mercoledì 14 marzo 2012

Fornero-Marcegaglia-Camusso: tre facce della felicità italiana. Ma siamo sicuri?

di Sergio Di Cori Modigliani

“Che cos’è la felicità?”
E ancora meglio:
“Vi piacerebbe essere felici?”
Alla prima domanda, siamo già nei guai, perchè, volendo proprio andare a spaccare il capello, dobbiamo ammettere che esistono –per una questione di principio- “almeno” 7 miliardi di risposte probabili. Ovvero, l’equivalente del numero di abitanti sul pianeta Terra.
Ma esistono le etnie, i popoli, le nazioni, che sono nate e si sono sviluppate nei millenni proprio perché sono state in grado di identificare prima, e accorpare poi, in una sintesi vincente, alcuni elementi di interesse comune che appartengono all’immaginario collettivo di quello specifico popolo, etnia, gruppo.
Gli Stati Uniti d’Europa non esistono ancora, perché in Europa abbiamo ancora una differenza epocale (nonché sovrana) sul concetto di felicità. Essere felici, a Lisbona ha un valore completamente diverso da quello che ha a Sofia, a Berlino, a Roma o a Stoccolma.
E’ la grandiosa forza degli Usa, dove, anche in presenza di immense diversità climatiche, etnie diverse, lingue diverse, religioni diverse, i 50 stati della federazione condividono la stessa identica base ideale relativa alla felicità. E’ per quello che vinceranno.
Le nazioni mussulmane hanno fatto irruzione da protagoniste nello scacchiere planetario a metà degli anni’70 perché un gruppo di avidi criminali bulimici, efferati dittatori, (produttori di petrolio) hanno scoperto che la loro personale felicità clanica e familiare (essere multimiliardari grazie ai vizi dell’occidente) poteva essere garantita per sempre a condizione di poter offrire l’utopia della felicità anche a intere nazioni e popoli, disposte quindi a farsi assoggettare da loro. Avevano due scelte: una, consisteva nel condividere la ricchezza materiale con i singoli popoli che loro guidavano gettando il seme di una felicità collettiva; non è stata neppure presa in considerazione perchè ha prevalso un’idea dittatoriale e primitiva del potere, basato sulla felicità di uno sparuto gruppo di persone che schiavizzano gli altri; ha prevalso la seconda: diffondere un’idea collettiva della felicità inattaccabile basata su una serie di tradizioni, usi e costumi, che ruotano intorno al totem dell’odio contro l’occidente: la felicità consiste nel vedere in ginocchio il Satana Occidentale. E’ la fotocopia –in campo religioso- di quanto aveva fatto il comunismo nei paesi dell’est europeo laddove la felicità veniva presentata come la chimera nel veder crollare il capitalismo tra le macerie senza neppure interrogarsi sul percorso. Anche in questo caso, una cricca criminale, anti-libertaria, dittatoriale, usò la bandiera rossa e la falce e martello come un simbolo religioso di identità, né più né meno di quanto non sia stato fatto nei millenni dai cristiani con i vangeli, dagli ebrei con il talmud e dai mussulmani con il corano.
Le ideologie passano, e la Storia le spazza via.
Ma rimangono gli Esseri Umani. Con le loro pulsioni, desideri, voglie, ambizioni.
E vogliono tutti essere felici. Giustamente.
“Qual è la felicità, per noi italiani?”.
La pochezza dell’attuale governo, al di là delle consuete polemiche, consiste soprattutto nella propria incapacità di essere stato in grado di affrontare il problema della felicità. Terreno dove la sinistra italiana ha perso definitivamente la propria battaglia sotto la impietosa accusa storica di “tradimento e lesa maestà” (metà anni ’90) quando e dove, invece, Silvio Berlusconi fu capace di interpretare la “felicità degli italiani” andando a cogliere delle zone che erano autentiche, erano vere, erano reali. Uno psicoanalista junghiano le avrebbe definite “le zone d’ombra dell’inconscio collettivo”, ma pur sempre reali. Zone d’ombra perché facevano appello a pulsioni primitive e sotterranee, pre-culturali (e quindi, inevitabilmente infantili e non adulte) di cui il sultano d’Arcore diventò l’emblema archetipico: avido, bugiardo, falsario, falsificatore, creativo, simpatico, affabile, grande comunicatore, pieno di soldi, pieno di donne adoranti, fondamentalmente irresponsabile e infantile, con una vita –la sua- basata su un inequivocabile principio costitutivo: il prezzo dei propri giocattoli lo paga qualcun altro (che sia lo Stato o i cittadini o i poteri forti o la criminalità organizzata è indifferente quanto irrilevante, basta che paghi e seguiti a pagare affinchè io possa giocare) un’idea, questa, della felicità tutta italiana (nella sezione zone d’ombra) tant’è vero che siamo il paese al mondo con il più alto numero di finti ciechi, falsi paralitici, farlocconi sfruttatori della libertà sindacale, assenteisti, profittatori, dilettanti della politica intesa non come fine etico bensì mezzo e strumento per avere una cassaforte perenne da cui attingere risorse materiali per pagare i propri vizi. Tant’è vero che, quando esce fuori uno scandalo diciamo così “politico” la figura del politico in questione è sempre la stessa, che sia di destra o di sinistra è uguale: ruba per acquistare ville e pagarsi (o farsi pagare) week end da nababbi nei resort alla moda. Non viene mai fuori qualcuno che ha rubato per inventare una impresa o fondare un’azienda: rubano per andare in venti in un albergo da 5000 euro a notte: questa è la felicità della classe politica italiana.
Qualcuno, a questo punto, potrebbe dire: “è la felicità di tutti”.
Non è vero. Questa è “la zona d’ombra della felicità”. E’ la felicità dei viziosi viziati.
C’è anche la “zona di luce”. La felicità dei virtuosi capaci.
Altri popoli, altre etnie, hanno un’idea diversa della felicità e quando finiscono nella loro specifica deriva criminale rivelano attitudini, atteggiamenti, e scelte completamente diverse.
Se paragoniamo il primo articolo della costituzione delle diverse nazioni, ci accorgiamo delle differenze.
In Usa, nel primo articolo è addirittura prevista, oltre all’auto-determinazione perché liberi dalle imposizioni di un re –per statuto- “l’inalienabile diritto dell’individuo nato libero al conseguimento della propria felicità in terra”. Ma per gli americani la felicità è, prima di ogni altra cosa l’indipendenza. Politica, sociale, ma prima di ogni altra cosa individuale.
“Independence day” (ci hanno fatto anche un film campione d’incassi), ovverossia il 4 luglio, è tutt’ora la festa nazionale più sentita. Per ogni individuo americano, l’indipendenza è il fondamento basico della felicità. Se, in una famiglia americana della media borghesia, il giovane (figlio o figlia che sia; in questo caso, il genere è alla pari) quando prende il diploma di maturità, raggiunge i 18 anni e diventa maggiorenne, e non manifesta immediatamente la voglia, il desiderio, l’ambizione, il progetto di scappare via di casa per affrontare il mondo (a scelta: aprire un’impresa, andare all’università, viaggiare, trovarsi un lavoretto per diventare auto-sufficiente, raggiungere un gruppo di coetanei, ecc.) i genitori si preoccupano e lo mandano dallo psicoanalista: vuol dire che qualcosa è andato storto e il loro figlio non vuole essere felice. E’ malato. “Occupy wall street” è nato e sta avendo successo perché gli americani hanno scoperto l’acqua calda, con autentico orrore e raccapriccio: si sono accorti che non sono indipendenti perché le grandi banche e le società finanziarie li hanno schiavizzati. Sono anche disposti e disponibili a scendere in piazza con il fucile per conquistarsi la loro indipendenza nazionale. Lo hanno fatto contro il re d’Inghilterra, lo faranno contro il re di Goldman Sachs. Non molleranno. Obama lo sa.
In Francia (primo articolo della costituzione) la felicità, invece, ruota intorno al concetto di “libertà e fratellanza” che non necessariamente implica l’indipendenza (come negli Usa dove è una vera ossessione). Questo è il motivo per cui le pulsioni razziste e xenofobe, in Francia, per quanto possano essere alimentate da una destra becera e manipolatoria, alla fine risulteranno sempre perdenti in quanto “anti-francesi”. La Francia è l’unico impero al mondo in cui gli intellettuali, gli artisti, gli imprenditori, e una grossa fetta della classe politica, ha combattuto al proprio interno per rinunciare alle proprie colonie. Tutti gli altri imperi sul pianeta sono stati costretti a rinunciare alle loro colonie perché erano insorte o in conseguenza di una pressione esterna. E’ un errore marchiano, infantile (e perdente) del duo Sarkozy-Merkel: imporre alla Francia il “pareggio di bilancio” che inquina il loro “inalienabile diritto alla libertà”. Sarkozy ha imposto ai francesi una misura che ha violato il centro della grandeur gallica. Sarà dal cuore della Francia che avrà inizio la rivolta vincente contro la Bce in Europa, già cominciano a manifestarsi –non a caso- inequivocabili segnali del nuovo trend di risveglio nazionale d’oltralpe.
In Italia, invece, il primo articolo della nostra costituzione ruota intorno al tema del lavoro.
Era la felicità di un paese medioevale, analfabeta, dove il lavoro era una chimera, perché il paese è geograficamente piccolo, e il potere economico era tutto nelle mani del vaticano e di una ristretta oligarchia di signori aristocratici con qualche rara presenza di borghesia laica imprenditoriale. Nel 1946, il primo articolo della costituzione “L’Italia è una repubblica fondata sul lavoro” era stato un grido liberatorio contro l’aristocrazia monarchica, e nessun paese al mondo ha avuto l’ossessione morbosa per il raggiungimento di un diploma di laurea come lo hanno avuto gli italiani negli anni’50, ’60, ’70: consentiva di poter acquisire un buon lavoro. La costituzione lo garantiva agli italiani, dal 1946 in poi si poteva –e si doveva- avere un lavoro.
Non c’è da stupirsi, quindi, che “il lavoro” per gli italiani sia l’equivalente della felicità. Né tantomeno c’è da meravigliarsi del fatto che il paese è bloccato sulla discussione dell’art.18, su interminabili tavole rotonde tra governo e sindacati, ecc. In Italia, infatti, il tema sentito non è quello della redistribuzione della ricchezza, né quello dell’indipendenza, né tantomeno quello della libertà, bensì quello della redistribuzione collettiva del lavoro.
Personalmente (è una idea tutta mia) ritengo che la rivoluzione democratica post medioevale italiana si realizzerà quando verrà allargato il primo articolo. Perché viviamo in una realtà complessa e “lavoro” va qualificato, argomentato, elaborato. Soltanto in una società medioevale e retriva il “lavoro” (qualunque esso sia) è ancora considerato una chimera. Ma questo, ahimè, è ancora di là da venire.
Occupiamoci dell’oggi. Dobbiamo ancora uscire dal medioevo. Americani, francesi, inglesi e tedeschi, sono più avanti di noi. Che ci piaccia o meno, questa è la realtà.
Noi siamo l’Arabia Saudita dell’Europa.
Proprio perché la felicità è il lavoro (e siamo in un paese medioevale) una battaglia evolutiva deve ruotare intorno a questo concetto.
La delusione provocata nei cuori e nelle menti dei milioni di autentici democratici italiani in buona fede che avevano creduto che la sinistra, una volta al governo, avrebbe interpretato “lo spirito della felicità della nazione” aprendo il mercato del lavoro, è oggi l’aspetto più triste del dibattito quotidiano. Ed è il motivo per cui i delegati della sinistra risultano inattendibili, inefficaci, inefficienti: non si occupano della nostra felicità.
Basterebbe un unico e solo esempio: grazie a battaglie politiche di massa, il PCI conquistò a metà degli anni’70 il “diritto” rappresentativo dato dal parlamento di avere una propria presenza dentro la Rai, con il terzo canale. Allora (lo so che oggi sembra ridicolo, ma è così) sembrò un sogno che si avverava: la felicità era alla portata del popolo. Ogni creativo, ogni cittadino che voleva rimboccarsi le maniche, ogni italiano post-medioevale in grado di voler scrivere, leggere, far l’attore, il regista, il giornalista, il cameramen, lo show man (avendone il merito e la competenza), ecc., avrebbe avuto accesso al mercato del lavoro senza dover ricorrere a un cardinale, a un notabile democristiano, o a un mafioso amico del cugino della zia Maria. E invece no. I comunisti applicarono in fotocopia la modalità democristiana: il lavoro non veniva dato né per merito né sulla base della competenza tecnica, bensì veniva elargito ai “bravi compagni” al “compagno presentato dalla federazione”, ecc., ecc. Poco a poco la sinistra italiana chiarì, con il proprio comportamento, che intendeva tenere l’Italia all’interno di un quadro lavorativo di tipo medioevale. Con i sindacalisti a far da vassalli davanti al portone del Castello.
Considero quindi ridicole (oltre che totalmente inutili) tutte le attuali discussioni tra la Fornero e la Camusso. Irrilevanti. Sono chiacchiere tra persone che appartengono a categorie medioevali: non si occupano della nostra felicità.
La felicità, per noi italiani (e spero siate tutti d’accordo) consiste nella “libertà di sapere che il proprio merito e l’acquisizione di una specifica competenza tecnica è necessaria e sufficiente per poter avere accesso al mercato”. Come si dice con linguaggio popolare: “impara l’arte e mettila da parte”, perché quell’arte appresa ti darà lavoro. Fa mercato.
Non una parola dalle centrali sindacali sulla corruzione collusiva tra aziende e partiti.
Non una parola da parte dei sindacati e del governo sulla strozzatura che le direzioni centrali dei partiti esercitano sul mondo del lavoro selezionando la richiesta e l’offerta della mano d’opera sulla base di una lottizzazione preventiva.
Non una parola da parte dei sindacati sulla necessità di consentire l’accesso al mondo della professionalità mediatica e dei servizi eliminando la gogna di dover per forza passare attraverso la mediazione delle segreterie politiche nazionali, regionali, provinciali, comunali, condominiali.
Così com’è disgustosamente deprecabile che Marchionne discrimini le assunzioni sostenendo che se vuoi lavorare non devi essere iscritto alla Fiom –se è così è giusto denunciarlo in quanto anti-libertario e lesivo della dignità personale- è altrettanto giusto denunciare il fatto che i sindacati, tuttora (e più che mai) si fanno garanti della mediazione politica necessaria per far assumere personale dirigente e amministrativo nelle aziende. Quando negli anni’80 il nonno antesignano di Marchionne (Cesare Romiti) osò l’innominabile, venne quasi linciato. Aveva bisogno di 150 ingegneri elettronici, 20 matematici e un centinaio di esperti informatici in ingegneria robotica. Ebbe l’ardire di rivolgersi al mercato aperto. Se li andò a prendere nelle università chiedendo i nomi al politecnico di Torino, alla scuola normale superiore di Pisa, nell’università di Trieste. Non ci riuscì. Fu costretto (ed era davvero potente) a cedere. Fu costretto a prendere il foglietto consegnato con i nomi giusti dalla CGIL, dalla CISL, dalla UIL e dalla federazione del PCI di Torino: prendere o lasciare. O assumeva le persone che gli proponevano oppure sciopero a oltranza. Li imbarcò tutti. Alcuni erano anche bravi e meritevoli.
Alcuni.
Pochi. Meno di quanto ne avesse bisogno per razionalizzare, modernizzare e sviluppare l’azienda per renderla altamente competitiva. (ancora oggi tutto ciò è quasi vietato dirlo). E così lanciò il doppio lavoro: in Italia assunzioni obbligate, ma il lavoro vero dato in appalto ad altri sottobanco. I costi cominciarono a lievitare.
In Italia non esiste nessuna possibilità di accesso alle professioni dell’informazione, al mondo editoriale, a tutta la gamma della professionalità mediatica, a meno che non si passi attraverso la mediazione dei partiti. Questa è la realtà.
Neppure una parola da parte dei sindacati.
Lo capisco: devono tener buoni gli assunti incapaci nei giornali, nei settimanali, e soprattutto nelle televisioni, perché parleranno di loro e gli tireranno la volata.
Alessandro Sallusti, direttore de “Il Giornale”, qualche sera fa, nel corso della trasmissione “L’infedele” ha detto una tragica verità: “Non capisco perché stupirsi sulla Rai: la politica paga e quindi vale la legge del mercato. Sono i partiti che pagano e quindi sono loro che assumono e decidono. Il mercato funziona così: chi paga decide. Che cosa c’è di strano?”.
Una frase medioevale, ma onesta e limpida e schietta, una volta tanto.
Poteva essere una buona occasione per prendere il torno per le corna e affrontare il problema della felicità degli italiani. Macchè. Scorno e raccapriccio. Gli è stata tolta la parola ed è finita lì: hanno cambiato argomento.
Lo Stato medioevale elargisce centinaia di milioni di euro all’anno attraverso i rimborsi elettorali ai partiti, i quali, li usano (oltre alle diverse ruberie di cui la cronaca ogni tanto ci ricorda le derive criminali) per finanziare una plètora di burocrati semi-analfabeti che garantiscono l’accesso al mercato di una certa quantità di persone: altrimenti le aziende finiscono sulla lista nera e chiudono. In compenso, l’azienda può far ciò che vuole e può farsi prestare i soldi dalla mafia, dalla ‘ndrangheta, da chi vuole.
Tutta questa pappa sul lavoro mi lascia indifferente e la considero fuorviante.
Non tocca la mia felicità né quella dei miei figli.
E siccome sono italiano, la mia felicità è: la libertà di avere acceso al mercato del lavoro.
La mia definizione di felicità è sapere che una volta acquisita una certa competenza tecnica posso rivolgermi al mercato e verrò giudicato sulla base di ciò che so fare, e non più sulla base di chi mi segnala, mi presenta, mi protegge, mi garantisce.
La felicità, per me, consiste nel sapere che quando mi presenterò domani dall’azienda Pinca Pallina con il mio bel curriculum vitae mi sentirò dire: “Bene, domani ha l’appuntamento con Mr. Tizio che valuterà il suo stato”. Questa qui, semplice semplice, è la felicità italiana.
La realtà (medioevale) ben rappresentata da queste tre donne Fornero-Marcegaglia-Camusso, ciascuna delle quali interpreta una diversa Signoria oligarchica, clientelare, avvizzita e offensiva per la dignità umana, è un’altra. Ed è la seguente: “Carissimo, benvenuto” così mi dice l’azienda alla quale mi rivolgo “ho letto il suo curriculum e ho visto ciò che lei sa fare…il punto è che io devo assumere questi otto squancheri, perché grazie a loro attivo delle conoscenze legate a Mr. Caio che ha un filo diretto con Mr. Sempronio che mi fa attivare una linea di credito alla Banca di Vattelapesca al tasso agevolato dell’1,5% invece che al 7%...però, siccome tre di questi neo-assunti sono dei veri deficienti analfabeti, e io ho bisogno di risultati, ti propongo di fare tu il loro lavoro (e lo faccio perché ti stimo e mi stai anche simpatico, pensa tu…ti voglio già bene) naturalmente rimane tra me e te; senza contratto, e…tu lo capisci, dati i costi maggiorati visto che a loro devo dare lo stipendio di 100 più le tasse, tu fai il lavoro e io ti do 30, pensa che bello te li do cash e non devi neanche pagare le tasse…eh…beato te che non paghi le tasse. E siamo tutti contenti”. Così funziona nella realtà, e intanto cresce il lavoro nero soprattutto di persone che non potranno mai neppure avere la pensione perché non risulta che abbiano mai pagato i contributi (infatti non li pagano) e così: ansia e umiliazione per chi lavora, Stato che incassa di meno, costi che lievitano, produttività diminuita, ma soprattutto….ed è ciò che conta oggi in questo post….l’allontanamento dall’idea di felicità italiana.
A me, invece, interessa la felicità italiana.
Fornero-Marcegaglia-Camusso rappresentano tre gradi diversi del medioevo italiano pre-capitalista. Pur diverse nella loro fisicità, nel loro linguaggio e nel loro seguito, sono tre facce dell’identica medaglia: a difesa e salvaguardia di rendite di posizione che garantiscono privilegi da custodire perché lì è deposta la cassaforte d’accesso al cuore dei partiti. Tre signore medioevali che prese singolarmente magari sono anche simpatiche.  Insieme costituiscono la "Signoria del mercato del lavoro"       
Libertà, indipendenza, sono parolone grosse: lasciamole agli americani e ai francesi che producono ricchezza. Loro, la loro rivoluzione l’hanno fatta, a suo tempo. Noi no. Mai.
La nostra felicità è il lavoro. E quello va liberato. E va independizzato dalla gogna dei partiti.
Se non si comprende questo e non si fa una battaglia su questo, non cambierà nulla.
Il resto sono chiacchiere da salotto che non toccano la nostra felicità.
Dopotutto siamo italiani.


8 commenti:

  1. Purtroppo non c'e' il terzo incomodo. Un movimento che esprima bisogni reali, cominciando da una riforma dell'assistenza sociale moderna e egualitaria. Queste signore finiranno per parlare del nulla.
    Guardavo un filmato di una lotta di precari. Era tutta gente ormai avviata alla quarantina. Penso che la gente sia convinta nell'intimo che questa situazione sia solo provvisoria, non si rende conto che e' definitiva. Continua imperterrita a bussare alla porta del Pubblico Impiego.
    Lei si e' dimenticato la famiglia. Nella Costituzione e nella vita e nel Welfare di questa popolazione.
    Aspettiamo che le famiglie finiscano i soldi.

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  2. "E’ la grandiosa forza degli Usa, dove, anche in presenza di immense diversità climatiche, etnie diverse, lingue diverse, religioni diverse, i 50 stati della federazione condividono la stessa identica base ideale relativa alla felicità. E’ per quello che vinceranno."

    Di Cori Modigliani, ancora una volta con quest'affermazione assurda!!??

    E cosa vinceranno??

    Una tua lettrice USA

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  3. Oggi è necessario creare le condizioni perché ci sia lavoro. Dopo di che si potrà discutere dei massimi sistemi. Ma per creare lavoro bisogna modificare il sistema attuale intervenendo sull'economia,la corruzione,la ridistribuzione della ricchezza, la libertà individuale, la ricerca e la scolarizzazione,ecc.

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  4. Gran bel pezzo.
    A parte la parte sognante su quant'è bello farlo come negli USA, l'analisi socioantropologica dell'umanità italica è, ahimè, al solito azzeccata.
    Se proprio vogliamo sognare, si pensi a quanto sarebbe importante per un popolo perennemente in ritardo con la Storia (e la cultura) come il nostro, rendere davvero la possibilità di formarsi culturalmente accessibile a tutti. Per tutti intendo dire a tutte le età.
    Uscendo dal concetto, del tutto economicista e sbagliato, che formazione culturale sia l'equivalente di formazione al lavoro, da scegliersi quando l'età impone scelte fatte da altri. Nella migliore delle ipotesi condizionate dalle ambizioni dei propri genitori, nella peggiore dalla busta-paga degli stessi.
    Credo che la trappola, che non ci permette di uscire dall'imbroglio classista/corporativista della società italiana, funzioni proprio così.
    Possibile che nell'era di internet e della multimedialità alla portata di tutti, si usi la stessa prevalentemente (lo dicono alcuni studi poco divulgati) per promuovere l'autoerotismo? La pippa al posto dell'oppio per i popoli. Se poi qualcuno soffre di catechistici sensi di colpa, tanto meglio...
    Quanto alle tre marie dell'articolo, con sfumature diverse credo ovviamente che siano tutte assai più consapevoli di quanto si voglia far credere. Soprattutto di quanto vogliono lo diventino gli italiani.
    Avanti così, la verità ci renderà liberi.

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  5. Un po OT ma volevo postarvi questo link
    Parla di come funziona realmente la Goldman Sachs
    Probabilmente è stato aperto il vaso di pandora
    http://www.nytimes.com/2012/03/14/opinion/why-i-am-leaving-goldman-sachs.html?_r=1&pagewanted=all

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  6. Oggi mi sono svegliato allegro. Ho capito di essere un imbecille.
    Cioè io non capisco perché uno stato debba sedersi con delle parti per creare un altra moltiplicazione di leggi inutili.
    Uno stato deve garantire sicurezza ai propri cittadini. In questo caso basta un ufficio dove il cittadino bussa, dice sono nella m... riceve un modesto assegno e se ne va a casa. Fine. Se poi i X vogliono di più se la sbrighino con i loro datori di lavoro.
    Io non capisco perché per fare un passaporto devo andare dal tabacchino, alla posta, dal fotografo e aspettare un mese.
    Io non capisco perché' devo avere 4 Polizie + varianti e altrettanti numeri di telefono.
    Io non capisco perché' per una lite col mio vicino io debba aspettare
    dai 6 ai 12 anni per risolverla. In questo caso, mi si permetta di raccontarlo. Il problema e' il cane del mio vicino, adorabile creatura.
    Lui imperterrito quando esce la trattiene fino al mio zerbino di ingresso di casa. Lo so che lo fa per amore. Ma e' scocciante. Dopo un inutile colloquio col suo padrone mi sono rivolto ad un avvocato che mi ha subito posto una domanda: "Chi vuole denunciare, il cane o il padrone? Perché' da questa scelta dipende l'impostazione di tutto il processo. Ci pensi bene."
    Come ho già' detto sono un imbecille e ho lasciato perdere. Ho tolto lo zerbino, mio, privato, ed adesso se la "scalza" la portinaia col suddetto signore e il suo cane. Io sposto solo il piede quando esco.
    Della'America conosco solo le lunghe praterie e i deserti dove non si vede mai nessuno. Penso come il signor Modigliani sia un ottimo posto.
    Essendo un completo imbecille e oltre tutto ignorante di Locke di Keynes, di Goldman & Sachs, di Calvino e Pasolini, si, Kafka lo conosco, an passant, vi lascio al vostro futuro. Il mio lo so sarà' eternamente questo.
    Del resto un imbecille che vuole?
    Si può' dire adattarsi?
    Un caro saluto a tutti.

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  7. ..anch'io mi sono svegliato ed ero felice; poi ho perso trenta minuti per leggere una cosa senza senso e ho scoperto di essere un imbecille! speriamo che, a lungo andare, gli "amici" di G.O.D. non perdano credibilità..

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    1. non so esattamente a che cosa lei faccia riferimento; ma sento di dover aggiungere, per istinto, che qui facciamo a gara a chi si sente più imbecille. Da imbecille a imbecille (quindi alla pari)non posso che sottoscrivere,aggiungendo un forte invito ai miei "colleghi virtuali di cordata" (cioè i fratelli imbecilli come me) di essere più espliciti chiarendo perchè come e quando si sentono imbecilli. Per evitare imbarazzanti equivoci. C'è un meraviglioso personaggio minore in quel capolavoro che è "I demoni" di Dostevskij che sostiene....."lo so, sono un imbecille, me ne rendo conto, so di esserlo, non vi è alcun dubbio, amico mio. Ma mi permetto di ricordare che forse il principe non ha capito che le quattro volte in cui ci siamo incontrati era sempre -per un caso del destino- mercoledì e giovedì. E io, il mercoledì e il giovedì sono sempre imbecille. Ma non gli altri giorni quando divento, invece, intelligentissimo. Mi piacerebbe poterlo incontrare di martedì"......insuperabile il nostro immortale Fedor!

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