sabato 3 dicembre 2011

100 anni fa veniva al mondo il musicista Nino Rota. Hollywood e Google lo ricordano.

di Sergio Di Cori Modigliani

·         Lei non sapeva dirgli di no. Soprattutto quando si trattava della sua Arte.
·         Il loro amico se n’era andato così, all’improvviso, per un mancamento canaglia delle intermittenze del suo cuore, due giorni dopo aver finito di montare la colonna sonora del film “Prova d’orchestra” all’età di 66 anni.
·         Quando ritornarono a casa, a piedi, in una uggiosa mattinata della primavera romana, il 16 aprile 1979, di ritorno dal cimitero dove il loro amico era stato appena sepolto, Federico Fellini ebbe un mancamento. Si appoggiò a Giulietta Masina e le disse: “Giulietta, io non ci riesco, lo so. Senza di lui non riuscirò mai più a fare niente. Mi devi fare una promessa: quando sarò io ad andarmene, devi metterci la sua colonna sonora. Lo devi fare per me. Me lo devi giurare”.
·         Lei non disse nulla.
·         Mantenne la sua promessa, però.
·         Fellini era laico, la Masina era una fervente devota cattolica.
·         Quando Federico se ne andò, Giulietta Masina chiamò il trombettista Mauro Mauri e gli fece suonare “l’Impromptu dell’Angelo”, una partitura originale, nella Basilica di S.Maria degli Angeli e dei Martiri, a Roma, dove fece celebrare il funerale.
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·         Ricorre, oggi, il centenario della nascita di Nino Rota, squisito musicista italiano, nato a Milano il 3 dicembre 1911da famiglia catanese.
·         E’ stato un grande artista della nostra nazione.
·         La celebrazione, in Italia, è passata sotto silenzio. Nessuno lo celebra, in televisione non parlano di lui. Non così all’estero, dove l’eccellenza italiana –quando è tale, e soprattutto per ciò che riguarda artisti e scienziati-  viene sempre riconosciuta ed esaltata con una solerzia davvero commovente.
·         Dieci giorni fa, Steven Spielberg aveva inviato una lettera al management di Google, proponendogli di ricordare il nostro grande Maestro di composizione. L’azienda ha accettato. E così, oggi, in tutto il pianeta, chiunque accenda un computer, nell’osservare il doodle del logo Google si chiederà “ma chi è questo?”.
·         E’ il siculo-milanese Nino Rota.
·         Omaggiato da centinaia di milioni di persone, in ogni lingua, in ogni continente, che gli cliccano addosso per tuffarsi nell’immarcescibile mondo della rete planetaria.
·         Ma qualcuno si incuriosirà.
·         E andrà a vedere.
·         Andrà a controllare.
·         E magari finirà per cercare dei brani di musica sacra che Nino Rota ha scritto nei decenni e che –su questo l’intera critica musicale più accreditata é concorde- non hanno nulla da invidiare a Vivaldi, Albinoni, Schubert.
·         E’ stato un grande artista, che non ha mai cercato scorciatoie né compromessi dubbi.
·         Non era un professionista, così come non lo era Fellini.
·         Loro erano artisti. Tutt’un’altra storia.
·         Ed erano italiani: “un binomio, questo, la cui matrice e ragione sta davvero soltanto nella mente di Dio; quando il genio dell’intuizione artistica si mescola alla genetica di questa piccola nazione del Mar Mediterraneo, il risultato è tale da lasciarci sempre tutti con il fiato sospeso. Il mondo è pieno di artisti, di tanti artisti. Ma nessun artista è mai in grado di essere artista come lo sa essere un artista italiano” (Steven Spielberg, Los Angeles 2 dicembre 2011).
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·         Nessuno dei due, né Fellini né Rota  era un professionista, nonostante entrambi avessero una competenza tecnica, nel loro specifico, imbattibile ed encomiabile. La distinzione sta nel fatto che mentre i professionisti sanno sempre ciò che stanno facendo, gli artisti non lo sanno mai. Mentre i professionisti scelgono di fare ciò che fanno, gli artisti è come se venissero scelti, malgrado loro. Si può apprendere una tecnica, si può imparare una professione, ma non si può imparare ad essere artisti. Un professionista può cambiare mestiere, un artista no. Perché un artista può fare soltanto quella “cosa lì”, o meglio ancora: un artista non può non fare quella cosa lì, pena la sua morte. Non può cambiare mestiere, non può cambiare carattere.
·         In quanto artisti, sia Nino Rota che Federico Fellini erano un po’ beceri, pasticcioni, ma soprattutto fragili, emotivamente sottili, trasparenti, con l’affettività a pelo, insicuri come dei bambini di quattro anni (la stessa di Spielberg che considera se stesso un traditore per aver rinunciato a esprimersi come artista vendendo la sua anima al Dio Marketing, diventando un eccellente professionista).
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·         Dopo il successo clamoroso de “La dolce vita” nel 1960, Fellini era caduto in depressione, grave gravissima. A lui, quel film, non piaceva. Punto e basta. “Un’operetta facile, furba; io sono un bugiardo e un mascalzone, ormai mi sono arreso alla sociologia rinunciando alla Verità” (parole di Fellini in un’intervista televisiva a Pauline Kael per CBS nel 1961). Ad acuire il suo malessere erano arrivati i francesi e la moda di allora, la cosiddetta “nouvelle vague” esistenzialista, che considerava Fellini poco più di un clown italiano. Era andato a ricevere un premio a Parigi, insieme a Nino Rota, e lì aveva partecipato a una conferenza sul cinema in cui c’erano anche Luis Bunuel e Francois Truffaut, i quali avevano spiegato le ragioni per cui nei loro film non esisteva la colonna sonora; la consideravano un elemento “inutile e fuorviante”. Trattarono Fellini e Rota come i due parenti poveri, un po’ tocchi e demodè. Il tutto peggiorato dalle dichiarazioni (per l’appunto da artista, poco furbo e incauto) di Nino Rota sulla rivista L’Officiel “secondo me questa moda del cinema senza musica è semplicemente una idiozia voluta dai produttori per risparmiare soldi e non pagare i musicisti”.
·         Quando erano ritornati a Roma, Giulietta Masina aveva chiesto com’era andata.
·         “Malissimo” le aveva detto Fellini “una rovina. Nino ci ha rovinato. A Parigi è meglio se non mettiamo più piede” e si rifiutò di darle i dettagli e di spiegare il perché.
·         E intanto Fellini cominciò a pensare a rifare “la dolce vita” con la testa e il cuore di un artista, invece che come professionista. A giocarsi, quindi, se stesso, a offrire la propria verità al pubblico, attraverso le immagini. Trascorreva gran parte dei suoi pomeriggi a casa di Nino Rota, mentre l’amico suonava al piano, e lui scriveva delle scene, dei dialoghi, faceva dei disegni, poco a poco costruiva la risposta a se stesso. E così creò “Fellini 81/2”, a mio avviso la punta più alta della sua produzione, forse il più grande film italiano sugli italiani e sull’Italia che un italiano abbia mai avuto il coraggio di girare.
·         Senza musica.
·         Per cedere ai francesi, per insicurezza etnica.
·         “E’ il mio unico compromesso”.
·         Nino Rota (che si sentiva in colpa per averlo rovinato) si dichiarò d’accordo.
·         Insieme pensarono, però, di fare due o tre anteprime di beneficenza con Nino Rota che suonava il piano in sala, al buio, come si usava ai tempi del film muto.
·         Erano entrambi entusiasti dell’idea.
·         Finalmente arriva il giorno in cui Fellini presenta il film fatto al produttore per avere il via e distribuirlo. Finita la proiezione, i due che lo avevano finanziato (due giganti della produzione, Dino De Laurentiis e Franco Cristaldi)  gli comunicano il proprio disadoro. “Federico, questo film è povero, ci dispiace, ma secondo noi non lo va a vedere nessuno”.
·         Il povero Fellini sbianca e se ne va a casa disperato. Dopo qualche ora telefona ai produttori e comunica loro con grande e contagioso entusiasmo “non preoccupatevi, rifaccio almeno venti o trenta scene e li rimpolpo per bene”. I produttori sudano perché pensano al costo. “Non vi dovete preoccupare, non costa una lira, neanche una, è tutto materiale che ho già in mano e che avevo tagliato al montaggio, il vero film ce l’ha tutto in mano Ruggero. Non ve l’avevo detto. Datemi venti giorni e vi faccio rivedere un altro film”.
·         Accettano.
·         Fellini chiama Ruggero Mastroianni, il suo montatore di fiducia, e gli dice di riempire quattro scatoloni con degli avanzi di pellicola qualunque, sigillarli e scriverci sopra con una pecetta “45 minuti tagliati da Federico” e per qualche giorno fingere di star montando il suo film”.
·         Tre giorni dopo, un’ispettore della produzione arriva dal montatore per controllare e lo trova alla consolle mentre sta aggiungendo dei fotogrammi presi dallo scatolone.
·         Fellini va da Rota e gli dice “fammi una colonna sonora superba delle tue”.
·         Ventidue giorni dopo mostra la nuova versione del film: identico a quell’altro. Non aveva toccato nulla. Aveva soltanto aggiunto la musica.
·         I produttori esultano notando le incredibili differenze e di quanto adesso il finale risultasse ricco e coinvolgente.
·         Quattro mesi dopo, Roland Barthes su Cahiers du cinema definisce il film “un capolavoro unico, con questa mania italiana di metterci sempre della musichetta, ma perdoniamo Fellini a cui riconosciamo una grandezza artistica assoluta. Ci inchiniamo al più grande maestro di cinema europeo”.
Pochi anni dopo, verso il 1969, Hollywood fa una scelta “politica” molto forte. Decide di fare un grosso film sulla mafia, affidandolo, naturalmente, a una famiglia di mafiosi italiani di Miami, che ha però un ramo collaterale della famiglia che ha deviato nel cinema e vive nel nord della California, avendo rinunciato agli affari. Un’operazione sensazionale, fortemente voluta dalla classe politica americana per chiudere per sempre il capitolo sui fratelli Kennedy e sancire la presa del potere della mafia nell’entertainment e nello showbiz, che sigla la pace con il potere diventando “legali” e abbandonando la loro presa sui sindacati (è la modalità statunitense della trattativa mafia-stato). Chiamano De Laurentiis e gli chiedono di suggerire un “italiano vero” per la colonna sonora.
Il produttore napoletano ne suggerisce cinque, da scegliere.
Optano per Nino Rota che scrive la musica originale per “Il Padrino” diretto da Francis Ford Coppola e finanziato dalla cosca dei fratelli Colombo, Badalamenti, Bazzo, con investimenti dalla Sicilia fatti arrivare direttamente da Luciano Liggio.
Ma quando stanno montando il film, nascono delle gelosie, dei problemi. Dal carcere di New Orleans dove vive –condannato all’ergastolo- il grande boss Badalamenti ordina che a firmare la colonna sonora sia suo nipote Antonio Badalamenti, un ragazzo che da grande vuole fare il musicista. E così, il film esce con la dizione –nella sezione sonora- “da un’idea originale di Nino Rota, musica composta scritta e diretta dal maestro Antonio Badalamenti”.
A Nino Rota viene il primo infarto: la mafia gli ha rubato il film.
Non si riprenderà mai più. Per anni, sia Fellini che la Masina fanno di tutto per convincere gli americani, smuovendo tutte le fila possibili, finchè dopo due anni, finalmente, raggiungono un compromesso. La Paramount produce “Il padrino II” con la stessa musica del “Padrino I” con la stessa scritta, ma con la variante che introducono nella cerimonia degli oscar una categoria che prima non esisteva: il premio alla musica originale. Il film vince diversi oscar. Badalamenti prende quello per la colonna sonora, ma gli viene vietato di farsi vedere, il premio lo ritira un impiegato della produzione. E a Nino Rota il premio per “l’idea originale musicale”. Quando impugna la statuetta, la platea si alza in piedi e lo onora con una standing ovation della durata di dieci minuti: è il modo americano di Hollywood di comunicare la propria opposizione alla mafia, alla presa del potere del business sull’arte, e tutto ciò accade proprio mentre sta scoppiando lo scandalo watergate.
Ma Nino Rota è ormai malato di cuore. Lavora ormai soltanto per il suo amico Fellini.
Di lì a breve muore all’età di 67 anni.

L’elenco delle sue opere è immenso. Autore di sinfonie, magnificat, opere, operette, requiem, sonate, ballate (è autore di uno studio sulla tradizione colta della musica siciliana) e di circa 140 colonne sonore, Nino Rota è considerato oggi in tutto il mondo il più grande musicista italiano degli ultimi sessant’anni.
E’ stata la vittoria e l’affermazione dell’Eccellenza Artistica Nazionale.
Dimenticata ormai da tutti, in Italia.
In questo paese ingrato che promuove soltanto chi si piega alla malleveria politica, chi, pur di lavorare, corre ad abbracciare Veltroni, Alfano, Di Pietro, Casini, o chi per loro.
Tutt’oggi –e direi oggi più che mai- il “padrinato partitico” blocca e uccide qualsivoglia forma e spinta all’espressione artistica nazionale, o meglio: qualsivoglia aspirazione da parte di un artista italiano che “osi” voler avere accesso al mercato senza pagare il pizzo alle segreterie dei partiti politici.
Basterebbe un unico dato tratto dalla cronaca dell’attualità italiana di oggi.
A Roma si apre il cosiddetto “Stati Generali della Cultura” (???) manifestazione surreale organizzata dal PD. Nessun artista vi partecipa. Grandiose chiacchiere melense, soprattutto sullo spread, sui credit swaps, sulle aliquote, sulle pensioni.
Nessuna eminente personalità della Cultura.
Su Nino Rota, neanche una parola.
Forse, gli organizzatori non sanno neppure chi fosse.
In compenso, da due giorni a Hollywood, New York, Tokyo e Berlino, stanno facendo una impressionante propaganda al meglio della nostra etnia. Perfino a Auckland, in Nuova Zelanda, nel nuovo salone della musica, questa notte c’è un concerto della produzione classica del nostro Nino Rota.
Da noi, soltanto il rumore del  totale e agghiacciante -davvero criminale- complice silenzio della truppa mediatica, asservita al nuovo regime tecnocratico che ha imposto il trionfo dell’economicismo e del tecnicismo sull’espressione dell’Arte  e della Scienza: i due cavalli di battaglia della Cultura d’Italia.
O meglio, dell’Italia che era.
E che ci auguriamo, un giorno, possa ritornare ad essere.
E così che ci si azzoppa da soli.

In memoriam del Maestro di Musica Nino Rota.


8 commenti:

  1. quando un articolo fa venire le lacrime agli occhi vuole dire qualcosa?
    :-)

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  2. Ed invece, caro Sergio, proprio ieri, la mia coinquilina è andata ad un concerto di alcuni suoi compagni di università, che eseguivano i pezzi di Nino Rota..
    Ha detto che sono stati magnifici.
    So che non è molto, ma..c'è ancora qualcuno che apprezza la vera arte.
    Io ieri ero stanca morta, dopo una giornata di studi..altrimenti sarei andata. Bye

    Comunque, questo è uno di quei pezzi magnifici, pieni di poesia, che mi commuovono..
    Grazie.

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  3. @rem...questa sì che è davvero una bella notizia

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  4. Non ho ancora letto l'articolo ma sono contento delle reazioni che,come leggo dai commenti,esso ha stimolato.

    Fred

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  5. Mah, veramente da settembre sono andata almeno a 2 convegni su Nino Rota (uno era su Rota e Herrmann e l'altro ospitava proprio il concerto cui fa rifermento rem), oggi Radio 3 ha fatto uno speciale de "La Grande Radio" tutto dedicato a Rota con documenti d'archivio (credo che da lunedì lo trovi in Podcast).

    Questo invece è l'omaggio tributatogli da RAI 5: come vedi è un festeggiamento lungo.
    http://www.ufficiostampa.rai.it/comunicati_tv/20111110/rai5_omaggio_a_nino_rota_nel_centenario_della_nascita.html

    Fabrizio Bosso ha inciso un cd con musiche di Rota. Galliano pure: mi dirai, è francese. Però l'Accademia di S. Cecilia l'ha chiamato lo scorso 6 novembre per un concerto di Omaggio a Rota.
    Cinecittà Luce ha pubblicato un DVD con un documentario di Monicelli su Rota, intitolato «Un amico magico»....
    Sono solo le prime cose che mi vengono in mente, ma ... forse la situazione non è così tragica. Non buttiamoci giù più di quanto sia strettamente necessario. :-)

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  6. @Renata...io intendevo dire "grosso pubblico"; RAI5 nessuno lo conosce, però sono conctento che qualcosa abbiano fatto.....meglio così....

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