di Sergio Di Cori Modigliani
Uno
spettro si aggira per l’Europa: è lo spettro di Ivan Karamazov.
Dalla
cima impervia di quell’Olimpo surreale che sovrasta la culla del Sapere
europeo, dove vivono i grandi eroi che nei millenni hanno forgiato, alimentato
e prodotto l’immaginario collettivo del nostro continente, dove abitano per
l’eternità i personaggi letterari nati dal talento e dal genio dei grandi
artisti, si erge, al di sopra di tutti, il più inquietante fantasma mai
inventato. Il suo grido, strillato a squarciagola nel lontano 1881, oggi più
che mai ci ammonisce sulla imminente caduta dell’Europa e ci ricorda chi siamo,
da dove veniamo.
E di conseguenza, quali prospettive si aprano per il nostro
immediato futuro.
“Se tutto è assurdo, allora tutto è
lecito, ogni cosa è permessa”.
L’urlo
disperato di Ivan Karamazov, nato dalla sublime penna del più grande romanziere
che l’Europa abbia mai prodotto, Fedor Mickailovitch Dostoevskij, ci ricorda
quale immane tragedia sia vivere in un mondo ormai privo di un significato di
riferimento. Un mondo, quello nostro attuale, dal quale è stato sottratto il
Senso e dove la realtà quotidiana è stata sostituita da una surrealtà imposta
dall’oligarchia imperante, squallida impiegata al servizio di una fumosa comunità
di finanzieri sovra-nazionali senza scrupoli, il cui piano politico strategico
consiste nel definitivo abbattimento delle immense conquiste sociali,
esistenziali e culturali, ottenute a fatica dalle quindici generazioni che ci
hanno preceduto. Una vittoria, questa,
della quale ogni singolo europeo è andato giustamente sempre fiero,
consapevole di aver raccolto la doviziosa eredità tramandata negli ultimi 300
anni da pensatori, filosofi, scrittori, scienziati, artisti che, dai tempi di
John Locke e Voltaire, hanno posto le basi per fondare la “Dichiarazione dei
diritti dell’uomo” nata dalla rivoluzione francese. Quei tre pilastri della
compassione sociale, dell’intelligenza politica e dell’evoluzione psicologica,
che sono e rimangono tuttora l’autentico fondamento della nostra cultura: la
Libertà, l’Uguaglianza e la Fratellanza, sono stati il fondamento del Diritto
Civico dell’Europa che ha dato vita alla democrazia politica.
Per tre lunghi secoli i cultori dell'oligarchia hanno tentato di proporre un modello di scambio e un contratto sociale che veicolasse un'idea del mondo basata sull'assunto che esiste una classe superiore di indivudi, prescelti e selezionati per nobiltà di sangue, provenienza di censo, appartenenza a consolidate famiglie della burocrazia politica partitica attraverso la fondazione delle dinastie familiari legate ai partiti, i quali vanterebbero un privilegio acquisito tale da consentire loro la liobertà di poter decidere, gestire, amministrare, stabilire, legiferare e, quindi, determinare, la modalità esistenziale della vita di centinaia di milioni di persone.
La posta in gioco, oggi, è la più alta in assoluto mai giocata in Europa dal 1712.
L’obiettivo politico di questo sistema di potere consiste nell’allargare sempre di più la proletarizzazione sociale in modo tale da garantirsi un prezzo sempre minore dei servizi, un valore sempre minore del salario, l’allargamento sempre maggiore del bisogno producendo “totale dipendenza” (come nel caso della cocaina e del gioco d’azzardo) per avere accesso quindi alla possibilità di procurarsi manodopera a un prezzo sempre più basso, e così poter produrre la gigantesca mole di merci necessaria per garantire la sopravvivenza dei nuovi schiavi.
Per tre lunghi secoli i cultori dell'oligarchia hanno tentato di proporre un modello di scambio e un contratto sociale che veicolasse un'idea del mondo basata sull'assunto che esiste una classe superiore di indivudi, prescelti e selezionati per nobiltà di sangue, provenienza di censo, appartenenza a consolidate famiglie della burocrazia politica partitica attraverso la fondazione delle dinastie familiari legate ai partiti, i quali vanterebbero un privilegio acquisito tale da consentire loro la liobertà di poter decidere, gestire, amministrare, stabilire, legiferare e, quindi, determinare, la modalità esistenziale della vita di centinaia di milioni di persone.
La posta in gioco, oggi, è la più alta in assoluto mai giocata in Europa dal 1712.
L’obiettivo politico di questo sistema di potere consiste nell’allargare sempre di più la proletarizzazione sociale in modo tale da garantirsi un prezzo sempre minore dei servizi, un valore sempre minore del salario, l’allargamento sempre maggiore del bisogno producendo “totale dipendenza” (come nel caso della cocaina e del gioco d’azzardo) per avere accesso quindi alla possibilità di procurarsi manodopera a un prezzo sempre più basso, e così poter produrre la gigantesca mole di merci necessaria per garantire la sopravvivenza dei nuovi schiavi.
Tutto ciò, per commentare la più importante notizia del giorno in assoluto. Non riguarda nè Renzi nè Verdini, nè Grillo nè Salvini, nè lo stadio della Raggi nè i tesserati del PD.
Riguarda la morte di due esseri umani, la fine di due esistenze disperate, di due schiavi, giovani del Mali che vivevano (si fa per dire) nel cosiddetto "Ghetto del Gargano" un luogo indegno, in provincia di Foggia, che serve come deposito umano di esseri che i caporali -al servizio degli agricoltori rapaci- usano a seconda delle loro esigenze lucrando ignobilmente sulla disperazione umana.
Perchè in Italia esiste lo schiavismo.
Esiste la schiavitù.
Sotto gli occhi di tutti, e non è più accettabile non prenderne atto e non affrontare la questione.
La morte dei due schiavi maliani ci riguarda tutti. Nessuno escluso.
Non si può voltare la faccia dall'altra parte.
Di solito, a questo punto, sottolineo la latitanza censoria della stampa cartacea.
Questa volta, invece, è il contrario.
E' il web a non parlare più di tanto della indegna questione, mentre sul cartaceo abbondano ottimi servizi che raccontano la verità dei fatti. Il web e i social stanno diventando sempre di più soltanto delle utili piattaforme propagandistiche a uso e consumo di militanti e attivisti partitici, per tirare la volata a questo o quel leader, a questo o quel logo.
La situazione si è paradossalmente capovolta rispetto a quella che era nel 2011.
Qui di seguito un breve pezzo di un giornalista (non famoso) pubblicato sul corriere della sera oggi e poi diffuso in rete sul sito on line del quotidiano milanese.
Impone delle riflessioni dalle quali non possiamo sottrarci.
La Schiavopoli del Gargano
Di là le spiagge e il divertimento
di qua solo sfruttamento
Nel Gran Ghetto di Rignano, nella provincia più calda d’Europa, vivono in estate 3mila centroafricani provenienti da Senegal, Mali, Burkina Faso: schiavi dei campi e schiave degli uomini. Nella Casbah delle baracche, tra bar e market, tutto è gestito dai caporali
C’è
un promontorio che divide il bene dal male, a Rignano Scalo. Un
promontorio di nome Gargano: di là le spiagge e il mare che, insieme a
quelle del Salento, fanno della Puglia una tra le regioni più glamour
per il turismo. Di qua, nell’entroterra, una Schiavopoli che resiste da
più di 20 anni. La chiamano Gran Ghetto, per distinguerla dalle altre
schiavopoli sparse nel Tavoliere delle Puglie, la più grande pianura
italiana dopo la Padana, in particolare dal Ghetto dei bulgari, quello
dei bianchi. Il primo a Nord di Foggia, nel territorio del Comune di San
Severo, il secondo a Est, in territorio di Manfredonia.
Il Gran Ghetto è la città degli incubi.
Schiavi dei campi e schiave degli uomini vivono lì. Per fortuna — unica
consolazione — nel ghetto dei neri non ci sono bambini. Chissà, forse
perché ai caporali non è venuta ancora in mente un’idea per sfruttarli
al meglio. Circa 3mila persone nel periodo estivo, quello della raccolta
dei pomodori da luglio a settembre, qualche centinaio di abitanti —
fino a 700 — in inverno, per raccogliere broccoli e finocchi. Provengono
dall’Africa centrale: Senegal, Mali, Burkina Faso. Gli schiavi dei
campi, gli uomini, sono sfruttati per la loro forza. Il listino prezzi,
per i braccianti africani e neo-comunitari (complessivamente ventimila
nella provincia di Foggia a fronte dei quattrocentomila a livello
nazionale) è identico: il trasporto con il furgone costa cinque euro a
testa e per ogni cassone da tre quintali — pagato 4,5 euro — il caporale
trattiene cinquanta centesimi. Nei furgoni — nel caldo della provincia
più torrida d’Italia (fino a 47 gradi in estate, soltanto Siviglia e
l’Andalusia in Europa raggiungono quelle temperature) — si stipano anche
in venti: considerando che ogni bracciante riesce a riempire fino a
quindici cassoni, il caporale incassa per ogni trasporto 250 euro al
giorno (100 per il trasporto e 150 per il “pizzo” sui cassoni. Spesso
riesce a farne due, di viaggi, e l’incasso arriva a 500 euro. E se il
lavoro abbonda, paga un autista 50 euro e per ogni viaggio aggiuntivo
incassa altri 200 euro.
Le poche donne presenti nel Gran Ghetto hanno un solo incarico: prostituirsi. I clienti sono italiani: si muovono da Foggia o San Severo (il Ghetto è più o meno a metà tra le due città distanti tra loro 25 chilometri) lungo la Statale 16, percorrono un paio di chilometri di sterrato e nel buio della sera si infilano nelle baracche. Nella Casbah del Tavoliere dove c’è di tutto: market, ristoranti, parrucchieri, gommista e meccanico. Tutto rigorosamente gestito dai caporali, i “capinero” come li chiamano i braccianti, anche loro africani. Che adesso potrebbero essere messi fuorigioco dalla decisione della Regione Puglia di sgombrare il Gran Ghetto: negli stabili pubblici, a San Severo, i caporali non potranno più gestire i traffici (di braccianti e schiave) o, perlomeno, sarà tutto molto più difficile. Per questo gli africani non vogliono lasciare Rignano: la loro Schiavopoli, all’ombra del promontorio, garantisce loro anche il lavoro. Da schiavi, ma lavoro. Per questo l’inferno, a volte, diventa l’unico posto dove poter continuare a vivere.
Michelangelo Borrillo
pubblicato sul corrieredellasera.it
il 3 Marzo 2017 (ore 11:38)
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