di Sergio Di Cori Modigliani
Ma quanta voglia degli anni’60 che circola a Hollywood!
Da sempre attento termometro –e in più d’una occasione vera avanguardia propositiva- dei cambiamenti di umore delle masse, ricettori dei nuovi trend, nonché anticipatori di nuove formazioni dell’immaginario collettivo, Hollywood come al solito si sbilancia, e dopo un decennio di pigra sonnolenza improntato per lo più al lancio di esperimenti ad alta tecnologia, effetti speciali e film inutili buoni soltanto per garantirsi degli utili, annuncia la genesi di una nuova generazione di film, fortemente voluta, spinta e finanziata dalla vecchia guardia democratica losangelina (Steven Spielberg, Steven Soderbergh, Warren Beatty, Jack Nicholson, Michael Douglas, Denzel Washington, Robert Redford) oggi dietro le quinte, alla ricerca di nuovi idoli e icone da lanciare sul mercato e in grado di rappresentare gli autentici umori degli spettatori planetari: la gran voglia di ribellarsi alla dittatura tecnocratica neo-liberista.
Non è certo un caso che esca in questi giorni in Usa (per il momento in alcune sale, in attesa del grande lancio a fine aprile) “Men in Black 3” (in Italia arriverà a maggio) prima prova marketing del nuovo trend, l’ultimo della divertentissima serie, che (com’è noto a tutti i fans, di cui il sottoscritto fa parte) raccontava la storia infinita dei due agenti segreti, protettori della Terra dalla feccia aliena che si nascondeva nell’universo.
I due agenti, Will Smith e Tommie Lee Jones, questa volta, invece di vedersela nel fantasioso e onirico mondo del futuro, guarda caso, vengono piroettati nel 1964 per cercare disperatamente di evitare la vittoria di alcuni scienziati dementi che rincretiniranno i terrestri intorno al 2012, data del totale rimbecillimento planetario.
Ma non basta.
Mentre siamo in attesa di tre film importanti che usciranno a novembre, di grande impatto sociale, hanno riesumato, restaurandolo con l’aggiunta di ben 45 minuti tagliati (vera chicca per i palati di ogni cinèfilo hollywoodiano) il film che ha cambiato la storia d’America: Spartacus. Con la scusa di presentare un prodotto nato come risultato del lavoro di “recupero di un brano della storia del cinema nazionale” ad opera di American Cinematheque (diretta da Spielberg e Scorsese) il film è stato distribuito 52 anni dopo in circa 2500 sale nazionali e regolarmente usato dai comitati di base delle singole città degli aderenti a “occupy wall street”, aprendo forti confronti e dibattiti sulla democrazia, sui diritti civili e sul futuro di tutti noi. Per non parlare del fatto che ha incassato 50 milioni di dollari (restaurarlo era costato 10).
Chi non ha mai visto Spartacus, distribuito nel novembre del 1960, è probabile non sappia neppure di che film si tratta. Lo consiglio vivamente a tutti.
E’ qualcosa di più del polpettone hollywoodiano in salsa antica storia romana.
Perché c’è una storia forte dietro. E Spartacus se la trascina. E in Usa lo sanno tutti.
E da oggi, anche chi non lo sapeva, adesso lo sa.
Il grande potere immaginifico di Hollywood.
Ecco la storia del film.
Era il 1959.
Ed eravamo nel pieno della guerra fredda. In America, la destra oltranzista, sorretta dal presidente Dwight Eisenhower, dall’FBI guidato da Hoover, con la scusa di gestire la nazione contro l’invasione del comunismo, aveva lanciato una vera e propria caccia alle streghe ed erano state istituite delle liste nere di professionisti nel campo delle arti e delle comunicazioni che avevano falcidiato molte vite, eliminandole dal mercato e azzittendole.
Ma l’aria cominciava a cambiare. Si preparava la campagna elettorale per le presidenziali e la destra repubblicana aveva deciso di lanciare in pista il pupillo adorato dagli oltranzisti reazionari, Richard Nixon, con il quale pensavano di garantirsi la gestione del potere per diversi anni, sostituendo Eisenhower considerato troppo moderato. Ma l’America non dormiva. Soffriva, ma non dormiva, e sotto sotto cominciava a diffondersi un sotterraneo sentimento di ribellione e di voglia di cambiamento che aveva trovato in Kennedy un valido antagonista a Nixon. Anche se nessuno pensava che avrebbe mai potuto vincere le elezioni. Lo davano tutti per perdente. A Hollywood, essendo il potere consapevole della forza dirompente del medium cinematografico, era stato fatto un tragico repulisti e le grandi case di produzione erano costrette a impedire l’accesso al mercato a chiunque fosse scritto nelle liste che l’FBI consegnava ogni primo del mese ai dirigenti delle aziende.
C’era chi aveva deciso di dire basta.
E così il gruppo più democratico e attivo di Hollywood, composto da giovani astri del momento, Marlon Brando, Kirk Douglas, Paul Newman, Arthur Penn, John Frankenheimer e Warren Beatty si incontrarono una notte a Malibu per decidere il tipo di azione.
Kirk Douglas era reduce da una sonora batosta che era riuscito a gestire piuttosto bene passandone indenne per un pelo. Due anni prima aveva fatto un film pacifista, di chiara denuncia di tutte le guerre “Orizzonti di gloria” (quello che oggi si definerebbe in Italia “un film d’autore”) diretto da un giovane intellettuale, sconosciuto dato che all’attivo aveva soltanto un filmetto girato cinque anni prima, un socialista libertario, un certo Stanley Kubrick. Il film era stato ritirato dalla circolazione dopo due giorni per intervento dell’FBI su specifica denuncia di Nixon che lo aveva definito “un prodotto sovversivo, disfattista, che incita ad abbassare la guardia e veicola una visione negativa dell’impegno bellico” mentre in Europa (soprattutto in Francia) aveva avuto un clamoroso successo. Kubrick era stato interrogato tre volte dalla commissione nazionale contro le attività sovversive ma se l’era cavata brillantemente auto-definendosi “un professionista rigoroso e nulla di più: per me girare un film di guerra, una commedia musicale, o un thriller è la stessa cosa. Basta che paghino il minimo sindacale e che gli attori siano bravi. Io non mi occupo di politica”.
Anche Douglas aveva accettato quella linea. Ma il film era sparito.
E Kubrick era rimasto disoccupato. Mentre Douglas aveva accettato di girare quattro film in due anni (gialli e commedie) che lo avevano portato al top del successo, facendogli inoltre guadagnare una valanga di soldi. Ma il suo successo non gli permetteva di poter dare una mano ai colleghi vittime della censura.
E così, quando gli attori si incontrano decidono di organizzarsi in maniera indipendente.
Fanno una cooperativa e mettono insieme un congruo capitale (circa 100 milioni di euro dei giorni nostri). E decidono di aggirare il sistema di Hoover. Pensano di fare un film seguendo la moda dell’epoca che voleva soprattutto film epici, di contenuto storico, ma dandogli anche una qualche valenza politica al suo interno. Scelgono la storia di Spartaco, lo schiavo romano che si ribellò all’impero romano nel I secolo a.C. e lo sfidò. Fondano una produzione indipendente e chiudono l’accordo con la Paramount che accetta di distribuire il film che aveva in Kirk Douglas il suo protagonista. Il gruppo di attori decide di dar lavoro a tutti quelli iscritti alle liste nere e affidano la sceneggiatura a Dalton Trumbo, un eccellente sceneggiatore e autore di commedie che nel 1952 era stato espulso dall’associazione sceneggiatori cinematografici perché considerato “comunista” e non poteva lavorare. Faceva il “ghost writer”, cioè scriveva film che altri firmavano. Lui non poteva comparire mai. Altre persone lo sostituivano e per due volte vinsero l’Oscar al posto suo. I più onesti tra i suoi colleghi ribollivano dalla rabbia nell’essere testimoni di questo fatto, ma allora era così. La produzione scelse di fare la stessa cosa per tutti i reparti tecnici assumendo le persone con nomi finti ma dando lavoro a tutti quelli che erano stati banditi. Avevano stabilito che una volta finito il film, passato al vaglio della censura, il giorno prima di distribuirlo, avrebbero sostituito i nomi mettendoci quelli veri. Il regista era Anthony Mann che piaceva alla Paramount. Ma non funzionò. Dopo dieci giorni di riprese, cominciarono a litigare, e la troupe capì che era uno di quelli che passava le soffiate all’FBI. Il che, allora era pericoloso. Tra gli attori, infatti, c’era Tony Curtis, che allora era agli arresti domiciliari per attività sovversive e –in teoria- non poteva uscire di casa la notte; mentre invece stava sul set a girare il film e a casa c’era un suo sosia, una comparsa molto ben pagata che interpretava il ruolo di marito di Janet Leigh (la moglie vera di Tony Curtis) con la quale si faceva vedere sul portico, sul giardino nel retro della casa, mentre lavava l’automobile. Licenziato Mann, decisero di prendere il giovane Kubrick e gli affiancarono un finto regista, un attore che faceva finta di essere il regista vero quando arrivavano gli ispettori della distribuzione sul set o quando arrivavano gli agenti dell’FBI e allora a Kubrick lo chiudevano dentro uno sgabuzzino. Dopo qualche settimana questa situazione divenne insostenibile per lo stress procurato a tutti. Ma si avvalsero dell’intuizione del costumista, Alfredo Valles, un disegnatore di moda, un anarchico spagnolo, condannato a morte dal regime franchista che con nome finto era scappato in America dove aveva ottenuto asilo politico. Ma non lo facevano lavorare. Valles suggerì di andare a girare in Spagna, un paese isolato che moriva dalla voglia di entrare nel circuito internazionale e li avrebbe ospitati. L’FBI lì non aveva giurisdizione e poi sarebbero stati felici di sapere che andavano a girare in un paese fascista. Tra l’altro ci sarebbe stata la possibilità di assumere in Spagna tutti i professionisti e intellettuali e studenti anti-franchisti che erano fuori dal mercato per motivi politici e non potevano guadagnare.
E Kubrick avrebbe potuto girare in libertà. Fu così che andarono tutti in Spagna.
Il giovanissimo Warren Beatty volò a Madrid prima degli altri e si mise in contatto con le organizzazioni anti-franchiste e si fece dare i nomi di 10.000 persone che non avevano lavoro e li assunse tutti.
E Kubrick ebbe l’opportunità di girare le più belle scene di massa di battaglia militare della storia del cinema perché costruì un gigantesco set con soldati veri. Allora, per dare la sensazione degli eserciti si usavano dei trucchi per cui si decuplicavano le immagini facendo quindi pensare che c’erano tante persone quando in realtà, invece, erano poche, ma le riprese erano scarse e un po’ ridicole.
Nella scena dello scontro militare finale, invece, Stanley Kubrick impiegò 8500 comparse che erano state istruite a dovere. Venne chiamato dall’Inghilterra il più grande esperto in storia militare dell’impero romano. Kubrick diede un enorme spazio alla figura di Licinio Crasso, simbolo della corruzione aristocratica dell’impero romano e Dalton Trumbo scrisse dei dialoghi rimasti epici come la celebre frase che viene comunicata a Sempronio Gracco in cui annuncia “che in ogni città e provincia dell’impero sono già state compilate le liste degli infedeli” e una lunghissima sequenza su un dibattito politico nel senato romano in cui si discute sulla libertà d’espressione e su come eliminare gli avversari politici attraverso la calunnia e la diffamazione.
A ottobre del 1960 il film era pronto.
Lo mostrarono all’FBI e lì iniziò una lotta durata un mese. Alla fine tagliarono 45 minuti del film (soprattutto gran parte degli splendidi dialoghi politici tra i patrizi romani, rappresentati dal grande Laurence Olivier) e l’Fbi si riservò il diritto di controllare l’autenticità dei nomi scritti nei titoli di coda.
Ma il 5 novembre 1960 avviene un fatto insperato: John Fitzgerald Kennedy vince le elezioni. Un mese dopo esce il film, il 28 dicembre 1960. E la produzione mette tutti i nomi veri. L’Fbi grida allo scandalo e fa ritirare il film che viene sequestrato dopo due giorni di programmazione. Nessuno, allora, ebbe il coraggio di protestare.
Peter Lawford e Frank Sinatra accettarono di farsi ambasciatori presso la Casa Bianca e il 20 gennaio 1961, dieci giorni dopo il suo insediamento, Kennedy ricevette Kirk Douglas, Marlon Brando e Paul Newman nel suo ufficio. Gli spiegarono la questione.
Una settimana dopo, Walter Cronkite su NBC faceva la prima intervista televisiva a un presidente nella storia delle comunicazioni. Era il 28 gennaio 1961. Alla fine dell’intervista (tutta politica) il celebre giornalista chiese a Kennedy se fare il presidente fosse stressante. E il presidente rispose: “Non più di tanto. Ieri sera, ad esempio, dopo una riunione piuttosto seria e pesante mi sono davvero rilassato insieme a mia moglie. Abbiamo visto il film Spartacus che molto gentilmente mi hanno spedito alla Casa Bianca per avere una mia opinione. E’ stata una esperienza bellissima. E’ un film prestigioso”. Il giornalista gli fece notare che il film era stato sequestrato. E Kennedy: “Ah sì? Davvero? Non ne ero informato. Vede, a questo serve la stampa libera, ad informare. Grazie per la notizia. Domattina telefonerò a Hoover e lo facco dissequestrare subito per ordine presidenziale. E’ un film che l’America deve vedere. Qui, io ci sto a rappresentare i liberi e a lottare insieme a tutti contro la schiavitù. Da oggi, si riapre il mercato. Le liste nere –che in teoria non esistono ma di fatto sì- finiscono con questa intervista”.
Fu l’inizio di un grande cambiamento.
Dal giorno in cui Spartacus venne proiettato nelle sale cinematografiche statunitensi, rinacque il dibattito, il confronto politico.
Sui giornali, sui media dell’epoca, gli americani cominciarono a interrogarsi di nuovo sul concetto di schiavitù, sul diritto alla ribellione degli schiavi, sul senso metaforico della grande epopea dello schiavo Spartaco che duemila anni fa osò sfidare Roma.
Oggi, in Usa, lo proiettano restaurato.
Mi sembrava un’ottima occasione per riflettere su quest’episodio della storia occidentale.
Soprattutto per noi che viviamo all’alba di una potenziale schiavizzazione della società civile.
Hollywood non ha mai sbagliato, negli ultimi 80 anni, nell’individuare e anticipare i trend.
Lo considero un evento di ottimo auspicio.
magari...
RispondiEliminaL'arte ha sempre anticipato i tempi e ... quindi c'è solo da augurarsi che anche stavolta sia così, nonostante le apparenze.
RispondiEliminaIl tentativo di schiavizzarci c'è, e come!, ma questi segnali ci rendono ottimisti sul futuro perché nulla avviene per caso: se la ribellione di Spartacus ritorna in auge vorrà dire che non dobbiamo smettere di lottare per i nostri ideali.
purtroppo la ribellione fu schiacciata, spartacus fu ucciso e i ribelli catturati furono crocifissi lungo le strade dal vesuvio fino a roma
RispondiEliminai governi hanno a disposizione esercito, polizia, magistratura e quelli dispotici li proteggono e li usano
e il loro uso può essere apertamente apertamente violento (nel caso di dittature) o a sostegno dell'ordine costituito (in caso di oligarchie o movimenti pseudo rivoluzionari)
la rivoluzione costa sacrifici e sangue e il risultato non è scontato,
il popolo (maggioritario) degli ipod, ipad, i cavolo che li porti, di amici, uomini e donne, grande fratell e del calcio, se la sentono di alzare il sedere dal divano ?
i giovani dello sniffo e delle scarpe firmate se la sentono di salire sule barricate,
le ragazze che sognano una borsa di louis vuitton se la sentono di curare ferite (vere) o non preferiscono più facilmente darla a qualcuno che le paga'
il film spartacus farà fare soldi a palate a chi lo distribuirà, ci saranno dibattiti ma alla fine ci terremo monti e sgobberemo per sbarcare il lunario
mi riallaccio al commento di anonimo delle 4.30 (?)
RispondiEliminama in fondo conviene fare la rivoluzione ?
dopo la rivoluzione francese arrivarono il terrore, le stragi in vandea e napoleone che fu il peggior guerrafondaio che la storia ricordi (pari solo ad hitler) e furono milioni di morti,
dopo la rivoluzione russa arrivò stalin e compagnia a seguire e furono milioni di morti,
dopo la rivoluzione cinese arrivò mao tze tung e furono altri milioni di morti,
e poi pure kennedy non fu lui a mandare i marines in vienam ? se non sbaglio con lui presidente arrivarono a 300.000,
insomma come la giri e come la volti il cetriolo va sempre a finire nel di dietro dell'ortolano mai del commerciante di prodotto agroalimentari
E' allora dobbiamo rassegnarci?
EliminaMa non lo capite che proprio questo è il loro scopo e lo stanno raggiungendo usando mezzi diversi da Hitler, Napoleone, Stalin, ma sempre volti a tenerci in uno stato di coma controllato, solo con le funzioni vegetative operanti?
Be' insomma, dire che qualunque cambiamento (o tentativo di cambiamento), attuato nel passato da parte di un gruppo sociale che aspirava a migliorare le proprie condizioni esistenziali, sia stato un fallimento è un po' azzardato.
EliminaAd esempio, sempre per rimanere all'interno della storia romana, la rivolta dei plebei che misero in atto un grandissimo "sciopero generale" ritirandosi sul Monte Sacro, qualche beneficio per i "manifestanti" lo portò; poi che nessun moto rivoluzionario possa eliminare i limiti bio-genetici del sapiens, da cui scaturiscono le problematiche sociali di cui si parla è una questione che secondo me non va confusa (o peggio ancora contrapposta) con la necessità del cambiamento, ma che invece dovrebbe servire per calibrare correttamente le coscienze di coloro che protestano.
D'altronde anche la rivoluzione francese, nonstante le innegabili aberrazioni e degenerazioni che l'hanno seguita, ha contribuito a cambiare sensibilmente la mentalità e l'atteggiamento del popolo francese, con evidenti vantaggi (tuttora visibili) per il cittadino (non più suddito).
Certo, il mondo non può essere ridotto ad una semplice differenza fra bianco vs nero, giusto vs sbagliato (ma anche sinistra vs destra), intesi come categorie concettuali monolitiche, prestabilite ed immutabili, perchè spesso, a mio giudizio, il segreto del cambiamento consiste nel comprendere che anche piccole sfumature possono realizzare grandi differenze. In questo caso intendo dire che criticare e rifiutare ciò che hanno rappresentato i vari Robespierre, Stalin, ecc. non solo va bene ma è anche doveroso, a patto che poi però non ci si dimentichi di come il popolo russo viveva sotto lo zar o dei suggerimenti gastronomici di Maria Antonietta (per quanto quella frase lei non l'abbia probabilmente mai pronunciata).
D'altronde qual è l'alternativa? Confidare nella clemenza o nella pietà di chi vuole un ritorno al Medioevo? Una rivoluzione, come ogni azione umana, non è paragonabile ad un esperimento scientifico prodotto in laboratorio, non c'è nessuna formula matematicamente certa (o se si preferisce infallibile) che ne garantisca un esito positivo; piuttosto è un qualcosa che va continuamente monitorato, controllato, e, se necessario, anche ridiscusso e rinegoziato. E questo vale ovviamente anche per quella che molto genericamente viene chiamata "democrazia", ossia un prodotto sociale delle lotte e dell'impegno di coloro che hanno aspirato a condizioni di vita migliori, che, come tutte le condizioni umane, non è garantita da niente e da nessuno ipso facto, ma, così come può essere ulteriormente migliorata, può anche essere tolta. E infatti...
Grande film. Naturalmente il personaggio che affascina di più Kubrick è Crasso, ma anche Gracco l' altro immaginario senatore; in tutti e due il regista rappresenta splendidamente il senso di appartenenza al patriziato, la consapevolezza di essere fra quelli che "giocano" per il potere sapendo perfettamente quali sono le regole e la posta in gioco mentre gli schiavi che si ribellano sono solo dei personaggi romantici che agiscono in nome di principi che sono poco più che istinti. Quando mi rivedo quel film le parti di Spartaco le salto proprio.
RispondiEliminaMagnifica quella scena in cui qualche tempo dopo i fatti della scuola di gladiatori di Capua un messo annuncia a Crasso che Lentulus Batiatus, appunto il lanista di Spartaco, chiede di essere ricevuto; Crasso sta seduto nella sua tenda dietro un tavolo, rimane un secondo interdetto, strizza gli occhi e fa "Chi?". Altro che rivolta degli schiavi.