venerdì 27 dicembre 2013

Possono, i poveri, fare cultura? E quella cultura può fare mercato creando lavoro, diffondendo istruzione, abbassando la disoccupazione?



di Sergio Di Cori Modigliani

Chi gestisce il potere mediatico e culturale in Italia, nel corso di questi anni, ha costruito una cappa di mistificazione pericolosa, davvero miope e suicida, incentrata nella costruzione di nuove mitologie tese a sostenere l'inevitabile primato della finanza sull'economia e, di conseguenza, quella degli economisti sui filosofi e gli artisti, che ha consentito di fondare l'atroce paradigma italiano (è un'idea originale solo dell'Italia) basato sull'assunto che da noi la "cultura non dà da mangiare" oppure "la cultura non fa mercato". Il che è notoriamente falso.
In realtà è l'opposto.
A questo assunto è stata aggiunta, in parallelo, un'altra colonna dell'idiozia corrente che abbatte il concetto di idealità, di lavoro intellettuale e di attribuzione di valore a qualsivoglia attività dell'ingegno umano, sia in campo scientifico che artistico. L'Italia è diventato il Paese del mondo occidentale con il più basso indice di produttività culturale ma, soprattutto -caratteristica che ormai ci distingue da tutti gli altri- un paese in cui il valore intellettuale è stato sindacalizzato applicando il concetto base del liberalismo: la definizione del Lavoro come "costo" invece che come "investimento".
L'immane tragedia sociale che stiamo vivendo è basata su una falsificazione, divenuta argomentazione scontata che viene replicata di continuo senza che vi siano mai dei distinguo. Trappola micidiale alla quale i sindacati nostrani hanno dato un enorme contributo nel costruire il declino del nostro Paese. Non ho mai sentito un sindacalista famoso ai talk show televisivi rifiutarsi di usare il termine "costo del lavoro" sostenendo che vada invece usato il termine "capitale sociale d'investimento". Sono due mondi diversi e contrapposti.
Il nostro declino è il frutto dell'incorporazione di questa falsità.
Ciò che conta, ormai, è la capacità di eseguire ordini seguendo mode, parametri, statistiche, invece che promuovere l'attività pensante.
Ieri -ultimo esempio in ordine cronologico- il dirigente del PD Mario Orfini, che viene considerato un esponente della sinistra di quel partito, ha dichiarato "le idee non bastano e non sono sufficienti". Era anche contento dopo aver detto questa bella frase. Penso che non sia neppure consapevole di ciò che dice, perchè lui veicola dei sentito dire e sa che, nel nostro Paese, questa frase fa effetto: ha un sapore pragmatico. 
Le idee, invece, bastano e avanzano, se è per questo.
Sono state le idee degli uomini e delle donne che hanno cambiato il mondo e il corso della Storia, certamente più di una Legge o di un dispositivo tecnico.
In un Paese come questo, porsi dunque la domanda del titolo di questo post, non ha alcun Senso. Da noi la Cultura non ha alcun valore per i ricchi, figuratevi per i poveri che devono badare a sopravvivere.
 A nessuno verrebbe in mente di sostenere che la parte intellettuale dei poveri (una fetta consistente di cui non si parla mai) è in grado, oggi più che mai, di "inventare e fare mercato". E' accaduto nel XIX secolo, quando le condizioni erano ben peggiori di quelle odierne, è accaduto negli anni '50, è accaduto, ad esempio, in Argentina nel 2005.
L'esistenza dei "poveri" in Italia è stata censurata fino a qualche mese fa.
Adesso ne hanno preso atto e a tratti qualcuno ne parla, ma sempre in termini statistici, o spirituali, o come "fenomeno" sociale che viene identificato come "piaga". 
La mancanza di una classe intellettuale attiva e passionale, lucida, non schierata per motivi di bottega narcisistica a favore delle segreterie dei partiti, ha prodotto una totale censura del dibattito come se i poveri fossero una specie di massa informe di individui affamati di cui, prima o poi, bisognerà occuparsi. 
Pensando, va da sè, di cavarsela con delle briciole di carità stucchevole.
Nel frattempo si seguita a vivere come se i poveri non esistessero. Eppure esistono. 
Fino a qualche decennio fa erano molto pochi. Poi, sono cominciati ad aumentare di numero, di volume, di spessore, di qualità individuali.
Ma i poveri non hanno nessuna possibilità di poter essere presi in considerazione come esseri umani se la loro condizione non viene alla ribalta e loro vite diventano visibili. 
I poveri esistono da sempre, dagli albori della civiltà, basta leggere la Bibbia per capirlo.
Quell'evento, dal sapore metaforico e simbolico, deve senza dubbio essere stato replicato in tutto il pianeta migliaia e migliaia di volte. I deboli sono morti, uccisi dal fratello prepotente. I forti, invece, ce l'hanno fatta. 
Il primo povero deve essere stato qualcuno preso a sassate e calci dal fratello invidioso e malvagio ed è rimasto tramortito e sanguinante a terra. L'assassino se n'è andato a casa e la vittima, invece di morire, si è ripresa. Sofferente e in preda a un trauma per essersi accorto che il proprio fratello era un assassino, si è ritirato in un posto lontano incorporando un trauma individuale -l'abbandono, il tradimento, il sopruso, la violenza subìta- ma è sopravvissuto, inebetito dal dolore. E si è mescolato con altri poveri come lui. Nei millenni, i poveri si sono trasmessi questo trauma indotto, crescendo senza aver nessuna possibilità di recupero per via di una loro debolezza acquisita, essendo invece vincenti i violenti, i prepotenti, gli arroganti, e sono andati ad abitare nelle periferie del mondo.
I poveri sono l' Ombra, in senso junghiano.
Se non si incorpora la loro esistenza, si condanna se stessi a non vivere pienamente la propria, di esistenza, perchè non si ha accesso alla parte umbratile dell'essere umano, che è una parte fondamentale, proprio perchè la più emotiva, la più fragile, la più traumatizzata di fronte al più grande mistero della vita degli Umani: l'esistenza dell'ingiustizia e della sperequazione sociale.
Socialmente i poveri sono delle non-persone, rese invisibili perchè non si prenda atto della loro esistenza.
Nella storia della civiltà del mondo è avvenuto che si siano mostrati e ribellati.
Pochissime volte è accaduto, ma è accaduto.
La più grande rivolta planetaria (quantomeno in occidente) dei poveri si è verificata 2.050 anni fa, nel cuore dell'Impero Romano, quando uno schiavo, Spartaco, organizzò la rivolta delle non-persone e sfidò Roma che, allora, traballò. Finì, va da sè, male. Ma l'idea della rivolta dei poveri venne interpretata come un pericolo talmente forte da obbligare il potere a dare un segnale molto forte, di terrore, di paura, di violenza. Dopo averli battuti in campo aperto, infatti, i romani, invece che riportarli in stato di schiavitù, scelsero di ucciderli tutti. Li crocifissero, uno ogni 25 metri, dal Campidoglio fino al porto di Brindisi, sui due lati della Via Appia. Li crocifissero vivi e obbligarono il popolo ad andare a vederli per non dimenticare. Il numero era talmente grande (si parla di decine di migliaia di persone, comprese donne e bambini) che i soldati impiegarono diversi mesi per coprire la distanza da Roma a Brindisi.
Ma fu efficace.
Talmente efficace che i poveri scomparvero dalla scena della Storia per quasi duemila anni, mèmori di quell'evento e terrorizzati all'idea di fare quella fine orribile.
I poveri, quindi, in Europa, crebbero e si diffusero in silenzio, discretamente, ai margini, mentre il potere costruiva teorie che ne giustificassero l'esistenza.
Fino alla metà dell'800, quando, nell'arco di soli cinque anni, dal 1845 al 1850, i poveri irrompono con fragore sulla scena sociale d'Europa.
Non è stato un politico, neppure un economista, a compiere questo miracolo.
Sono stati quattro artisti: un giornalista, un filosofo, un imprenditore, un romanziere, tutti attivi in quegli anni. 
Loro hanno "inventato" i poveri, perchè li hanno resi visibili e hanno reso palese e condivisibile la narrativa esistenziale delle loro vite, li hanno sdoganati obbligando il resto della società a prendere atto della loro presenza umana.
Tre dei quattro che hanno realizzato questo evento rivoluzionario, va da sè, erano poveri, poverissimi. Il quarto, invece, era un ricco imprenditore che scelse di finanziare l'artista filosofo.
Erano Charles Dickens, Fedor Mickailovitch Dostoevskij, Karl Marx e Friedrich Engels.
Prima di loro, i poveri non esistevano nella coscienza collettiva europea. Stavano lì nelle loro vite pubbliche, ma considerati e trattati come cani e gatti (quando andava bene).
E' stata la letteratura ad aprire l'armadio dalle cui ante è fuoriuscita l'Ombra del Mondo Sociale. E la filosofia.
Marx era talmente povero che fu costretto a non poter seguire la carriera accademica perchè non aveva neppure i soldi per mangiare, ma l'incontro con questo imprenditore illuminato, molto ricco, gli consentì di portare avanti i suoi studi. Quando Engels lo incontrò rimase sedotto dal talento vorticoso di quel giovane filosofo e lo portò con sè in Inghilterra dove gestiva una importante multinazionale dell'epoca. Dopo qualche mese di conoscenza, Engels propose a Marx un contratto scritto con il quale gli garantiva una rendita perenne fino alla morte affinchè potesse dedicarsi agli studi relativi alla "diffusione della necessaria acquisizione di consapevolezza del proprio sè nel mondo dei reietti dell'umanità".
Nella prima metà dell'800 le due più forti potenze europee erano la Russia e l'Inghilterra che dettavano il bello e il cattivo tempo in campo economico, politico, militare, culturale. Napoleone aveva tentato di opporsi a entrambe ma aveva fallito. E la quantità di poveri, tra il 1815 e il 1845 cominciò a crescere a dismisura, alimentando con la loro energia umana, il necessario capitale sociale d'investimento da parte dei capitalisti che avevano bisogno di braccia e menti che lavorassero per loro.
Si intende: quasi gratis.
A questo servono i poveri.
Nel 1845 un giovane studente di università, poverissimo, in quanto figlio di un piccolo imprenditore agricolo maciullato dalla gigantesca crisi economica prodotta dall'affermazione della rivoluzione industriale in Russia (era la seconda potenza economica al mondo) presentò il suo romanzo d'esordio a un editore che lo accettò, per sbaglio. E lo pubblicò. Si chiamava "Povera gente" e descriveva la sentimentalità, la narrativa emotiva di una coppia di giovani russi, le loro ambizioni, i loro sogni, le loro aspirazioni, presentandoli -per la prima volta nella Storia- come esseri umani a pieno titolo. Quel libro venne letto soltanto da chi povero non era, dato che la stragrande maggioranza dei poveri erano analfabeti. Ciò che turbò le coscienze pensanti della borghesia russa fu che vennero a sapere che quei poveri avevano anche delle idee, ma soprattutto un'anima.  L'autore di quel libro non aveva neppure un posto dove dormire ed era ospite di un contadino nella cui stalla soggiornava. Si venne a sapere che i poveri erano dotati di Animus, erano Persona. Al giovane scrittore venne riconosciuto subito il meritato successo e così pensarono di inglobarlo nella borghesia in espansione ma lui, proprio in quanto povero consapevole, non subiva le illusioni di status della piccola borghesia, perchè "paradossalmente libero proprio in quanto povero" (sublime genialità sociologica di Dostoevskij). Quel romanzo produsse la genesi di circoli, associazioni, gruppi che cominciarono a dedicarsi alla promozione dei talenti meritevoli tra i poveri e il romanzo venne tradotto in inglese, francese e tedesco. 
Nello stesso tempo, in quel di Londra, Charles Dickens si affermava come l'inventore del romanzo sociale. Nato e cresciuto in una famiglia di piccoli commercianti, quando aveva dodici anni subì lo shock che decretò il suo destino. Il padre, travolto dalla nuova organizzazione sociale nata dalla rivoluzione industriale, fallì e venne arrestato per debiti. Seguendo la normativa di allora, gli fu consentito di portarsi in galera l'intera famiglia, la moglie e gli otto figli, i quali, altrimenti, non avrebbero avuto di che vivere. Charles si rifiutò di andare e a 12 anni si ritrovò per la strada, solo al mondo, pieno di rabbia, di livore, di frustrazione, avido di conoscere e apprendere. Trovò lavoro come operaio in diverse aziende finchè venne assunto come aiuto tipografo di un quotidiano e lì scoprì il giornalismo e lo rivoluzionò. Iniziò dalla gavetta e ben presto inventò due concetti che non esistevano: il giornalismo di inchiesta e il giornalismo investigativo, raccontando sui quotidiani come vivevano i poveri deportati dalle campagne per venire a vivere in miseria lavorando come operai nelle fabbriche tessili di Londra. Cominciò a guadagnare dei soldi e aprì un suo personale quotidiano che andava a distribuire da solo insieme ai suoi amici e iniziò a pubblicare i suoi primi libri, a puntate, seguendo la moda dell'epoca, basata su un miscuglio di gossip mondano e di umorismo britannico: l'unica modalità accettabile di scrivere critica sociale. Finchè non decise di dar vita alla narrazione dall'interno della vita dei poveri. Nel 1949 inizia la pubblicazione della sua autobiografia romanzata, David Copperfield, caposaldo della letteratura europea, che esce a puntate settimanali sul suo giornale per diciassette mesi. Ma Dickens non era contento, perchè sapeva che i poveri non leggevano "non perchè non vogliano, bensì perchè non sanno che esiste la narrativa in quanto gli aristocratici vogliono che loro non lo sappiano, altrimenti si ribellerebbero al loro infausto destino di animali, chi non sa leggere è condannato a essere una bestia da soma". Fu Andrew Blake, un suo assistente, povero in canna anche lui, studioso di letteratura con ambizioni impossibili da realizzare, che ebbe un'idea geniale che trasformò la società di allora: inventò il mestiere de "il lettore". Per inventarsi e costruirsi il mercato lo fece gratis per le prime tre settimane, poi cominciò subito a farsi pagare una cifra accessibile per i poveri, il corrispondente di oggi di due euro. Andava in giro nei quartieri dove i poveri vivevano e proponeva loro di incontrarsi due volte a settimana al pomeriggio, tutti insieme nel sottoscala del condominio, dove lui leggeva le puntate di David Copperfield. E funzionò. La gente si entusiasmò nell'ascoltare quella storia e ben presto si diffuse come moda in maniera talmente massiccia che nacque il lavoro di "lecturer for poor people". Centinaia di giovani intellettuali poveri si presentarono al giornale di Dickens proponendosi e andarono a fare quel lavoro che divenne di tendenza (si direbbe oggi). Le persone si "assiepavano" per ascoltare quelle storie e poi rimanevano a discutere, animate dal lettore, condividendo un nuovo livello più evoluto di consapevolezza.
 Il successo di quella iniziativa divenne talmente dirompente che l'aristocrazia lo fece proprio e istituì addirittura la figura accademica del "reader", ancora oggi la più ambita mansione in ambito accademico nella cultura anglosassone, inesistente in Italia e Spagna dove non si è mai affermata. 
I "readers" di David Copperfield formarono i primi nuclei delle originarie organizzazioni sindacali, riunioni alle quali l'imprenditore Engels portò il suo amico Karl perchè ne traesse stimolo per le loro attività.
E' accaduta la stessa cosa nel 2005 a Buenos Aires, in Argentina, quando il paese stava cercando di riprendersi dalle conseguenze del default e la disoccupazione intellettuale aveva raggiunto punte spaventose, in seguito alle politiche iper-liberiste di Menem e del Fondo Monetario Internazionale che avevano distrutto la diffusione dell'istruzione pubblica. Nacquero  "los talleres literarios" (trad.: "officine letterarie") sul dichiarato modello dickensiano. E così, i disoccupati intellettuali argentini, filosofi, scienziati, psicoanalisti, scrittori, pedagoghi, architetti, ecc., organizzarono "las lecturas" a casa loro dove per la cifra (diciamo di 10 euro) si andava ad ascoltare qualcuno con una competenza specifica su un certo tema e si stava insieme ad altre persone bevendo caffè e mangiando pasticcini. Reclamizzati con dei foglietti appiccicati agli alberi di tutti i quartieri (nessuno poteva permettersi pubblicità) ben presto si è affermata come scelta di vita per gente che voleva pensare, dibattere, acculturarsi, socializzando con i propri simili a un prezzo abbordabile per chiunque. In pochissimo tempo le "officine" sono diventate migliaia e migliaia, dedicate agli argomenti più disparati, e poco a poco questo fenomeno ha cominciato a spingere gli argentini a ritornare a partecipare attivamente alla vita politica. Il crollo di Menem, il default, e i conseguenti disastrosi governi di emergenza avevano spinto l'Argentina per la prima volta nella sua Storia -un paese dove la Politica era sempre stata una passione condivisa da tutti- a disertare le urne dissociandosi da ogni partecipazione. Nel 2003 e 2004, si erano verificate gigantesche manifestazioni di massa dove non c'erano più slogan peronisti, della destra, della sinistra, ma un unico striscione di apertura su cui c'era scritto "que se vayan todos" (trad.: "tutti a casa"). La gente non ne poteva più. E così, poco a poco, riesumando un'idea vincente vecchia di 150 anni, gli argentini hanno cominciato a modificare il proprio destino, e allo stesso tempo una marea di intellettuali disoccupati e disperati hanno trovato un sistema per sopravvivere svolgendo allo stesso tempo una funzione sociale che è stata poi ampiamente riconosciuta da tutti.
Senza diffusione del sapere, senza istruzione, i poveri e gli oppressi rimarranno sempre tali.
E in Italia?
Questo è un paese talmente decimato interiormente da non aver più neppure il coraggio di fare domande e produrre creatività e inventarsi il mercato.
Nei momenti di grave crisi come questa è necessario seguire la strada letteralmente opposta a quella suggerita da Mario Orfini del PD, la via da battere è proprio quella di "servono idee da applicare subito" perchè senza idee non si va da nessuna parte e le idee o ci sono o non ci sono. E chi non le ha fa di tutto per far credere che non servano.
In conclusione, per gli amanti dei link e delle denunce, come prova dell'indolenza e dell'ignavia collettiva, vi invito a leggere con attenzione un bell'articolo esaustivo scritto da Antonio Vanuzzo sul sito on line che si chiama linkiesta.it. 
Spiega come e perchè la Commissione Europea si è ripresa 1 miliardo e mezzo di euro che erano stati stanziati per la "diffusione della cultura, salvaguardia del patrimonio culturale" per le quattro regioni meridionali italiane, ai quali si aggiungono altri 2 miliardi che l'Europa si riprenderà. In questo caso non c'è da denunciare nessuna banca, nessuno squalo, nessun deputato corrotto. Quelle cifre, stanziate, non sono state usate perchè non sono state presentati i progetti e quando sono stati presentati non erano scritti a norma.  Il Presidente della provincia di Siracusa, Nicola Bono, che ha denunciato la questione come "allarmante forma di degrado dell'intera nazione" ha fatto notare che gran parte di quella somma è stata "riallocata" sotto altre voci che con la cultura e il patrimonio culturale on c'entrano nulla.

Se non si cambia dentro come individui, come gruppo, come etnie, con tutte le malsane abitudini incorporate nei decenni di malgoverno e clientelismo, se non cambiamo tutti noi e non ci appassioniamo di nuovo con impeto e furore per costruire un nuovo modello culturale europeo, per combattere la guerra contro la povertà, stare dentro l'euro o uscire dall'euro, avere più Europa o averne di meno, è irrilevante.
Bisogna prima vincere la guerra contro la povertà di idee e la guerra contro la povertà di passione civile e la mancanza di domanda di apprendimento e voglia di conoscenza.
Il mondo, da solo, non cambia. Non è mai accaduto.
E non aspettiamo che lo cambi chi considera la povertà un "danno collaterale".

http://www.linkiesta.it/italia-fondi-europei-cultura-spesi-male
estratto dal lungo articolo di  Antonio Vanuzzo su linkiesta.it
Un miliardo e mezzo di euro destinati alla cultura italiana sono già rientrati nelle casse di Bruxelles, e altri due sono sulla buona strada. Sono le risorse del “Programma Attrattori Culturali 2007-2013”, che – a dispetto del nome – non sono mai state impegnate operativamente, nonostante gli innumerevoli progetti stilati in questi anni, tutti rimasti sulla carta. Si tratta dei cosiddetti Poin e Pain, acronimi che indicano i programmi operativi e attuativi interregionali per il Sud, cioè «lo strumento principale attraverso cui promuovere e sostenere lo sviluppo socio-economico delle Regioni del Mezzogiorno attraverso la valorizzazione, il rafforzamento e l’integrazione su scala interregionale del patrimonio culturale, naturale e paesaggistico in esse custodito». Obiettivi per realizzare i quali l’Europa aveva previsto «una dotazione complessiva di circa 2 miliardi di Euro, di cui una quota di poco superiore al miliardo di euro (1.031 M€) a valere sui fondi strutturali del FESR e del relativo cofinanziamento nazionale ed una leggermente inferiore (898 M€) resa disponibile dalle risorse aggiuntive della programmazione nazionale del Fondo Aree Sottoutilizzate (FAS)», come si legge sul relativo sito. Fondi che non solo non sono stati spesi, ma sono stati riallocati per finanziare altre voci di spesa che non c’entrano nulla con la cultura. È quanto ha denunciato il presidente della Provincia di Siracusa Nicola Bono, che è responsabile del settore Cultura e turismo dell’Unione delle provincie italiane e membro del Consiglio di sorveglianza del Poin, in una missiva indirizzata, tra gli altri, al ministro della Coesione Territoriale, Fabrizio Barca.

12 commenti:

  1. E' un articolo molto bello, ed è decisiva la definizione della massa dei poveri e dei deboli -- io, proprio per amore di retta pedagogia, preferirei chiamarli "miti" -- come l'Ombra, in senso junghiano, dei ricchi prepotenti e astuti profittatori, a esclusivo vantaggio della propria cerchia o casta, di questa mitezza sempre più rintuzzata e privata dei mezzi per farsi valere e ascoltare con le buone maniere, così da trovarsi costretta nell'imbuto della ribellione violenta con cui giustificare -- a posteriori -- l'emarginazione e implicita riprovazione a cui nei secoli era stata condannata dai "vincenti", sedicenti civili e giusti (almeno a rigor di legge). Una carriera da "ombra" in piena regola, insomma.
    E' come sempre magistrale la concatenazione, a servizio della Sua tesi, di diversi periodi ed esempi storici introdotti come illustrazione pratica delle Sue argomentazioni.

    Ora però vorrei esporre una mia perplessità circa la vicenda presentata nell'articolo di Vanuzzo. Nello stralcio da Lei pubblicato in calce al Suo post, si parla di miliardi stanziati dalla Comunità europea per determinati scopi e poi stornati per finanziare progetti che con il primitivo stanziamento nulla avevano a che spartire. Non mi sembra si dica che gli innumerevoli progetti, presentati per investirli secondo le finalità che avevano ispirato l'erogazione dei finanziamenti, siano stati tutti respinti perché scritti non a norma, come mi pare abbia affermato Lei. Cioè il problema, per quanto riguarda questo episodio recente, parrebbe stare, di nuovo, nell'abitudine consolidata all'illegalità e alla rapina di certa classe poltiica e amministrativa nostrana e non nell'irreparabile ignoranza e incompetenza dei nostri tecnici e progettisti.

    Grazie sempre dell'ospitalità.
    Saluti cordiali, marilù l.

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    1. Sì è vero, l'articolo rivela la sezione "furto con scasso" (qualche centinaia di milioni, alla quale bisogna aggiungere la sezione "non pervenuto" di cui ho avuto notizia direttamente dagli uffici competenti a Bruxelles

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    2. Mi scusi Modigliani, sarà l'ora tarda, ma non riesco proprio a capire cosa intenda dire. Furto con scasso? Non pervenuto? Bah.

      Ah, forse lei voleva scherzare sull'uso che ho fatto del termine "rapina" nell'espressione "abitudine consolidata all'illegalità e alla rapina di certa classe politica e amministrativa nostrana". Ma non intendevo mica rapina a mano armata, sa? Se pensa che abbia esagerato, può dare un'occhiata al dizionario Treccani online, alla voce rapina, nella sua accezione come presentata al punto b.

      Nel caso le Sue intenzioni fossero altre, vorrei pregarLa di chiarirmele, sempre se ne ha voglia.
      Altrimenti, grazie lo stesso e alla prossima.
      marilù l.

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  2. Eppure, che piaccia o no, è stato il capitalismo, perseguendo tutt'altre intenzioni, a trasformare in occidente una miserabile massa la cui unica ricchezza era la prole chiamata per l'appunto"proletariato", in una classe media colta e agiata proprio come un fiore del male. Sul fatto che i poveri siano miti dissento totalmente. Che la povertà produca cultura e in particolare filosofia è un dato di fatto incontrovertibile. E' necessario fare una distinzione sostanziale fra povertà e miseria, così come fra benessere e ricchezza. La povertà, quando non precipitata nella miseria, è una condizione umana dignitosa, addirittura liberatoria, tanto da essere auspicata e cercata da tante fra le più belle menti di tutti i tempi. E' la miseria, materiale e non, che disumanizza, che nega la dignità umana e getta nei ghetti le persone. Paolo Federico

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  3. Il capitalismo, infatti è rivoluzionario rispetto al medioevo proprio perchè "costruisce" per propria natura intrinseca una borghesia e un ceto medio colto e ha come fine la diffusione del benessere collettivo per aumentare la circolazione del danaro, dopodichè scattano delle contraddizioni, ma questo non ci riguarda, perchè noi siamo ancora nel medioevo e un capitalismo sano e funzionale (cioè efficace ed efficiente) per l'Italia sarebbe una meraviglia, siamo indietro con la Storia di parecchio. Io per "poveri" non intendo coloro che lo fanno per scelta, bensì coloro a cui viene imposta. Sono "poveri" per questo. La povertà come frutto di una scelta è una sublime ricchezza. Quelli non sono "poveri", ma sono "persone ricche senza soldi". I "veri poveri" sono le non-persone alle quali la società non regala nessuna possibilità di scegliere e li obbliga a doversela vedere con il ricatto "o crepi dalla fame o accetti un salario immondo". La dicotomia vissuta dai tarantini (o morite per colpa dell'Ilva o morite grazie all'Ilva) è la sintesi di come il pvero, per la classe dirigente italiana non conti nulla.

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  4. Appunto perseguendo il profitto ha prodotto un risultato filantropico. Non mi sembra difficile. Paolo Federico

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  5. ...filantropico???....voleva dire c a t a s t r o f i c o ....

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  6. No, questo non è vero. Il capitalismo non ha sempre prodotto disastri, per molti versi ha rappresentato la liberazione di forze positive, e non solo in economia. Perseguire il profitto nel solco della legge e nel rispetto degli esseri umani è una cosa accettabile. Quello che vediamo oggi è un capitalismo al tramonto, degenerato in consumismo selvaggio e in mera speculazione finanziaria. Attaccarsi ad una frase o ad una parola per una battuta va bene, però bisogna anche argomentare un poco. Paolo Federico

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  7. articolo bellissimo. mi piace il modo in cui scrivi. volevo approfittare di qst post per chiederti quali sono le tue fonti straniere di informazione. conosco inglese, francese e spagnolo e mi piacerebbe poter avere un'informazione meno strumentalizzata come in italia soprattutto in tema di affari esteri. Grazie!

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    1. puoi iscriverti alle e-mail ufficiali, ad esempio, della Casa Bianca, di occupywallstreet: loro spediscono regolari newsletter ed è gratis

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