mercoledì 26 ottobre 2011

Ecco la storia di una vera escort, Kate Capshwaw, la moglie di Steven Spielberg

di Sergio Di Cori Modigliani

Glie l’aveva promesso.
E lui è una di quelle persone che le promesse, sembra che le mantenga per davvero.
“Quando fai 60 anni, ti porto a cena davanti al Colosseo a Roma”.

“Staremo a vedere” ha risposto lei, conoscendo i suoi polli, data la furibonda e stakanovista super attività quotidiana di suo marito.

E invece, lui è riuscito a mantenere la parola data.
Con la scusa di partecipare al festival di cinema a Roma, in cui si presenta la sua ultima fatica, Steven Spielberg arriva la prossima settimana nella capitale insieme a sua moglie, l’attrice Kate Capshaw.
Festeggeranno sia i 22 anni di matrimonio che il suo sessantesimo genetliaco.

Kate, la sua escort.

Eh già, perché lei lo faceva per lavoro.
Erano tempi un po’ diversi da quelli di oggi.

Tanto per raccontarvi una storia vera, un aneddoto di Hollywood, gustoso per i cinefili curiosi, e rimettere al suo giusto posto l’uso di questo termine, in Italia abusato in maniera indiscriminata e riadattato ad uso e consumo dell’abitudine di Ipocritania (leggi Repubblica d’Italia) laddove, nell’impossibilità nostrana di chiamare le cose come stanno per non svelare mai la verità (concetto privo di valore, qui in Italia) si finisce per creare pasticci linguistici e gravi malintesi.

Nella cultura statunitense, infatti, la mignotta si chiama “call girl”.
La “escort”, invece, è una persona (indifferentemente maschio o femmina)  che si fa pagare per accompagnare le persone presenziando un evento pubblico. Nel contratto (di solito verbale) la prestazione sessuale non è d’obbligo, né tantomeno scontata nè prevista.

Non a caso, tra qualche mese, la moglie di Spielberg pubblicherà la sua storia il cui titolo è “Memorie di una escort”.

Kate è un personaggio davvero unico, nel suo genere.


Kathleene Sue Nail, figlia unica di un’alcoolizzata e di un padre violento e malvagio, è un’americana classica, che ha incarnato su di sé tutte le caratteristiche leggendarie della donna texana.
Nata a Fort Worth il 3 novembre del 1951 in una grande azienda agricola, era figlia di un cowboy, termine al quale noi attribuiamo un significato poetico: tradotto nel suo esatto corrispondente italiano, assume una dizione dal sapore diverso: “bovaro”.

All’età di 16 anni, stanca di una madre sempre in coma per via dell’alcool e di un padre che abusava di lei sessualmente, scappa via di casa e arriva a Dallas, con documenti falsi che la invecchiavano di due anni, sufficienti per sostenere di essere maggiorenne. Finisce subito nei guai, violentata in un buio vicolo della grande città e poi in ospedale dal quale fugge via per timore di essere rispedita a casa. Rimasta incinta decide di tenersi il bambino e comincia a lavorare come spogliarellista in un night club. Poiché non poteva permettersi molto, affitta una roulotte in un campo di zingari messicani. Dopo qualche mese è costretta a sospendere l’attività per via del pancione. Ma scopre su un quotidiano locale l’annuncio di un’azienda che cerva “donne incinte disposte a fare da escort”.
Si presenta e l’assumono subito.
Un lavoro curioso.
Si tratta di accompagnare degli uomini d’affari –il più delle volte gay- a cene di rappresentanza o a visite in famiglia, sostenendo di essere l’amorevole fidanzata incinta del suo datore di lavoro, il quale ha bisogno di mostrarla ufficialmente in pubblico, magari per tacitare le chiacchiere malevole sulla sua omosessualità silenziando dei nemici lavorativi.

Subito dopo la nascita di suo figlio si trasferisce a Los Angeles con il bambino dove trova lavoro, a diciannove anni, come modella.
Ma dopo tre mesi interrompe l’attività perché non le piace l’ambiente.
Trova lavoro in un’agenzia di escort e inizia la sua attività californiana.
Finchè nel 1975, uno dei suoi clienti, Lawrence Capshaw si innamora di lei e si sposano.
Diventa quindi Kate Capshaw.
Ma il matrimonio dura molto poco. Il tempo per fare una figlia, Jessica (oggi attrice professionista teatrale) e dopo neppure due anni divorzia.

Si trasferisce a vivere su una barca, ancorata nel porticciolo per yacht di los Angeles, a Marina del rey, insieme ai suoi due figli.
Una sera, (siamo alla fine del 1979) vede in televisione una intervista a Steven Spielberg.
“Questo è l’uomo della mia vita”.

Viene presa da una insopprimibile ossessione per lui.
Fa di tutto per poterlo incontrare senza riuscirci.
Si fa fare un servizio fotografico e riesce a entrare in un’agenzia che promuove attrici con la speranza che questa strada la porti da Spielberg.
Ma la cosa risulta molto più difficile di quanto lei non pensasse.
Kate è una donna bellissima, ma Hollywood è piena di ragazze come lei.
Finalmente, dopo diversi mesi la chiamano per una particina. Lei chiede se il regista del film sia Steven Spielberg. Le dicono di no.
“Allora, non mi interessa, io lavoro soltanto in un film di Spielberg”.
L’agente non ci fa caso e la prende per matta.
Dopo due mesi la richiama per un’altra particina.
Anche in questo caso, Kate rifiuta perché non è un film di Spielberg.
E accade altre due volte.
L’agente la chiama nel suo ufficio e le spiega che questa sua ossessione di sicuro non l’aiuterà nella sua carriera.
“A me non interessa la carriera” risponde lei “io voglio sposare Steven Spielberg, voglio essere sua moglie”.
“Ma Spielberg è già sposato” le spiega l’agente (Norman Crew).
“Quando conoscerà me, allora divorzierà”.
“Ma lui neppure sa che tu esisti”
“Lo saprà. Io aspetto, non ho fretta. Ho 28 anni, posso aspettare almeno fino a 40”.

E così, le sue fotografie cominciano a circolare per le produzioni hollywoodiane, con l’aggiunta di una specifica che spiega come l’attrice sia disponibile soltanto ed esclusivamente per ruoli in una produzione che coinvolge Spielberg.
Seguita a lavorare come escort per mantenere i suoi due bambini.

A Hollywood comincia a diffondersi la leggenda metropolitana su di lei; una splendida escort che rifiuta un’offerta dopo l’altra perché vuole comparire soltanto in un film di Spielberg.
E smette di avere rapporti con uomini, in attesa di incontrare lui.
IL che aumenta e rinvigorisce la leggenda.

Passano gli anni e l’indomita Kate non molla e non abbandona la sua ossessione.
Rifiuta 126 offerte, alcune delle quali davvero prestigiose.

Finchè nel 1984 non la chiamano per la parte della protagonista femminile in "Indiana Jones e il tempio maledetto": cercano una con i suoi requisiti.
Spielberg è al corrente dell’ossessione di Kate, ma è abituato.
E’ abbastanza normale che le fans si incaponiscano su qualche famosa celebrità.
Fa il provino e Spielberg rimane incantato.
La chiama altre due volte per una verifica e infine diventano amanti.

Ma dopo neppure due mesi (dopo che lui le comunica di essersi innamorato di lei) Kate gli dice che lei si vuole sposare con lui. Spielberg le spiega che non è una cosa facile da risolvere dato che lui è già sposato, e chiede del tempo. Lei gli concede sei mesi. Ma alla scadenza, lui si mostra reticente. Ne passano altri sei, e lui cincischia.
Kate si infuria e si offende.

“Visto che tu vuoi che io sia soltanto la tua escort, lo mettiamo per contratto” gli propone.

E così firmano un contratto privato. Spielberg promette che entro il 31 dicembre dell’anno seguente lui divorzierà. Dopodichè sposerà Kate, alla quale, nel frattempo, viene riconosciuto lo status di “escort esclusiva” (è stata lei a pretenderlo): 5.000 $ al giorno per ogni giorno fino al giorno del loro presunto matrimonio.

“Visto che tu non hai fretta, non ce l’ho neppure io”. Il contratto è anche retroattivo.
“Non mi va di fare l’amante” gli spiega la Capshaw “non voglio far la fine delle altre; preferisco essere, caso mai, licenziata, ma considerata una impiegata a tempo pieno”.

Spielberg accetta.
Ma dopo qualche mese, il fantomatico contratto (nel frattempo diventata un’ennesima leggenda hollywoodiana) finisce nelle mani di Amy Irving, l’attrice di teatro, coniuge legale di Spielberg, nonchè madre dei suoi figli.

Affrontato dalla moglie lui confessa.

Lei si arrabbia e chiede il divorzio per colpa.
Inizia una guerra legale.
Amy Irving pretende complessivamente 100 milioni di dollari, una cifra molto alta, superiore di molto a tutto ciò che Spielberg, in quel momento, possiede, sostenendo che servono per mantenere i tre figli Masha, Max e Sawyer.
Spielberg si confida con Kate la quale insiste affinchè lui dia alla moglie tutto ciò che la Irving ha chiesto, fino all’ultimo centesimo.
“Ma così finisco in mezzo alla strada” protesta lui.
“Sei bravo, pieno di talento e hai mercato” risponde la Capshaw “se con una donna come me accanto non sei in grado di rifarne almeno duecento di milioni in poco tempo, allora tanto vale che non mi sposi. Io lo voglio fare per amore non per i soldi”.

Lo convince.

E così, Spielberg si presenta in aula e dichiara al giudice di essere colpevole, e si mostra disponibile a pagare alla moglie la cifra che lei vuole e pretende.
Paga 114 milioni di dollari e ottiene il divorzio.
La Irving ottiene anche il pieno affidamento dei tre figli.

La storia diventa pubblica tra il sollazzo generale della comunità hollywoodiana.
Amy Irving diventa un’eroina femminista e viene intervistata su diverse riviste raccontando la sua epopea.

Spielberg va a vivere in un piccolo appartamento di Santa Monica insieme a Kate, ospite di Robin Williams. Dopo tre mesi si sposano.
Sei mesi dopo, Spielberg inizia le riprese di “Peter Pan” che gli frutta 280 milioni di dollari di guadagno, perché impone –dietro pressioni di Kate- una clausola per cui accetta di non essere pagato optando per una percentuale sugli incassi.

Dopo la presentazione del film a Londra, Kate, innamorata dell’Europa, strappa la promessa a Spielberg di portarla a Roma a celebrare il suo sessantesimo compleanno, di lì a vent’anni.

E così è.

Nel frattempo, in questi 22 anni trascorsi insieme, hanno avuto nove figli. Tre biologici e sei adottati in diversi continenti del mondo, due in Asia, tre in Africa uno in Sudamerica.

Una escort fortunata, non c’è che dire.
Per quanto riguarda Spielberg, un uomo intelligente che sa scegliersi le donne giuste.

Welcome in Rome.


4 commenti:

  1. Si tratta di accompagnare degli uomini d’affari –il più delle volte gay- a cene di rappresentanza o a visite in famiglia, sostenendo di essere l’amorevole fidanzata incinta del suo datore di lavoro, il quale ha bisogno di mostrarla ufficialmente in pubblico, magari per tacitare le chiacchiere malevole sulla sua omosessualità silenziando dei nemici lavorativi.

    Scusi Modigliani non ho ben capito quale paese sia Ipocritania :-)

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  2. Questi post succinti, scritti ad arte con dovizia e cura sono delle perle nel marasma del web. Al contrario di quando parla di politica ...forse si lascia un Po andare perdendo il controllo della penna ( in senso figurato ovviamente )
    ;-)

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  3. l'america oltre che essere ipocrita a me sembra che sia molto piu clericale che la stessa italia. di sicuro ci sono molto piu probabilità che cambi l'america invece che l'italia....e per tornare al tema del post;se fossi donna,e magari bella, altro che disoccupazione o cassaintegrazione...escort tutta la vita

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  4. «La “escort”, invece, è una persona (indifferentemente maschio o femmina) che si fa pagare per accompagnare le persone presenziando un evento pubblico. Nel contratto (di solito verbale) la prestazione sessuale non è d’obbligo, né tantomeno scontata nè prevista.»
    Anche in Italia era così prima della banalizzazione e spettacolarizzazione degli ultimi anni. E adesso, di conseguenza, tutte si fanno chiamare escort, anche le "call girl". Siamo figli dei tempi.

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