giovedì 6 ottobre 2011

E' la prima rivolta wasp nella storia Usa: il movimento "Occupy wall street" è l'inizio di una onda lunga, molto ma molto lunga.

di Sergio Di Cori Modigliani


“Che riposi in pace. E’ inutile neppure mettere in discussione il suo spettacoloso talento. Assurgerà a un mito, a un’icona rappresentativa, grazie anche a quel perfido male che l’ha abbattuto in così giovane età…..non sapremo mai se sulla via di Damasco si sarebbe illuminato, è impossibile dirlo. Chi lo fa, mente. Non è proprio possibile……ma è fuor di dubbio che se lui fosse oggi vivo, e con tutta la sua vitalità energetica contagiosa, obbligato dai suoi fans, fosse stato chiamato a scendere in campo….beh….qualcosa o nel bene o nel male, oggi…qualcosa di più o di spaventosamente positivo o di meno e di agghiaccentemente negativo sarebbe accaduto negli Stati Uniti d’America”.

Con questa splendido passaggio, l’indomito Noam Chomski, l’autore dell’inossidabile testo sulla grammatica generativa, insostituibile filosofo del linguaggio, e tuttora avanguardia critica pensante dello spirito liberale americano, commentava la scomparsa prematura di Steve Jobs. E lo faceva insieme all’attore Mark Ruffalo e al regista Michael Moore a Liberty Place, nel centro di Manhattan, davanti alla borsa valori di Wall Street.
Faceva notare, Chomski, che il fondatore della Apple non avrebbe potuto non fare i conti con ciò che sta accadendo oggi, in America.
E che si prepara ad accadere in tutto il mondo. Quantomeno in occidente. E molto presto.

Perché sarebbe stato chiamato in causa, proprio grazie e in virtù del suo poderoso talento. Perchè, è bene sottolinearlo e ricordarlo –a elogi funebri già archiviati- Steve Jobs parlava e operava e si muoveva (questa è la attenta lettura di Noam Chomski) cercando di portare i suoi 75 milioni di pezzi venduti verso i 100 milioni di pezzi venduti e poi 150 e poi 200 e così via dicendo. Ma oggi, questo (ed è la novità clamorosa) agli americani non basta più.

E i giovani che lo seguivano sempre, in California, gli stessi che in questi giorni affollano i campus occupati di Berkeley, Stanford, Palo Alto, Ucla, nel nome di “Occupy Wall Street”, senza dubbio lo avrebbero coinvolto nel dibattito attuale. Lo avrebbero interrogato a viso aperto. Per sapere ciò che pensava e conoscere la sua scelta.

E’ ancora troppo presto per poter esprimere un giudizio su ciò che sta accadendo, proprio perché lo stiamo vivendo.
Ma è fuori dubbio –soprattutto per chi conosce la Storia e conosce molto bene gli Usa- che in America, comincia a diffondersi un’onda che può trasformarsi ben presto in uno tsunami rispetto al quale i vari Trichet, Draghi, Merkel e Sarkozy non potranno fare nulla, ma proprio nulla. Se non prendere atto della realtà e confessarsi l’un l’altro in camera caritatis “siamo arrivati tardi, ormai non è più possibile fermarli”.

C’è una differenza abissale tra ciò che sta avvenendo in Usa e ciò che è avvenuto in Grecia, tra gli indignados iberici e tra i movimentisti italiani: tutti perdenti.

In Grecia, la protesta è stata fondamentalmente di tipo sindacale.
Settori sociali aggrediti, all’improvviso, dai tagli da macelleria, sorpresi e annientati, sono scesi in piazza per protestare. Rivolevano i loro soldi. Ma la Grecia –con tutto il rispetto per il popolo- non si può dimenticare di essere il paese più corrotto della zona euro, una nazione dove l’evasione fiscale, complessivamente, raggiunge il 90% dell’introito nazionale, dove, fino a tre mesi fa, non esisteva il concetto di fattura in nessun ambito professionale, neppure in teoria,  e le compagini politiche al potere (prima il centro-sinistra, poi il centro-destra, poi di nuovo il centro-sinistra) si sono occupati solo e soprattutto di sistemare clientele di affiliati, senza rispettare alcuna prerogativa democratica. Di questa situazione ne hanno approfittato gli sciacalli tecnocrati della BCE: sapevano di aver a che fare con una classe politica tutta presa dallo sforzo di nascondere l’esplosione dei loro armadi pieni di cadaveri, e niente di più.
Anzi.
Quelli della BCE avevano fatto di tutto per non aiutare i greci a democratizzarsi, proprio per poterli ricattare come volevano, classica deriva no-colonialista.  Sarebbe bastato inviare ispettori integerrimi già nel 2001 per verificare l’applicazione di alcune norme essenziali e obbligarli, allora, a immettersi sulla strada giusta. In tal modo, la classe politica greca ha lucrato in maniera vergognosa e si è trovata nella condizione di non essere in grado di poter protestare con vigoria, esibendo orgoglio, dignità nazionale, spirito di indipendenza, andando a confrontarsi a Berlino, Parigi, Bruxelles. Si sentivano troppo in colpa. Giustamente.

Idem per l’Italia.
Una nazione, la nostra, vissuta negli ultimi dieci anni rubando regolarmente all’Europa tutto ciò che si poteva rubare, con centinaia e centinaia di cooperative agricole composte da furbi malandrini, di società e aziende composte da furbetti di quartiere, aggirando ogni Legge, ogni procedura, senza alcun rispetto per i parametri previsti, nel nome di quell’allegria clientelare orgogliosa, condivisa e collusa, tra una sinistra becera, incompetente, stantia e malata di assistenzialismo corporativo, la quale ha fatto da binario parallelo all’attività omertosa e criminale di quella maggioranza di destra il cui unico obiettivo dichiarato è sempre stato quello di approfittare di rendite di posizione per espoliare la classe media appropriandosi di ogni sua ricchezza alla portata.
Lo scandalo Penati è soltanto la punta di un iceberg, e sappiamo già che rimarrà una punta, perché sott’acqua, nelle profondità dei marosi della politica italiana,  gli incroci, i legami, i lacci, lacciuoli e complicità, sono tali e tanti, che non è possibile per nessun magistrato al mondo –anche il più geniale e spaesato-  poter mettere le mani su qualche mascalzoncello (di alto livello) di sinistra senza che, al terzo interrogatorio, non vengano fuori delle inoppugnabili prove che lo legano a settori della destra al potere, garantendogli quindi una sicura immunità.
Se non oggi, di sicuro domani. Al più tardi, dopodomani.
E naturalmente, viceversa.
Ed è questo il motivo per cui in Italia il popolo seguita a essere addormentato.
Nel nome di una segnalazione, raccomandazione, presentazione, spinta, clientela, gli italiani preferiscono ingoiare la pillola di sonnifero che abilmente viene data loro –a seconda del posto che occupano nella società- dal deputato di turno, giù giù  fino al capo bastone locale che controlla un pacchetto di 2000 voti nella provincia di Vattelapesca a nome di Tizio dei Semproni.
Più che l’indignazione, in Italia, si afferma lo spirito elemosiniere e servile, corporativo.
E’ la classica mentalità da ghetto.

Non è stata data neppure la notizia, venti giorni fa, del clamoroso e triste fallimento del “lancio degli indignados” a Piazza San Giovanni a Roma, durato due ore in tutto.

Meglio andare a casa e telefonare a zia Evelina per ricordarle di chiedere alla segretaria di quell’avvocato che lei sa se si ricorda di spingere la propria pratica di assunzione sopra la pila, per fregare gli altri che non hanno una zia Evelina alla quale telefonare.
Meglio questo che inventarsi un lavoro per far mercato.
L’importante è aggirare gli ostacoli.
Invece di cercare di abbatterli per aprirsi un varco verso il nuovo.

In Spagna, gli indignados sono stati l’esplosione rabbiosa dell’illusione perpetrata da una disastrosa politica economica voluta da Zapatero che ha inventato una bolla mostruosa immobiliare fatta di speculazione finanziaria –e non di ricchezza produttiva-  producendo un numero sempre più alto di proprietari di immobili che, in realtà, erano disoccupati e non producevano mercato. Bastava che avessero i soldi sufficienti per pagare il mutuo, anche il terzo o quarto mutuo agevolato. Glieli buttavanao in faccia senza chiedere alcuna garanzia. Gli indignados spagnoli hanno portato in piazza la delusione di chi si era illuso.

In Usa, invece, la situazione è completamente diversa.

E’ inutile andare a scomodare il buon vecchio Carlo Marx quando spiegava che l’unica rivoluzione sensata che aveva un minimo di probabilità di essere vincente e cambiare il mondo, sarebbe avvenuta nel paese e nel luogo dove il capitalismo si fosse espresso in tutta la sua dimensione piratesca, al massimo livello d’espansione.
Ne era al corrente –molto ma molto bene- la destra reazionaria americana che dalla fine degli anni’70 ha fatto di tutto per addormentare le coscienze collettive attraverso la presa di possesso del sistema inter-attivo multimediale, iniziato a metà degli anni’80 quando si maciullò la grande e imbattibile tradizione del giornalismo investigativo statunitense (vero e proprio inossidabile mito della democrazia liberale americana di sogno massonico) spostando con diabolica abilità l’intero comparto mediatico verso l’invenzione del sistema gossip, fino ad allora del tutto inesistente, se non per qualche povero demente analfabeta.

L’attacco alla Cultura è stato il perno dell’ossatura nell’attacco frontale che la destra reazionaria statunitense ha condotto fino in fondo nel proprio paese –esportandolo poi nel resto d’occidente- per evitare che in un paese così ricco di soldi, di produttività, di benessere, ma soprattutto di opportunità e di una dinamica del mondo del lavoro che non ha paragoni nel pianeta terra, si potesse creare una classe media evoluta, fatta di erudizione e di cultura: troppo pericoloso.

Ma le contraddizioni del capitalismo americano, oggi, giocano a svantaggio dello stesso capitalismo selvaggio, anarchico, tecnocratico e oligarchico.
Perché la cultura d’impresa e quella intellettuale prodotta dallo studio, dalla ricerca e dall’applicazione, ha seguitato a fiorire, a produrre teorie, cervelli, innovazioni che poi servivano per generare lavoro, occupazione, progresso. L’importante era riuscire sempre a tenere il livello sotto il limite di guardia.
Ma la sfrenatezza dei liberisti anarchici ha fatto saltare il coperchio.

La maggior parte delle persone che negli ultimi tre giorni sta occupando il centro di dieci città americane, i cosiddetti “Occupy Wall Street” non sono balordi disperati e ghettizzati come a Tottenham, o dementi deliranti criminali come quello schizofrenico di Oslo, o giovanotti delusi come in Spagna o addormentati italiani in cerca di una sovvenzione vita natural durante.
Sono professionisti ricchi.

E’ una rivolta dei ricchi che producono contro i mega ricchi che non producono.

E’ simile alle prime rivolte dei borghesi e dell’aristocrazia colta nella Francia settentrionale intorno al 1730, quando si cominciava a capire che le pressioni per allargare gli spazi di intervento sul mercato per le attività produttive sarebbe stato inceppato dal Re e dalla aristocrazia parassitaria.

In piazza ci vanno persone che guadagnano almeno 100.000 euro all’anno e pagano le tasse, e pretendono che le paghino anche le corporazioni miliardarie.
Non sono disperati come nel Mahgreb , o in Lybia o in Siria.

E non degenererà in alcuna violenza.
Perché coloro che protestano, oggi, in America, non sono persone economicamente disperate.
Le cronache sono tutte molto precise in proposito.

E’ la classe media a protestare.
Non sono i neri, gli ebrei, gli italiani, i messicani, i portoricani, gli irlandesi, le etnie che hanno fatto l’America con il loro lavoro e che pretendono qualcosa in più.

Sono bianchi e protestanti.

E’ una rivolta wasp.
La prima rivolta wasp nella storia Usa.

Hanno un furibondo e vasto serbatoio di idee, e nessuna ideologia.

Sono professionisti che hanno studiato George Washington e Thomas Jefferson.
E hanno imparato ad amare il loro sogno, la loro idea di nazione e di comunità di uguali.

C’è un precedente. Uno solo.

1964 a Berkeley, California: le prime rivolte di studenti contro la guerra del Vietnam.
Anche allora erano bianchi ricchi wasp. E ci vollero quattro anni prima che quel vento arrivasse anche in Europa.

Oggi, tutto è più veloce, sintonico, contagioso.

Le persone che dibattono a Liberty Place o alla Santa Monica Promenade o sui prati del campus a Berkeley, a Chicago, a Seattle e davanti all’ordine dei giornalisti a  St.Louis Missouri, non sono persone che vogliono un lavoretto, qualche soldo in più, una sistemazione, una scorciatoia, una sovvenzione. Tantomeno una nuova illusione.
Gli Usa sono una società pragmatica.

I rivoltosi statunitensi pretendono che venga messo in atto –e lo vogliono subito- il programma di Thomas Jefferson e di George Washington riadattato alle esigenze del nuovo millennio. Sanno benissimo ciò che stanno facendo.

Non si accontentano di guadagnare un po’ di più. Non vogliono un aumento dello stipendio decurtato. Non è una battaglia sindacale.

Vogliono una nuova prospettiva di vita.

We wanna a New Deal of Life.

Questa è la frase che I sociologi americani più accorti hanno estratto e identificato come sintesi di ciò che sta accadendo.
E non sarà facile fermarli.
Perché non ce l’hanno con un nemico esterno. Non ce l’hanno personalmente con il presidente o con una classe politica corrotta come da noi.
Ce l’hanno con i propri compatrioti che loro hanno identificato come traditori del Grande Spirito Americano.

E’ la splendida notizia frutto –si sono già ripresi dallo shock- dell’abbandono di una perniciosa quanto contro-producente idea, non a caso fortemente voluta dalla famiglia Bush fin dal 1980: l’idea che gli Usa devono essere i numeri uno, i più potenti, i più vincenti, i leader nel pianeta. Hanno perso la guerra in Afghanistan e l’hanno capito e accettato. Hanno perso, in realtà, anche quella dell’Iraq. Non si sono bevuti affatto quella della Lybia. Hanno accettato di essere economicamente declassati. Hanno perso il senso della leadership planetaria, e con essa, anche il gravoso senso di doversi assumere le consuegenti responsabilità.
Si sono liberati dell’enorme senso di superiorità che li spingeva ad esercitare funzioni, programmi e scelte non compatibili con la loro etnia.

Non vogliono neppure un’alternativa.
Ce l’hanno già.
Eccome.

Pretendono a squarciagola che l’intera classe politica e imprenditoriale si ricordi di rispettare il patto sociale che George Washington e Thomas Jefferson hanno firmato con loro. E lo vogliono adesso. Ora e subito. Lo vogliono per questa generazione.

Non vogliono cambiare la nazione. La adorano.
Non vogliono abbattere il sistema vigente. A loro va benissimo.
Pretendono solo che funzioni.
Non vogliono cambiare bandiera: vanno pazzi per la loro.
Non vogliono cambiare la costituzione: ne sono innamorati.
Pretendono, urlando per le strade, che venga applicato il primo articolo della costituzione, quello che garantisce a ogni “cittadino di questa federazione di stati uniti, liberi, e indipendenti, di poter aspirare alla costituzione e al raggiungimento della felicità in terra”.

Sono allegri. Sanno che giocano in casa. Sono arrabbiati ma non sono disperati.
Sono come un innamorato deluso, tradito, avvilito, impietrito, ma che rimane pur sempre innamorato di quella persona lì e vuole dargli un’altra occasione a tutti i costi.

Sono una nazione compatta che ha deciso “noi non ce la beviamo più”.

Lo fanno con la loro consueta ingenuità (dal punto di vista di noi snob europei).
Con la loro consueta superficialità (dal punto di vista di noi intellettuali europei).
Con la loro consueta solennità festaiola (dal punto di vista di noi cinici e sornioni europei).

Sono giovani, hanno soltanto 215 anni di storia alle spalle contro la nostra bimillenaria.

Al loro futuro ci tengono.

Non è come da noi che si fa credere ai giovani di non avere un futuro perché chi detiene il potere sa che è il modo migliore per spingere le masse a gettare la spugna.

Welcome back, cari americani.


12 commenti:

  1. Voglio sperare che la sua analisi delle motivazioni della rivolta di (alcuni) americani contro Wall Street sia corretta.

    Però in rete ne girano delle altre.

    Ma voglio sperare che la sua sia quella corretta.

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  2. Spero che anche noi italiani scatti l'orgoglio di essere presenti tutti insieme di amare la nostra Italia e di far rispettare la nostra Costituzione perchè non è vero che non c'è lavoro è che non c'è il coraggio di essere una nazione ecologica di ritornare a fare dei lavori che sono dimenticati. E sopratutto di non essere dei corroti.

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  3. Spero che quest'ondata ci travolga e spazzi via quanto di peggio noi Italiani ci portiamo dentro le nostre anime,abbiamo bisogno di cambiare...Noi Stessi!

    ps Spero la stessa cosa anche per i Greci e per tutti gli europei in generale.

    Pino

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  4. Un giorno vorrei cantare il nostro inno nazionale non come una canzoncina qualsiasi ma come espressione di orgoglio di essere Italiano,forse sto correndo un pò troppo,ce ne abbiamo di passi da fare ancora...

    Pino

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  5. Nella frase "Ma le contraddizioni del capitalismo americano, oggi, giocano a svantaggio dello stesso capitalismo selvaggio, anarchico, tecnocratico e oligarchico" eliminerei il termine 'anarchico' in quanto ha significato ben diverso e ben più 'alto' rispetto agli altri attributi da Lei utilizzati nel definire il capitalismo.

    Silvio

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  6. @Silvio.....il termine "anarchico" è qui usato nella sua accezione marxiana -cioè economica- non contiene alcun assunto ideologico o di identificazione politica. A questo ci aggiungo una mia idea paradossale, stimolata dalla lettura di un meraviglioso romanzo scritto da un grandioso autore del '900, il più grande scrittore portoghese e tra i migliori d'Europa in assoluto: Fernando Pessoa. Il romanzo si chiama "Il Presidente" e racconta la storia di un leader anarchico che diventa presidente della più potente banca privata portoghese (siamo negli anni'30 del secolo scorso). Una volta la settimana va alle riunioni clandestine della sua cellula anarchica dove viene contestato dai suoi compagni che intanto preparano attentati contro leader politici. Lui cerca di comunicare a loro che il "vero e sublime anarchico" è lui, perchè -nello spiegare ai suoi compagni come sarà il futuro dell'occidente- racconta il modo in cui "le banche, i grandi ricchi, le persone come me porteranno alla definitiva estinzione dello Stato e alla sua totale, ineluttabile, definitiva scomparsa dal pianeta, al loro autentico sfacelo". Una meraviglia di romanzo la cui lettura è consigliata a tutti i gourmet della buona letteratura europea.

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  7. le motivazioni della rivolta sono errate poiche' la massa non conosce la finanza, il sapere completo e' per pochi privilegiati e non lo insegnano alle universita'.
    l'altra volta, poiche' e' gia' venuto il momento, avevo accennato qualcosa ma il mio commento e' stato prontamente cancellato.
    lei lo sa caro Sergio che colui che tutto vede quando si taglia da un lato poi ne aggiunge due dall'altro.... segua il cuore senza paura e sara' ampiamente ricambiato.

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  8. @anonimo 06:34.....non mi ricordo di lei, e non so a quale commento cancellato lei faccia riferimento; la ringrazio, comunque, per il consiglio che accolgo con immenso favore; sono una persona che segue sempre il cuore....a titolo di curiosità mi farebbe davvero cosa gradita se potesse ripubblicare il commento al quale accennava: muoio dalla curiosità

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  9. Sergio,
    va bene cosi'. forse e' quasi giunto il momento, non lo e' ancora. complimenti veri per gli articoli, sempre di un livello superiore.

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  10. @Sergio

    La ringrazio per il consiglio letterario, lo leggerò volentieri e con attenzione. Vorrei solo aggiungere che l'anarchia non è, a detta del protagonista (da Lei riportato), il desiderio di eliminare lo Stato e portarlo al suo sfacelo (sinonimo di caos), bensì di proporre un'alternativa allo Stato così come oggi lo vediamo. L'anarchia ha come presupposto fondamentale il Rispetto dell'Uomo verso i suoi simili e verso tutto ciò che lo circonda. Partendo da questo, lo 'Stato' diviene il governo dell'Armonia.
    Saluti e complimenti per gli articoli.

    Silvio

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  11. Secondo alcuni commentatori USA siamo a un 68 ma con " cervello ".
    Non sono i desperados ma la classe media che si stà ribellando.
    Come al solito "noi " non abbiamo ancora capito- o non abbiamo abbastanza fame.-
    PS ho scoperto con piacere un blog intelligente.
    My best.
    ermanno

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  12. Zapatero che ha inventato una bolla mostruosa immobiliare fatta di speculazione finanziaria –e non di ricchezza produttiva- producendo un numero sempre più alto di proprietari di immobili che, in realtà, erano disoccupati e non producevano mercato.

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