di Sergio Di Cori Modigliani
La diplomazia è
un’arte.
Silenziosa, clandestina, efficace.
Come suggeriva il grande Sir Bertrand Russell, imbattibile maestro di tutti
i libertari europei, « la diplomazia è l’Arte della guerra senza sparare
neppure un colpo di pistola, e risolvere i conflitti in modo tale da evitare
spargimenti di sangue innocente ; quando la diplomazia ha esaurito le
proprie cartucce allora la parola passa alla ottusità dei generali, a quel
punto perdono tutti. In guerra non vince mai nessuno, perde sempre la civiltà ».
Mentre, in un qualche modo, veniamo sempre a sapere –grazie agli storici-
come e quando la diplomazia abbia fallito, è davvero arduo (per non dire
impossibile) riuscire ad avere notizie e informazioni sulle vittorie
diplomatiche. Quelle epiche rimangono sottoscritte da anonimi funzionari
fedeli, nascoste tra gli anfratti della Storia.
Ma è possibile accorgersi dell’esistenza di « manovre
diplomatiche » che diventano interessanti perchè qualificano lo stato dei
belligeranti e meritano di destinargli dei pensieri.
Qualche mese fa, su questo blog, avevo scritto un post titolandolo
« la guerra delle due Cristine » relativo allo scontro in atto tra
Cristina Kirchner e Christine Lagarde, ritenendolo molto importante per
l’impatto che avrebbe potuto avere sull’Europa. Conoscendo piuttosto bene
entrambi i teatri avendone frequentato gli scenari, ero consapevole che
esisteva anche la possibilità –molto più realistica di quanto non immaginassero
gli europei- che si potesse trasformare in una « vera e propria guerra
militare ». A meno che, per l’appunto, la diplomazia intelligente non si
fosse inventata uno stratagemma ingegnoso.
Il post di oggi è su questo.
Tanto più, infatti, il Fondo Monetario Internazionale e l’oligarchia
planetaria insistevano nel presentare la situazione argentina come una economia
alla vigilia di un collasso micidiale (era ciò che volevano) per poterlo usare come
deterrente da presentare ai popoli europei (per la serie : lo vedete dove
si va a finire con le politiche di espansione keynesiana ?) tanto più in
Sudamerica i diversi governi avevano scelto di stare al gioco alzando il tiro e
chiarendo come la situazione sia molto cambiata da 10, 20, 30 anni fa, perchè
il neo-colonialismo europeo, inaugurato all’alba del giorno dopo in cui si
celebrava la fine del colonialismo, aveva fatto ormai il suo tempo. Questa
volta non avrebbero consentito ingerenze esterne alle scelte nazionali e
avrebbero difeso la propria sovranità a denti stretti. E così, negli ultimi 5
anni, Argentina, Brasile, Cile, Uruguay, Ecuador, Bolivia e Venezuela, hanno
applicato politiche economiche esattamente opposte a quelle europee, riuscendo
a combattere (in alcuni casi sconfiggendola) la povertà, l’analfabetismo, la
disoccupazione, la stagnazione, con risultati economico-esistenziali davvero
sorprendenti. Poichè il mondo è davvero cambiato e il web consente (se uno
vuole) diffondere notizie su altre culture e altri paesi in tempo reale, non
era più possibile far finta di niente; e così Christine Lagarde ha ingaggiato
un suo duello personale con la sua omonima argentina. Ci sono stati diversi
scontri, confronti, incontri, che hanno prodotto come unico risultato quello di
ingigantire la incompatibilità tra queste due importanti signore.
La cupola mediatica internazionale, va da sè, ci ha messo il suo bel
zampone.
Ha esaltato (e finanziato) in Argentina movimenti della società civile a
sostegno di politiche oligarchiche di rigore e austerità, prendendo a modello
l’Europa, e ha cominciato, nel consueto humus sudamericano, a soffiare sul
vento nazionalista, cominciando a chiedere a furor di popolo che la Kirchner
riaprisse il contenzioso con la Gran Bretagna sulle Isole Malvinas (in Europa
si chiamano Falkland) sperando di provocare un grandioso smacco per il governo
argentino. Se la Kirchner si fosse rifiutata di salvaguardare il diritto alla
sovranità delle isole, avrebbero potuto sostenere che era una nemica del
popolo ; nel caso opposto avesse cominciato a fare la voce grossa con la
Gran Bretagna pretendendo che gli inglesi se ne andassero di lì, sarebbe andata
incontro alla consueta catastrofe.
E invece le cose sono andate in maniera molto diversa.
Perchè il Sudamerica è completamente diverso dal 1978. E anche gli Usa e
l’Europa.
Dieci anni di fortissima e continua pressione governativa per fondare lo
Stato di Diritto, una nuova regolamentazione, una intera generazione andata
sotto regolare e legale processo, hanno consentito in Argentina una
democratizzazione delle forze armate, facendo evolvere il paese e sottraendolo
al perenne ricatto militare. In Usa, oggi, al potere ci sono Obama e la Clinton
e non Richard Nixon e Kissinger e andare a sostenere militari di destra in
sudamerica è davvero l’ultima delle idee che girano alla Casa Bianca. In Gran Bretagna non c’è la Thatcher con un
forte appoggio sia della corona che degli elettori, bensì un David Cameron
esangue, una aristocrazia lungimirante che preme per dare il potere ai
laburisti come nel 1946 (Elisabetta II ha già, di fatto, trasferito il potere
al principe Charles, perchè sta morendo di vecchiaia spegnendosi lentamente, e il
principe successore, negli ultimi tre mesi, ha già fatto due uscite pubbliche
con dichiarazioni di stima, apprezzamento e rispetto per il giovane Miliban che
guida i laburisti alla riscossa). La Gran Bretagna ha già avviato, all’interno
della società civile e politica, il pensionamento delle politiche di rigore e
di austerità iniziando la lenta (ma inarrestabile) marcia verso il ritorno a
una nuova politica keynesiana in funzione anti-tedesca.
E la diplomazia si è mossa, quindi, di conseguenza.
E così, il 3 gennaio 2013, si sono verificati due clamorosi eventi,
entrambi resi pubblici in tutto l’occidente, con esclusione della Spagna,
dell’Italia e della Grecia, le tre nazioni nelle quali le notizie non sono
state nè date, nè dibattute. La prima è relativa a una lettera che la
presidente argentina Cristina Kirchner ha inviato ufficialmente a David
Cameron, e in copia al segretario generale dell’Onu Ban Ki Moon e all’Unione
Europea a Bruxelles. La missiva (molto breve, appena ventidue righe) ha un tono
pacato, nient’affatto minaccioso e molto rispettoso della Gran Bretagna. Si
appella al Diritto Internazionale e ricorda che « il colonialismo
politico- territoriale iniziato 180 anni fa in Argentina, oggi non esiste più,
sostituito dalla nuova normativa dell’Onu alla quale il paese fa riferimento
come stato membro » chiedendo che vengano rispettate le procedure. Fuori
dalla lettera, ma diffuso presso tutte le diplomazie del mondo, è stato reso
noto un sondaggio che dimostra come 178 nazioni, all’Onu, sono pronte a votare
contro la Gran Bretagna. La missiva, quindi, non è stata rubricata come una
lettera demagogica, intrisa di riferimenti nazionalistici, bensì come una
richiesta di applicare la « Legge Internazionale » che l’Argentina
sostiene di voler rispettare a tutti i costi ; tranquillizando quindi
anche i più riottosi all’interno del Fondo Monetario Internazionale che la
strada che vogliono seguire consiste nell’applicazione e nel rispetto di
contratti, leggi, norme. E « ufficialmente » sono tutti in attesa di
una risposta da parte del governo britannico, dell’Onu e dell’Unione Europea.
Ma è il secondo evento quello più clamoroso, il più pepato, il più
interessante per noi europei ; interpretato da tutti gli analisti politici
come una chicca diplomatica che rivela la nascita di un nuovo asse di alleanze
geo-politiche : Francia a braccetto con il Brasile e la Gran Bretagna a
sostenere l’Argentina. Due nazioni fondamentali per l’Europa.
E’ avvenuto in sordina, ma ha avuto immediatamente una eccezionale eco.
Ecco la notizia : il Fondo Monetario Internazionale aveva lanciato un
summit di discussione d’economia sull’Europa, sulle manovre dell’Europa, sullo
stato dell’economia europea e sui rapporti con il sudamerica. Aveva dato
incarico alla Gran Bretagna di gestire l’operazione mediatica che era stata
sponsorizzata dal Financial Times e dall’Economist e rappresentato
« ufficialmente » dalla prestigiosa London School of Economics che si
sarebbe fatta carico della parte, diciamo così, accademica della discussione.
Una settimana prima di dare inizio ai lavori, gli inglesi hanno avvertito di
aver sostituito il principale oratore, decidendo di inviare al suo posto
« un eccellente economista, esperto in sistema bancario e finanziario
internazionale, nonchè professore ordinario emerito a Londra presso l’Istituto
orientale, e professore di Teoria Economica presso la London School of Economics ».
Grande fibrillazione dei conservatori argentini e accoglienza in pompa magna.
Il più importante quotidiano conservatore argentino (tuttora è il più letto e
diffuso) « El Clarin » punta di diamante della protesta
anti-peronista, grande antagonista della politica economica kirchneriana e
sostenitore delle ragioni di Christine Lagarde e dell’euro, si era aggiudicato
in esclusiva l’intervista con l’economista inviato dalla Gran Bretagna.
E così, il 3 gennaio 2013, il professor Costas Lapavitsas, l’economista che
nel 2010 costruì il celebre video « Debtocracy » (lo trovate ancora
su you tube tradotto in italiano) si è presentato a Buenos Aires in
rappresentanza delle correnti economiche britanniche che, in questo momento,
sembra siano diventate maggioritarie : tutte neo-keynesiane.
Non solo.
Consapevole di trovarsi nella città più colta dell’intero continente
americano l’economista britannico (di
nascita e per cultura di provenienza ellenica) ha fatto una prolusione
completamente priva della consueta sbiobba piena di grafici, spread, aliquote,
disavanzo pubblico, teoria della moneta, ecc. Ha fatto un intervento culturale
presentando quella che lui sostiene « si sta affermando sempre di più in
Europa, quantomeno in Gran Bretagna, la consapevolezza cioè che non soltanto la
crisi non è finita ma che ci si trova alla vigilia del suo vero inizio »
raccontando come la Germania ha « ricompattato il proprio inconscio
collettivo ricostituendo la Germania dell’est come proprio principale polmone
di sfruttamento finanziario esistenziale ». La Grecia, l’Italia, la
Spagna, il Portogallo e l’Irlanda sono le cinque nazioni definite « la
nuova Germania dell’est » che finiranno esattamente come l’Europa Orientale
nel 1989, con il crollo dei loro rispettivi sistemi politico-economici.
Il suo intervento ha avuto una notevole eco, oltre che in Sudamerica, in
Gran Bretagna, dove è stato ripreso e pubblicato con risalto sul Guardian.
Pubblico qui, di seguito, in sintesi sufficiente, l’intervista uscita su
« El Clarin » di Buenos Aires. E’ in spagnolo, di lettura più facile
(caso mai lo potete tradurre con google). In italiano non lo trovate.
Esattamente come avveniva a Jena, a Leipzig, a East Berlin nel 1982, sotto
Breznev, quando i cittadini ignoravano ciò che accadeva nel mondo, perchè erano tutti presi dalle finte manovre
elettorali che dovevano decidere i cambiamenti al vertice della consueta
nomenklatura della burocrazia sovietica (che ogni volta prometteva grandi
riforme strutturali) così oggi, noi italiani, siamo presi dalle quotidiane
esternazioni di Berlusconi, Bersani, Monti, Casini - e aggiungeteci pure tutti gli altri- convinti che basti usare
twitter per essere post-moderni e globali. Non è così.
Tant’è vero che, per sapere, e quindi apprendere, che si sta delineando un
nuovo e inedito sistema di alleanze euro-americano e che gli inglesi cominciano
già a prepararsi al « dopo », ebbene, bisogna andare a seguire il
dibattito al di là dell’oceano atlantico.
Da noi, così come in Spagna e in Grecia, neppure una parola al riguardo.
Tutto qui per oggi.
Vi auguro una divertente e serena befana.
¿Quién
cree que terminó la crisis en la Unión Europea?
POR COSTAS LAPAVITSAS ECONOMISTA, PROFESOR DE LA UNIVERSIDAD DE LONDRES
La austeridad extrema y los severos
recortes en el gasto que exige Berlín están generando desempleo y desaliento en
todo el continente.
El mantra de Berlín sobre los
recortes en el gasto en la eurozona está generando desempleo y desaliento en
toda Europa.
¿Terminó
la crisis de la eurozona?
Muchos
políticos en Europa, entre otros el presidente francés François Hollande,
parecen creerlo. No tan rápido, por favor.
Lejos de terminar, la crisis
todavía no ha alcanzado su fase más difícil.
Es fácil
ver por qué los políticos afirman que la crisis se acabó. Acaban de prometerle
a Grecia otros 50.000 millones de euros, siempre
y cuando acepte aún más austeridad, desregulación y privatización.
En el
resto de la periferia, Irlanda va por su sexto año de recesión, Portugal se
encamina hacia una contracción económica considerable y España va de mal en
peor. Aun países como Italia y Francia han aceptado la necesidad de
presupuestos equilibrados.
No hay en toda la eurozona una
oposición efectiva al mantra de la austeridad que emana de Berlín.
Los mercados financieros, por
su parte, se mantienen calmos desde septiembre, cuando Mario Draghi, presidente
del Banco Central Europeo, anunció que compraría deuda de países en
dificultades siempre que aceptaran las condiciones de rescate. El cálculo de
los mercados de bonos es transparente: por el momento, no es rentable pedir prestado
dinero para especular contra la deuda de los países europeos más débiles.
Sin embargo, la austeridad y mercados
financieros más tranquilos no equivalen a un fin de la crisis.
Más bien señalan el surgimiento
de una eurozona alemana. Los analistas que protestaron porque el liderazgo de
la crisis en la eurozona ha sido débil se equivocaron totalmente.
En la práctica, la austeridad está transformando a
la periferia en una vasta Alemania del Este : una zona de crecimiento débil,
salarios bajos, pobreza y sin ningún dinamismo económico. Ni siquiera existirán algunas de las transferencias fiscales,
equivalentes a unos 60.000 millones de euros anuales, que sostuvieron a
Alemania del Este.
Igualmente equivocados están
quienes hacen hincapié en la importancia de un Estado global a cargo de la
política fiscal, o de una unión bancaria para disminuir los riesgos de colapso
bancario en la eurozona. Alemania no aceptará ni una unión fiscal ni una unión
bancaria que utilice el dinero de sus contribuyentes para subsidiar a otros en
la eurozona.
Lo único que lograron estos
debates fue distraer la atención de la determinación de Alemania de imponer una disciplina fiscal
rígida a los “morosos” y monitorear sólo a los bancos más grandes de la
eurozona , dejando a los
bancos alemanes más pequeños fuera de la red.
La prueba más elocuente del
surgimiento de una eurozona alemana ha sido la renuencia a enfrentar la causa
más profunda de la crisis: la divergencia de la competitividad entre Alemania y
el resto.
En la medida que la eurozona se
hunda más en una recesión en 2013, las tensiones sociales y económicas se
incrementarán en todo el continente. La fase más difícil de la crisis todavía
no llegó.
La guerra tra le due Cristine è per me il romanzo più appassionante degli ultimi tempi. Il fatto che stia accadendo nella realtà non è probabilmente ininfluente su questo fascino. Grazie per questa nuova puntata.
RispondiEliminaContinuo a pensare che i governi nazionali, asserviti al sistema economico-finanziario siano un pesante ostacolo alla salvezza dell'Europa. Ma come promuovere oggi un'autentica democrazia europea in cui il Parlamento e non la BCE decida dove andare?
Saluti.
Questa chiamiamola guerra appassiona anche me. Chissà perché in italia tutto questo non passa e non si riesce neanche a discuterne.
RispondiEliminaNon passa? Direi no.
EliminaTratto dal corriere.it del 6 gennaio 2013:
Domenica è intervenuto in prima persona il premier britannico David Cameron, che ha dichiarato che il Regno Unito sarebbe pronto a combattere, se necessario, per mantenere il controllo delle isole dell'Atlantico: «Naturalmente lo faremmo e abbiamo forti difese sul posto nelle isole Falkland, che sono essenziali, abbiamo caccia e truppe dispiegati lì», ha spiegato in un'intervista al primo canale della Bbc, la tv di Stato. Cameron ha inoltre assicurato che «le nostre difese sono forti e la nostra determinazione forte».
link all'articolo
Vi si trova anche il video con l'intervita al Cameron e dove ben si sentono le parole pronunciate dallo stesso sulla sua determinazione a combattere (=guerra) per la difesa delle isole Falkland.
Quindi solita domanda che rimarrà senza risposta:
ma il Modigliani ci é o ci fa?
diciamo che ci marcia... ;-)
EliminaNibiru
In questo momento Cameron conta quanto il due di briscole: ha moltissimi oppositori anche nel suo stesso partito. E' proprio di oggi un sondaggio su The Guardian: stamane 92% contro; un commento nel blog diceva: ovvio, questo e' il Guardian! Un altro rispondeva: sarebbe lo stesso risultato in qualsiasi altro sito. Molti dubitano persino che arrivera' in fondo alla legislatura (i governi di coalizione qui sono very few and far between), e c'e' da tenere presente che questa non e' l'Italia, dove basta uno scorreggio (ooops, sorry!) per far cadere il governo!
EliminaAlessandra
Trovo notevole anche il "Milliband" scritto male in modo da risultare invisibile alle ricerche di chi volesse controllare in futuro quanto il Modi ci avesse azzeccato...
EliminaGrazie a wiki, sono capitato qui a leggere cose interessantissime. E confortanti: fra le miriadi di informazioni contenute, la più importante è l'atteggiamento che stanno assumendo Gran Bretagna e Francia che m'inducono ad essere meno pessimista riguardo il futuro dell'Italia. Un abbraccio al titolare di questo blog (cercherò di verificare queste notizie, ma ho idea che non troverò inesattezze... lei mi piace). Un saluto ai 2 commentatori, speriamo di essere di più...
RispondiEliminasempre emozionante e carico di informazioni ....patos che si trasforma in consapevolezza e speranza per un domani che comunque rimane nebuloso e imbrigliato nella non informazione....un ringraziamento per la finestra che tiene aperta e fa entrare aria fresca....
RispondiEliminaUn quesito: come mai la Francia ora appoggia il Brasile? Tra l'altro sembra che Brasile e Argentina hanno migliorato ii rapporti ultimamente o sbaglio? invece come sono i rapporti Francia Argentina?
RispondiEliminaC'e' un intervista a Khanna sul Clarin di oggi.
RispondiEliminahttp://www.clarin.com/zona/mundo-parece-finales-Edad-Media_0_842315863.html
Interessante per capire come altri vedono il mondo.
Non bastera' una soluzione tipo ONU che chiaramente in un contesto anticolonialista darebbe le isole agli argentini.
Vi e' anche il problema della popolazione che vi abita.
Che non e' un problema da poco.
La soluzione piu' semplice sarebbe la restituzione da parte britannica ma da parte argentina l'accettazione di un referendum che finirebbe con l'indipendenza delle isole.
Vedremo come finisce. Nel frattempo la Gran Bretagna si e'
presa un pezzo di Antartide.
Ottimo post. Grazie.
RispondiEliminaVorrei aggiungere qualche considerazione personale. La prima e’ che, pur essendo visceralmente contro le monarchie (che trovo anacronistiche nel XX secolo), il caso ha voluto che vivessi a lungo in due paesi dove invece vige la monarchia: la Spagna, dove l’attuale re gode di moltissimo rispetto per aver salvato il paese da un secondo regime franchista; l’Inghilterra, profondamente innamorata della sua monarchia. La cosa che devo riconoscere e’ che in entrambi i casi i rispettivi reggenti si sono fatti garanti di diritti civili e progresso: nel caso di Carlo e’ noto il suo impegno nell’ambito dell’ecologia, delle Medicine Alternative e Complementari (grazie al quale queste discipline sono riconosciute e regolate, ed alcune di esse persino integrate nel servizio sanitario nazionale) e nell’ambito dei servizi sociali attraverso varie fondazioni. Ruolo che, nella nostra beneamata repubblica spetterebbe al Presidente: gia’ sappiamo com’e’ andata a finire!
Ha gia’ sottolineato lei le voci che qui si stanno alzando contro le politiche di austerita’. L’apertura dei britannici verso il Sudamerica ha, credo, una componente opportunistica: hanno capito molto bene che l’Europa non va da nessuna parte (e’ in corso un aspro dibattito sull’adesione della Gran Bretagna all’Unione Europea) e percio’ preparano il terreno per un cambio di scenario. Il che dimostra ancora una volta il loro sano pragmatismo.
Alessandra