giovedì 5 luglio 2012

Ecco che cosa dicono di noi in Usa e in Sudamerica.



di Sergio Di Cori Modigliani


Che cosa pensano, scrivono, e dicono di noi al di là dell’oceano atlantico? Che cosa accade, lì da loro? E perché mai dovrebbe essere importante sapere ciò che accade lì e ciò che loro dicono di noi?

Un’aggiunta necessaria: quando parlo di “al di là dell’oceano atlantico” intendo dire dal Canada all’Argentina e non soltanto gli Usa.

Ciò che pensano in Usa, di noi, è importante perché le nostre economie sono intrecciate, perché la posizione dell’Italia è strategicamente decisiva per gli interessi economici statunitensi, perché gli Usa sono ancora un grande impero economico-industriale e sarebbe nostro interesse stringere solidi legami di alleanza con loro e perché il business americano è da sempre interessato e affascinato all’idea di venire a investire soldi in Italia (nel senso di dollari cash really cash, non i miliardi di euro virtuali del marpione Passera) purchè, naturalmente, rendano.
Se l’Italia fosse stata una nazione responsabile e accorta, avrebbe creato negli ultimi dieci anni una situazione politico-economico tale per cui invece di spingere all’angolo Marchionne  (e un altro centinaio di grossi industriali) costringendoli alla fuga, avrebbe invertito il flusso della rotta, e sarebbe stata in grado di attirare come un “magnete Marelli” la Ford o la Toyota a venire qui con capitali freschi, per approfittare della eccelsa manodopera specializzata italiana, della perfetta distribuzione di concessionarie a tappeto, della grandiosa e impeccabile tradizione manifatturiera nazionale (tuttora seconda in Europa) e solidamente quarta nel mondo (fino a gennaio 2012; dal marzo 2012 l’Italia è precipitata all’ottavo posto e per giugno 2013 si calcola si aggirerà tra il 12esimo e il 15esimo posto, cioè alla periferia planetaria delle nazioni industriali, superata da Nuova Zelanda, Pakistan e Sudafrica; perdurando tale situazione, per poter risalire posizioni dal giugno del 2013 in poi l’Italia impiegherà almeno dieci anni per superare la crisi, se va bene. Se va male, ne impiegherà almeno cinquanta) e invece è avvenuto il contrario.

Piuttosto che far venire la Chrysler qui, la Fiat se n’è andata lì. E ha risolto dei loro problemi. E ha aggravato i nostri. Bisognava attirare capitali qui nel 2001, alla vigilia della nascita dell’euro, attraverso una intelligente e responsabile politica industriale governativa. Ma allora, al potere c’erano Berlusconi, Maroni e Gasparri. E all’opposizione D’Alema, Veltroni e Bertinotti. Nessuna di tutte queste sei persone ha avuto mai il benché minimo interesse di portare avanti gli interessi della nazione, di combattere una battaglia di salvaguardia degli interessi nazionali, e di spingere l’Italia verso la globalizzazione da protagonista. Tutti loro sono responsabili (ciascuno nella propria quota parte) dell’attuale dissesto; tutti loro sono attuali protagonisti sulla scena politica e intendono spiegarci ogni giorno come risolvere la faccenda presentandosi come la migliore alternativa.
Ecco che cosa dicono di noi in Usa.
Esattamente questo.
In televisione, sui giornali, alla radio, viene presentata in Usa l’immagine di una nazione da operetta squallida, esattamente l’opposto di quanto raccontato dal nostro Lady Gaga e dalla sua truppa mediatica asservita, soprattutto dal quotidiano la Repubblica che ha scelto di situarsi sempre di più in una posizione oggettivamente reazionaria e di sostegno a politiche lesive dell’interesse nazionale perchè stanno affondando il paese.  L’Italia viene raccontata come una nazione meravigliosa ma dove la gente vuole rubare invece che guadagnare; dove gli imprenditori aspiranti soci d’affari vogliono trovare un meccanismo che li leghi alla perversione del circuito banche-ministeri-partiti piuttosto che aumentare la produttività e legarsi al mercato; dove la ricerca scientifica è considerata una bestemmia; dove le assunzioni del personale qualificato necessario per produrre lavoro non passa attraverso la competenza tecnica e il merito, bensì attraverso la malleveria di BerlusconiMaroniGasparriD’AlemaVeltroniBertinotti (oggi gli stessi di allora, gli stessi di sempre) che presentano delle liste di assunzione per la serie: prendere o lasciare.
Possiamo, onestamente, dar loro torto?
Possiamo, onestamente, sostenere che quest’impostazione è falsa, cioè non corrispondente alla realtà del nostro paese?
In Italia, ciò che pensano in Usa di noi, non lo dicono.
Con l’unica eccezione de Il Fatto Quotidiano (non a caso l’unico quotidiano mainstream di tutta la Repubblica Italiana che si gioca le proprie carte editoriali sul mercato perché è una spa –nel senso di società per azioni e non centro benessere come l’unità che fa lavorare soltanto parenti e amici stretti di deputati e senatori del piddì- quindi, il Fatto Quotidiano non si avvale di alcun contributo governativo, non riceve né sovvenzioni né sussidi; se non vendono in edicola, falliscono e chiudono; e quando dico “l’unico” intendo dire meno di 2. Ebbene, quelli de Il Fatto Quotidiano hanno pubblicato qualche giorno fa, in normale e succinto commento di copia e incolla, la corrispondenza da Roma dell’inviato speciale del prestigioso Washington Post, Steven Pearlstein (vice-direttore, 35 anni di esperienza, premio Pulitzer, famosissimo e attendibile) il quale è venuto nella capitale un mese fa per un’inchiesta su di noi. Era venuto anche il New York Times, il Wall Street Journal, l’inviato di Bloomberg, della CNN, de Los Angeles Times e del Chicago Tribune. Tutti qui. Come mai? Semplice ed elementare. Obama aveva parlato alla nazione alla fine di maggio spiegando che seguiva con “vivo interesse e preoccupazione la situazione dell’Italia, una grande nazione amica, fedele alleata, e meraviglioso paese che abbiamo imparato ad amare, perché un peggioramento drammatico della situazione in quel paese potrebbe avere un impatto negativo molto forte anche sulla nostra economia”. Il giorno dopo, tutti i media statunitensi hanno deciso di mandare la propria crema scribacchina nel Bel Paese per dare un’occhiata. E’ ciò che hanno fatto.
Qui, naturalmente, si sono scontrati con l’ebetudine inetta del ragionier vanesio, il quale è andato in brodo di giuggiole all’idea di essere così ricercato, così voluto, così intervistato, pensando che stessero valutando la sua persona per proporlo al Nobel. Idem per Bersani, Cicchitto, Casini, e compagnia bella. Un attacco di vanità bulimica. Quindi hanno detto la loro, pensando di star parlando ai soliti italioti che li votano.
Si è risolto in una catastrofe nazionale.
Una catastrofe per l’immagine del nostro paese.
Ma soprattutto una catastrofe per chiunque abbia pensato che dagli Usa arriverà entro i prossimi anni anche un solo dollaro di investimento. Anzi. Non arriveranno mai più.
Sul Wall Street Journal e su Bloomberg, tra le righe, consigliano di fuggire a gambe levate quanto prima è possibile.
L’editoriale –davvero molto ampio ed esaustivo- comparso sul Washington Post ha descritto una nazione molto più simile all’Arabia Saudita che non alla Francia, molto più vicina al medioevo che non al post-moderno, ricordando all’esterrefatto lettore statunitense che le persone intervistate (personalità importanti) erano le stesse che erano state intervistate nel 2008, nel 2002, nel 1998, nel 1996. Il tutto presentato con simpatia, benevolenza e addirittura un pizzico d’amore. Una nazione oligarchica, reazionaria, senza possibilità di ripresa per mancanza di dinamica interna. L’articolo ha una citazione iniziale. Ed è la seguente: “In Italia, nel mondo degli affari citano sempre l’opinione di un grande e importante finanziere locale: il miglior assetto azionario per gestire un’industria consiste in un numero di azionisti che sia dispari e inferiore al numero tre”.
Sia sul Washington Post che sul Wall Street Journal (quindi sia a destra che a sinistra) l’Italia viene presentata come un mondo industriale patriarcale e aristocratico, e quindi impossibilitato ad andare verso il nuovo.
Intendiamoci, non è detto che gli americani abbiano ragione.
Io ho solo presentato il loro punto di vista e ciò che stanno facendo.
Il tutto per spiegare come Mario Monti e il quotidiano la Repubblica stiano intenzionalmente partecipando a un processo di falsificazione della realtà. Quando Mario Monti sostiene pubblicamente che “in tutto il mondo apprezzano ciò che abbiamo fatto e stiamo facendo” quando dice questo, dice il FALSO. Non è vero.
E’ esattamente il contrario.
Nel mondo stanno spiegando che in Italia è scomparsa la concezione della cittadinanza sostituita dall’idea di sudditanza, ben rappresentata dal “familismo”, una sorta di omertà mentale che identifica la propria famiglia di appartenenza, il proprio partito, il proprio clan, il proprio gruppo, la propria loggia, come sostitutivi sia del mercato che dello Stato. Da cui il crollo della produttività, la mancanza di flessibilità, l’abbattimento di un concetto di creatività dinamica, la mancanza di apertura verso la ricerca di forme nuove ed evolute.
Se si facesse sapere alla gente ciò che si dice di noi, si darebbe un contributo maggiore all’allargamento di una consapevolezza collettiva e potrebbe spingere nuovi soggetti alla presa d’atto di una necessaria e immediata sollevazione contro chi produce FALSITA’.

In Sudamerica, invece, di noi si parla in quanto Europa.
Così come noi, quando pensiamo a loro parliamo di Sudamerica perché sommiamo Argentina, Brasile, Uruguay, Cile, Paraguay, Venezuela, Perù, secondo una vetusta idea colonialista che ci fa sempre e comunque pensare che quelle, in realtà, siano zone territoriali da noi conquistate (inglesi, spagnoli, portoghesi, italiani) quindi sono una specie di pappa che ci appartiene e contano poco nella loro identità locale e nazionale.
Loro, in Sudamerica lo sanno, e per lungo tempo hanno incorporato un complesso di inferiorità, tant’è vero che fino a due anni fa si usava il termine “Primer Mundo” orrendo termine coniato da Richard Nixon nel 1974, divenuto addirittura un parametro economico immediatamente cooptato dal Fondo Monetario Internazionale e dalla Banca Mondiale.
Nazioni come l’Argentina e il Brasile, ad esempio, erano “Second Land” (in Italia venivano chiamati dalla Banca d’Italia “Secondo Mondo”) una modalità subliminale per farli comunque sentire in serie B, ricordando loro che il massimo delle loro ambizioni poteva essere quella, un giorno molto lontano, di entrare nella serie A, cioè comportarsi come “il Primo Mondo”. Essere civili, voleva dire essere come l’Europa Occidentale e gli Usa. Quindi applicare alla lettera le loro scelte economiche, politiche, culturali.
Ma le cose sono cambiate. E molto.
Dalla metà della precedente decade, il Sudamerica si è definitivamente staccato dal modello statunitense-europeo, “rifiutandosi” (quindi vuol dire che era possibile farlo) di investire anche un solo dollaro nella finanza speculativa sui derivati, applicando un modello economico neo-keynesiano, lanciando un valore alternativo al concetto mondialista di pil sostituito dall’indice bes (Benessere Equo Sostenibile), facendo varare apposite leggi –in alcuni casi cambiando la Costituzione- in maniera opposta all’Europa e agli Usa: hanno istituito per Legge la identificazione di “comparti e aziende strategiche per il futuro della nazione” (come ad es. petrolio, gas, acqua, rame, soja, spiagge, iceberg, foreste, istruzione pubblica, ricerca scientifica, telefonia cellulare) definendoli “beni collettivi” e quindi soggetti a controllo statale governativo, e lanciando in diverse regioni di alcuni stati (Argentina, Bolivia e Brasile) il “bilancio sociale”. Poco a poco, il Sudamerica –in concomitanza con la crisi esplosa nel 2008- ha cominciato a superare il proprio complesso di inferiorità rispetto al Primo Mondo, comprendendo di star diventando semplicemente un Mondo Diverso, il che non vuol dire né migliore né peggiore. E grazie a una solida (ed esistente) attività di una superba classe intellettuale non asservita all’ottimo pagante di turno (multinazionali legate alla finanza come in Italia) hanno cominciato a modificare alcuni aspetti del proprio linguaggio.
L’Europa è sempre meno Primo Mondo, e sempre di più Vecchio Mondo.
Corrisponde anche a una verità storico-gerografica-antropologica.
Quello è il Nuovo Mondo. Qui, in Europa, ce lo avevano fatto dimenticare.
Esempio molto molto pericoloso per l’oligarchia finanziaria sovra-nazionale planetaria. Nella loro mente, infatti, deve essere stata identificata come una scelta appartenente alla serie “la rivolta degli schiavi”. Se così l’hanno pensata, oh beh, l’hanno pensata giusta.
Così è stata.
Solo che, in questo caso, gli schiavi hanno vinto.
Andavano puniti, quindi. Con durezza e intelligenza.
L’hanno fatto, venti giorni fa.
Usa ed Europa in pieno accordo (altrimenti non sarebbe stato possibile) hanno compiuto un atto che è molto ma molto importante –perché è un esperimento- sul quale sarebbe bene dibattere, quantomeno informarsi, perché ha dato inizio a quello che in Sudamerica è stato definito “democritura” (vi dice qualcosa per assonanza nazionale, questo termine?) ovverossia, la “variante post-moderna delle dittature militari imposte dalla Cia negli anni’70 che lancia un nuovo programma politico di destabilizzazione mondiale per andare all’attacco delle economie libere che rivendicano il proprio diritto all’auto.determinazione applicando teorie economiche contrarie ai dettami dei colossi della finanza: invece che generali nazisti impongono tecnici laureati”.
E così, a metà giugno 2012, un bel mattino, il parlamento del Paraguay (si sa già in tutto il Sudamerica chi è stato pagato, quanto, quando e da chi, quindi, in teoria il “golpe” è andato male) dichiara che il proprio presidente è diventato matto, lo destituisce con voto segreto, cambia la costituzione e vara un governo tecnico di emergenza nazionale.  Fernando Lugo viene buttato giù.
In Europa, pochissime righe di agenzia, un pezzullo da qualche parte e poi: silenzio di tomba. Soprattutto silenzio di tomba sulle reazioni dei paesi limitrofi (questo è l’aspetto determinante e fondamentale). L’Argentina, il Brasile, la Bolivia, il Venezuela, l’Uruguay, l’Ecuador, Costa Rica, sette nazioni che, insieme, valgono quanto Italia, Spagna e Francia messe insieme, hanno ritirato i loro ambasciatori e hanno dichiarato che non riconoscono la legittimità del nuovo governo perché “in tutto il continente sudamericano, dal Venezuela fino al Polo Sud, sono considerati legali soltanto governi eletti dal popolo in seguito ad elezioni democratiche che si siano svolte in un clima di libertà civili garantite a tutti i contendenti e riconosciute dal consiglio di sicurezza dell’Onu, dall’Unesco e dall’Organizzazione degli Stati Americani (ndr. di cui gli Usa fanno parte)”.
Si è aperto, quindi, un furioso e furibondo dibattito, tuttora in corso, che sta producendo inconsueti scenari. Per la prima volta nella Storia, da Mussolini a oggi, la Repubblica Italiana –nazione amata e amica dato che in Argentina c’è la più folta comunità italiana al mondo al di fuori del nostro territorio- è stata identificata come “esempio negativo”, come “nazione che ha violato i principii basici della democrazia rappresentativa” arrivando addirittura in alcuni punti a sostenere (forse anche) una partecipazione attiva del nostro governo nel loro golpe. L’Italia viene ormai identificata come una “democritura”, nazione serva, incapace di orgoglio nazionale, dedita alla piatta e passiva totale acquiescenza di interessi della finanza oligarchica che vogliono abbattere le sovranità nazionali. Un esempio d a non seguire, una nazione dalla quale stare alla larga.
E’ un dibattito che sta infiammando tutto il continente, e che sta chiamando –mettendola in severa crisi- in causa l’amministrazione Obama e quella di Hollande. Il deposto presidente, infatti, era diventato un eroe nazionale, perché, dopo una battaglia durata ben tre anni è riuscito ad andare all’attacco (vincente) di un colossale consorzio internazionale che controllava le fonti energetiche e alimentari nazionali a capitale misto franco-statunitense.
Quindi, adesso (cioè a settembre quando inizia ufficialmente l’anno nuovo dell’Onu a New York) il Sudamerica si presenta al consiglio di sicurezza con questa bella grana pretendendo che “vengano definite dittature e quindi chiedere, esigere e pretendere immediate misure di embargo economico e penalità finanziarie nei confronti di tutte quelle nazioni membri dell’Onu che abbiano un governo che non è stato legittimamente eletto in seguito a consultazioni democratiche verificate e provate”.
Neanche una parola in Europa.
Quindi, il nostro continente, laggiù, viene vissuto come “nemico della democrazia e dell’uguaglianza sociale” e alla televisione di diversi paesi si dice apertamente come “leggere i quotidiani europei oggi fa lo stesso imbarazzante effetto che faceva leggere i quotidiani argentini o brasiliani o cileni nel 1978 stando in Europa”. Bella botta.
Come italiano non mi piace l’idea di essere identificato come un seguace di Pinochet o Videla.
Ma devo ammettere che, se adesso io stessi in Sudamerica direi la stessa cosa.
Anche perché a dirlo, è stato lo scrittore Rubem Fonseca (vegliardo brasiliano, famosissimo in patria, eccellente romanziere, autore di noir di primissima caratura la cui lettura consiglio a tutti) e lo ha fatto alla televisione brasiliana, cioè un paese che noi nella nostra idiozia colonialista consideriamo una nazione composta da ottimi calciatori, trans, bei culetti, samba, carnevale, cantautori sentimentali, miseria nera, industria zero. E invece settantadue giorni fa ha scalzato la Repubblica Italiana dall’8 posto al mondo come nazione industrializzata spingendoci al nono. Il Brasile produce più di noi. Conta più di noi.
Chiunque voglia seguire le vicende, e sa leggere lo spagnolo, consiglio caldamente il sito aporrea.org è tenuto dai rappresentanti sindacali dei lavoratori del cono sur (Argentina,Cile, Argentina, Bolivia, Paraguay, Brasile, Uruguay) e spiega tutto.
Spiega anche tante tante cose sull’Europa che noi non sappiamo.
Perché non ce le dicono.
Non ce le raccontano.
Che ci piaccia o meno, dobbiamo accettare la realtà dei fatti.
Stiamo al di là della cortina di ferro.
Noi viviamo come i sovietici nel 1982.
Questa è la nostra realtà.
A questo servono i Falsi.
A impedire ai cittadini di vedere, sapere, informarsi, formarsi.
E a far credere alla gente di vivere una certa vita quando, invece, ne stanno vivendo un’altra.
Proprio come ci avevano spiegato i nobel Sacharov e Milosz, il quale ne “La mente prigioniera” spiegava l’impossibilità da parte dei sovietici di poter fare qualcosa: “sono innocenti, non hanno strumenti, loro non hanno la minima idea di ciò che accade nel mondo, sono vittime inconsapevoli di quotidiani esercizi di falsità di stato. E quando in un paese la classe dirigente basa il proprio potere sul Falso vuol dire che sta sottraendo al popolo la possibilità di avere accesso al sapere”.
La Cultura, infatti, è parallela alla Verità.
Noi, in Italia, non abbiamo scrittori perché non sappiamo ancora chi ha compiuto la strage di Piazza della Loggia a Brescia più di quaranta anni fa. E non lo sapremo mai.
Da noi, la Verità non è un Valore: è un optional.
In un paese così non si fanno buoni affari.
I businessmen internazionali, questo principio, lo conoscono molto bene.



9 commenti:

  1. @ Sergio Di Cori Modigliani

    Leggo sempre con grande attenzione i tuoi articoli, davvero approfonditi e interessanti.
    Riguardo a questo mi piacerebbe solo avere dei chiarimenti riguardo l'affermazione seguente:

    Usa ed Europa in pieno accordo (altrimenti non sarebbe stato possibile) hanno compiuto un atto che è molto ma molto importante –perché è un esperimento- sul quale sarebbe bene dibattere, quantomeno informarsi, perché ha dato inizio a quello che in Sudamerica è stato definito “democritura”

    Non mi è chiaro perchè dici che necessariamente Usa ed Europa sono in pieno accordo. Credo che l'Europa non sia molto interessata in realtà a quanto gli Usa fanno in Sudamerica, che continuano a considerare il 'giardino di casa' degli Stati Uniti.
    Il punto è fondamentale perchè da esso derivano tutte le conseguenze di cui scrivi nell'ultima parte dell' articolo.

    Grazie per gli eventuali chiarimenti

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    1. Le dirò il poco che so.
      Gli Usa e l'Europa stanno combattendo una micidiale guerra economica in Sudamerica, che porterà allo scontro definitivo (sempre in Sudamerica) tra Germania e Usa, nella quale si sta ben inserendo la Francia, la quale con molta intelligenza gode di nuovo prestigio perchè non ha antecedenti colonialisti in sudamerica. Pesante la batosta presa da Marchionne in Brasile dove ha perso 3-0 contro Volkswagen. Pesante la sconfitta di Unicredit a Buenos Aires e Montevideo dove hanno perso per 6-0 (parecchi miliardi di euro coperti dal governo italiano) contro Bnp-Paribas e Deutsche Bank. Pesantissima sconfitta della multinazionale italiana Serono contro la Smith Glaxo Cline. Un'altra botta nel nord dell'Argentina al confine con il Brasile per Benetton che ha perso contro il gruppo Dior, diversi miliardi di euro complessivi e la perdita del controllo territoriale del tessile in tutto il sudamerica, preso dai francesi. E la lista continua. In Sudamerica le grandi multinazionali europee si scannano tra di loro per il controllo del territorio. Il Brasile, leader della zona, in funzione anti-statunitense, ha fatto un'alleanza di ferro con la Germania e insieme hanno fatto fuori l'Italia dal mercato. Tutta la vicenda del terrorista italiano è stata una prova di forza per far vedere a tutti che il Brasile conta più dell'Italia. E' vero, è così. Adesso, in ARgentina, la Kirchner sta costruendo una nuova alleanza con la Francia in funzione anti-tedesca, anti-italiana e anti-statunitense. In ballo investimenti intorno a 50 miliardi di euro. E a Buenos Aires la Renault, la Peugeot e la Citroen la fanno da padroni e le Fiat non le vuole più nessuno. Neanche le volkswagen. Laggiù odiano Monti e la Merkel. Lo chiamano il duo di MM che in spagnolo sta per Mucha Migaja che vuol dire "molta mollica", qualcosa del tipo "tutto fumo e niente arrosto". Il golpe in Paraguay è servito agli Usa per ricordare, comunque, a tutti, che loro sono pur sempre in grado con la Cia di rompere le uova nel paniere a chicchessia. Hanno vinto i francesi che hanno piazzato un bel colpo per le loro multinazionali franco-svizzere, soprattutto sezione agro-alimentare (Danone). Come al solito, gli americani fanno il lavoro sporco, gli abili e perversi francesi ne godono i frutti. Gli italiani fanno gli italiani, quando hanno le spalle coperte fanno gli arroganti e rubano tutto ciò che possono e quando non hanno le spalle coperte perdono impietosamente. Spero di averla aiutata a capire un po' di più.

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    2. Sì, mi è più chiaro, La ringrazio.
      Se ho capito bene il dato di fatto comune è che l'Italia verrà esclusa da significative presenze nell'economia dei vari paesi sudamericani, mentre la scacchiera delle alleanze nei vari stati è più variegata. In alcuni gioca un ruolo più importante la Francia, in altri la Germania, mentre gli Usa vorrebbero continuare a conservare un ruolo dominante ma per farlo hanno la necessità di ricorrere a 'prove di forza' perchè sempre di più i paesi latino americani vorrebbero smarcarsi dagli Stati Uniti.
      A questo punto credo che per l'evoluzione della situazione in una direzione o in un'altra, sarà anche elemento importantissimo la riconferma democratica alla presidenza Usa o la vittoria repubblicana. In quest'ultimo caso credo che difficilmente gli Usa accetteranno di ricoprire un ruolo secondario in sudamerica.

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  2. Lo confesso, leggo Repubblica sin dal primo numero, ma ormai è da tempo che non sopporto più questa ipocrisia targata Mauro Scalfari Giannini che falsifica volutamente i fatti presentando il verosimile come il "vangelo". I pistolotti di Scalfari, le sue interviste tappetino a Napolitano non gli fanno certo onore.

    Ma Repubblica, Il Corriere e gli altri non fanno altro che applicare quello che gli americani chiamano il sistema DDT, ovvero "Decoy, Distract and Trash", ovvero esca, distrazione, spazzatura. Come nel caso dell'Iva. Tutti si sforzano di convincerci che la revisione della spesa serve ad evitare l'aumento dell'Iva di qualche punto. Ma siamo sicuri che al cittadino con 500,00 euro di pensione al mese, al cassa integrato, al precario faccia meno danno un servizio sanitario inefficiente, l'aumento dei ticket, un sistema bancario truffaldino dell'aumento di un punto di Iva su consumi ridotti all'osso?

    Secondo me l'Iva, come la patrimoniale, è una tassa democratica che rispetta la proporzionalità costituzionale. Ognuno paga in proporzione ai consumi e sono sicuro che chi non ha problemi di spesa non rinuncia al caviale o al Suv, alla barca milionaria, alle megaville tipo Daccò e Lusi per qualche migliaio di euro in più. Chi ha ventimila euro al mese di pensione non rinuncia certo al ristorante di lusso o alle vacanze in resort a cinque stelle. E' giusto quindi che paghi in base ai suoi consumi. L'incapiente, il povero, riesce a mala pena a pagarsi pane e companatico, e non sempre; è invece vitale che l'Iva sui beni di prima necessità si mantenga bassa. Tutto qui.

    I consumi calano non per colpa dell'aumento dell'Iva, ma perché buona parte della gente non ha più soldi da spendere. Non voler dire questo, affermare che sono l'art. 18 e l'aumento dell'Iva a scoraggiare gli investimenti è fare terrorismo psicologico, è semplicemente DDT.Anzi, solo Trash

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  3. Due articoli interessanti. Peccato che lei, forse per colpa e anche grazie a tutti gli anni che e' vissuto all' estero non si accorge che e' sempre stato cosi. L'italiano e' sempre vissuto dentro una botte. Una botte che non fa vedere e dai pochi pertugi che lascia quando non ne puo' fare a meno distorce l'informazione. L'impero FIAT era un impero legato a tutte le dittature, il colore non aveva importanza.
    Da Franco a Peron, da Tito a Stalin. Vecchie catene di montaggio venivano trasferite in questi paesi per produrre macchine obsolete e dare lustro a dittatori locali che inneggiavano la loro "grande" industria nazionale. Le tangenti volavano. Il primo avviso della fine
    lo dette la Spagna del Cambio. Volevano una macchina che si potesse esportare. La FIAT perse e subentro' la Volkswagen. Si poteva impunemente fare bombardare dall'aviazione argentina le fabbriche in sciopero o pagare i politici che usavano i squadroni della morte. I nostri giornali tacevano. E i nostri partiti e i nostri sindacati.
    L'imperialismo americano si accollava i crimini. (Ancora oggi come un suo lettore fa notare)
    Ancora piu' ridicolo fu la difesa delle ugole nazionali. Finché poterono non fecero entrare i Beatles. Straordinario partire da Gibilterra e viaggiare fino ad Istanbul. In tutti i paesi si trovano bar e ristoranti inglesi, italiani tedeschi, francesi. Arrivati in Italia si scopre che il mondo e' stato sospeso. Come in un vecchio film western. "Qui possono rubare solo i locali"
    In Stati Uniti un movimento puo' creare controinformazione, puo'
    aprire una libreria, addirittura con bar, ristorante e banca annessa.
    Qui dipende, si e' permesso, ma, quante licenze? Quanti direttori responsabili? Quanti pali, paletti, filo spinato devi scavalcare?
    E purtroppo non e' solo un fatto di governo. E' una mentalita' antica. La sento persino in certe frasi di Grillo. Senza parlare della Lega. Scenderemo al ottavo posto, al decimo, nessuno vuole investire in questo paese o nessuno che altri investano in questo paese. Dalla difesa nazionale ad oltranza allo sfacelo nazionale il cerchio si e' chiuso.
    Si, parlando d'altro, le tasse indirette sono tasse che colpiscono i poveri. Sono le tasse che piu' usa un paese di cattolici che dovrebbero essere dalla parte dei poveri, di socialisti che vogliono la giustizia sociale, di comunisti che vogliono l'uguaglianza sociale, di fascisti che vogliono il bene del popolo italiano.
    Se si pensa che in Stati Uniti in molti stati non c'e' tassa su alimentari e medicinali e comunque le tasse indirette sono la meta' delle nostre forse e' ora d'allargare il pertugio della botte dal quale guardiamo il mondo.

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  4. bell'articolo ma a che pro se poi a leggerlo sono gli itagliani?

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  5. Ho vissuto sette anni in Brasile dove ho fatto l'imprenditore e non il turista. Posso quindi condividere l'analisi sull'intelligenza che la classe politica locale ha avuto di applicare una politica economica alternativa al liberismo finanziario che imperversa negli Usa e nell'euro-zona. Ma attenzione a non fare eccessive celebrazioni. Il grado di efficienza della loro economia può sembrare buono se visto da lontano, in termini macroeconomici, ma se vai a guardare da vicino... Un operaio o tecnico italiano mediamente è molto, molto più bravo di un sudamericano in generale e di un brasiliano in particolare. La burocrazia in quel Paese è di una lentezza e inefficienza che noi italiani neanche possiamo immaginarci. La corruzione è ovunque e per quasi tutto devi pagare dazio. Se sei straniero sei trattato male e ostacolato al massimo (a meno che paghi, paghi e ancora paghi). E poi la violenza allucinante, le strade scadenti, i viaggi aerei carissimi, l'approssimazione con cui lavorano quasi tutti, dagli avvocati ai medici... Ovvio che in un Paese-continente con grandi potenzialità ci sono i picchi di eccellenza, ma la media è quella che ho descritto e che ho verificato sulla mia pelle in anni di trincea sul lavoro. Insomma, a livello macro, perpetuando una drammatica forbice tra ricchi e poveri che consente una numerosissima manodopera inefficiente ma a basso costo, in un mercato vergine e con un sacco di risorse naturali, il Brasile macina risultati eccellenti. Ma se poi guardi la realtà di tutti i giorni, le differenze ci sono eccome. E' ancora un altro mondo e per capirlo non basta leggere Veja o la Folha de San Paolo, gustarsi i noir di Rubem Fonseca o le analisi dei talk show di Rede Globo. Con tutto il rispetto per le intelligenti politiche neo-keynesiane (e anche protezioniste) che vorrei tanto si avesse il coraggio di riscoprire anche in Italia e in Europa

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    1. anche io vivo e lavoro in Brasile ormai da 9 anni e sottoscrivo in pieno quello che dici, Valdo, il paese ha fatto grandi progressi negli ultimi 15 anni, ha retto e sta reggendo discretamente bene la crisi e con tutte le risorse umane e naturali che ha a disposizione ci sono ragioni per essere ottimisti per il futuro, considerando appunto il fatto che rimangono ancora grandi margini di miglioramento in tutti gli aspetti socio economici; guai pero' a cantare vittoria troppo presto.....comunque tornando ai paragoni con l' Italia e l' Europa, penso che quello che ha fatto la
      differenza in Brasile sia stata la capacita' di esprimere una leadership notevole caratura e carisma, parliamoci chiaro, forse sara' stato un colpo di "culo" , ma gente come Lula o Dilma Rousseff in Italia ce li sogniamo.... questi hanno dimostrato di avere le palle (un Presidente donna !! ma ci rendiamo conto....), hanno sostenuto politiche sociali e governative interne e internazionali coraggiose e innovatrici andando contro tutti i poteri forti, scegliendo da subito la Cina come partner economico di riferimento a discapito degli USA e UE; se adesso il Brasile sente meno la crisi internazionale si deve molto alla grande capacita' di controllo del governo sul settore bancario e finanziario, alla reattivita' e celerita' con cui sono state prese e tuttora si prendono misure di stimolo all' economia sul piano fiscale e tributario,e al fatto che programmi di governo iniziati da Lula come Bolsa Familia e Luz para Todos hanno permesso ad alcune decine di milioni di persone di uscire dalla miseria e iniziare a consumare e quindi a recitare un ruolo attivo nell' economia, creando quella domanda interna che sta permettendo al paese di continuare a crescere ( anche se il PIL 2012 sara' probabilmente inferiore al 2%, che per un paese in via di sviluppo non e' che sia un granche') o comunque di non fermarsi di fronte al rallentamento della locomotiva cinese che assorbe gran parte delle materie prime brasiliane. Di fronte al rallentamento dell' economia dovuto appunto al protrarsi della crisi globale, l' attuale governo di Dilma, che non sta facendo rimpiangere il suo predecessore e mentore Lula, sta portando avanti una coraggiosa e rischiosa politica di taglio dei tassi di interesse, che in meno di un anno sono passati da circa il 12% all' 8% e sta anche facendo importanti passi avanti nella faraonica impresa della lotta alla corruzione, avendo sostituito 7/8 ministri (vado a memoria)indagati per corruzione solo nel primo anno do governo, senza neanche aspettare gli avvisi di garanzia, altro che tre gradi di giudizio....Comunque voglio dire concludendo, la strada da compiere per il Brasile ancora e' lunga, ma per dare un futuro ad un paese ci vogliono governanti con le palle, ci vuole il manico ...

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    2. sono d'accordo, ma lì esiste ancora la Politica, qui in Italia la situazione è peggiore

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