di Sergio Di Cori Modigliani
Finalmente il riconoscimento che si meritava.
A Parigi, la più grande retrospettiva di tutta la produzione dell’artista Helmut Newton.
Dall’aldilà sarà finalmente contento. Era il sogno della sua vita. Ma non riuscì mai a realizzarlo. Non fece in tempo. Su questo la Francia aveva sempre tenuto duro.
Perché quando si parlava e si parla di fotografia erotica, si diceva “Francia” e il discorso si chiudeva lì. Con l’unica eccezione di qualche immagine dello statunitense Man Ray, ma relativo agli anni in cui stava a Parigi. E solo quelli.
E’ la conclusione di una lunga battaglia culturale che la Germania vince alla grande.
Per diversi motivi.
Perchè è la prima volta che la Francia accetta e riconosce la consacrazione di un artista dell’immagine erotica che non sia francese, perchè questa mostra segnala il passaggio delle consegne da Parigi a Berlino che diventa nuovo centro propulsore e dinamico delle arti visive in Europa, perchè a Berlino c’è mercato, c’è movimento, c’è un frullare di idee, esperimenti, aperture e innovazioni. Mentre Parigi langue, come il resto d’Europa che culturalmente sonnecchia e si avvilisce. Ma soprattutto, a Berlino –come a New York lo era stato dal 1946 a oggi- circola danaro e le centinaia e centinaia di nuove gallerie d’arte nel quartiere centrale di Berlino pullulano di collezionisti desiderosi e ardenti di acquistare opere, quadri, disegni, fotografie. E sono tutte in attivo.
Perché a Berlino, l’arte fa mercato. Basterà aspettare ancora un po’ e poi ci aspettiamo anche il riconoscimento a Cheico Leidmann, anche lui tedesco, 75 anni d’età, ancora attivo e in buona salute, un grande genio dell’immagine erotica. Non a caso conosciuto e apprezzato soltanto dagli esperti e cultori del settore. Così anche come per Ronald Springer, 70 anni, superbo creatore dell’erotismo gotico, totalmente sconosciuto ai più.
Secondo David Wilckinson, critico d’arte del Los Angeles Times che lo aveva intervistato dieci giorni prima della sua morte, il fatto che la Francia non lo avesse mai riconosciuto (nonostante i salamelecchi vari) facendogli una grande mostra, lo aveva depresso e avvilito. L’ultimo tentativo era stato fatto nel 2003 ma era andato male. E così, lui si era ritirato a vivere in California. Ma un mattino, il 23 gennaio 2004, all’età di 84 anni, si era alzato, era uscito di casa, era salito sulla sua mercedes e a 150 km all’ora era andato a spiaccicarsi contro un muro.
Varrebbe la pena andare a fare un salto a Parigi soltanto per vedere la mostra di questo autentico maestro del suo genere.
Un curioso personaggio. Unico.
Helmut Neustadter era nato a Berlino il 31 ottobre del 1920, in una ricca famiglia della borghesia ebraica intellettuale. Il padre faceva l’arredatore e costumista per il cinema e per stilisti. Era il “diverso” della famiglia. A dieci anni scappava di casa per andare con il fratello maggiore nel quartiere a luci rosse, affascinato dall’ambiente così variopinto, così diverso da quello formale della sua casa e dell’ambiente in cui viveva. A tredici anni, con i soldi risparmiati della sua paghetta si compra la sua prima macchina fotografica e scopre la passione per l’immagine stampata. A quindici anni, con enorme sconcerto della famiglia viene espulso dal liceo classico per insubordinazione, indisciplina e comportamento indecente. Il preside lo aveva scoperto mentre, nascosto sotto la scrivania nella sala dei professori, fotografava le gambe delle insegnanti. Così va a lavorare come assistente di Elsa Simon, celebre stilista dell’epoca, meglio nota con il nome di Yva. Ma di lì a breve iniziano le persecuzioni degli ebrei. La Simon viene arrestata e deportata in un lager dove poi morirà in una camera a gas. La famiglia capisce l’antifona e decide di fuggire dalla Germania andando in Argentina. Lui, invece, si fa dare la sua quota parte e decide di partire da solo, a diciotto anni. Per conto suo. “Alla ricerca di un destino”.
E così alla fine di ottobre del 1938, poco dopo il suo compleanno, arriva a Trieste con qualche indirizzo di amici del padre attivi nel campo dell’industria tessile. Ma in Italia gli spiegano che stanno per varare le leggi razziali e così Helmut, grazie all’aiuto di Tommaso Malcangi, un imprenditore triestino, acquista un passaporto falso. Si inventa un cognome.
Nasce così, Helmut Newton, a quei tempi, di professione profugo.
Acquista un biglietto sulla nave “Il conte rosso” che va in estremo oriente e riesce a partire due giorni prima della promulgazione ufficiale delle leggi razziali. Sbarca a Singapore dove trova lavoro nel quotidiano locale “Singapore Strait Times” come fotoreporter. Si guadagna da vivere facendo il fotografo di matrimoni, finchè una sera l’incontro che cambia il suo destino. Assunto come fotografo teatrale, lo mandano a fare degli scatti presso un teatro sperimentale nei sobborghi di Singapore dove incontra un’attrice australiana, June Browne, nome d’arte Alice Springs, figlia di un generale, fuggita di casa per fare l’attrice. June è piccolina di statura, minuta, ma dotata di “una furibonda carica erotica”. Helmut si innamora di lei. E così nel 1940 a vent'anni, la sposa. June sarà la sua musa, la sua modella, la sua compagna, la sua consigliera, la sua agente, la sua manager, la sua complice, ma soprattutto la sua fedele compagna per 64 anni della sua vita ininterrottamente. Vanno in visita alla famiglia di lei a Canberra, in Australia dove Helmut riesce attraverso le conoscenze di suo suocero a localizzare la sua famiglia, in Patagonia, dove sono riusciti ad arrivare illesi. Per compiacere la sua giovane moglie, rabbonire i parenti e conquistarne i favori (godendo quindi del loro appannaggio) Helmut va volontario nell’esercito australiano come artificiere e finisce al fronte in Birmania dove gli affidano il compito di reporter di guerra per il centro di documentazione del comando australiano. Ma non farà neanche uno scatto al fronte. In compenso fa le sue prime fotografie erotiche con le crocerossine sotto le tende mediche da campo che poi invia alla moglie che le risponderà entusiasta. Ma il generale non la pensa così. Per punizione viene inviato in un avamposto dove non ci sono donne, nella giungla, dove farà qualche centinaio di fotografie che poi distruggerà reclamando “la mia fiera opposizione a qualunque guerra, la mia idiosincrasia per la morte e la mia scelta di fotografare il desiderio erotico che provoca la donna”. Finita la guerra ritorna a casa ma viene a sapere che Elsa Simon, i suoi quattro nonni, e due cugine non sono riuscite a scappare e sono morti ad Auschwitz. E così, insieme alla moglie decide di ritirarsi a vivere nel deserto.
Vanno a Melbourne e acquistano un grande casale nel deserto, mettono su un orto, diventano autosufficienti. Lui si costruisce il suo studio fotografico. Indignati per ciò che è accaduto, non leggono mai i giornali e non hanno nessun rapporto con il mondo esterno se non qualche sparuto amico che li va a trovare. E così per dieci anni, Helmut vive isolato dal resto del mondo e fotografa soltanto la moglie, circa diecimila scatti. Poi, verso la fine degli anni’50 decidono di andare a fare un viaggio in Europa. Vanno a Londra nel ’57 ma rimane deluso dal conservatorismo degli inglesi e scappa via dopo un mese. Prende contatti con alcune riviste, pubblica le sue prime immagini su Playboy appena nato (terzo e quarto numero) e invia per posta le immagini dal deserto australiano. Finchè non riceve una lettera da French Vogue che gli propone di fare un servizio di moda osè. Accetta. E così va a Parigi con June nel 1959 e si innamora della città. Comincia a lavorare per le riviste dell’epoca, Elle, Marie Claire, Harper’s Bazaar. Ma ben presto si scontra con i redattori che gli censurano le immagini, litiga con tutti, li manda a quel paese e se ne ritorna nel deserto dove resta isolato per altri cinque anni a fotografare sempre la moglie June che comincia a essere sempre più riluttante per via dell’età. Finchè, intorno al 1966 per venire incontro a un antico desiderio della moglie “vorrei vedere New York prima di diventare definitivamente vecchia” a 46 anni arriva a Manhattan, dove si deciderà il suo destino.
Nessuno lo conosce, né lui conosce chicchessia.
Comincia a frequentare gli artisti e fotografi nella New York brulicante di quegli anni. Ma non si trova bene e le sue immagini non trovano favore. Carattere piuttosto ostico si scontra con la maggior parte delle persone e si fa la fama di un ostinato ossessivo cultore dell’erotismo che, a quei tempi –contrariamente a quanto non si possa pensare oggi- è fortemente contrastato dalla società dell’epoca. Celebre il suo bigliettino autografo a Andy Warhol “caro Andy, la prego di non seguitare a scocciare mai più né il sottoscritto né mia moglie insistendo per invitarci alle sue squallide feste. Da lei ci si annoia da morire. Detesto i piccolo-borghesi, gli arrivisti, i carrieristi e tutta quella lunga teoria di servi compiacenti che lei adora. Devo aggiungere, inoltre, che non ne posso più di tutti questi froci di cui New York è piena, soprattutto casa sua; le loro moine da cicisbei alla moda mi irritano oltremisura. O si decide a invitare anche delle belle donne che possano essere d’ispirazione, oppure la pianti di invitarci. Tanto noi non verremo. Buona fortuna a lei e alla sua produzione di massa seriale per i consumatori di bocca buona e per i mercanti”.
Non lo invitano più.
E inizia ad andare dallo psicoanalista.
Si fa la fama del provocatore e cominciano a uscire alcune immagini nelle riviste underground, fortemente ostacolate dai guru cult dell’epoca per la sua predilezione per femmine di razza bianca, eleganti, dell’alta borghesia. Poi nel 1971 gli viene un infarto. I medici gli consigliano di riposare e sospendere la sua attività. La moglie June, invece, che nel frattempo segue a New York le nuove teorie del fondatore della bio-energetica Alexander Lowen (cardiologo) lo incita a gettarsi nel lavoro e a virare definitivamente verso un ostentato erotismo provocatorio per liberarsi e sfogarsi. Realizza e pubblica il suo primo libro di immagini “White women” nel 1975, che riceve soltanto stroncature da parte della critica.
Ma ormai la sua strada è segnata.
La società sta cambiando e le sue immagini cominciano a far presa. La sua prima mostra a Manhattan, all’età di 56 anni è un clamoroso flop. Su 28 immagini ne vende soltanto due. Ma una di quelle due le acquista Faye Dunaway, un’attrice di Hollywood allora molto famosa. E da lì inizia il passaparola. E le grandi riviste di moda cominciano a chiamarlo. E finalmente, verso i 60 anni, riesce a penetrare nel mercato e ad affermarsi. Il definitivo trampolino avviene dopo un incontro a New York con Gianni Versace che si innamora del suo lavoro e decide di prenderlo come “testimonial” della sua maison.
Il resto è cronaca nota.
Nel 1992, riceve a Berlino il premio “Grosses Bundesverdienskreutz” il più alto riconoscimento tedesco per un’artista dell’immagine.
E’ stato un grande maestro dell’erotismo. Ed è stato un grande maestro.
E’ stato anche il mio maestro. Ho avuto l’occasione e la fortuna e il privilegio di essere suo assistente, quando ero giovanissimo e stavo a New York a studiare. Nessuno era disposto a frequentarlo perché non conveniva. Stargli accanto non apriva nessuna porta, anzi. Ma si imparava. Perchè era una persona generosa, capace di controllare meticolosamente le immagini di giovani avidi di apprendere la tecnica, impiegando un lungo tempo con la lente di ingrandimento per controllare il risultato. E poi, impietosamente, si dilungava a lungo nello spiegare perché quelle immagini facevano schifo e non valevano nulla. Le stracciava e le buttava via. Ma aveva ragione. Andare a lezione da lui era un po’ come fare dello psicodramma. Era severo e autoritario.
Ma era, prima di tutto autorevole. Incitava a liberarsi e spiegava sempre che le immagini della donna ritratta non sono altro che la proiezione di un’idea che sta prima nella mente.
“Se non liberate la mente le vostre fotografie faranno sempre schifo. Dovete diventare prima liberi, poi educare l’occhio, e infine cominciare a scattare. Se la mente non è aperta e non è sgombra non verrà fuori nulla e chi guarda lo capisce”.
La moglie June ha accolto la sua richiesta e l’ha fatto seppellire nel cimitero ebraico tedesco di Friednau, a Berlino, accanto alla tomba della sua correligionaria Marlene Dietrich che lui amava molto. Sulla sua lapide c’è una fotografia erotica della moglie e sotto la scritta, in inglese, “Look and die, always with desire”.
Con questa mostra, finalmente si attribuisce un riconoscimento meritato a un grande artista che non ha mai tradito se stesso, non si è mai smentito e ha fatto scuola. Si è rifiutato di fare il professionista, non era per lui.
Ha cambiato una certa ottica del gusto ed è stato un grande innovatore. Dopo di lui, nulla. Al massimo abbiamo dei copisti e dei tentativi di imitazione. E’ riuscito a cogliere l’essenza del glamour e dell’erotismo in una sintesi anòmala, attribuendo al corpo della femmina un potere irresistibile.
Peccato che lui non possa partecipare alla sua mostra.
Certamente ne avrebbe dato un giudizio critico.
Nella sua ultima intervista, aveva evidenziato la sua consueta severità, applicandola a se stesso. I giorni dispari, ammise, si considerava ancora un dilettante in cerca di.
“Per fortuna gli altri giorni c’è la mia June che mi dice sempre che sono il migliore. Poverina, chissà che cosa penserà davvero quando non ci sarò più”.
Ha pensato di mettere in campo tutte le sue conoscenze ed è riuscita ad allestire la mostra di tutte le opere del marito, pretendendo ed ottenendo il diritto ad essere lei a montarla.
La mostra, infatti, è allestita da June Browne, in arte Alice Springs, la sua compagna per 64 lunghi anni.
Sarà al Grand Palais a Parigi fino al 17 giugno del 2012.
Un ritratto veramente umano che ridà dignità all'artista, spesso associato all'erotismo in modo improprio. Mentre la sua vita dimostra che esso è soprattutto libertà.
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