giovedì 23 agosto 2012

Oggi, 23 gennaio, l'Unesco celebra la giornata contro lo schiavismo nel mondo.



di Sergio Di Cori Modigliani


“Sono nato e cresciuto in un ghetto, ma il ghetto non ha mai trovato posto nel mio cuore”
                                                    Rev. Martin Luther King





Giornata Internazionale per la Commemorazione
del Commercio degli Schiavi e della sua abolizione.

Oggi, 23 agosto, si celebra in tutto il mondo la lotta contro la schiavitù, contro qualunque forma di schiavitù.
L’Unesco l’ha definita “la giornata internazionale per il ricordo della tratta degli schiavi e della sua abolizione”  e ricorda la rivolta avvenuta nella notte tra il 22 e il 23 agosto 1791 nell’isola di Haiti, quando gli africani deportati insorsero contro i negrieri e organizzarono la prima rivolta storica occidentale per l’abolizione dello stato di schiavitù. La rivolta, allora, venne soffocata, com’è ovvio, nel sangue e nel massacro da parte dei negrieri di migliaia di persone innocenti. Francesi e inglesi in prima linea, per il controllo politico, con gli italiani e olandesi in seconda linea: gli armatori erano olandesi, i soldi per finanziare le imprese schiaviste venivano dalle banche italiane, toscane e lombarde. La rivolta durò ben 14 anni e si concluse nel 1805.
Gli inglesi assunsero il controllo politico della situazione, soppiantando i francesi “rei” di essere stati i responsabili culturali della rivolta, perché il vento della rivoluzione francese era arrivato anche nei Caraibi. Ci vollero altri 50 anni prima che la schiavitù venisse “legalmente” abolita in tutto il continente americano, e circa 200 anni affinchè l’abolizione “legale” avesse anche un identico senso pratico sociale, psicologico, esistenziale. Nel 1948 (praticamente l’altro ieri) a New York, Los Angeles, Miami, Houston, Chicago, era assolutamente normale e lecito (nonostante fosse “tecnicamente illegale”) vedere cartelli fuori dei ristoranti, discoteche e club eleganti dove c’era scritto “vietato l’ingresso a negri ed ebrei”. Nel 1955, in Usa, una persona di pelle nera non poteva essere eletta in alcuna mansione direttiva in nessun tipo di azienda. Anche per gli ebrei non era possibile. Se all’interno di un’azienda americana un ebreo faceva carriera, quando arrivava alla soglia di un posto dirigente, gli veniva chiesto di scegliere: o si convertiva o si licenziava. Approfittando del fatto che l’imprimatur di schiavi, per loro, non era stampato sulla loro pelle e quindi non era visibile, moltissimi ebrei che rifiutarono la conversione, si organizzarono in maniera indipendente tirando su imprese individuali, con cognomi fittizi. L’antisemitismo nacque e si sviluppò in quegli anni come una contundente arma per combattere la concorrenza sul mercato denunciando una cospirazione finanziaria gestita da ebrei. I sociologi americani negli ultimi anni hanno pubblicato numerosi studi per dimostrare come in realtà i bianchi cristiani non riuscissero a competere con aziende dove i dirigenti e gli impiegati lavoravano anche 10 o 12 ore al giorno con straordinari volontari non pagati perché il fine ultimo, al di là del profitto e dello stipendio, consisteva nel riuscire a farcela sul mercato per conquistarsi la libertà come persone, quel lavoro era un momento della lotta contro la schiavitù e il pregiudizio. Avevano fatto proprio il principio calvinista e protestante (ovverossia “il paradiso se lo conquistano i bravi, i meritevoli, coloro che hanno successo”) e quindi sgobbavano più degli altri, pensando che se avessero avuto successo sarebbero stati riconosciuti come “normali” e avrebbero potuto iscriversi al country club locale. Per i neri, e più tardi per i messicani, non era possibile: il colore della loro pelle li penalizzava. Dovettero attendere altri 50 anni di quotidiane, continue, solitarie battaglie per la dignità del proprio essere. Ancora a metà degli anni’80, se in un locale elegante a New York, per caso, una donna veniva scippata e veniva chiamata la polizia, venivano subito arrestati tutti i presenti di pelle nera o scura. Se poliziotti neri si rifiutavano di farlo, venivano declassati dal rango di detective e finivano a dirigere il traffico. Soltanto chi ha vissuto in Usa a lungo e ha avuto la possibilità di poterlo toccare con mano, ogni giorno, può comprendere che cosa abbia rappresentato per la coscienza collettiva americana e per il loro immaginario l’elezione di Barack Obama a presidente.
Nel resto del continente americano, lo “schiavismo reale” delle persone è proseguito fino all’alba del nuovo millennio. E’ la principale lotta che stanno combattendo, ancora oggi, 2012, in Brasile, la nazione di lingua latina nel continente americano dove c’è la più alta concentrazione di esseri umani dalla pelle nera, circa il 65% degli abitanti. L’ultimo sondaggio effettuato nel novembre del 2010 indicava che un candidato alle presidenziali di pelle nera avesse il 32% di possibilità di vincere contro un oppositore bianco. Nel 2005 era il 28%. Nel 2000 era il 17%. La Bolivia è il primo stato sudamericano dove un indio di carnagione scura, figlio di indiani autoctoni, nipote e discendente di indios locali, è stato eletto presidente in libere elezioni.
La strada nella lotta contro lo schiavismo e il pregiudizio è ancora davvero molto lunga.
Soprattutto in Italia, nazione degradata, che vive all’interno di un vuoto culturale perenne, a propria insaputa collettiva. Per fortuna, tiepidi segnali di risveglio individuale indicano un iniziale vagito di consapevolezza, con l’augurio che il contagio si estenda.
Chi scrive ha compiuto i propri studi liceali in Italia, dove, a scuola, ha ricevuto l’orgogliosa educazione democratica anti-schiavista di una nazione che si era liberata da quell’ignobile fardello cultural-esistenziale. 40 anni fa eravamo punto di riferimento libertario nella lotta mondiale contro lo schiavismo. Negli anni’70 e ’80, quando ho iniziato a far su e giù tra l’Italia e gli Usa, ogni volta che tornavo a Roma mi sentivo orgoglioso di essere italiano ed europeo. Stare in un paese oggettivamente razzista come gli Usa, era davvero disgustoso, avvilente e civilmente degradante. E per i combattenti americani dei diritti civili, noi eravamo considerati un faro democratico nel cuore dell’Europa. Soprattutto in California e a Hollywood che non hanno mai dimenticato il grande contributo fornito dalla nostra cultura alla fine degli anni’60. Ecco perché.
Era l’autunno del 1968 e in Usa si stava combattendo una furibonda lotta –anche molto violenta- tra i razzisti conservatori e i progressisti anti-razzisti. Un grande regista italiano (Gillo Pontecorvo) la cui tematica principale era sempre stata la lotta contro la schiavitù (evidenziata dai suoi due precedenti capolavori, “Kapo’” e “La battaglia di Algeri”) era ritornato sconvolto da un lungo viaggio a New York, dalla superlativa Manhattan libertaria, ma pur sempre razzista, perfida e infida. Stando lì e incontrando Eldridge Cleaver, un esponente del gruppo dei Black Panthers, organizzazione che si batteva per i diritti civili degli afro-americani, venne a sapere che cosa era avvenuto il 23 agosto del 1791. La vicenda infiammò la sua creatività e “vide” il suo film. Ne parlò con il suo autore personale, lo scrittore Franco Solinas, che gli scrisse il film che lui voleva fare. Pontecorvo voleva Marlon Brando, il quale, però, non recitava più. Si era ritirato per protesta contro il razzismo ipocrita di Hollywood  e del governo americano e si era messo al comando di una protesta degli indiani Cherokee e Sioux contro l’amministrazione americana. Era impossibile convincerlo. Odiava e disprezzava tutti. Pontecorvo ne era al corrente, chiamò il suo agente a Los Angeles, il quale gli spiegò che era quasi impossibile, rifiutava il 100% delle proteste. Lui insistette e spedì per posta il soggetto e il trattamento pregando l’agente di fornire il suo curriculum vitae al capriccioso divo. 70 ore dopo, Marlon Brando lo chiamava a Roma da un atollo in Polinesia che aveva acquistato auto-nominandosi re, Marlon I “il primo sovrano della Storia che non pratica la schiavitù, né quella fisica, né quella economica, né quella psicologica”. Il colloquio fu molto breve. Brando accettò.
Nell’aprile del 1969 usciva “Queimada” interpretato da Marlon Brando, scritto da Franco Solinas e diretto da Gillo Pontecorvo. Una interpretazione magistrale.
Il film raccontava, traslata, proprio la vicenda relativa al 23 agosto 1791.
L’aspetto più interessante, affascinante – che oggi diventa inquietante- consisteva nel personaggio interpretato da Marlon Brando, un intellettuale democratico inglese, al servizio di Sua Maestà, che accetta il compito di andare nei Caraibi per gestire la nuova organizzazione oligarchico-finanziaria del mercato planetario messa in subbuglio (e a repentaglio) dal trionfo della rivoluzione francese. Il film spiega narrativamente, in maniera davvero egregia, senza ideologia né cronachismi retorici, il funzionamento dei meccanismi del potere di chi decide le sorti delle fonti di energia e controlla l’andamento dei mercati finanziari. Marlon Brando fu eccelso, riaccolto a braccia aperte a Hollywood dove gli consentirono di fare i suoi comizi a favore di negri e indiani. Pochi mesi dopo accettava la proposta di fare un altro film diretto da un giovane principiante sconosciuto, Francis Ford Coppola, che aveva dovuto abbandonare l’università e interrompere gli studi perché vittima di razzismo anti-italiano. Anche noi italiani, in Usa, eravamo vittime del razzismo. Gli ebrei erano avidi, i negri puzzavano ed erano ladri, gli italiani erano mafiosi e violenti; nessun italo-americano poteva fare una carriera accademica o intellettuale o artistica. Era loro concesso “soltanto” di fare i cantanti. Brando scelse di fare “Il Padrino” dando una mano a quel giovanotto. E subito dopo l’uscita del film accettò con entusiasmo di lavorare per un altro ragazzo alle prime armi, un giovane anche lui, Bernardo Bertolucci, che lo diresse in “Ultimo tango a Parigi”.
“Perché è italiano” ci tenne a precisare.
Nel 1995, Denzel Washington e Morgan Freeman invitarono Gillo Pontecorvo a Hollywood dove il nostro cineasta ricevette un premio speciale alla carriera da parte della comunità afro.-americana. All’ingresso della Motion Picturs of America, il cuore dell’industria cinematografica planetaria, c’è questa placca dorata sulla quale c’è scritto “Al regista italiano Gillo Pontecorvo, primo e unico europeo ad aver raccontato in un film la lotta dei neri per la liberazione dalla propria schiavitù. Queimada, 1969. La comunità dei liberi artisti di Hollywood con perenne ringraziamento a lui, al suo genio creativo e all’Italia”.
E’ l’unico europeo ad aver mai ricevuto la “Stella al Merito dei Diritti Civili”
C’è da essere orgogliosi per davvero.
Quella placca ci riaprì il mercato hollywoodiano, poi miseramente chiuso (per sempre) quando a guidarlo ci andarono Silvio Berlusconi e Vittorio Cecchi Gori, i quali, dopo un iniziale eccitazione, vennero identificati entrambi e riconosciuti per ciò che erano.
Oggi, 2012, molte cose sono cambiate.
Oggi, 23 agosto 2012, è “ufficialmente” la data della lotta contro la schiavitù nel mondo, contro ogni forma di schiavitù. E’ stata una decisione dell’Unesco, alla quale hanno aderito i membri di “Save the children” una onlus internazionale che si occupa di denunciare il costante traffico di bambini e donne nel mondo.
Purtroppo, l’Italia non fa testo, oggi.
Nulla da registrare.
Koichiro Matsuura, intellettuale nipponico di stazza, libero pensatore a difesa dei diritti civili, nominato segretario generale dell’Unesco nel 2003, in quell’anno istituì formalmente questa data e lanciò ufficialmente un manifesto che è diventato standard. Viene riproposto ogni anno per questa data. Tutte le nazioni occidentali, nessuna esclusa hanno aderito. L’Italia lo ha fatto soltanto formalmente. Non di fatto.
Mentre in tante e tante nazioni occidentali, oggi, gli artisti, gli intellettuali, gli enti locali dei singoli comuni, contee, regioni, organizzano celebrazioni, convegni seminari, dibattiti, documentari, feste, sul fenomeno dello schiavismo, in Italia non accade nulla perché nessuno ha aderito, nessun artista, nessun intellettuale. Non c’è da stupirsi.
Vivere in un vuoto culturale perenne vuol dire questo.
Cullarsi nell’auto-inganno e nel Falso menzognero.
Perché i dati sono impietosi.
Oggi l’Italia è diventato un paese razzista e schiavista, regressione dell’ultimo quarantennio.
Una nazione che vive un evento come quello dell’Ilva dove mostra e dimostra che ai propri cittadini offre come unica alternativa o la morte sicura per cancro o la disoccupazione coatta, è una nazione di schiavisti.
Una nazione che denuncia 240 miliardi di euro di fatturato al nero, è una nazione che pratica la schiavitù commerciale.
Una nazione che l’Onu ha situato al 69esimo posto al mondo come libertà di stampa, è una nazione che pratica la Schiavitù Intellettuale, la più subdola tra tutte.
Una nazione che vanta il primato assoluto in tutto l’occidente come fruitori di turismo sessuale verso nazioni economicamente degradate e socialmente fragili, è una nazione di schiavisti repressi. Ogni estate circa 50.000 maschi italiani vanno ad “acquistare” una moglie in Moldavia, Ukraina, Lettonia, Bielorussia, Cambogia, Vietnam, Colombia, Cuba.
L’organizzazione internazionale del commercio segnala che gli italiani spendono ogni anno migliaia di miliardi di euro per andare a vivere l’esperienza di schiavismo sessuale su minori senza cautela, in diversi continenti. Siamo primi al mondo. Gli italiani si sono innamorati della schiavitù sessuale. E siamo ultimi in Europa (record negativo) come salvaguardia e rispetto dell’integrità dei diritti civili, della persona.
Siamo scesi al 162esimo posto (dopo la Nigeria e prima dello Zimbabwe) come possibilità per artisti e intellettuali di avere accesso al mercato dell’industria e distribuzione delle idee. Siamo record europeo nella pratica della Schiavitù Intellettuale.
Non c’è da meravigliarsi, quindi, che oggi, la data del 23 agosto sia celebrata, commemorata, festeggiata e spiegata, da Helsinki a Lima, ma non in Italia.
Non c’è nessun artista, nessun intellettuale, nessuna testata che abbia aderito alla data. Non c’è nessuna istituzione statale che abbia organizzato un evento, una manifestazione sull’argomento. Siamo gli unici a non averlo fatto. Non c’è nessun partito che abbia investito un euro tra quelli percepiti dallo Stato per ricordare l’avvenimento. E, comunque, se qualcosa è accaduto, non se ne sente l’eco.

Personalmente, così come tanti altri artisti e intellettuali al mondo, aderisco all’appello dell’Onu e dell’Unesco e raccolgo il celebre invito di Koichiro Matsuura. Chi lo ritiene opportuno, lo sente dentro di sé e pensa che abbia un valore, è invitato a diffondere il messaggio del segretario generale dell’Unesco che nel 2004 lanciò l’iniziativa.
Ecco, qui di seguito, il comunicato ufficiale lanciato, come di consueto, dall’Onu per il 23 agosto.

“Ad oggi il Direttore Generale dell’UNESCO invita ogni anno i ministri della cultura di tutti gli Stati Membri ad organizzare eventi in questa data, coinvolgendo l’intera popolazione dei rispettivi paesi e in particolare i giovani, gli educatori, gli artisti e gli intellettuali.
"Istituzionalizzare la memoria, impedire l’oblio, richiamare il ricordo di una tragedia lungamente occultata o sconosciuta e restituirle la collocazione che deve essere la sua nella coscienza degli uomini, è, in effetti, rispondere al nostro dovere di memoria " (Koichiro Matsuura – Direttore Generale UNESCO).
La data del 23 agosto si riferisce all’insurrezione iniziata nella notte tra il 22 ed il 23 agosto 1791 sull’isola di Santo Domingo (oggi divisa tra Haiti e la Repubblica Dominicana), guidata da Toussaint Louvertoure, il primo generale maggiore di colore. L’insurrezione portò alla prima decisiva vittoria nella storia dell’umanità degli schiavi contro gli oppressori. Dal 23 agosto 2004 commemoriamo due eventi chiave: la rivolta del 1791 e la sua conclusione nel 1804. La Giornata ci offre l’opportunità di riflettere insieme sulle cause storiche, le modalità e le conseguenze di quella tragedia senza precedenti che fu la schiavitù e la tratta degli schiavi, una tragedia che fu nascosta per molti anni e che è ancora da scoprire appieno. Essa ci offre inoltre un’opportunità di comprendere più chiaramente i rapporti che la tratta degli schiavi ha generato nel mondo tra le diverse popolazioni coinvolte.  Essa non solo ha spezzato la vita di milioni di esseri umani sradicati dalla propria terra e deportati nelle condizioni più disumane, ma ha anche causato scambi culturali che hanno profondamente e durevolmente influenzato le morali e le credenze, le relazioni sociali e la conoscenza in diversi continenti. Attraverso la divulgazione e l’ammissione del grande impatto culturale operato dalle vittime di questo crimine contro l’umanità, CI PROPONIAMO DI CONTRIBUIRE ALLA DECOSTRUZIONE DEI PREGIUDIZI RAZZIALI E ALLA LOTTA CONTRO LE IDEOLOGIE DI ODIO E INTOLLERANZA. Inoltre miriamo a promuovere un dialogo tra culture che sia rispettoso delle differenze e basato sui valori della tolleranza, uguaglianza e condivisione. Oltre a questa dimensione storico-retrospettiva, la Giornata mira a sensibilizzare e avvertire l’opinione pubblica che un altro commercio di esseri umani per la schiavitù (nonostante sia stata abolita e penalizzata attraverso strumenti internazionali) è ancora praticato in nuove forme, che ancora oggi incidono sulla vita di milioni di uomini, donne e bambini in giro per il mondo. Pertanto invito l’intera popolazione in tutti gli Stati Membri, in particolare gli intellettuali, i politici, i religiosi e i capi delle comunità, gli educatori, gli artisti e i giovani, a contrassegnare la Giornata con atti di meditazione, ricerca della consapevolezza e riflessioni sulla tragedia della schiavitù che noi non possiamo dimenticare, e che non possiamo nuovamente tollerare. Insieme, attraverso le nostre azioni e il nostro impegno su tutti i fronti, saremo in grado di sradicare le tracce della schiavitù e di combattere le nuove forme di oppressione che rappresentano un’intollerabile violazione dei diritti umani e delle libertà fondamentali.”
                                                                                      Firmato Segretario generale Unesco



6 commenti:

  1. e passi che si deve enfatizzare il razzismo latente degli USA però in questo post ci sono diverse esagerazioni che fanno torto ai non wasp che sono emersi e hanno dimostrato il loro valore tanto per citare qualche nome Lee Strasberg era ebreo, Rodolfo Valentino era italianissimo, attrici italiane come la Loren e Alida Valli hanno lavorato parecchio negli Usa, senza contare i riconoscimenti a registi nostrani come Rossellini Fellini Antonioni e tanti altri di cui al momento non mi viene il nome senza contare italoamericani come Vincent e Liza Minelli. Spelling grande produttore televisivo era ebreo così come il cantante dei kiss che è sulla breccia da almeno 40 anni. Vogliamo parlare poi del mondo finanziario(notoriamente mondo del potere? A parte i famosissimi Rotschield, sia Goldman che Sachs( i fondatori della famosa banca d'affari) sono nomi ebraici così come era ebreo Levistrauss(quello dei levis) il pregiudizio nei confronti degli afroamericani è durato + a lungo è vero ma questo non ha impedito a tanti di emergere in diversi settori...nell'arte e nelle professioni fino ad arrivare al giorno d'oggi dove dettano legge in campo musicale. Dire che esistevano(e credo che esistano ancora) forti pregiudizi e un razzismo strisciante ci sta ma dire che ogni strada è stata chiusa ai non anglosassoni è una falsità che annulla il valore di chi è salito ai vertici del suo settore malgrado il razzismo. Gli Usa sono stati e credo siano ancora un po' razzisti ma una chance l'hanno data e credo continuino a darla a tutti malgrado il razzismo di tanti!

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  2. Sono un attento lettore di quotidiani e seguo i tg, anche se sempre di meno, e non ricordo di aver letto o sentito qualcosa in proposito. Forse su Rainews 24, che è l'unica fonte di notizie continue (ma non ne sono sicuro). In quest'ottica anche noi avremmo da ricordare la rivolta di Spartacus contro il potere oligarchico romano, ma sarebbe pretendere troppo da una società che vive di fumo e di falsificazioni.

    Oggi ho avuto modo di discutere animatamente con un conoscente di 70 anni, con esperienza dunque, che sosteneva la validità, la signorilità,la competenza di Monti e dei suoi ministri secondo la vulgata diffusa. Ora si aspettala la ripresa ed è convinto che tra poco l'Italia sarà un paese meraviglioso che sta meritandosi il plauso dell'Europa e degli Usa. Cercavo di spiegargli con i numeri ed i dati di fatto che non è proprio così, che il pareggio di bilancio è un cappio che ci strozza e che non ci sono quindi risorse per gli investimenti. Lo Stato e le famiglie spendono di più ed incassano di meno, elementare. Non c'è alcun miracolo in vista.

    Così ho potuto toccare con mano come buona parte degli Italiani siano disinformati, turlupinati da una banda di criminali. E molti, come questo signore, lo sono in buona fede. Il che è ancora peggio, a mio avviso, per lo sfruttamento della buona fede altrui per fini delinquenziali. Che il ministro Passera sia sotto inchiesta per evasione fiscale ai tempi di Intesa, che altri personaggi pubblici siano inaffidabili, è provato, non gli interessa e non vogliono sapere.Da buon elettore del pd si scagliava contro Berlusconi, e ne aveva più che ragione, ma oggi non riesce a capire che Monti è caratterialmente più pericoloso di Berlusconi. Eppure è sotto gli occhi di tutti che Berlusconi, facilmente ricattabile per via della sua storia imprenditoriale e per le donne, non poteva andare oltre con i suoi tentativi di delegittimare la magistratura, di proteggere evasori e corruttori, di ridurre i diritti dei lavoratori. PD e sindacati gli si mettevano di traverso. Il sobrio Monti, con la Passera, Clini, la Fornero,e con la protezione di Giorgio Napolitano, in pochi mesi ha fatto più danni che B. in venti anni, proprio grazie all'appoggio suicida del PD. Il premier è un buon padre di famiglia, sobrio, elegante, ma è come Arsenio Lupin, il ladro gentiluomo, ci porta via i nostri gioielli e i risparmi di generazioni e noi gli diciamo pure: grazie!

    Ma come si fa a sperare in un cambiamento culturale se molti italiani continuano a pensarla come questo signore?

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    1. ...forse perché molti, moltissimi italiani, (troppi) sono fondamentalmente come Berlusconi, Monti, Passera, Bersani, Vendola ecc.ecc.ecc. ??
      Molti degli uomini che sono in parlamento e quelli che sono nei posti di potere, più o meno importante, alla fin fine sono lo specchio della nazione intera.

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    2. http://www.youtube.com/watch?v=f_WZ_KMOHoA

      Pier Paolo Pasolini. Lo hanno trucidato.

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  3. Vi sono diverse forme di sopruso dell'uomo verso l'altro.
    Modigliani dimentica la frase di Brando quando cerca di convincere
    i latifondisti che e' conveniente appoggiare la rivoluzione.
    "Lo schiavo e' come una moglie, la sposi, invecchia, diventa inutile
    ma comunque la devi mantenere per tutta la vita. L'operaio e' come una puttana. Lo paghi per le prestazioni e poi non te devi occupartene piu'."
    Il razzismo ormai esiste solo negli stadi di calcio.La frase
    -E' di una altra razza e' diventata -Hanno un altra mentalita'.
    I ricatti e l'isolamento continuano sotto altre forme sia tra individui, gruppi sociali, nazioni.
    Se sei del Px queste strade ti sono aperte. Se sei del Py hai la scelta di queste altre strade. Se sei nessuno vedi di appartenere a qualcuno o non farai strada.
    Ieri leggevo che gli USA hanno proibito l'importazione di limoni e carni argentine. Il presidente Obama, ex appartenente a una nazione di schiavi lo ha motivato "per ragioni scientifiche". Cosa voglia dire chiedetelo a lui.
    L'inglese ha una bella frase- You don't belong"
    Doppiata per le nostre sale cinematografiche e messa in bocca
    a uno schiavo diventa -Tu non essere dei nostri.

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  4. Modigliani sa "sparare" i suoi concetti molto bene, peccato utilizzi spesso "cannoni" di calibro sproporzionato al proiettile: così si fa solo fumo e tanto rumore e il colpo sembra... a salve.
    Come la sparata sulle "migliaia di miliardi di euro" delle trasferte turistico-sessuali italiche. Fosse vero, in proporzione la Germania avrebbe già prosciugato il suo pil a forza di gite stupratorie nibelungiche tra i minorenni del terzo mondo.
    Certo, fa piacere sapere come alcune minoranze perseguitate abbiano conquistato un posto al sole. Così come l'uso della contundente arma dello stakanovismo abbia permesso all'esigua, innocente minoranza ebraica americana di infinocchiare gli odiosi padroni wasp, per dare agli USA una classe dirigente finalmente democratica e... kosher.
    Il succo dell'articolo è però eccellente. Dimenticare di celebrare la rivolta contro il razzismo è semplicemente criminale. Costituisce un'ulteriore atto di scoperta malafede da parte di una casta dominante che sopravvive anche grazie al razzismo nella sua forma più subdola: quella sociale.

    Un ultimo appunto sul grandissimo e mai abbastanza compianto Gillo Pontecorvo.
    Il suo capolavoro La battaglia di Algeri, del 1966, fu realizzato anche grazie all'appoggio economico di ambienti direttamente legati ai servizi segreti italiani, forse l'opera più meritoria del SIFAR prima dello scioglimento. Era infatti interesse della politica nazionale di quei tempi screditare l'immagine della Francia, ieri come oggi e come sempre antagonista degli interessi economici italiani nell'Africa del nord. Si può trovare traccia di questo retroscena della genesi del film, ai più sconosciuto, in alcune interviste concesse dal giudice Rosario Priore.
    Credo sia giusto sottolineare come, per sgomitare con gli "alleati" francesi si sia scelto lo strumento della cultura e della divulgazione. Il film raccontò semplicemente la lotta per la libertà del popolo algerino dai padroni schiavisti francesi, e ci riuscì benissimo.
    Infatti vinse il Leone d'oro a Venezia e la sua proiezione fu proibita in tutta la democraticissima e libertaria Francia, per ben due anni.
    Parecchi anni più tardi i "cugini" francesi ci avrebbero restituito il favore con gli interessi: dall'istituto Hyperion di Parigi, rifugio e incubatrice delle Brigate Rosse, alla guerra di Libia di Sarkò.
    Quando si dice parenti serpenti...

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