domenica 25 dicembre 2011

"Elena e il Fenghsui": racconto di Natale

di Sergio Di Cori Modigliani
                  
                                                                           dedicato a Lea


                    

                           Elena e il Fenghsui
                                  racconto di Natale





Elena, finalmente, aveva deciso.
Dopotutto, si era detta, non ho niente da perdere, se non qualche euro.
Mentre aspettava a casa l’arrivo dell’esperta, però, sentiva l’ansia montare ed era già pentita all’idea di aver ceduto alle insistenze di Clara, una sua collega, una ragazza per bene, la quale, per buona parte del mese di dicembre l’aveva ossessionata con questa sua balzana idea del feng shui.
All’inizio, Elena, l’aveva ascoltata di malavoglia, con aria distratta. Poi, però, siccome Clara le faceva delle domande specifiche alle quali si era trovata più d’una volta nell’imbarazzante situazione di non saper come rispondere, aveva deciso di prestarle attenzione. E aveva finito col farsi convincere.
Si era fatta dare il numero di telefono di questa benedetta Marcella e le aveva promesso che l’avrebbe chiamata senz’altro. Ma non aveva mai trovato il coraggio di farlo, le sembrava davvero una cosa talmente stupida, da non meritare la sua attenzione. Intendiamoci, ci aveva anche provato. Nel senso che aveva digitato, più d’una volta, il suo numero, ma al primo squillo aveva chiuso la comunicazione e ci aveva rinunciato.
“L’hai chiamata?” le diceva ogni giorno Clara, quando lei arrivava in ufficio.
“E’ sempre occupato” rispondeva Elena “si vede che è molto impegnata”.
Finchè Marcella non aveva risposto al primo squillo. E così, Elena si era messa d’accordo con lei e aveva preso il fatidico appuntamento per il pomeriggio di sabato 24 dicembre, alle ore 13.
L’aveva anche detto a Clara, davvero una ragazza strana, sempre troppo allegra, un po’ sopra le righe, che aveva persino applaudito quando aveva saputo la notizia.
“Vedrai, la tua vita si trasformerà. Sai, Marcella è bravissima. Una vera strega”.
Elena si era anche spaventata all’idea di dover ricevere a casa sua una strega, ma non aveva detto niente. Alla sua età, si vergognava di spiegare alla collega i suoi timori.
E così, il grande giorno era arrivato.
Con impressionante puntualità, Marcella si era presentata all’una del pomeriggio.
Non appena Elena aprì la porta, ancora prima di farla entrare, già capì di essersi pentita.
Marcella aveva lanciato un urlo strozzato “Sant’Iddio, cosa vedo!” e aveva arricciato la fronte come se fosse passato di corsa un coccodrillo.
Con un gesto irruente aveva spostato l’anta della porta ed era penetrata nel suo appartamento, nella sua tana, dove non entrava mai nessuno. Aveva appoggiato la borsa sulla mensola dell’ingresso e con un’aria schifata era rimasta in piedi, in silenzio, ad osservare la cassapanca.
“Lo credo che sei depressa, guarda qui che follia. Ma ti rendi conto?”
Elena non aveva avuto il coraggio di dire niente. Le aveva offerto un caffè che Marcella aveva accettato con entusiasmo.
“Hai per caso anche una fetta di torta?” aveva chiesto Marcella.
“Veramente no, però ho dei biscotti”
“Va benissimo. Se sono al cioccolato ancora meglio, sono pieni di endorfine, fanno venire il buon umore”.
Si erano sedute in cucina, mentre Marcella si accendeva una sigaretta costringendo Elena ad aprire la finestra per arieggiare l’ambiente. Non aveva avuto il coraggio di dirle che detestava l’odore del tabacco. Per non parlare del danno che arrecava alla salute.
Marcella le spiegò in che cosa consistesse il suo lavoro e di come la vita di Elena sarebbe cambiata non appena lei le avesse spostato tutti i mobili del suo appartamento mettendoli nei posti giusti, nell’angolazione giusta, nella posizione giusta, in modo tale da poter assorbire l’energia dinamica delle vibrazioni cosmiche e produrre l’armonia del miracolo. Elena l’ascoltava in silenzio, preoccupata soprattutto della relazione che già sapeva avrebbe dovuto fare in ufficio, il martedì 27, quando avrebbe visto Clara. Non aveva avuto il coraggio di dirle che non credeva ai miracoli. E le streghe le mettevano paura.
“Eppure” le disse Marcella, osservandola mentre sorbettava il suo caffè “hai una aurea dolcissima e pulita, si vede che sei una persona in sintonia con le energie sottili; non è affatto difficile per una come te metterti in collegamento con le forze astrali, lo sai vero?”
Elena aveva pigolato un “sì, lo so”. Che cos’altro avrebbe potuto dire?
Non vedeva l’ora che questa Marcella se ne andasse, anche se non poteva negare le stesse davvero simpatica. Probabilmente tutti la trovavano simpatica, purchè non la costringesse anche a fare le carte, questo proprio no. Ad un certo punto, mentre Marcella infilava un paio di guanti di lattice, aveva radunato tutto il suo coraggio e glie l’aveva chiesto:
“Tu, per caso, non fai mica le carte?”
“Quali carte?”
“I tarocchi”
“Ma sei matta! Mica sono una fattucchiera. Sono una consulente di feng shui, io mi occupo di malattie dell’anima, non sono mica una dilettante”.
“Ah, beh…meglio così”
“Sai, ho anche una laurea in psicologia, se è per questo”.
Elena non aveva detto nulla. Le sembrava però molto strano che una dottoressa in psicologia andasse in giro per gli appartamenti di sconosciuti a spostare dei mobili sostenendo che così si creava l’armonia giusta per produrre miracoli. Era rimasta per un po’ zitta, ma poi non aveva resistito.
“Davvero, sei una psicologa?”
“Ma certo. Che cosa c’è di strano?”
“Nulla. Solo che….pensavo…”
Marcella aveva finito di sistemare i suoi guanti e aveva inforcato un paio di ridicoli occhiali, sorretti da un enorme cinturino di pelle, simili a quelli che indossavano i motociclisti negli anni’50, come aveva visto in un vecchio film di quell’epoca proprio la sera prima.
“C’è la disoccupazione e non si trova lavoro, per noi. Quindi, mia cara, bisogna arrangiarsi in qualche modo. Le bollette vanno pur pagate. Noi streghe, non ci facciamo certo abbattere senza resistere”.
Elena si sentì prendere da un conato di paura; aveva dimenticato, infatti, che la sua amica Clara pubblicizzava l’attività di Marcella sottolineando sempre che si trattasse, in realtà, di una vera strega. Ma ormai non si poteva più sottrarre. E così si arrese all’idea.
Per Elena fu un vero incubo.
Marcella si dimostrò fisicamente fortissima. Spostava i divani da sola come se non pesassero nulla. Staccava i quadri dal muro e li riappendeva da un’altra parte colpendo i chiodi con il palmo della mano. Aveva addirittura spinto di almeno un metro il suo gigantesco armadio a muro nella camera da letto, mettendolo poi in posizione diagonale, come se si fosse trattato di un leggero fuscello.
“Tu hai le pigne in testa, lo sai? Te lo dico con affetto, intendiamoci. Come ti viene in mente di sistemare l’armadio in questo modo? A sud, come sbarramento dell’aria che viene da ponente!  Suvvia, come si fa? Dico io, come si fa?”
Verso le 7 Marcella decise che il suo lavoro era ultimato.
Si guardò in giro con un’aria davvero soddisfatta.
“Adesso sì che questo è un appartamento. Ora si può ragionare. L’energia comincerà a fluire subito come deve, senza ostacoli, così, come deve essere…naturalmente”.
Sfilò i guanti e li buttò nella spazzatura. Elena la rincorse perché si era accorta che li aveva messi nella busta sbagliata, in quella che raccoglieva l’umido invece della plastica.
Marcella non disse nulla. Prese la borsetta, tirò fuori il suo cellulare, il portafoglio, le sigarette e infine il rossetto con lo specchietto, per rifarsi il trucco.
Elena aspettò qualche secondo e poi le chiese:
“Allora, grazie…quanto ti devo?”
“Come al solito. La mia tariffa è sempre quella: 100 euro. Immagino che Clara te l’avrà detto”
“Sì sì” mormorò Elena. Mise una mano nella tasca e tirò fuori due banconote da 50.
Glie le porse.
Marcella infilò il cappotto, un berretto di lana e dei guanti.
“Grazie tesoro, mi servivano proprio. Immagino che tu sia al corrente della condizione”.
“Quale condizione?” chiese Elena spaventata a morte.
“Clara non te l’aveva detto?”
“No, veramente no”
Marcella sistemò il berretto sulle orecchie, si avvicinò a lei sventolando le due banconote.
“Io sono una strega, sai. La condizione è .soddisfatte o rimborsate. Questa notte è Natale, e accadono i miracoli. Per questo sono venuta qui. Se per domani sera non si sarà verificato il miracolo che attendi, tu mi chiami, io ritorno qui e ti restituisco i tuoi 100 euro. Ci puoi contare. Altrimenti, che strega sarei?”
Elena non disse nulla. Sentì che stava arrossendo. Si sentiva confusa, sciocca. Era imbarazzata perché adesso pensava di averla magari offesa.
L’accompagnò alla porta in silenzio. Marcella attraversò l’uscio e prima di affrontare la tromba delle scale la guardò con intensità, sfilò un guanto, le accarezzò la guancia con leggerezza e le disse: “Che bella aurea luminosa che hai: beato chi ti si piglia”.
Infilò il guanto mentre Elena abbassava lo sguardo. Quando rialzò gli occhi, lei non c’era più, come se invece di aver sceso le scale a piedi, fosse volata via, evaporata.
Elena rientrò dentro e osservò la nuova dislocazione della mobilia.
Si sentì avvilita. Preparò un tè e mentre lo beveva si accorse che si sentiva una bambina stupida. Che umiliazione. Alla sua età, dar retta a quelle sciocche superstizioni. Pure 100 euro le aveva dato. Si sentiva truffata, adesso, nonostante dall’inizio avesse accettato l’idea senza protestare. Che stupida che era stata. Ingenua e sprovveduta.
Andò in soggiorno e accese il computer.
Mentre aspettava che caricasse, mise su un disco, delle vecchie canzoni di Edith Piaf, dei primi anni’50, prima ancora che lei nascesse, che parlavano di Parigi. Mise le cuffie e infilò lo spinotto per ascoltarle al massimo del volume. Ma non funzionavano, e così ci dovette rinunciare. Meno male che doveva cambiare tutto, si disse, adesso non funziona più neppure l’audio del mio impianto. Lasciò la musica al massimo del volume, si stese sul tappeto che era stato girato ben tre volte da Marcella e si rannicchiò in posizione fetale. La voce della Piaf la fece sentire triste e cominciò a piangere. Si sentiva scuotere dai singhiozzi e non riusciva a frenarsi. Dopo un po’ si calmò, sapeva che di lì a breve si sarebbe addormentata. Aspettava soltanto che finisse il disco.
La musica cessò, e proprio mentre si preparava a dormire, venne risvegliata dallo squillo insistente del campanello che rimbombava per tutto l’appartamento, senza mai smettere. Ci doveva essere stato un contatto.
Elena si alzò ed andò ad aprire.
“Finalmente si è decisa”.
Un uomo con tutta la faccia imbrattata di vernice e un pennello in mano la guardava con un’aria irosa.
“Prego”
“No, dico. Secondo lei si può lavorare in queste condizioni?”
“Non capisco”
“Sono il suo vicino. Me ne stavo lavorando al mio quadro in pace quando lei ha messo su la musica a un volume direi…scandaloso…ma come si fa?”
Elena lo guardò senza dire nulla. Erano due anni che abitava in quel condominio e non lo aveva mai visto. Il portiere le aveva detto una volta che era un tipo strano, usciva soltanto di notte e trascorreva la maggior parte del suo tempo a casa, a dipingere. Lei era rimasta incuriosita e una volta, quando era ritornata dall’ufficio, aveva visto la porta spalancata e aveva gettato un’occhiata di sguincio, sufficiente per vedere un enorme quadro, un ritratto di una donna appoggiato su uno sgabello. Era molto bello. Quel quadro le era piaciuto molto. Era rientrata in casa e per diversi giorni l’immagine del dipinto, i colori, l’atmosfera che le aveva rievocato le erano rimaste dentro.
“Le dispiacerebbe abbassare la musica o è troppo per lei?”
“Ma certo. Mi scusi tanto. Mi dispiace veramente, sono mortificata. Non me ne sono proprio accorta”.
Il vicino aveva agitato il pennello davanti a lei senza dire nulla.
Si erano guardati ed Elena si sentì morire perché si ricordò che aveva pianto e con ogni probabilità il rimmel le era colato sulle guancie, e mentre stava pensando questo si rese conto che stava arrossendo dalla vergogna, peggiorando la situazione perché sapeva che non sarebbe riuscita a dire una parola. Lui non disse nulla. Ma fece una cosa davvero strana. Invece di girare i tacchi e andarsene, cominciò ad arretrare, camminando all’indietro senza smettere di guardarla, a passi brevi, finchè non aveva raggiunto il suo appartamento e con un colpo di schiena aveva aperto la porta socchiusa, penetrando nel suo appartamento camminando a marcia indietro. Elena chiuse la porta d’impeto e si appoggiò sull’anta.
Aveva ragione il portiere, era davvero un uomo strano.
Ma era anche molto bello.
E aveva due occhi pungenti e delle belle mani, anche se erano sporche e unte, ma quando lui aveva agitato il pennello minacciandola, Elena era rimasta affascinata dalle sue nocche e dai polpastrelli, erano forti e delicati allo stesso tempo, senza essere rigidi.
Certo, dopo questa penosa vicenda non avrebbe mai avuto il coraggio di rivolgerle la parola.
Andò in cucina a prendere un bicchiere d’acqua perché all’improvviso sentiva un gran caldo, come se dentro fosse intasata, compressa. Si accorse che Marcella si era dimenticata del suo cellulare. Le dispiaceva per lei, chissà che guaio stare a Natale senza. Forse sarebbe stato meglio chiamare Clara per controllare se per caso avesse un fisso al quale chiamarla. Mentre stava pensando a che cosa dovesse fare, il campanello squillò di nuovo.
Elena andò ad aprire, pensando che forse era Marcella, ritornata d’improvviso a riprendersi il suo cellulare.
“Salve, sono di nuovo io” era il suo vicino.
E lei non si era ancora lavata la faccia.
“Volevo scusarmi per prima, forse ho esagerato, mi scusi tanto. Il fatto è che mi aveva spezzato la concentrazione e così mi ero irritato. Mi dispiace molto, forse sono stato eccessivo. Credo anche di averla minacciata con il pennello, mi scusi tanto…le auguro una buona serata” e se n’era andato camminando sempre a marcia indietro.
Un uomo davvero strano.
Elena non era riuscita a dire neppure una parola.
Rientrata dentro aveva telefonato a Clara che per fortuna stava a casa e le aveva comunicato il piccolo incidente del cellulare.
“Ah, che bella notizia! Sta qui, disperata perché pensava di averlo perso in autobus, adesso te la passo subito”.
Marcella le spiegò che avrebbe passato la serata da Clara e poi il mattino dopo sarebbe passata a prenderlo prima dell’una; dopo quell’ora cessava il servizio degli autobus, anche se in realtà ne avrebbe avuto bisogno subito, ma ormai non aveva importanza.
Ritornò Clara all’apparecchio “Grazie per averla chiamata, sai, sta passando un periodo non facile, e per lei, in questo momento, 100 euro sono davvero tanti, grazie..lei è sempre così allegra e piena di ottimismo, ma io so com’è invece la sua situazione..è una brava persona e sa quello che fa”.
Elena mise già l’apparecchio e pensò che forse avrebbe dovuto portarglielo, magari prendendo un tassì, anche se a quell’ora, ormai le nove passate, non sarebbe stato facile.
Di nuovo il campanello.
Era sempre il vicino. Aveva adesso, in testa, un buffo cappello da cuoco e un mestolo in mano..
“Salve, sono sempre io. Le piacciono i gamberoni?”
“Che cosa?”
“A natale è triste mangiare da soli. Per farmi perdonare, la invito a cena. Cucino io. Da me. Non deve neanche prendere il taxi, non serve neppure il cappotto. Basta attraversare il pianerottolo, sono sei metri…..gamberoni, uno splendido capitone fresco e per l’occasione apriamo un paio di ottime bottiglie che ho da tempo. Le va?”
“Mah…non saprei”
“Non saprebbe o…non sa?”
Si guardarono in silenzio. Elena rimase di nuovo affascinata dalla sua mano destra e dal modo in cui teneva il mestolo, con una leggerezza che sembrava casuale, ma allo stesso tempo con una presa molto forte. Lei capì che se gli fosse sfuggito di mano non avrebbe avuto alcun problema a riacciuffarlo al volo. Si sentì di nuovo quello strano sfrigolìo dentro alla pancia. Adesso si sentiva davvero congesta, tanto più che non si era ancora lavata la faccia.
“Lei sta da solo?”
Lui sorrise e cominciò a camminare all’indietro, verso il suo appartamento. Arrivato sulla soglia, si fermò.
“Adesso che c’è lei, non più. L’aspetto tra 45 minuti, mi raccomando” e sparì dentro chiudendo la porta.
Elena non aveva avuto neppure il tempo di rispondere.
Rientrò nell’appartamento felice all’idea dell’invito, ma dopo un po’ decise che non ci sarebbe andata. Non sapeva neppure chi fosse, non sapeva neanche come si chiamasse. Decise di andare a dirglielo, ma proprio in quel momento squillò il cellulare di Marcella. Elena rispose d’istinto. Una voce anziana, piuttosto sofferente. Elena le spiegò la situazione. La donna la pregò di avvertire Marcella di richiamarla quanto prima possibile.
Elena chiamò Clara e le spiegò la situazione. Parlò con Clara, e mentre la ascoltava si rese conto che per lei era molto importante riavere subito il suo cellulare.
“Facciamo così: prendi un taxi, vieni qui, io scendo ti do il cellulare e tu ritorni da Clara. Il taxi te lo pago io”. Marcella accettò commossa, riattaccando.
La richiamò subito per dirle che sarebbe stata lì in 15 minuti.
Elena andò finalmente a lavarsi. Indossò un vestito che aveva acquistato l’anno prima e che non aveva mai messo. Si preparò, prese i soldi, il cellulare e scese giù.
Quando vide arrivare il taxi, le andò incontro e lo bloccò con un braccio.
Marcella aprì la porta e prese il cellulare. Elena le infilò in mano un biglietto da 100 euro.
“Ma sei matta? Tutti questi soldi e poi magari non ha cambio”.
“Non ti preoccupare, è il mio regalo di natale.  Chiamo io Clara e le dico che scenda con 10 euro”.
Marcella la guardò sorridendo “Lo sapevo che avevi una gran bella aurea, grazie. Buon Natale”
“E io sapevo che tu eri una gran bella strega, grazie a te. Buon Natale”.
Il taxi se ne andò via.
Elena attraversò la strada e chiamò al citofono il vicino.
“Sì, chi è?”
“La vicina”
“Chi?”
“Non sappiamo neanche i nostri nomi, che cena sarebbe questa? Io mi chiamo Elena”
“Io mi chiamo Andrea. Dai su, sbrigati, è già tutto pronto. Ho appena stappato il vino”.

2 commenti:

  1. Marcella le spiegò in che cosa consistesse il suo lavoro e di come la vita di Elena sarebbe cambiata non appena lei le avesse spostato tutti i mobili del suo appartamento mettendoli nei posti giusti, nell’angolazione giusta, nella posizione giusta, in modo tale da poter assorbire l’energia dinamica delle vibrazioni cosmiche e produrre l’armonia del miracolo.

    Ma non si chiamava Vanna, Vanna Marchi? :-)

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  2. Bella favola.. grazie... :-)

    Alla fine dei conti, basta volerlo (anche a nostra insaputa) perchè avvenga l'impossibile.

    Se fossimo capaci di lasciarci andare nel torrente in piena che ci trasporta in questa vita, senza tentare di fermare o dirottare l'acqua, senza pretendere che il fiume cambi il suo corso, usando l'energia che ci trasporta invece che farci usare da essa... ecco che potremmo ritrovare la nostra "umanità, e capire che quello che stiamo attraversando non è una crisi economica o politica... è la crisi di noi stessi, la nostra incapacità di vederci come siamo, di capire i nostri veri bisogni e smettere di inseguire i bisogni creati ad arte che ci vengono imposti per produrre profitto. Bisogni a cui si può dare sollievo solo consumando.

    Se ci pensiamo bene, abbiamo vissuto nella società del consumismo e alla fine che è successo? Ci siamo consumati.

    Beata Elena... sono convinto che sarà la modella per molti quadri di Andrea...

    Buon 2012 Mr. Modigliani. E grazie per i suoi post ed il tempo che gli dedica.

    Nibiru.

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