domenica 5 agosto 2012

"O la Borsa o la Vita". Minuzie estive sul come eravamo. E sul dove potremmo andare.



di Sergio Di Cori Modigliani


E’ sempre la Cultura che fa il mercato. Sempre. Da sempre.

(prima puntata di una serie di post monotematici su questo argomento).

Il titolo di questo post “o la borsa o la vita”  si riferisce a un’espressione verbale ormai desueta, oggi priva per lo più di significato, di cui è rimasta soltanto, forse, un’eco puramente proverbiale. Eppure, negli anni’30, era diventato il simbolo dello scontro culturale tra “umanisti” e “tecnocrati”, ma soprattutto era diventato il simbolo di quello che –allora- era considerato il nemico numero uno sociale, per tutti: la finanza speculativa. Allora, si chiamava plutocrazia.

Era stato il cavallo di battaglia della retorica fascista, ai suoi esordi, quando puntava ad un allargamento del proprio consenso. La lotta contro la finanza speculativa, contro l’avidità delle banche e dei banchieri, era il perno dell’ideologia fascista negli anni’20. Ed era anche il perno dell’ideologia comunista in Urss. Poi, negli anni’30, subito dopo la presa del potere di Adolf Hitler in Germania, scatta una accelerazione portentosa verso una deriva tecnocratica di sapore scientista, identica a quella operante in Urss, che contamina presto anche l’Italia, sorretta dal movimento futurista che ne fu il padre nobile. Idem in Urss.

Negli ultimi dieci anni, in Italia, soprattutto in virtù del fatto che la Destra stava al governo, c’è stata una riproposizione, piatta e acritica, del fenomeno culturale “futurista”, un’agghiacciante trappola allestita dalla parte colta della finanza oligarchica di estrema destra, che ha approfittato del vuoto culturale totale, ben organizzato dall’imbarbarimento del berlusconismo (a destra) e lanciato a livello popolare dal piattume analfabeta (a sinistra) di quella immonda classe intellettuale di traditori corrotti che ha scelto (per banalissimi motivi di interesse privato, personale e casta privilegiata) di non opporre alcuna resistenza culturale, di non esibire alcuna forma di opposizione colta, ben argomentata, logico-razionale, divulgativa, chiarificatrice. E così, il futurismo è stato presentato come simbolo di una cultura di destra aperta al nuovo, alla modernità, alla democrazia. Tant’è vero che è stato addirittura assurto a simbolo di una “destra decorosa” che intendeva sdoganare il pensiero liberale italiano –in teoria- senza rendersi conto (in quanto analfabeti di storia italiana) che stavano, invece, preparando il terreno culturale per concimare la velenosa pianta del neo-liberismo tecnocratico, di cui Mario Monti è l’eccelso rappresentante. O forse lo sapevano benissimo e io sono ingenuo nell’aver attribuito a loro della buona fede. L’attuale premier è il Futurista Perfetto in carne e ossa. Ancora oggi, l’esigua pattuglia di pseudo-intellettuali in forza a FLI (non a caso la loro fondazione e rivista si chiama “Il Futurista”) non comprende come mai il consenso per loro si assottigli sempre di più e non abbiano nessun seguito reale, completamente tagliati fuori dal dibattito culturale autentico del mondo globale; rappresentano, infatti, un’idea regressiva e pigra della società che fa riferimento a un Falso degli anni’30: la gente non è stupida, anche se è ignorante. Parlano di qualcosa che non esiste.

Idem nell’estrema sinistra, assolutamente identico, dove non si è mai aperto un serio dibattito che spiegasse come il comunismo reale sia stato un esperimento tecnocratico vincente gestito, allestito e organizzato dalla grande finanza oligarchica russa che portò Josif Stalin (un tecnocrate che ben rappresentava il Goldman Sachs orientale europeo dell’epoca) nel 1934 ad iniziare l’eliminazione fisica di ogni forma di opposizione di sinistra, ma soprattutto l’annientamento di una classe intellettuale progressista, che costò ai russi circa 250.000 morti, intellettuali, artisti, scienziati, e liberi pensatori, falcidiati in quelle che sono passate alla Storia sotto il termine di “purghe staliniane”, un termine che sembra la marca di un cioccolatino lassativo: ma nessuno si è mai chiesto “chi purgava chi? Perché?”.

Eppure, in Italia, intorno al 1932, ci fu una forte reazione culturale anti-tecnocratica, colta, fortemente anti-futurista, tutta interna alla Destra Storica, che con molta abilità cercava di diffondere un’idea liberale anti-tecnocratica, contraria alla finanza oligarchica, senza mai attaccare né il fascismo né Mussolini per non incorrere nella censura di Stato, condannando se stessi al suicidio. Sia in letteratura che nel cinema ci furono diversi momenti ed episodi a testimonianza di questo scontro, che la sinistra italiana ha volutamente (e criminalmente) censurato, per servire la causa dittatoriale gramsciana dell’egemonia culturale dei comunisti. Così gli italiani sono cresciuti pensando a un mondo lineare, in bianco e nero, dove i fascisti (cattivi) erano combattuti soltanto dai comunisti (buoni) e non esisteva nient’altro. Il che non corrisponde alla verità storica documentata sia dai fatti che da un robusto materiale d’archivio: Stalin ha dimostrato di essere un concorrente di Hitler e non un suo antagonista democratico, tant’è vero che ha distrutto totalmente la Grande Madre Russa impedendo la nascita di un autentico movimento democratico russo. La Russia è passata dallo zarismo allo stalinismo al potere assoluto dell’oligarchia finanziaria putiana ed è l’unica etnia del mondo occidentale che non ha mai sperimentato nella propria Storia l’esperienza della democrazia, diretta o rappresentativa.

Nel 1932 esce in Italia un film che, allora, destò un enorme fervore di dibattito culturale.

Si chiamava, per l’appunto “O la borsa o la vita”.

Il suo protagonista era un eccellente giovane attore (Sergio Tofano); sceneggiatore e regista un ottimo cineasta dell’epoca, giustamente molto stimato, Anton Giulio Bragaglia. Il film era dichiaratamente anti-futurista e raccontava la storia di un imprenditore italiano disperato per il crollo in borsa che aveva distrutto la sua azienda e per la presa del potere della finanza oligarchica. Nel film veniva usato un linguaggio, direi identico, a quello usato oggi dal 99% dei blogs, siti, quotidiani on line, “apparentemente” tutti contro la finanza, anche se nessuno usa argomentazioni elaborate e colte perché fanno parte del vuoto e non sanno che esiste la cultura. Soprattutto non sanno che la Cultura fa mercato e crea ricchezza collettiva. Quelli dietro Bragaglia lo sapevano benissimo: avevano sostiuito il sogno e la poesia alla retorica e alla demagogia. Come disse allora lo steso Bragaglia “è il trionfo della pazzia, la logica paradossale per comprendere oggi la modernità che esalta chi affama e colpevolizza chi produce”. Il film di Bragaglia era surrealista e si era avvalso della splendida scenografia di uno dei più grandi pittori del secolo XX, il sublime artista Alberto Savinio (fratello di Giorgio De Chirico, uomo corrotto e cinico, sempre molto deferente con chi gestiva il potere politico) forse uno degli ultimi grandi maestri della pittura italiana che negli anni’20 cambiò cognome per distinguersi dal fratello, andò a vivere a Parigi, optò per l’esilio e la rinuncia alla gloria e alla fama (che avrebbe meritato dato che era 100 mila volte meglio del fratello) e non volle mai usare argomentazioni ideologiche. Lui scriveva soltanto, in maniera futurista e dipingeva come un angelo. “Il futurismo è il glorioso carro armato che spiana la strada verso gli orizzonti dell’analfabetismo del futuro”. Nel 1930 dichiarava (e scriveva) su una rivista colta francese “Sto qui perché in Italia mi annoio. Non succede nulla di interessante per la nazione, né tantomeno per me. Il potere è gestito da un gruppo di arroganti analfabeti, cui si oppone un gruppo di analfabeti che diventeranno arroganti domani; sempre di analfabeti si tratta”.  Il film di Bragaglia coglieva nel segno ma venne immediatamente contestato dai responsabili della comunicazione del partito fascista, i quali, già nel 1932 avevano chiuso un accordo totale con la banca del Vaticano e con il grande capitalismo finanziario oligarchico delle banche. Ma Bragaglia era fascista “ufficialmente”, godeva di credito, aveva un forte seguito, aveva presa, era (come si direbbe oggi) “uno che faceva tanta audience”. E così decisero di affidarsi a Filippo Sacchi (una specie di Floris/Vespa/Fazio/Lerner/Santoro di oggi, scegliete chi vi pare) il quale scrisse una recensione sul corriere della sera nel  gennaio del 1933 massacrandolo “tecnicamente”, che ottenne l’effetto opposto. Gli italiani (allora erano più intelligenti di oggi) sapevano chi era Filippo Sacchi, ovvero un servo del regime, e quindi accorsero in massa  al cinema. Si aprì in Italia, in quel periodo, il primo autentico, profondo, reale dibattito sullo scontro in atto tra “finanza tecnocratica” e “umanesimo sociale” tra “strapotere delle banche” e “impotenza esistenziale” tra “plutocrazia e solidarietà umana”. Fu l’unico anno in cui il fascismo cominciò a traballare per davvero. Quando capì che non ce l’avrebbe fatta, calò la scure della censura, della violenza, dell’attacco frontale alla classe intellettuale pensante. Alla fine di quell’anno, tutto il dibattito relativo alla finanza, all’economia, alle banche, scompare dal linguaggio e dalla scena, sostituito dal gossip. Il grande scontro non è mai stato né riproposto né riaperto.  Lo stesso Bragaglia passa seri guai. Infine, sceglie un compromesso di sopravvivenza: farà soltanto film stupidi e innocui. Ecco la recensione del film (gennaio 1933) interessante documento se si pensa che il critico stava parlando di un regista famosissimo, amatissimo, seguitissimo. “Il film era molto difficile. Temi di questa sorta portati a filo di paradosso, esigono una giustezza di tono in cui anche i più forti cadono. Nonostante qualche oscurità, nonostante parecchie lentezze (il sogno è pieno di cose assai belle, ma interrompe troppo l'azione). Il film si regge sino all'episodio dei pazzi. Ma a questo punto il film sbanda decisamente. Quell'episodio non convince né come caricatura né come peripezia è puerile e così finisce per scontentare tutti sia quelli che cercavano nel film la verosimiglianza, sia quelli che cercavano la fantasia. Peccato, perché c'era in questo film una generosa ricerca di stile, un desiderio dalle vie battute. un tentativo degno di rispetto».

Tutto ciò per ricordare come eravamo, da dove veniamo, perché non si fa un passo avanti.

“O la borsa o la vita”.

Lo annunciavano i cineasti e gli sceneggiatori italiani nel 1932, oggi non lo possono fare perché il cinema in Italia non esiste più. Non esistono neppure editori o scrittori, sceneggiatori, produttori, soprattutto idee; esistono una serie di funzionari di partito che hanno accesso al mercato purchè servano il partito che fa avere quello specifico finanziamento attraverso una fondazione bancaria pagata con i soldi ricevuti dalla BCE, cioè con i nostri soldi. Nel 1932 si veniva presentati perché “lo vuole il federale” oggi è diventata consuetudine usare l’espressione “Pinco Pallino che è in quota PD” considerandolo “normale”. Non lo è. E’ la firma di un regime dittatoriale e illiberale come questo. Oggi non si fa un film con il titolo “O la borsa o la vita”: non saprebbero come farlo con la truppa scarsa che hanno sotto contratto. Manca il materiale base professionale. Semplicemente non lo vogliono avere. Lo potete scrivere su facebook se vi va, l’hanno inventato per questo: per far sfogare la gente, così non pretende e non cerca più di trovare quegli “sfoghi specifici” in un film, in un libro, in un convegno, in un seminario, da una cattedra universitaria.  Una striscetta, un mosaico copia/incolla, retorica basata sul ciò che tira, e se va bene con i mipiace e con i contatti, magari si mette su pure una lista civica per far eleggere mia cugina che poi mi farà avere i soldi che mi servono per andare alle Maldive.

Tutto ciò per comunicare il mio augurio paradossale per la prossima settimana, dato che insisto nel manifestare il mio innamoramento per l’Italia: spero che la borsa sprofondi, sarebbe un toccasana per l’economia.

Il mio consueto quotidiano surrealista, sabato 4 agosto avrebbe pubblicato così:

“Violento attacco della speculazione assassina in Europa. Milano e Madrid al centro dell’attacco. Entrambe chiudono con il peggiore risultato: Madrid +5,93 e Milano maglia nera con un tragico +6,34%”.  

Più sotto, nell’annunciare i diversi editoriali dei miei opinionisti, analisti, ed esperti di finanza ed economia, avrei fatto mettere alcuni sottotitoli di richiamo:

“Draghi annuncia che finanzierà le banche senza limiti: è un ordine e un lasciapassare per dare alla banche il via libera per investire sui derivati”.

“Draghi spiega come le banche saranno sempre coperte: è l’annullamento del concetto capitalista di profitto, di merito, di rapporto costo/beneficio e prezzo/qualità: si sottraggono soldi all’economia reale per darle a banche decotte piene di debiti gestite da incompetenti”.

“Mentre i bilanci presentati dalle aziende italiane annunciano il crollo del sistema industriale, la borsa va su del 6%: è l’inizio della fine dell’economia di mercato. Si dà carta straccia a chi produce carta straccia a condizione che non diano soldi alle imprese che producono merci reali”.

“Mentre i dati dell’economia reale annunciano licenziamenti alle porte, contrazione dei consumi, aumento del disavanzo pubblico e allungamento della crisi, la borsa valori di Milano applaude a tutto ciò: questo dimostra che “i mercati” per gli attuali governanti sono  un’idea virtuale e non reale”.

 

La vera speculazione è quella al rialzo, non al ribasso.

Quando lo spread dell’Italia si abbassa, allora sono guai, com’è avvenuto il 28 febbraio del 2012, quando era a 275 e hanno fatto passare in parlamento tutto ciò che volevano, con l’unico, esclusivo risultato di aumentare il debito pubblico e riempire le casseforti di 152 banche italiane di soldi (cash really cash) che non andranno mai alle aziende.

O meglio, ci andranno sì.

Ma passando attraverso l’inevitabile filtro, che non è il federale del Duce.

E’ il presidente della fondazione bancaria Pinco Palla.

C’è da scegliere: quello in quota PD o PDL o Udc o Lega Nord o La Destra o Fini o Rutelli.

Se loro dicono sì, l’azienda ottiene il credito. Se dicono no, si arrangia.

Vuoi lavorare e avere credito bancario? Dimmi per chi voti e ti dirò se te li do oppure no.

In Italia la chiamano democrazia.

“O la borsa o la vita” mi ha insegnato qualcosa.

Preferisco la vita, quindi spero che la borsa vada male. Se va bene, va male al popolo. Solo che adesso non lo sa.

Splendida splendente Jessica Rossi. E’ il bello delle olimpiadi che commuove davvero; si tocca con mano chi è bravo e chi non lo è e si restituisce il Senso alla Vita.

Jessica Rossi è davvero bravissima. Complimenti da parte di tutti. Merita il mio rispetto.

La Pellegrini è somara e scarsa.

Così va la vita. Così è il Senso.

6 commenti:

  1. Prima scrivi:

    "E così decisero di affidarsi a Filippo Sacchi (una specie di Floris/Vespa/Fazio/Lerner/Santoro di oggi, scegliete chi vi pare) il quale scrisse una recensione sul corriere della sera nel gennaio del 1933 massacrandolo “tecnicamente”, che ottenne l’effetto opposto. Gli italiani (allora erano più intelligenti di oggi) sapevano chi era Filippo Sacchi, ovvero un servo del regime, e quindi accorsero in massa al cinema".

    Poi riporti una parte del suo articolo sul film, tratta dal "Corriere" e da... Wikipedia.
    Peccato che la stessa Wikipedia su Filippo Sacchi scriva:

    "Strenuo oppositore del fascismo, tra gli anni venti e quaranta fu più volte allontanato dalla sua professione. Dopo l'arresto di Mussolini e la conseguente caduta del fascismo [1], dal 3 agosto 1943 fu direttore dell'edizione pomeridiana del Corriere della Sera (che usciva sotto la testata «Il Pomeriggio»). Rimase alla carica 45 giorni, essendo poi costretto a fuggire in Svizzera in seguito alla costituzione della Repubblica sociale italiana e dell'occupazione nazista dell'Alta Italia. Rimase a Locarno fino alla Liberazione.
    Tornato in Italia, fu direttore della Gazzetta del Popolo e dell'Illustrazione italiana ed avviò un'importante collaborazione con La Stampa, che durò fino al 1953. Quel periodo venne caratterizzato dai suoi coraggiosi articoli di pesante critica al governo italiano ed alla chiesa cattolica per la chiusura di Nomadelfia.
    Dagli anni cinquanta curò una rubrica cinematografica su periodico Epoca che mantenne sino alla morte. Nel 1950 pubblicò un manuale di educazione civica (L'ABC del cittadino) e, dopo la lunga parentesi di critica cinematografica, negli ultimi anni di vita si dedicò alla stesura di manuali di storia per gli studenti delle scuole medie.
    Dopo la sua morte il Sindacato Nazionale Giornalisti Cinematografici Italiani (SNGCI) ha istituito un premio dedicato alla sua memoria, che viene assegnato alla migliore tesi universitaria di argomento cinematografico".

    Piuttosto discordante, non trovi?

    Mi viene alla memoria il paradosso del mentitore, di Epimenide.
    Forse la chiave di lettura per comprendere molti tuoi articoli.
    Quanto all'intelligenza degli italiani di ieri, mi pare l'unica costante inscalfibile dal tempo.
    Comunque il pezzo è molto interessante.

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    1. c'è la cultura di wikipedia e c'è anche un'altra cultura, tutto qui

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    2. Veramente mi sono permesso di citare Wikipedia perchè riporta lo stesso estratto, dalla recensione di Sacchi del film di Bragaglia, che hai pubblicato tu. Non credo sia amorale spigolare su Wikipedia (al massimo un po' ingenuo), ma qui si tratta di dare una corretta informazione, "un'altra cultura" non centra nulla.
      Intanto, dato che sei giornalista, dovresti sapere come l'Ordine dei Giornalisti ricordi Sacchi come esempio di libero informatore.
      Quello che hai definito "servo del regime" è stato un oppositore del fascismo, come potrà appurare chiunque abbia interesse a farlo semplicemente documentandosi (non su Wikipedia...).
      Come avresti dovuto fare anche tu, prima di insultare la memoria di un uomo ricordato per la dignità che ha saputo dare alla sua professione in anni difficili. Forse ha avuto il torto di aver scritto qualcosa con la quale non ti trovi d'accordo?
      Documentati meglio e non nasconderti dietro la parola "cultura", troppi cattivi, cattivissimi maestri l'hanno già fatto...

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    3. Ero un lettore abituale degli articoli di questo blog.
      Dopo le giustificazioni insoddisfacenti riguardo il ben noto articolo su Hollande ho cominciato a nutrire dei dubbi e a valutare più criticamente le affermazioni del sig. Sergio Di Cori Modigliani.

      La risposta che ha dato a te, marco f., su questa evidente incongruenza riguardo la figura storica di Sacchi mi fa decidere di orientare le mie scelte di lettura altrove, perchè ho maturato la spiacevole convinzione che molte delle cose riportate possano essere spesso il contrario del vero. Con la netta sensazione che chi scrive gli articoli e chi risponde ai nostri commenti siano persone differenti.

      Mi dispiace, sinceramente.
      Alessandro

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    4. Purtroppo condivido appieno la tua delusione ed i tuoi dubbi, soprattutto sul fatto che siano più mani a scrivere gli articoli.
      Però Alessandro, io continuerò ancora un po' a leggere il blog, se non altro per capire esattamente cos'è, prima di escluderlo.
      Tempo addietro, in un commento definii sergiodicorimodiglianji.blogspot un "progetto informativo a più mani", dove contenuti arguti e suggestivi erano esposti con i riferimenti ed il linguaggio tipici di chi padroneggia una cultura molto vasta. Tutto molto affascinante, tale da far sperare fosse tutto vero.
      Alcune "rivelazioni" erano eclatanti al punto di essere paragonabili ad informative tipiche dei servizi di intelligence.
      Il dubbio che qualcosa non torni è forte e mi rode, ma voglio cercare ancora, anche fuori dal blog, magari incontrando Modigliani di persona (per stringergli la mano, s'intende). La piacevolezza della scrittura (quando la mano è quella giusta...) mi compenserà del tempo speso.
      Spero decida di farlo anche tu.

      Marco

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  2. Grazie Sergio, sarebbe interessante leggere un tuo libro di Storia, almeno degli ultimi 1000 anni. Un libro di storia "dei corridoi", quei posti dove si prendono, a volte, decisioni più incisive rispetto quelle dei salotti. Spero un giorno di poterlo leggerlo, come mio contributo potrei aiutarti ad impaginarlo e prepararlo per la stampa.

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