distrutto la nazione. Dal 1960, la Germania si è definitivamente liberata dello spirito nefasto del Fuhrer perché hanno avuto l’invidiabile coraggio di incorporare il lutto collettivo andando a scavare sulle ragioni vincenti dell’hitlerismo, essenziali, per trasferire quegli elementi vincenti in una dimensione democratica, liberale, evolutiva, compatibile con le esigenze e le ambizioni dello spirito tedesco disintossicate da tutti quegli aspetti criminali che ben conosciamo, e che i tedeschi hanno fatalmente riconosciuto, accettato e incorporato dal maggio del 1945 in poi. Pagandone il prezzo.
Noi italiani, questo processo non lo abbiamo fatto.

Oggi, invece, il popolo italiano, la nazione, la società civile, il “paese Italia”, con un ritardo storico di almeno 25 anni (non a caso corrispondenti all’inizio del nostro declino) vuole fare i conti con il fascismo, il comunismo, il vaticanesimo, il berlusconismo.
Ma non  è ancora possibile.
La stragrande maggioranza della classe politica che vanta oggi un ruolo riconosciuto di leadership –sia a destra che a sinistra o al centro- in camera caritatis e tra i loro pochi intimi sono ancora fascisti, comunisti, vaticanisti, berlusconiani.
Da cui ne deriva la lettura della Storia basata sul principio inutile, fuorviante, e perdente, che Mussolini era un criminale e basta (da sinistra), che Togliatti ha distrutto l’Italia (da destra) che la Chiesa ha rovinato la nazione (i laici) che la Chiesa ha salvato la nazione (i vaticanisti credenti) che Berlusconi è un mascalzone pervertito (l’opposizione attuale) che Berlusconi è una vittima dei comunisti e dei moralisti (l’attuale maggioranza).

Silvio Berlusconi è stato un vincente perché ha capito il tempo in cui viveva, ha compreso alla perfezione gli autentici umori della propria etnia, ha fatto sue le ambizioni e le esigenze del capitalismo avanzato di modello italiano e si è fatto interprete delle esigenze più evolute e avanzate della società produttiva italiana. Questo a metà degli anni’80.
Berlusconi ha capito –perché i suoi consulenti leggevano MacLuhan invece che Carlo Marx, i Vangeli o i diari di Mussolini- che le classi storiche erano finite, che la società si era trasformata producendo due classi fondamentali: i produttori di informazione e i consumatori di informazione.
L’Era Moderna delle grandi ideologie, inaugurata da Martin Lutero a metà del ‘500 con lo scisma da Roma, era finita.

Come aveva scritto il direttore del New York Times il 12 novembre del 1989 "il comunismo è crollato grazie all'invenzione del fax; i cittadini sono diventati più veloci dei burocrati che li governavano, e alla fine hanno prodotto il paradosso tale per cui avevano le informazioni prima dei loro capi".
Eravamo entrati nel Post-Moderno, nel mondo delle comunicazioni di massa, nel mondo della produzione di sistemi informativi, di produzione gestione e organizzazione dei comparti mediatici, e questo segmento della realtà economica avrebbe fatto da locomotiva propulsiva al resto dell’industria e della produzione di merci fisiche e di prodotti intellettuali.
Era l’uomo che ci voleva.
Finalmente una persona dotata di grande energia e di grande visione generale che era intenzionata ad abbattere le corporazioni di arti e mestieri di tradizione fascista, di lanciare l’Italia verso la liberalizzazione del mercato andando contro il monopolio oligarchico voluto dalla Chiesa, di abbattere il piatto assistenzialismo sovietizzante dei comunisti che garantiva una pletora di burocrati il cui fine consisteva nell’inceppare la libera creatività imprenditoriale per mantenerle sotto un rigido controllo centralizzatore, impedendone il dispiego.
La cosa poteva funzionare.
Ma c’era un….ma.
Gli italiani si erano rifiutati di fare i conti con il fascismo, il vaticanismo, il comunismo.
Avevano fatto tutti finta che nessuno era mai stato fascista, nessuno era mai stato democristiano, nessuno era mai stato comunista. Tutti, chi più chi più meno, erano stati vittime di quei sistemi, mai complici, mai consensuali, tantomeno esecutori.
E così, il vincente Berlusconi si è trovato a doversela vedere con fascisti, vaticanisti, comunisti (gli stessi che oggi ci spiegano in televisione perché Berlusconi se ne deve andare; lo dicono i fascisti, lo dicono i vaticanisti, lo dicono i comunisti).
Davanti a questo stato di cose, non essendo Berlusconi né un ideologo, né uno statista, né tantomeno un patriota, ma essendo soprattutto (e unicamente) un commerciante dei propri prodotti, ha preso la decisione migliore per se stesso: incorporare  i fascisti, i vaticanisti, e  i comunisti dentro il suo sistema-azienda, con la consapevolezza di poter contare su un vantaggio clamoroso su tutti i suoi concorrenti: lui si occupava di comunicazioni di massa; gli altri no. Lui era nella realtà.
Lui vendeva pubblicità (è il suo unico vero lavoro da sempre e di sempre) e aveva le televisioni e giornali di gossip legati a produzioni televisive.
E allora (siamo qui nei primissimi anni ’90) la televisione era il medium per eccellenza nella diffusione del sistema di controllo dei sistemi di comunicazione di massa.
Una pacchia per i fascisti, per i vaticanisti, per i comunisti.
Berlusconi aprì il mercato garantendo a fascisti, vaticanisti e comunisti la loro quota parte faziosa e ghettaiola, fintantoché la fetta principale fosse rimasta a lui. Ce n’era per tutti.
Chi lo conosce e l’ha frequentato sa molto bene che nel 1992/93, Silvio Berlusconi era un imprenditore che arrivava in ufficio alle 7 del mattino e cominciava a controllare di persona ogni singolo fotogramma e palinsesto di tutte le sue reti che venivano passati al setaccio e scandagliati, analizzati attraverso accurati editing professionali, da uno stuolo di consulenti ed esperti di comunicazione, Non esisteva brano filmato, telefilm, anche l’immagine più sciocca, che non venisse controllata da lui e dal suo ristretto gruppo di consulenti personalmente. Tutto doveva funzionare come un meccanismo perfettamente oliato perché la televisione non era uno dei medium, era IL medium. Ogni tanto c’era qualche fascista, qualche vaticanista, qualche comunista che andava da lui a protestare e lui (il suo obiettivo non era la nazione bensì il profitto personale) chiedeva quant’era, acquistava questa o quella casa editrice di destra, dei credenti, dei comunisti, assumeva professionisti sulla base della lista presentata dai fascisti, dal Vaticano, dai comunisti, a condizione (l’unica che ha sempre chiesto e l’ha sempre ottenuta) di non avere mai il bastone tra le ruote nell’allargamento dei confini del proprio territorio massmediatico.
Li ha imbarcati tutti.
Una pacchia collettiva.
Nel 1994, il 53% del management professionale a livello dirigenziale di tutte le proprietà della famiglia Berlusconi era occupata da comunisti o ex comunisti.
Nel 2001, era cambiata la struttura politica. Nel frattempo, quei dirigenti comunisti o ex comunisti sono andati in pre-pensionamento ricchissimo oppure spostati ad altre attività collaterali del gruppo in territori periferici come saldo d’uscita. Leghisti e vaticanisti e fascisti hanno occupato gli stessi posti sui quali erano stati seduti i comunisti per una decina d’anni, comportandosi nello stesso identico modo.
Pensavano tutti che tutto ciò fosse eterno, quindi vincente.
Berlusconi era vincente perché era un uomo di comunicazione nell’epoca delle comunicazioni.
Berlusconi era vincente perché aveva capito come fare in modo di evitare ai fascisti, alla Chiesa e ai comunisti di fare i conti con la propria storia. Con la Storia. Imbarcarli è stata un’ottima idea imprenditoriale di cui sono stati complici tutti i vecchi e conosciuti nomi che oggi sostengono di essergli oppositori. Anche se ha rovinato l'Italia.
Ma poi è accaduto qualcosa.

E’ arrivato un ragazzino di ventun anni che ha rotto l’incantesimo.
E’ arrivato Mark Zuckerberg.

Perché è nato facebook, ma prima ancora you tube, e dopo tweet, e il web si è allargato a macchia d’olio, ed è nato un sistema di comunicazione perenne, capillare, quotidiano, personale, individuale che aveva una particolarità esplosiva: escludeva in toto la televisione e la carta straccia inutile dei fascisti, dei vaticanisti, dei comunisti.
Dramma vero.
In Usa, Gran Bretagna, Germania, ecc., questo era avvenuto circa quattro anni fa.
Ne hanno capito subito l’impatto gli americani, sempre velocissimi e pragmatici, e nel 2008 Obama SENZA NEPPURE UN CANALE TIVVU ha battuto i repubblicani (controllavano il 91% della rete nazionale televisiva attraverso la mostruosa capillare organizzazione di Rupert Murdoch e associati) grazie a facebook e tweet.
In Italia, nazione arretrata, lenta e sempre al seguito, mai leader (proprio perché si rifiuta di fare i conti con la propria Storia) il vento è arrivato quattro anni dopo, nella primavera del 2011.
E Mediaset è cominciata ad andare giù in borsa in picchiata.
E insieme a Mediaset altre 154 aziende derivate dal gruppo.
Perché l’uomo delle televisioni si è trovato, all’improvviso, in un mondo mediatico non suo.
Il bello è che non è neppure di Bersani o di Casini.

Berlusconi oggi è un perdente perché è totalmente e irreparabilmente fuori da qualunque possibilità di inserimento in posizione predominante all’interno del web e dei social networks.
Non essendo più un imprenditore, ma essendosi trasformato in un corruttore, il che è diverso, non è in grado di sopravvivere in un mercato davvero libero.
E’ noto che (lui  ha capito subito la sua tragedia) ha fatto un’offerta a febbraio del 2010 per acquistare il tutto, compreso Google e facebook in Italia, chiudendo un accordo ponte con Microsoft, con i provider telefonici, con la Samsung. Ma la cifra era superiore anche per lui.
O meglio, bisognava rischiare troppo.
Bisognava essere imprenditori veri.
E Berlusconi, nel frattempo, è diventato un po’ fascista, un po’ clericale, un po’ comunista.
Dimmi con chi vai, ti dirò chi sei.

Assumere una posizione di privilegio e dominanza nel settore web non gli garantivano il successo: il mercato non ha ideologia, lì i fascisti i vaticanisti e i comunisti contano poco.
E per lui 600 miliardi di euro di investimento senza garanzie politiche (ormai si muove soltanto così) erano impossibili da tollerare.
E’ una questione di mentalità.
Per fortuna nostra.

Psicologicamente, quindi, l’uomo Berlusconi ha cominciato a incorporare dentro di sé l’idea e l’immagine di un perdente. E’ ciò che è.
A livello internazionale, i grandi managers della comunicazione lo considerano un poveraccio senz’arte né parte.

Lo ha capito benissimo, come stanno le cose, quel genio nell’organizzazione di se stesso, abile esperto di comunicazione, di Michele Sant’Oro. E’ uscito dalla televisione perché sa che non serve più a nulla. L’ha spremuta fino alla fine e poi si è andato a infilare nel settore emergente in maniera autonoma. Stessa cosa per Marco Travaglio.

L’imprenditoria ha capito l’antifona e ha sottratto il proprio consenso.

Berlusconi è come la Grecia con l’euro.
La sua fine provoca in Italia un effetto domino: se lui crolla si trascina appresso Bersani e Casini e tutti gli altri.
Bisogna mantenerlo sulla graticola per almeno un altro po' di mesi, per dare il tempo a fascisti, vaticanisti, comunisti, di trovare il sistema più efficace di riciclarsi dentro il nuovo mercato delle comunicazioni planetarie in web.
Con un’aggravante che non fa dormire né Bersani né Casini & Co. (ma certo a noi non lo dicono) : la consapevolezza che i nuovi italiani abbiano incorporato una genetica diversa, magari addirittura evoluta grazie a una mutazione inattesa; perché i precedenti ci sono. E può perfino darsi che si sviluppi un inatteso modo e modalità di produzione e comunicazione che li esclude all’improvviso tutti.
Lo hanno capito benissimo i più attenti tra gli imprenditori, i Della Valle, i Profumo, i Cordero di Montezemolo i Pisanu (lui ne rappresenta circa un centinaio); non vogliono finire nel calderone e pagare a nome di coloro che li hanno sostenuti politicamente fino a dodici minuti fa.
Non lo fanno certo per amor di patria.

E’ soltanto questo il problema dell’Italia.

Perché è soltanto questa la vera discriminante che conta: chi lo fa per amor di patria e chi lo fa –grazie alla propria intelligenza, accortezza e lungimiranza- per salvarsi dalla catastrofe e poter dire domani “io non ho mai avuto a che fare con questi signori” come hanno fatto i fascisti nel 1946, i comunisti nel 1990 e i democristiani nel 1994.

Ecco perché vogliono imbavagliare la rete.
Lo vogliono davvero tutti in parlamento.
O meglio: lo vogliono soprattutto i fascisti, i vaticanisti e i comunisti.
Sono gli unici che ci rimettono per davvero.
Loro, sono abituati al controllo, non alla democrazia.
E’ un concetto ostico per loro.

Lo era per Benito Mussolini, lo era per Palmiro Togliatti, lo era per Giulio Andreotti.
Lo è anche per Umberto Bossi, Massimo D’Alema e Pierferdinando Casini.


9 commenti:

  1. e faranno la stessa fine di Mussolini.

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  2. Diciamo che ci proveranno, a imbavagliare la Rete.
    Proveranno a far passare tutti insieme una legge che per un po' studieremo con attenzione, per capire come aggirarla, come renderla inefficace, come a nostra volta imbavagliarli con il loro bavaglio.
    Perché una cosa resta vera: mentre loro si sollazzavano in tv, senza nemmeno accorgersi dell'inarrestabile perdita di audience, alcuni di noi hanno continuato a studiare vie di fuga.
    La Rete non è una cosa fissa, non è statica, non è imbrigliabile.
    L'unico modo per fermarla, è spegnerla.
    E quello, ormai, nemmeno la Cina riesce più a farlo senza rischiare di vedersi penalizzata in Borsa.
    L'analisi è lucida e interamente condivisibile.
    Sull'epilogo mi riservo qualche dubbio scaramantico e operativo (il tempo che passi la legge e siamo già sgusciati altrove)

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  3. Caro
    Sergio Di Cori Modigliani, quando fa il Dr.Jekill come in questo post, la apprezzo molto.
    Bell'articolo davvero, mi é piaciuto molto!

    In altre occasioni, quando fa il Mr.Hide, mi fa un pò girar le balle; pazienza il mondo é bello perché é vario, nessuno é perfetto, non dire gatto se non l'hai nel sacco e soprattutto mai scordarsi che é sempre meglio avere il culo gelato che un gelato nel...

    100 di questi post. Cordiali Saluti

    Melman

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  4. Non credo che sia tutta farina del sacco del nostro Silvio nazionale,all'inizio egli era un imprenditore edile.Credo che debba molto a Licio Gelli,basta rileggere il piano di rinascita democratica della p2.


    Yung yung

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  5. @Yung Yung....sono d'accordo, nel senso che Berlusconi "è una creatura di Licio Gelli" e l'editoria cartacea e l'editoria televisiva, in Italia, sono state le estensioni capillari del progetto nato a metà anni'70 in Usa. Lo stesso Gelli prendeva ordini da altri suoi fratelli massoni che appartenevano a logge ben più importanti delle sue -quella, ad es. in cui erano iscritti Ronald Reagan e George Bush sr.- che nel 1976 decisero e pianificarono un ingresso nel mercato italiano per prenderne il potere. Chi vuole seguire la vicenda può andare a pescare lì, è una storia complessa e intricata. Consiglio una fondamentale lettura perchè si avvale delle informazioni di un (diciamo così tanto per capirci) "pentito massone statunitense" raccontato in un libro datato 1993, a firma del grande giornalista investigativo Russ Bellant, dal titolo "The coors connection", fortemente voluto e spinto da Bill Clinton che condusse una poderosa e gigantesca battaglia di massoni democratici e liberali statunitensi contro i massoni dell'estrema destra rezionaria che in Italia vengono chiamati "i massoni deviati". Il grave problema, in Italia, consiste nell'accorpamento e complicità di settori "apparentemente" all'opposizione, che erano invece parte integrante del piano dei controllori di Licio Gelli. L'Italia è stata "ufficialmente" un esperimento mediatico, una palestra, vero e proprio laboratorio alchemico, un territorio all'interno del quale lanciare un'operazione di trasmutazione della genetica nazionale, i cui risultati sono quelli che oggi vediamo. Dal loro punto di vista è perfettamente riuscito. Il problema fu, era, ed è tutt'ora, come fare a sottrarre le alleanze interne necessarie per far funzionare il piano. Non penserete che uno squanchero come il Dolcevitola, in un paese come l'Italia, possa ususfruire per sei anni di seguito di sovvenzioni governative per decine di milioni di euro ricevendo bonifici bancari firmati Banca d'Italia e incassati da un analfabeta cittadino brasiliano in una anonima filiale di una banca panamense di una minuscola cittadina al confine tra Brasile e Venezuela, senza che questo tipo di operazioni sia nota alle cosiddette "opposizioni". Il punto è (e queste sono le uniche domande sensate da porsi oggi per chi vuole capire il territorio mediatico-economico in Italia) "qual'è stato il prezzo pagato per consentire a Dolcevitola di fare ciò che faceva? Chi ha incassato il prezzo del silenzio? Chi ha dato l'ordine di pagamento dei bonifici? Chi ha controllato le verifiche necessarie per emettere i bonifici? Chi gestiva i controlli? Chi li gestisce oggi? Quanti Dolcevitola ci sono stati? (e soprattutto) Quanti Dolcevitola esistono oggi attualmente operativi? Chi sono? Dove sono?". Si avrebbero delle sorprese davvero clamorose.

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  6. @Melman...grazie, firmato DrJekyll/Mr.Hyde (come lei ben sa, sono inscindibili) :)....

    @Rossland....sarebbe interessante confrontarsi proprio sulle scaramanzie e i dubbi operativi, sarebbe necessario e auspicabile cominciare a inventarsi (magari sul modello dei bloggers sudamerricani e californiani)delle modalità di relazionalità inter-attiva che riescano a produrre anche e soprattutto un impatto sul territorio creando nuovi spazi di intervento.....

    @Yuma...grazie....

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  7. Ci sono due cose che non condivido completamente, probabilmente più per mie abitudini mentali. La prima è quella di considerare per forza il moderno come la rivoluzione, la svolta. Sono sicuro che il web possa essere uno strumento di democrazia ma è altrettanto vero che è anche uno strumento di demagogia e perfino di falsità. A seconda di come si applica, di chi lo applica e dalle reazioni che può produrre al comntesto: quindi come tutte le cose. Come tutte le cose quelle nuove hanno più prerogative al miglioramento, ma non per questo lo sono sicuramente e lo diventano sempre).
    L'altra è che faccio fatica ad accettare il termine italiano. Anche questo probabilmente è un mio difetto ma non riesco mai a capire cosa si voglia intendere quando si dice "noi italiani". Spesso infatti le stesse cose possono essere anche riferite a "loro tedeschi" o "loro francesi". Penso che l'uomo quando sta in gruppo o in branco si comporta come un perfetto idiota (noi italiani, ma anche gli altri).
    Non sono razzista e infatti penso che l'idiozia si spalmata su tutto il globo, basta tener spenti i filtri anti idiozia che un po' tutti se volessimo protremmo tenere costantemente accesi).
    Tutti siamo complici sempre di quello che ci capita, da Berlusconi fino al vicino che ci lascia il sacchetto della sua spazzatura davanti alla porta di casa nostra. Non ha importanza se lo lascia per distrazione, o per intenzione. Noi non abbiamo saputo comunicare il nostro spazio, non abbiamo saputo non tanto difenderlo (non è una questione di forza) ma collocarlo nella logica dell'insieme comune. Facile scriverlo ma difficile a farlo (però se non si comincia…). A forza di delegare ci siamo bevuti la capacità di produrre idee e soprattutto di essere capaci di portarle avanti. Dovremmo imparare a smettere di piangere, di chiedere e imparare a proporre. Riuscirci non è importante. E più importante sporcarsi le mani e imparare dalle variabili prodotte. Anche Colombo pensava di scoprire le Indie e invece ha scoperto l'america. Ma comunque ci ha provato.
    PS Che colombo sia italiano o meno penso non abbia molta importanza
    PS del PS Su tutto il resto concordo appieno (ha letto per caso il Libro il Barbiere di Stalin… sull'irresponsabilità sul lavoro?)

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  8. La prima è quella di considerare per forza il moderno come la rivoluzione, la svolta. Sono sicuro che il web possa essere uno strumento di democrazia ma è altrettanto vero che è anche uno strumento di demagogia e perfino di falsità.

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