martedì 10 dicembre 2013

La favola delle stelle di mare. Una parabola Inca che può essere utile per la nazione Italia.


Cinque anni fa, il 10 dicembre del 2013, scrissi il seguente post, fortemente legato all'attualità italiana di quel momento. Avevo dimenticato di averlo scritto, ma questa mattina, addì 10 dicembre 2018, facebook mi ha ricordato la sua esistenza riproponendomelo come memento. 
Ignoro la motivazione in base alla quale gli algoritmi robotici feisbucchiani attuano le loro scelte, il solo fatto di pensarci mi fa orrore. 
Tant'è, questa è la nostra realtà oggi.
Lo ripropongo, senza alcun editing, ai lettori di questo blog, sperando che possa essere utile per una riflessione comune sull'autentico stato delle nostre esistenze italiane.
Vale ancora oggi?
E' troppo datato?
Oppure si riferisce a una realtà che oggi, 2200 giorni dopo, è ancora la stessa di allora?

Sergio Di Cori Modigliani 10 dicembre 2013/10 dicembre 2018

Considerando la citazione di Murakami, nell'immagine qui sopra in bacheca ("se voi leggete soltanto i libri che tutti stanno leggendo, voi potete pensare soltanto ciò che tutti gli altri stanno pensando") si potrebbe sostenere che l'attuale situazione politica italiana corrisponda alla perfezione a quella del mondo mentale in cui vivono Fabio Volo, Maurizio Gramellini, Luciana Litizzetto, Bruno Vespa e il resto della compagnia cantante che vi guarda dagli scaffali delle librerie, che ben giustifica il fatto che il nostro paese abbia raggiunto nel 2013 il penultimo gradino in occidente come indice di lettura. L'ultimo paese è il Guatemala, la nazione più violenta e degradata del continente americano. 
Il Censis ha sintetizzato lo stato della nazione definendoci un "paese sciapo e infelice". Considero questa definizione come la caratteristica di ogni etnia che abbia dimenticato il piacere del racconto, il gusto per la narrazione, la volontà di conoscere mondi mentali altri attraverso la lettura di romanzi. 
I dati ufficiali parlano chiaro: negli ultimi quindici mesi sono stati pubblicati e distribuiti circa 800 nuovi titoli relativi alla crisi economica, scritti da economisti, giornalisti esperti in materie economiche, aspiranti economisti, economisti professionisti, economisti dilettanti.
Inevitabile sentirsi sciapi e infelici.
E' il risultato di una diabolica e ben ideata trappola del potere oligarchico che si è avvalso della indispensabile collaborazione della cupola mediatica per far credere agli italiani che la crisi nella quale il paese è precipitato sia di natura economica. Non lo è.
Se così fosse, quella minima percentuale (8%) che possiede il 72% della ricchezza collettiva, già da lunghissimo tempo avrebbe preso i componenti dell'intera classe politica dirigente, li avrebbe legati con una fune, li avrebbe buttati nel mare Mediterraneo con un bel calcione e li avrebbe sostituiti con altri soggetti in grado di varare le necessarie riforme per la ripresa della nazione.
Invece, questa classe politica è stata, ed è tuttora, perfettamente funzionale ai loro interessi.
Tanto è vero che gli stessi dati del Censis ci informano che il 6% della popolazione italiana (i più ricchi, tanto per intendersi) nel 2011 hanno aumentato la propria quota di ricchezza nell'ordine dell' 11% rispetto al 2010; nel 2012 del 17% e in questo 2013 viaggiano verso un pimpante 23%, poichè, le loro tasse si sono abbassate del 9% e godono di nuovi incentivi, sconti, privilegi.
L'Italia, come nazione, è la terza al mondo (dopo il Giappone e la Gran Bretagna) come quantità di consumo interno nel genere lusso (gioielli, mobili antichi, automobili da 80.000 euro in su, yacht da diporto, compravendita di immobili di prestigio, alta moda firmata, collezionismo, arte antica e moderna) e prima al mondo sia come volume d'affari che come quantità di prodotti venduti nella sezione "alta qualità del consumo interno nel genere lusso".
L'Italia è ancora la più ricca nazione d'Europa, con il più alto numero in assoluto di miliardari e la più vasta quantità di depositi bancari del continente, che superano un milione di euro in risparmio contante. 
La composizione sociale di questa classe anonima è molto diversa rispetto a 30/40 anni fa, quando la matrice aristocratica,  insieme al patrimonio familiare, tramandato attraverso i secoli, svolgeva ancora un ruolo importante in campo finanziario, economico, produttivo e  investiva nella cultura. 
Tra tutte le nazioni ricche d'occidente (le prime 20) l'Italia è oggi quella con la più bassa e triste percentuale di investimento da parte dei ricchi nel campo dell'editoria, del cinema, del teatro, della ricerca scientifica, dell'arte, insomma della cultura e dell'innovazione. Quasi nulla:  viaggia intorno a un 1% (in Usa è il 26%, in Francia è il 29%, in Gran Bretagna è il 22%).
A mio modesto parere, si trova in questa analisi scomposta dei dati la chiave della infelicità.
E' stato calcolato che negli ultimi 30 anni c'è stato un sommovimento di capitali familiari dell'ordine di circa 5.000 miliardi di euro che hanno dato vita a nuove famiglie e dinastie la cui caratteristica principale consiste nella scelta di non investire in attività culturali e scientifiche. Il motivo è semplice e banale: sono territori che non frequentano, sono dimensioni che non praticano, sono spazi mentali che non si sono mai insediati nella loro mente.
La corruttela è il loro più grande alleato, poichè, grazie alla diffusione di massa della corruzione sia istituzionale che privata, si sono assicurati la garanzia di un crollo della domanda interna sia di cultura che di arte e di scienza. Non essendoci offerta, poco a poco la domanda ha cominciato a diventare sempre più timida, si è poi trasformata in una caratteristica a dir poco eroica, e alla fine è svanita nel nulla.
Da qui, secondo me, il sapore sciapo dell'esistenza degli italiani.
Questa nazione vive ormai dando per scontato che si può esistere senza grandi romanzieri, grandi registi, grandi pittori, grandi fotografi, grandi designer, grandi architetti, grandi intellettuali, grandi ingegneri, grandi scienziati. Tutti questi esistono pure, ne sono sicuro, il genio italiano creativo è un fatto e un dato reale della nostra splendida e martoriata etnia, ma vivono suddivisi in due ampie fasce: quella degli auto-esiliati all'estero, dove vengono sempre apprezzati e riconosciuti e quella dei clandestini invisibili in patria.
La crisi economica, quindi, è il risultato di una crisi di valori, forse pianificata, voluta, architettata in maniera strategica (o forse no) che ha portato all'accumulo di ricchezza e alla sottrazione di capitali di qualità da investire nel mercato interno.
L'Italia non scomparirà, finirà per diventare come l'Arabia Saudita dove il 2% della popolazione possiede il 97% della ricchezza collettiva e il 98% della popolazione se la deve cavare distribuendosi il 3%.
Questa è la tendenza in atto nel nostro Paese. 
E ci vogliono far credere che sarà una teoria economica (e perfino una teoria monetaria) che risolverà  i problemi.
L'Italia può uscire domattina dall'euro, uscire dalla Unione Europea, staccarsi con una sega dalle Alpi diventando un' isola: non cambierebbe nulla. 
Perchè non è quello il problema.
Il vero problema è la scomparsa dei valori di riferimento culturali trainanti, la genesi di un immaginario collettivo analfabeta, privo di sostanza ma pieno di illusioni, la rinuncia, da parte dei soggetti politici, dei partiti, dei sindacati, a chiedere e pretendere l'unica risposta sensata, pragmatica, efficace: una redistribuzione immediata e più equa della ricchezza nazionale, esigendo che coloro che detengono la ricchezza investano sul territorio nazionale, a lungo termine, nei campi strategici della ideazione e della manifattura italiana, dall'arte all'agricoltura, dalla scienza all'innovazione.
Per far ciò non c'è bisogno di leggi, è necessario un cambio di passo nella prospettiva, alimentando la mente che compone l'immaginario collettivo del paese di nuove suggestioni.
La doppia aggettivazione del Censis (non a caso passata in cavalleria senza neppure una intervistina di due minuti ai ricercatori che l'hanno condotta, chiedendo loro ulteriori dati a suffragio della statistica) quella del paese "sciapo e infelice" è stato un input forte e poteva e doveva essere una buona occasione di riflessione collettiva, chiamando la classe dirigente imprenditoriale ad assumersi le proprie responsabilità. 
Senza investimento nella cultura e nella scienza, senza redistribuzione della ricchezza operativa, che non peschi soltanto nelle clientele partitiche, questo paese non ha neppure una probabilità su cento di riprendersi mai. E non serve a nulla leggere avidamente interminabili serie di grafici, numeri, teorie, statistiche proiettive, se non si comincia ad modificare le sinapsi del proprio immaginario collettivo, sottraendosi alle sirene ormai sfiatate della cupola mediatica, che impone ormai il veleno della falsa idea di una crisi economica che sta producendo sfracelli.
C'è una salda oligarchia al comando che se la passa benissimo, che è contentissima di come vanno le cose e che investe la propria energia e quattro soldi quattro per abbassare il livello e far sì che non parta mai la domanda.
Così in Italia, oggi.
Ma esistono luoghi dove una poderosa crisi economica è stata affrontata in maniera diversa.
Circa una decina di anni fa, in Sud America si è verificato un modesto (e davvero minimo) evento antropologico che poco a poco ha cominciato a gonfiarsi, finchè non è dilagato diventando mainstream e provocando una vera e propria rivoluzione sociale.
E' iniziato con un articolo piccolo piccolo anche banalotto, intorno al 2005, quando il default dell'Argentina aveva provocato un'onda d'urto in tutto il Sud America e il Fondo Monetario Internazionale stava con il fiato sul collo per imporre misure di austerità massicce.
Su un quotidiano peruviano era apparsa una storia popolare raccontata da una giovane, che sosteneva provenisse dalla tradizione del folclore locale. Quella storiella era piaciuta e la gente l'aveva ripresa e commentata e si era diffusa. Ne aveva parlato anche la televisione. Dopo qualche mese, in Bolivia, era uscito un articolo su un quotidiano locale in cui si sosteneva che quella storiella fosse molto antica e la paternità veniva attribuita agli indios Quechua. Dopo un po', i cileni protestarono sostenendo che non era vero nulla. Quella storia era famosissima e apparteneva alla tradizione degli indios Araucanos. La dimostrazione (sostenevano gli antropologi cileni) consisteva nel fatto che la storia si svolgeva sulla spiaggia di un oceano e in Bolivia l'oceano non esiste. Dopo un po' intervennero due scrittori argentini sostenendo che la storia proveniva dallo Stato di Jujuy nell'estremo settentrione e apparteneva alla tradizione folcloristica degli indios Wichi. Ne nacque una zuffa tra storici, antropologi, scrittori, alla quale l'intera popolazione del Sud America partecipò dicendo la propria. E intanto, la storiella veniva diffusa, commentata, discussa: era ritornata in vita come patrimonio culturale locale. Finchè il grande romanziere Mario Vargas Llosas, nel suo discorso di premiazione per il Nobel a Stoccolma, ci mise la firma raccontando la storiella come "una antica storia Inca". 
Ci furono borbottii nazionalistici locali finchè con un colpo d'ala di grande abilità politica, un giorno la presidenta argentina Cristina Kirchner la usò in un celebre comizio, sostenendo che questa storia è una storia sudamericana che appartiene a tutti i popoli dal Venezuela al Polo Sud, questa storia è di tutti noi ed è il simbolo della nostra ripresa perchè dimostra che non sarà la crisi economica ad abbattere le nostre esistenze ma saremo noi ad abbattere la crisi economica attraverso l'applicazione della cultura del nostro territorio, del nostro folclore, delle nostre tradizioni, che servano per pungolare i ceti più abbienti affinchè provvedano ad occuparsi dei ceti più bisognosi per riprenderci insieme. Questa storia è il simbolo della nostra ripresa ed è la nostra risposta al Fondo Monetario Internazionale. 
Questa soluzione salomonica piacque a tutti. 
La storia è diventata poi un fumetto, un cartone, ed è finita nei nuovi libri per le scuole elementari di tutto il continente con la dizione "un'antica storia del passato sudamericano per il futuro del Sud America".
Ecco il contenuto della storia:

"Una coppia sta facendo una passeggiata sulla spiaggia, in una giornata tiepida con un forte sole e senza vento. Fino al giorno prima c'èra stata tempesta e ampie mareggiate. La spiaggia oceanica è costellata di stelle marine che le onde potenti hanno vomitato sulla battigia. La donna prende a un certo punto una stella marina e la ributta in acqua. L'uomo le chiede: "che cosa fai?". E lei risponde: "E' un animale vivo, anche se invertebrato è pur sempre un animale, fuori dall'acqua sopravvive per almeno due giorni, è ancora vivo. Se ne muoiono tante si spezza l'equilibrio armonico della natura". L'uomo non dice nulla. Proseguono nella loro passeggiata e ogni tanto lei ne sceglie una e va a rimetterla nell'acqua. A un certo punto, l'uomo le dice: "Tu sei matta! Non penserai mica di produrre una qualche differenza per il fatto che rimetti in acqua qualche stella marina! Che differenza fa?".
Lei lo guarda e gli dice: "Prova a chiederglielo a quelle stelle marine se fa o non fa differenza!".

Fine della storia.

Questo antico racconto della civiltà Inca è diventato in Sud America il nuovo mantra della società post-Maya basata su un nuovo comportamento collettivo di solidarietà che privilegia le esistenze ai numeri, che ricorda l'unicità della vita delle persone rispetto ai grandi numeri della matematica e della statistica usati dagli economisti.

Questa mattina, alle ore 10, l'organizzazione internazionale "Save the children" ha sconvolto l'audience mondiale comunicando che nella Repubblica Italiana esistono 1 milione di minorenni che vivono in uno stato di povertà assoluta e non hanno da mangiare. A questo,  si è aggiunta la notizia che negli ultimi 20 mesi, in Italia, si sono creati circa 5 milioni di nuovi poveri. Sono nostri concittadini.
Sono le stelle marine che la potente onda iper-liberista ha gettato sulla spiaggia della nostra esistenza sociale.

Invece di perdere tempo ad ascoltare ricette economiche, cerchiamo di cominciare a modificare il nostro comportamento interiore per attuare quella necessaria rivoluzione culturale senza la quale non avverrà mai nulla.

Ciascuno a modo proprio, a seconda del proprio gusto, fantasia, creatività e possibilità, dovrebbe prendere una stella marina e ributtarla nell'oceano, seguendo la storiella Inca.

Come farlo?

Non ne ho idea.

A ciascuno il suo.

A questo serve la creatività esistenziale quando è accompagnata da un sentimento autentico di solidarietà sociale.

Questo vuol dire vivere nel post-Maya.

L'infelicità sciapa è figlia della mancanza di cultura sposata al cinismo individualista del narcisismo della visibilità.

Io non voglio vivere in un paese fatto così.








17 commenti:

  1. c'è poco da dire ... ma tanto da fare : domattina si comincia . grazie !

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  2. E' naturale che in un paese cosi' descritto non ci si voglia vivere.
    Eppure ci si vive. Anzi qualcuno ci vive molto bene. Certo i grandi ricchi non sono ne' gli Olivetti ne' i Pirelli e dei intellettuali, registi, artisti di un tempo si sa semplicemente che esistettero.
    La nuova cultura e' la rimozione della realta' quando non il suo
    travisamento. E' straordinario sapere che in un paese cosi' ricco
    vi sono qualche milione di poveri, qualche bambino mal nutrito, qualche milione di analfabeti. Prima non si sapeva. Si sapeva solo
    che il 40% del Welfare andava ai ricchi, che tutti gli anni spesi a scuola erano l'anticamera della disoccupazione, che il paese del miracolo non era piu' diviso in classi ma in miriadi di settori che si erano o non si erano garantiti la piccola fetta di sicurezza. Ma tutto cio' era avvenuto il giorno in cui cambiammo moneta. Se un liceale non sapeva chi era Baudelaire non era un problema fin tanto
    che l'obbligo era imparare a non leggere. Meno ne sai meglio e'.
    Come facevi ad inserirti se sapevi qualcosa. Dovevi leggere, vedere,
    sentire quello che tutti gli altri leggevano, sentivano se no vivevi
    in un'altro mondo. Se il tuo sguardo si distanziava solo un'attimo
    l'appartenenza subiva una certa mutazione che tutti avrebbero notato.
    Appartenere e apparire non c'erano altre scelte. Ma era bello, perche' non ammetterlo. In fondo questo grande desiderio di tornare a la vecchia Lira e' semplicemente il sogno di tornare ai vecchi tempi.
    Quei vecchi tempi prima che il mostro nascesse. Peccato che quei vecchi tempi, quei tempi in cui si prese la strada sbagliata sono quelli che hanno creato il mostro.

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    1. Magari fosse come lei sostiene, sarebbe davvero bellissimo, e soprattutto molto facile da risolvere. Purtroppo, non è così. Lei vive nell'illusione fomentata da chiacchieroni abili e demagoghi che -era il tema principale di questo post- hanno fatto credere alle persone che A) la crisi è economica, B) che è tutta "colpa dell'euro", caratteristica italiana nel non assumersi mai responsabilità proprie adducendo la colpa a un estraneo, uno straniero, una forza nascosta, clandestina, che non si sa mai bene chi sia come opera dove si nasconde. Che siano i fascisti, le brigate rosse, la massoneria, poco importa, sono tutte entità interscambiabili. L'Italia, il giorno prima di entrare nell'euro era identica al 100% a come è oggi. Il problema sta proprio qui: vi hanno convinto a rileggere il passato proprio come nel libro di George Orwell. Il paese è immobile, stagnante e paralizzato, come lo era nel 2000. Ma così come "la colpa" non è dell'euro, così l'euro "non era il miracolo". L'Italia è rimasta al palo. Meglio prendersela con Goldman Sachs (entità astratta e mutlifacciale) piuttosto che avere l'entusiasmo, la grinta, il coraggio, di andarsela a prendere con il proprio capo-ufficio o ancora meglio con il proprio compagno di percorso quando si capisce e si sa che non si sta comportando bene. Se il paese ha promosso i ladri, i mascalzoni, i farabutti e ha elevato la corruttela e l'analfabetismo a Sistema Italia non è colpa di nessuna moneta e di nessuna teoria economica. L'euro, così come è, non funziona perchè non prende in considerazione le persone, le etnie, le diversità dei sistemi e delle persone che compongono quei sistemi, quindi è "al di fuori della realtà". Un paese che ha una classe dirigente e imprenditoriale composta per lo più da furbi corrotti e disonesti come l'Italia, non può che andare a sbattere, prima o poi. Se ci fosse stata una classe politica dirigente di stampo diverso, senza neppure dircelo o alzare tanta polvere, sarebbero già andati sei anni fa a Bruxelles a prendere a schiaffi chi di dovere, perchè ce lo potevamo ancora permettere. Ma quando si sa di essere in torto perchè si ha molto da nascondere, si preferisce non andare a dar fastidio ai cani che dormono. E' il crollo dei Valori di riferimento che ha causato, provocato e determinato l'attuale sfacelo. Letta fa ridere i polli quando sostiene "non farò precipitare l'Italia nel caos" è ridicolo e patetico. l'Italia è già nel caos e da molti anni. Ma non era ufficiale. Non era mainstream. Non era evidente. A questo servivano le mutandine di Belen Rodriguez, a coagulare l'attenzione delle persone. Adesso, invece, la gente scopre l'acqua calda e anche l'ombrello. E' stato il trionfo degli eletti del M5s: nella loro fresca ingenuità e innocenza (compresi anche gli aspetti negativi) hanno scoperchiato il vaso di Pandora semplicemente raccontando ciò che accadeva da diversi decenni, denudando il sistema, mostrandolo a tutti. Basta leggere i dati pubblicati da Prima Comunicazione: nel 2013 ancora record di vendite e di lettura per il settimanale "Chi", secondo "Sorrisi e Canzoni Tv". I banchieri fanno ciò che vogliono perchè la gente se ne frega di sapere come stanno le cose, e quindi chi gestisce l'euro (i tedeschi) ne approfittano a loro vantaggio. Se la gente si sveglia e si evolve andando oltre "l'italianità" consueta, la BCE sarà obbligata -ripeto: obbligata- a fare i conti con l'Italia e accettare le condizioni che il nostro paese detta.

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  3. Leggere per capire. Capire cosa? L'altro! C'è sempre un senso nell'altro, capirlo è afferrare un aspetto della realtà, della verità.
    Non ho nessuna simpatia e credo pochissima affinità intellettuale con il movimento dei Talebani. Un giorno fucilarono le televisioni in piazza, pensai "che follia!". Senza esprimere giudizi, oggi quando ci ripenso non ne sono più tanto sicuro. Paolo Federico

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    1. Senza scomodare i talebani che sono troppo lontani dalla nostra cultura, basterebbe comprendere ciò che ha fatto Rafael Correa, presidente dell'Ecuador, quando ha preso il potere. E' stato accusato di essere un dittatore perchè ha chiuso tre televisioni private e ha fatto arrestare i proprietari sotto l'accusa di "corruzione e crimini contro l'umanità per aver mentito intenzionalmente alla popolazione rubando danaro pubblico". Sono trascorsi 5 anni: stanno ancora in galera. Erano otto miliardari potentissimi. Oggi l'Ecuador (una nazione piccolissima) vive la sua meritata primavera. Se la sono guadagnata.

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    2. Vede però, a un presidente rivoluzionario ne può seguire un altro restauratore, ma se ciascuno addestra la propria mente a "capire", magari guardando le cose alla rovescia, magari anche dal buco del culo, io credo non ci sarà più bisogno di attendere qualcuno che faccia giustizia. Paolo Federico

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  4. Un popolo che si perde nella storia. Come gli individui che giungono alla fine della loro vita, così anche i popoli prima di morire si estraniano dal loro mondo e non hanno più sogni, ma solo sbiaditi ricordi. Nella nostra terra sono scomparsi in questo modo molti popoli, gli etruschi erano tra i più famosi. Penso che siamo ad un nuovo punto di svolta, vedremo e subiremo la scomparsa di questa non nazione. E nessuno ne uscirà indenne...

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    1. Sono d'accordo. In Sud America questo travaglio è avvenuto dieci anni fa e la tempesta è durata cinque anni. E' quello che io chiamo "la vita nel post-Maya", quella che mi auguro e penso che ci attende quando questo sistema putrescente sarà imploso. E' soltanto una questione di mesi, ormai.

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  5. Molto interessante, ma sono in profondo dissacordo sulla questione euro. Se lo stato vuole attuare una politica di redistribuzione della ricchezza ha bisogno anche di una valuta nazionale, per far ripartire l'economia. Sia in termini di svalutazione competitiva che di politiche economiche nazionali.

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    1. Non c'entra nulla e non è affatto così, questa è una storiella demagogica. Basterebbe che la politica economica fosse fondata sulle istanze della società civile tenendo le briglie della finanza e non al contrario come sta accadendo oggi. Non è una teoria monetaria che cambia una società. E' una società diversa che adatta le teorie monetarie ai propri bisogni, esattamente l'opposto.

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    2. Come fa una società civile a imprimere alla politica economica le proprie istanze in modo unitario e coerente, se la politica economica e la moneta sono condivise da 17 stati? Crede davvero che 17 popoli europei possano coordinarsi e intervenire a livello europeo per raggiungere questo scopo? Io credo che ci siano 17 diversi interessi nazionali, come anche culture diverse, lingue diverse, popoli diversi, la cui conciliazione è impossibile. La collaborazione a livello europeo è possibile e anzi auspicabile, ma non vedo come il mantenimento della moneta unica possa favorire la causa della redistribuzione della ricchezza e della giustizia sociale. Il nostro Paese sopratutto nei suoi ceti più bassi (come in tutti i paesi periferici) è stato danneggiato dalla moneta unica, su questo non credo ci siano dubbi, data l'imponenza delle evidenze empiriche e il peso delle tesi di molti economisti internazionali ai massimi livelli. Non mi sembrano proprio storielle demagogiche. Proprio sostenere l'euro ora che l'imperatore è visibilmente nudo mi sembra pura demagogia.

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    3. È chiaro che l'euro non è il solo problema. Sono ben conscio di quello che dice sui problemi dell'Italia, e sono d'accordo. Uscire dall'euro non sarà la soluzione di tutti i problemi. Ma del resto: "Se non sei parte della soluzione, allora sei parte del problema." L'euro è un peso e un problema per la nostra nazione. Su questo, ripeto, credo che l'evidenza empirica non lasci alcun dubbio. Non è un non prendersi le proprie responsabilità. È una verità palese: l'euro è un'ulteriore e gravoso problema.

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    4. come già scrissi qualche settimana fa mi ripeto...caro Sergio dovrebbe informarsi un po meglio con la voglia di capire e senza ideologia di fondo (che ormai è evidente è ben radicata in lei) prima di parlare di economia e moneta

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  6. Caro Sergio, ti do ragione al 100%. E' ormai davvero evidente ciò che dici... i segnali di impoverimento culturale di questa nazione sono ovunque ci si giri... io passeggio per il mio paese (50000 abitanti) e vedo molta fatiscenza, case appena costruite di una bruttezza imbarazzante... nel mio paese non c'è un cinema, non c'è una biblioteca e nelle persone non noto curiosità alcuna, ma apatia e, nel peggiore dei casi, un entusiasmo nei confronti di quelli che sono ormai diventati dei modelli di riferimento davvero inquietanti (e qui mi fermo, perchè si potrebbe scrivere un trattato al riguardo). Hai ragione nel sostenere che il cambio di passo deve essere culturale e che anche gli investimenti dovrebbero andare in quella direzione per poter far ripartire il paese, ma ancor di più le menti e le coscienze di noi cittadini. Tuttavia io non sottovaluterei neanche il fatto che per ridistribuire ricchezze ci vorrebbe un cambiamento di passo anche nella legislatura, che dovrebbe essere più equa e sensibile nei confronti di quella enorme fetta di popolazione che si trova in una situazione di indigenza. Per esempio, qualche tempo fa ascoltavo in tivvù le parole di una donna disperata perchè il marito si era tolto la vita, oberato dai debiti, e la moglie vedova avrebbe dovuto accollarsi tutti i debiti contratti dal marito scomparso... inutile dire che la donna era davvero a pezzi, ma al contempo ferma nel comunicare alle istituzioni che non era sua intenzione seguire le sorti del marito. Il governo dovrebbe intervenire effettivamente per risolvere questo tipo di problemi, e non continuare a fare insulsi reclami, che aggiungono rabbia alle preoccupazioni che noi abbiamo già (ma, ovviamente, io non credo a questo governo, come a quelli che lo hanno preceduto). E non sottovaluterei neanche il fatto che qualcosa debba essere anche fatto in sede europea, poichè questo modello di Europa sta generando mostri... euro o non euro il sistema Europa non funziona, e non credo sia un caso che l'enorme inasprimento della nostra preoccupante condizione sia partito da lì.
    Ma ci tengo ancora a dirti che hai centrato un argomento sensibile e delicato, poichè il nostro benessere dipende soprattutto dal nostro grado di civiltà e cultura.
    Complimenti per il tempo che dedichi a questo tuo lavoro, e per la qualità dei tuoi articoli.
    Massimo

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  7. Storiella fantastica, non siamo abituati alla semplicità dei racconti e francamente mi aspettavo una trama più complicata, sono rimasto sorpreso dalla felicità e dall'importanza della vita trasmessi da questa storia... dobbiamo far circolare di più queste idee.
    In ogni caso voglio dire la mia anche sull'euro e capisco il tuo punto di vista che è giusto, ma ritengo corretto ragionare sul miglior scenario possibile in questo momento.. Quindi giustifico le opinioni di chi crede che uscire dall'euro o trovare delle alternative sia sensato, perchè il tuo ragionamento è corretto però nel momento in cui la popolazione riuscirà a vivere come tu hai descritto, effettivamente non ci sarà nessun sistema politico, economico, tecnico che potrà arginare la forza con cui esprimeranno se stessi.
    P.S. spero Fabio Volo non sia un tuo lettore perchè ce l'hai sempre con lui :-)))))

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  8. Mah, non saprei...non credo sia tutta colpa degli italiani, io credo invece che tutto questo sia la normale conclusione di un progetto ben congegnato.
    Gli esseri viventi il cui ruolo sulla terra è il semplice vivere, sono stati manipolati e strumentalizzati per gli interessi egoistici degli esseri umani...bene!...la stessa cosa avviene fra esseri umani. Il problema non è esclusivamente italiano, ma mondiale. Un copione che si ripete da sempre con diversa strategia.
    Maryta

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