“L'Italia ce l'ha fatta da sola e ce la fa da sola, ed è per questo che ora può chiedere con forza una svolta dell'Europa sulla crescita. Il mio paese è uscito dalla recessione, la crescita si sta verificando in tutti i settori, e la ripresa finalmente è arrivata. Nel mio paese si sta diffondendo una vera ondata di rinnovato ottimismo nel futuro”.
Enrico Letta, Lipsia. 15 novembre 2013 ore 16,30.
di Sergio Di Cori Modigliani
Ci hanno rubato il sud d'Europa.
Ma non si tratta della consueta argomentazione meridionalista.
E' ben altro, e soprattutto è ben peggiore di così.
Gli autori del furto criminale si chiamano PAC, e si trovano a Bruxelles.
PAC è un acronimo. Sta per Politiche Agricole della Comunità europea.
Disegna, progetta, e poi programma, stabilisce, sancisce, l'applicazione dei parametri che regolano il ciclo produttivo, distributivo, di consumo, dell'intera produzione agricola europea.
Non è una notizia nuova che a Bruxelles favoriscano le forti economie del nord a danno di quelle del sud; ma i tedeschi e i finlandesi possono sempre permettersi il lusso di sostenere "peggio per voi che sia a Strasburgo che a Bruxelles non avete fatto nulla per salvaguardare e sostenere la vostra agricoltura, che cosa pretendete da noi?".
Il fatto è che hanno ragione, e questa è una notizia di cui non si parla mai.
Perchè la maggior parte dei deputati europei (circoscrizione Italia) non vanno neppure alle riunioni, non partecipano, non elaborano, non discutono, non difendono l'Italia.
Non esistono. Se non sulla carta.
In compenso stanno sempre alla tivvù.
L'assenteismo (nello specifico campo delle politiche agricole) dei 76 deputati italiani al parlamento europeo, nell'ultimo biennio ha raggiunto la quota dell'88%.
Quindi, prima ancora di sostenere (il che sarebbe corretto) che Bruxelles e Strasburgo si inchinano servilmente ai dettami di Berlino, bisogna ricordare agli elettori che la responsabilità totale -nonchè criminale- grava sulle spalle del popolo italiano: avete votato per la Lega Nord, per il PD, per il PDL, solo e soltanto perchè li avevate visti a Ballarò o da Santoro?
Questi sono i risultati.
Fine della premessa sulla nostra classe dirigente politica.
Veniamo al sud.
Se ne parla, poco o nulla. Perchè, quando viene fatto, è sempre in termini generici, retorici.
Da sempre, l'intero meridione italiano (Sicilia, Calabria, Puglia, Campania, Basilicata) era stato all'avanguardia nella produzione di prodotti agricoli, creando ricchezza rimanendo posizionato nel territorio, dando lavoro e occupazione, contribuendo all'innalzamento del pil.
Tutto ciò non esiste più.
Ma non spiegano perchè, come è avvenuto, e soprattutto ciò che ha provocato.
Io, ad esempio, non sapevo che la pasta (alimento di base dell'alimentazione del nostro paese) non è più fatto con grano italiano, bensì con quello russo. Il risultato è stato il crollo dei prezzi di vendita dei cereali nostrani. Così come i polli sono quelli vietnamiti, i pomodori sono brasiliani, perfino i sottaceti in conserva non sono più italiani, bensì spagnoli.
E via dicendo.
Che cosa hanno fatto gli agricoltori meridionali?
Hanno gettato la spugna e se ne sono fregati?
Nient'affatto.
Si sono guardati in giro, si sono incontrati, si sono parlati, si sono organizzati, per combattere e lottare nel tentativo di sostenere una diversa politica europea agricola a sostegno dell'imprenditoria territoriale meridionale.
Ma nessuno parla di loro.
Mai.
Tre anni fa, il più importante produttore di olive della Puglia, Angelo Guarini, originario del Salento, ha lanciato, insieme ad altri, un'iniziativa che ha avuto successo, e ha messo in piedi un gigantesco consorzio che oggi conta migliaia di imprenditori che hanno aderito all'iniziativa.
Si chiama FIMA PAC.
Sta per Federazione Italiana Movimenti Agricoli per una nuova Politica Agricola Europea.
Il punto sta nell'affermazione mediatica.
Se non parlano di te, se non diffondono le tue idee, se la gente non ti vede, non ti ascolta, non ti fanno parlare, è come se non esistessi.
Il suo portavoce e attuale rappresentante, Saverio de Bonis, un mese fa, è riuscito a farsi ricevere ufficialmente dall'apposita commissione agricoltura della Camera dei Deputati, dove ha presentato un rapporto-denuncia sullo stato dell'agricoltura nel meridione, chiedendo l'immediato intervento delle forze politiche e del governo. E' stato ricevuto e ascoltato dall'onorevole Paolo Cova (PD) presidente della XIII Commissione, il quale -in teoria- avrebbe dovuto inviare al Ministero per le Politiche Agricole il contenuto di tale incontro ufficiale e in seguito farsi latore presso il governo perchè si aprisse un tavolo di concertazione e discussione sul problema.
La stampa non ha parlato neppure dell'incontro.
La televisione non ha mostrato neppure un fotogramma.
Sul web è comparso soltanto un articolo su un quotidiano on line siciliano che ha annunciato l'evento (http://www.linksicilia.it/2013/10/chi-ha-ucciso-lagricoltura-meridionale-) con il seguente titolo:
Chi ha ucciso l’agricoltura meridionale? Chiuse 224mila aziende cerealicole, la pasta si fa col grano estero.
Così inizia l'articolo: Paradossi d’Italia: nel Paese della pasta, la pasta si fa con il grano che arriva dall’estero. Il Sud Italia, una volta granaio d’Italia, è rimasto falcidiato da una Politica agricola europea (Pac) miope e schierata a favore di Nazioni come Francia e Germania. Le lobby industriali, alimentano le speculazioni, fanno cartello, acquistano dall’estero a prescindere dalla qualità e dai controlli fito-sanitari. Il risultato è che il prodotto più famoso della cucina italiano, ha ben poco di italiano. E che negli ultimi 10 anni, nel Sud Italia hanno chiusi i battenti 224mila aziende cerealicole.
La denuncia arriva direttamente in Commissione agricoltura della Camera dei Deputati. A mettere nero su bianco le cifre della ‘strage’ è stato Saverio De Bonis, coordinatore della Fima, Federazione Italiana Movimenti Agricoli, che ha invocato interventi radicali per modificare la Pac.
Fa parte delle bugie del governo, ormai all'ordine del giorno. Basti pensare che la didascalia che avete letto sopra in bacheca, sotto le immagini, ha retto 17 ore, il tempo medio di durata delle esternazioni governative prima che vengano sbugiardate. Alle 9 di questa mattina, infatti, è arrivata sonora la bocciatura ufficiale da parte di Bruxelles della Legge di stabilità (un parto da professionisti della mitomania) che ha lanciato l'allarme sullo stato disastroso della nostra Repubblica. Sia Letta che Saccomanni hanno negato e minimizzato.
Ma la Confindustria, una volta tanto, ha tenuto duro.
Dice (e scrive) infatti Vittorio Da Rold su Il sole24 ore:
IL GIUDIZIO DELLA COMMISSIONE
Bruxelles «boccia» la Legge di stabilità: Italia a rischio sforamento sul deficit -Saccomanni: nessuna bocciatura, correzioni già previste - In bilico investimenti per 4,8 miliardi
http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2013-11-15/bruxelles-boccia-legge-stabilita-italia
Il Ministro dell'economia ha definito tale articolo "populismo in salsa elettorale".
No comment.
Qui di seguito, riporto per intero, il dispaccio ufficiale emesso dall'ufficio stampa della FIMA, a firma Paolo Rubino, in data 8 ottobre 2013. Che io sappia nessun organo di stampa mainstream ha riportato neppure la notizia.
Racconta l'incontro, spiega le loro motivazioni, ciò che sta accadendo, qual è l'autentica situazione dell'agricoltura nel meridione italiano.
Penso che sia doveroso informarsi su questo aspetto fondamentale del nostro territorio e coinvolgere la FIMA in un dibattito sui temi in questione.
Visto che l'intera classe dirigente politica italiana ha scelto e preferito di servire gli interessi della Russia, della Germania e della Francia a danno e scapito della nostra economia nazionale, con brutale miopia e senso massimo di irresponsabilità suicida, spetta alla cittadinanza consapevole diffondere le informazioni e costruire dei nodi e dei legami con chi, nel territorio, ci vive e ci lavora. Un tempo avremmo anche potuto aggiungere "e lì prospera".
COMUNICATO UFFICIALE DELLA FIMA per la cittadinanza.
"La XIII Commissione agricoltura della Camera, presieduta dall’ On. Paolo Cova, ha ascoltato l’ 8 ottobre in audizione la Fima, Federazione Italiana Movimenti Agricoli, su Pac e problematiche del grano duro.
Alla presenza di numerosi deputati, è intervenuto il coordinatore nazionale Fima Saverio De Bonis che ha illustrato il parere della Federazione sulla nuova Pac e si è soffermato sugli annosi problemi del grano duro italiano, consegnando due documenti alla Commissione.
“Gli agricoltori – dichiara il coordinatore Fima – vogliono una Pac che premi chi produce e vive di sola agricoltura. Per questo, adesso che l’ Italia deve declinare adeguatamente la riforma in ambito nazionale e le risorse si sono assottigliate, occorre mirare gli aiuti per recuperare la forte perdita di reddito subita dagli agricoltori italiani rispetto ai colleghi europei che ha costretto alla chiusura migliaia di aziende agricole”.
“A tal proposito – aggiunge – sarà decisivo il modo in cui verrà definita la figura dell’ agricoltore attivo e la velocità di erogazione degli aiuti affinché la nuova riforma ci avvicini all’ Europa e non ci separi”.
Sulla vicenda del grano, “per contrastare l’ ennesima speculazione in atto – evidenzia De Bonis – è tempo di attuare il divieto di vendita sottocosto delle materie prime agricole previsto dall’ art 62. La norma c’è ma non si applica”. Inoltre – sottolinea – i regolamenti delle attuali borse merci sono datate di un secolo ed in contrasto con la normativa europea antitrust. Affinché i mercati possano funzionare meglio occorre prima di tutto garantire una buona informazione, la trasparenza e la neutralità dei commissari, attraverso una commissione unica nazionale. E’ pertanto necessario – aggiunge – rivedere l’ intero sistema delle Borse merci nazionali, sempre più maschere di meccanismi di cartello a danno dei produttori e consumatori. Servono, però, regole cogenti di funzionamento emanate dallo Stato, per evitare che le lobby le annacquino, come già accade in altre filiere”.
“Le regioni del Sud – fa notare – una volta erano il granaio dell’ Europa con in testa la Sicilia, Puglia e Basilicata. Oggi, prezzi di vendita al ribasso e svalutati rispetto a venti anni fa, costi di produzione in progressivo aumento, mercati poco trasparenti, oppressione fiscale e stretta creditizia, scarsa tutela sindacale e assenza di controlli sui prodotti alimentari, definiscono un quadro molto grave della situazione agricola del Paese e, in particolare, della cerealicoltura del mezzogiorno. Solo in queste regioni in dieci anni hanno chiuso 224 mila aziende, di cui nessuno parla”.
“Per avere un’ idea della perdita del nostro potere d’ acquisto – spiega De Bonis – all’epoca con 80 qli di grano si poteva comprare un piccolo trattore, oggi si possono comprare solo i pneumatici! I fornai, al contrario, da un quintale di grano duro che costa 25 euro ottengono un quintale di pane da cui ricavano almeno 250 euro al sud! Un valore aggiunto che si decuplica in maniera spropositata grazie agli egoismi della filiera. Basterebbe dividere in tre parti tale valore (1/3 a chi produce la materia prima, 1/3 a chi la trasforma e 1/3 a chi la distribuisce) e agli agricoltori arriverebbero 80 euro a quintale. La filiera così raggiungerebbe velocemente il riequilibrio dei redditi”.
In una piccola regione come la Basilicata, al terzo posto come produttore di grano duro, negli ultimi dieci anni si è quasi dimezzato il numero delle aziende agricole (erano 81.922 nel 2000, sono calate a 51.756 nel 2010 (-26,8%) e si è ridotta la superficie (la Sau è passata da 537.695 ettari nel 2000 a 519.127 ettari nel 2010 (-3,4%).
In Puglia e in Sicilia sono invece aumentate le superfici (Puglia: 1.247.577 ettari nel 2000 e 1.285.289 nel 2010 (+2,9%); Sicilia: 1.279.706 nel 2000 e 1.387.520 nel 2010 (+7,7%), ma sono diminuite le aziende (in Puglia erano 336.694 nel 2000, sono calate a 271.754 nel 2010 (-19,2%); in Sicilia erano 349.036 nel 2000, sono calate a 219.677 nel 2010 (-37%).
“Questo tsunami – evidenzia il coordinatore – che ha distrutto migliaia di aziende e posti di lavoro, in assenza di una politica agricola efficace, si è verificato in regioni che dispongono di un giacimento d’ oro per il Paese rappresentato da un grano che oltre ad essere buono è anche salubre. In alcune regioni, dove è scarsamente valorizzato, potrebbe valere più del petrolio! Con una differenza: il petrolio inquina, il grano buono disintossica!”
Già, perché la battaglia del grano è una battaglia per la vita? Una battaglia che non si vince salvaguardando solo l’uso delle sementi certificate o sospendendo le quotazioni. “Il raccolto 2013 pur proveniente da sementi certificate – dichiara – ha subito un repentino calo delle quotazioni già alla raccolta, mentre oggi addirittura siamo quasi al crollo: 24 euro in Puglia e Basilicata e 22 euro in Sicilia, a fronte di un costo di produzione superiore a 30 euro! Gli agricoltori temono perciò una nuova bolla.“
Questa battaglia, al contrario, si vince con l’ informazione. A distanza di molti mesi dalla raccolta 2013, la produzione italiana di grano duro è, infatti, misteriosa. Secondo l’ultima rilevazione Istat la produzione italiana nel 2013 sarebbe diminuita appena di 1.1270.000 qli, mentre addirittura la superficie a duro è aumentata quasi dell’ 1% grazie a quasi centomila ettari in più del meridione!
Un risultato del tutto differente dai dati divulgati da un noto settimanale specializzato qualche settimana fa che riportava un netto calo di superfici e produzioni di grano duro in Italia 2012 vs 2013 (-17% superfici pari a -220.000 ettari, -11% produzione pari a circa -458.000 t).
“La confusione e l’incertezza – sottolinea De Bonis – sono il terreno ideale per la speculazione. E’ corretto imputare un calo di produzione nel meridione che invece non c’è stato, a fronte di un aumento di 2,7 milioni di quintali? E non evidenziare il calo che si stà registrando nel Centro-Nord per circa 3,9 milioni di quintali? Questo fenomeno occultato potrebbe forse dipendere dalla salubrità del grano ovvero dalla presenza di micotossine e dalla crescente consapevolezza dei consumatori? “
Il dubbio è che qualcuno potrebbe avere interesse a far si che la disponibilità teorica di grano duro buono al Sud appaia ridotta, per giustificare le importazioni, mentre i dati dimostrano che la produzione di qualità cresce e sottrae quote di mercato alla produzione più scadente sotto il profilo sanitario.
E se si è prodotto molto grano duro di qualità in Italia nel 2013 perché ne stiamo importando a manetta dall’estero? Solo una indagine approfondita dell’ antitrust e dell’ antifrode può contrastare la BOLLA SPECULATIVA IN ATTO. Non dimentichiamo che gli industriali sono già stati ‘multati’ una volta dall’ antitrust per aver fatto cartello sui prezzi della pasta!
“In realtà – evidenzia De Bonis – potremmo essere di fronte ad un uso strategico della leva import-export per controllare i prezzi sul mercato nazionale del grano buono attraverso l’ importazione di quello cattivo. L’ alibi è quella della globalizzazione secondo cui l’ Europa può diventare pattumiera delle materie prime che all’ estero non sono commestibili nemmeno per gli animali”.
L’ arrivo in Europa di materie prime di pessima qualità, danneggia la salute pubblica, la bilancia commerciale e avvantaggia solo i profitti dell’ industria di trasformazione, che continua ad affermare strumentalmente che: (i) il grano italiano è insufficiente a soddisfare i nostri fabbisogni e manca la capacità di stoccaggio, nonostante le misure del Piano cerealicolo nazionale; (ii) il grano straniero è migliore perché è un grano di forza (più proteico) che gli agricoltori italiani non riescono a produrre per garantire la tenuta di cottura; (iii) il made in Italy stà nella ricetta e nello stile italiano con cui si fanno le cose!
“I fatti dimostrano il contrario – dichiara il coordinatore Fima – da un lato, gli agricoltori sono scoraggiati a produrre per via di comportamenti illeciti che rendono antieconomica la coltivazione, ragion per cui ci sono tantissimi silos vuoti. Basta solo censirli. Dall’ altro, hanno dimostrato che è possibile produrre pasta con grano locale. Ci sono tanti piccoli pastifici che lavorano solo semole locali e, peraltro, i consumatori stanno imparando a capire se nel pane vi sono micotossine: basta conservare una fetta di pane per quindici giorni e osservare se si formano muffe”.
E allora quali politiche adottare? L’ Italia ha spazio per recuperare 685 mila ettari che abbiamo perso in sette anni ed essere autosufficiente in quantità, qualità e salubrità!
Occorre inoltre intendersi sul significato di made in Italy e stile italiano con cui si fanno le cose, aldilà degli schermi legali e lobbistici. “E’ prioritario il know-how – evidenzia De Bonis – che genera profitto per pochi o la salute pubblica e il bilancio dello Stato a vantaggio di tutti? E la presenza dell’ uomo sul territorio non appartiene forse al costume italiano? Il vero made in Italy non è forse rispetto verso la nostra storia e cultura millenaria della pasta fatta con grani locali sin dagli Etruschi, dai Greci e dai Romani? Non è forse vero che nella “valle dei mulini” in Sicilia, all’ inizio del secondo millennio, si fabbricava una pasta, con grani siciliani, che veniva spedita in tutta l’ area del mediterraneo? O piuttosto appartiene allo stile italiano fare cartello e continuare ad adottare pubblicità ingannevoli a danno dei consumatori italiani, senza aver rispetto nemmeno per la salute dei bambini? Dobbiamo privilegiare la tecnologia che ha esasperato la raffinazione delle semole o tornare alle farine di una volta più integrali?”
La pasta è un simbolo del made in Italy e della dieta mediterranea, un pilastro della nostra alimentazione. “Tuttavia – conclude il coordinatore Fima – se nel mondo un piatto di pasta su quattro è italiano, possibile che ai consumatori italiani non debba essere consentito di poter scegliere, attraverso un marchio, una pasta fatta con il grano di qualità del proprio territorio obbligando in etichetta l’indicazione di origine della materia prima? Perché spacciare per italiana, una pasta la cui materia prima viene dall’ Arizona, dall’ Ontario o dalle Montagne Rocciose o dal territorio francese dei Galli e Celti? Chiunque è libero d’importare, ma quantomeno si vieti di utilizzare i trulli, il tricolore o le donne in abiti tipici con spighe di grano o altre immagini che evocano nella mente dei consumatori la provenienza della materia prima dall’ Italia.”
Per difendere il made in Italy e lo stile italiano autentico che è fatto di valori, la Fima ha consegnato una proposta di legge alla Commissione agricoltura della Camera dei Deputati dal titolo: “Disposizioni per lo sviluppo di grano duro a zero micotossine e di pasta ad alta salubrità prodotta in Italia” con cui si chiede la riduzione dei limiti di micotossine a livello nazionale e l’ adozione di traccianti atossici a livello nazionale e internazionale per le partite di grano che andrebbero destinate ad usi diversi da quello alimentare".
Paolo Rubino
Ufficio Stampa Fima
Ufficio Stampa Fima
Come sempre, apprezzo il lavoro che fa e la ringrazio per questo.
RispondiEliminaVorrei solo far notare che, per esempio, sulle politiche alimentari della comunita' europea si sono levate altre voci contro: Valdo Vaccaro nel suo blog (per motivi diversi dai suoi, visto che lui si occupa di nutrizione, ma non solo) denuncio' a suo tempo il peggioramento della qualita' della pasta italiana che e' in realta' prodotta con materie prime molto inferiori al nostro grano: e' imbottita di micotossine, e sembra che la pasta prodotta in America, con grano americano, e' di gran lunga migliore. Ricordo vagamente una protesta di qualche anno fa, in Friuli, mi sembra, contro le pannocchie genetiche sancite dalla comunita' europea. Per non parlare poi del fatto che gli agricoltori del Sud Italia (ed io sono orgogliosamente terrona) hanno da sempre dovuto vedersela con la mancanza di infrastrutture, nel senso che le primizie nostrane facevano fatica a competere con prodotti di qualita' inferiore nei mercati del centro Europa perche' quelli arrivavano prima e piu' freschi.
E poi, se vogliamo andare ancora piu' indietro nel tempo, perche' non parlare della produzione di ottima seta nel Sud, smantellata perche' si doveva favorire il tessile nordista e I meridionali servivano da 'cheap labourers' nelle fabbriche del Nord?
E mi fermo qui perche' sto diventando polemica. :-)
Io sono a favore del ritorno al consumo dei prodotti alimentari il cui ciclo comincia e finisce in Italia, a parte quello che si riesce ad esportare. Però una domanda mi assilla? I territori che vengono usati per l'agricoltura sono territori sani o inquinati? Viste le scoperte in merito alle discariche abusive ed alla loro ubicazione sotto terreni che vengono poi coltivati, chi mi assicura che i prodotti che finiscono sulla mia tavola sia liberi da veleni o inquinanti tossici? La prima cosa da fare sarebbe quella di mettere in salvo tutti i territori destinati all'agricoltura, bonificarli e certificare la loro buona qualità e poi riprendere il sano ciclo di produzione e consumo a casa nostra.
RispondiEliminaBrava! Mi era sfuggito: in piu', ci hanno da sempre trattati come la pattumiera d'Italia e d'Europa, vedi terra dei fuochi e navi dei veleni!
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