di Sergio Di Cori Modigliani
Ieri pomeriggio, a Los Angeles, in California, si è svolta l'edizione 2015 dei Golden Globe awards, il premio della critica cinematografica internazionale; di fatto, il riconoscimento più ambito da ogni cineasta. L'Oscar, infatti, appartiene alla sezione spettacolare-commerciale-gossip-moda-consumo-colonialismo-business, che è un'altra cosa.
Chi conosce e segue i meccanismi della più importante industria cinematografica del pianeta, e madre (nobile o ignobile, a seconda dei casi e degli anni) della costruzione dell'immaginario collettivo, sa bene quale possa essere l'impatto della scelta compiuta dalla giuria su tutti noi.
Ha stravinto -contrariamente alle aspettative- Richard Linklater, un regista cinquantacinquenne che proviene dal cinema indipendente (vero), noto per la casualità biologica di dimostrarne venticinque.
"E' il trionfo del fattore umano" ha dichiarato Steven Spielberg.
Gli hanno fatto coro Steven Soderbergh, Robert Redford, Michael Douglas, George Clooney, Dustin Hoffman, Al Pacino, la vecchia guardia di Hollywood che fortemente crede nel riuscire a coniugare la creatività e le sue necessità spettacolari ad un discorso di contenuto solido e profondo relativo alla grande epopea dell'essere umano sul pianeta.
Un premio speciale per la sua attività nel campo della lotta per i diritti civili è stato assegnato, alla carriera, a Geroge Clooney.
Mentre i combattenti militanti brindavano, i mercanti cultori del cinema ad effetti speciali e di quello piatto di largo consumo, hanno preso atto del nuovo trend lanciato da Hollywood, ammettendo che si tratta di una svolta inattesa.
Essendo mercanti pragmatici, in poche ore si adatteranno alle nuove necessità del mercato, infatti il decano dell'associazione sceneggiatori professionisti di Hollywood ha dichiarato che "stiamo già ricevendo richieste di film in cui l'ossatura principale sia un copione con i fiocchi che abbia al centro la narrazione esistenziale di persone vere in un mondo vero".
Linklater è un cineasta di grande spessore, con quasi quaranta anni di esperienza alle spalle e la indomita grinta di un autentico texano. Non ha mai accettato i compromessi con le esigenze politico-commerciali di Hollywood ritagliandosi un piccolo spazio personale, ad uso e consumo di un ristretto pubblico formato da persone che amano il cinema e sono di palato difficile, in quanto attenti cinefili. Ha messo in piedi, ad Austin in Texas, un festival internazionale del cinema indipendente che in Usa si sta rivelando una vera e propria fucina di nuovi potenziali talenti.
Il film che ha vinto, "Boyhood" (distribuito in Italia nell'ottobre del 2014 ma non credo che lo abbiano visto in molti e forse non è stato neppure recensito) ha una particolarità unica che lo accosta a esperimenti linguistici della nouvelle vague francese degli anni'60.
Tutto è iniziato dopo una conferenza stampa che il regista aveva indetto il 10 maggio del 2002, a Hollywood, tra i sorrisi diffidenti dei professionisti mainstream e la severa perplessità della critica più attenta e rigorosa. In quell'occasione aveva annunciato che nel corso dell'estate avrebbe iniziato a fare un film la cui lavorazione sarebbe durata ben 12 anni. Gli attori coinvolti avevano accettato la curiosa sfida. E così è stato.
Da quell'estate, ogni anno per trentacinque giorni, la stessa identica troupe si è ritrovata per le riprese, fino al 16 agosto del 2014 quando il film è stato considerato concluso.
E' la storia di un ragazzino, figlio di una coppia di divorziati, seguito nell'arco di dodici anni. Narra il suo sviluppo, i suoi cambiamenti, i suoi turbamenti, le sue scelte.
L'attore protagonista, all'inizio del film, aveva 7 anni, oggi ne ha diciannove.
Nel film si vede lui crescere e i genitori invecchiare.
Si assiste al tramonto di alcune mode e all'insorgere di altre.
E' un'operazione di gran classe.
Ma operazioni di questo genere possono essere fatte soltanto da chi ha una visione d'insieme molto ampia, da chi è in grado di saper pescare nel mondo della imprenditorialità e da chi fa imprenditoria di qualità. L'operazione è stata finanziata da un gruppo di cinque imprenditori che hanno accettato -come sfida- l'idea di attendere 12 anni prima di controllare il successo o il fallimento del loro investimento.
Mi sembra un'ottima notizia per tutti noi.
Soprattutto il segnale, e la prova pratica, della via che dobbiamo intraprendere per poter dare tutti insieme un contributo ad alzare il livello intellettuale dell'umanità occidentale, in questi ultimi dodici anni precipitato ai livelli più bassi del suo annunciato declino.
Il cinema è ancora vivo.
Quello vero, si intende.
E da Hollywood arriva l'annuncio che il vento comincia a spirare da un'altra parte.
Benvenuto!
E' stata una vera scommessa vincente!
RispondiEliminaconsiglio vivamente la visione del film WAKING LIFE di Linklater
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