venerdì 5 marzo 2021

La solitudine dell'animo femminile e la scomparsa del cinema italiano





Roma. 5 Marzo 2021

Questo post è stato scritto nel settembre del 2019.

Mi piace la de-contestualizzazione, per uscire fuori dalla chiacchiera dell'attualità. E' il motivo per il quale dal 7 dicembre 2019 ho smesso di usare facebook, twitter e questo blog.


Ripropongo questo mio brevissimo test, purtroppo sempre più attuale.


Venezia. 2 settembre 2019

In pratica, a proposito del festival di Venezia, in questi giorni, si parla di tutto tranne che di cinema.

Nel senso, quello vero, strutturale.
Leggendo decine di resoconti stampati non è stato possibile scovare (nè ascoltare da sedicenti critici alla tivvù) un rigo, una parola, un cenno, un vago accenno di sfuggita, alle immagini, a una specifica immagine, alla fotografia del film X realizzata dal regista Y della nazione vattelapesca.
Nulla.
L'Italia è stata per circa 40 anni maestra sublime nell'arte della fotografia nel cinema. 

I francesi morivano dall'invidia.
La più grande (e più lacerante) perdita culturale del nostro paese è stato l'affossamento della fotografia.
La fotografia è sempre stata e rimane la base strutturale del linguaggio cinematografico.
Senza fotografia non c'è film, non può esistere.
Oggi abbiamo paparazzi che hanno sostituito i fotografi.
Buona fortuna a tutti.

(l'immagine in bacheca è datata 20 settembre 1960. Nella didascalia è anche scritta la data esatta: ore 7.50 del mattino. La donna fotografata è l'attrice Jeanne Moreau.
Il fotografo è Michelangelo Antonioni.
Il titolo della fotografia è: "La solitudine dell'anima femminile".
sottotitolo: appunti di preparazione per il film La notte.
Venti giorni prima di iniziare le riprese, Antonioni telefonò a Jeanne Moreau e le disse. "Signora, se non le dispiace dovrei farle un centinaio di fotografie di prima mattina per comprendere fino in fondo con che tipo di donna mi devo confrontare. Saremo noi due da soli, io e lei.".

venerdì 22 novembre 2019

Abroghiamo la distopia



di Sergio Di Cori Modigliani


I media televisivi e i bulli da talk show si gettano come avvoltoi sulle sardine, alla disperata ricerca del clown di turno -i sedicenti leader- per poterli definire, etichettare, sussumerli nella loro chiacchiera inutile, tesa solo ad acchiappare odiens.
Dimostrando (e già questo consentirebbe un gigantesco successo per un poppante sconosciuto che ha 12 giorni di vita) di non poter nè capire nè comprendere nè riconoscere, l'aspetto attuale, e quindi liquido, della nuova generazione dotata di forti anticorpi genetici, nati proprio per dichiarata propensione a non voler niente a che fare con il gioco delle parti dei bulli da talk show e sondaggisti sbavanti al seguito.
Il messaggio che veicolano è sinceramente anti-populista e non è anti-politico, anzi.
Tutt'altro.

Sanciscono la fine dei Di Battista/Di Maio, dei farlocconi leghisti e della sinistra stanca di se stessa, capace soltanto di pedinare chiunque sia pedinabile, pur di salvaguardare la propria riconosciuta (e riconoscibile) rendita di posizione per marpioni di lungo corso.
La loro caratteristica principale consiste proprio nel NON essere nè barricadieri nè iconoclasti. Anzi.
Loro sono Antichisti e rivendicano il senso della tradizione italiana rifiutando la lettura distopica dei sovranisti.
Ecco i punti salienti del loro manifesto sul quale riflettere.


"Cari populisti, la festa è finita, per troppo tempo avete tirato la corda dei nostri sentimenti. L’avete tesa troppo, e si è spezzata. Per anni avete rovesciato bugie e odio su noi e i nostri concittadini: avete unito verità e menzogne, rappresentando il loro mondo nel modo che più vi faceva comodo. Avete approfittato della nostra buona fede ma dei vostri contenuti non è rimasto più nulla. Amiamo le nostre case e le nostre famiglie, cerchiamo di impegnarci nel nostro lavoro, nel volontariato, nello sport, nel tempo libero. Mettiamo passione nell’aiutare gli altri, quando e come possiamo. Amiamo le cose divertenti, la bellezza, la non violenza (verbale e fisica), la creatività, l’ascolto. Noi crediamo ancora nella Politica e nei politici con la P maiuscola. In quelli che pur sbagliando ci provano.
Grazie ai nostri padri e nonni avete il diritto di parola, ma non avete il diritto di avere qualcuno che vi stia ad ascoltare
”.


Costringe tutti noi alla riflessione serena.

giovedì 21 novembre 2019

Kissinger parla a Pechino allertando il mondo sul pericolo rappresentato da Trump



di Sergio Di Cori Modigliani


Il miope ghetto della comunicazione mainstream e della diffusione di notizie in Italia, lo trovo sempre più inquietante. In questi giorni si sta decidendo l'immediato futuro del pianeta, nessuno escluso (parliamo di pochi mesi, pertanto la scadenza è imminente). Quindi, si riferisce anche a noi (gli italiani sono lo 0,7% dell'umanità e siamo importanti soltanto per noi stessi). Mi riferisco all'epocale scontro politico in atto in Usa, dove in questi giorni si sta decidendo se mandare a casa oppure no Donald Trump. In entrambi i casi non sarà indolore per nessuno, perchè si riferisce alla bocciatura oppure alla promozione del populismo e sovranismo globale nel pianeta. Basandoci sulle scarne e piatte notizie dei nostrani corrispondenti televisivi da New York, sembrerebbe che la lotta sia tra i democratici e i repubblicani. Non sembra affatto sia così. In verità, sul tavolo del presidente americano è pronta "anche" l'opzione militare, quella vera, tra Usa e Cina. Il punto è proprio questo. Lo scontro, infatti, è trasversale, ed è tra i falchi militari e le colombe, presenti in entrambi gli schieramenti. I grossi marpioni della finanza speculativa sono presenti alla pari in ambo le parti: e saranno proprio loro a decidere. La parte repubblicana delle colombe (quelli già disponibili a trattare il licenziamento clamoroso di Trump) hanno scelto (e lanciato sul campo) il proprio rappresentante unico, un signore di 96 anni che gode di invidiabile salute fisica e di ancora più invidiabile intelligenza, competenza e lucidità mentale. Si chiama Henry Kissinger e il suo nome non dice nulla ai giovani millennials di oggi. Lui è il front man del campo pacifista repubblicano. E' la notizia del giorno nel mondo (esclusa l'Italia, si intende). E'stata ampiamente diffusa dal più importante sito planetario di informazione (China Daily news, in lingua inglese) e immediatamente ripreso e condiviso su tutte le piattaforme dal secondo più importante sito asiatico (India Times). Entrambi, informano circa 3 miliardi di persone nel mondo, pari al 45% della popolazione planetaria, quindi andrebbero ascoltati. Presentano una intervista a Kissinger e raccontano ciò che sta facendo. Sembra che la sua nuova attività diplomatica sia iniziata lo scorso novembre (quando di anni ne aveva 95) e si è recato in Cina in visita privata (non ha alcun incarico istituzionale, quindi -in teoria- rappresenta soltanto se stesso). Aveva sulla sua agenda alcuni appuntamenti con personalità importanti e ha viaggiato su un nomale volo di linea della Air China. Arrivato a Pechino, però, la sorpresa. L'aereo atterra su una pista laterale e gli assistenbti di volo spiegano ai passeggeri che prima devono far scendere una persona. Le hostess accompagnano il vegliardo verso la scaletta (non ha bisogno di aiuto, cammina spedito con la schiena dritta) e Kissinger trova il tappeto rosso e una banda di suonatori che intona l'inno ufficiale americano (i cinesi sanno come gestire la diplomazia nel pianeta, dato che l'hanno inventata loro circa 4000 anni fa). A riceverlo c'è il sindaco di Pechino, il comandante in capo dell'esercito cinese e il vice del presidente che gli comunica un "lieve" cambiamento di programma. Prima di andare nel suo albergo e incontrare le persone con le quali ha appuntamento è stato invitato a prendere un drink nel palazzo governativo, ospite personale di Xi Jing Ping e sua moglie. Inizia così l'avventura dei repubblicani (colombe) che vogliono scaricare Trump, un anno fa. Quella visita, invece dei previsti quattro giorni, è durata due settimane. Un anno dopo, pochi giorni fa, Kissinger è ritornato a Pechino, intervistato alla televisione di Stato dopo essere stato presentato al paese (anche i millennials cinesi non avevano la minima idea di chi fosse quell'anziano straniero) da Xi Jing Ping in persona che ha spiegato di "trovarsi davanti a un uomo di grande coraggio" il quale, nel 1971, da solo, ha preso l'aereo ed è volato a Pechino per incontrare Mao e iniziare a cambiare il volto del pianeta. "quest'uomo ci ha aiutato fin da allora ad iniziare il grande e poderoso balzo di sviluppo economico che oggi ci consente di essere la seconda potenza economica del pianeta". 
Nell'intervista, Kissinger ha spiegato ai cinesi che Trump è un uomo pericoloso e che la sua ossessione per la pratica dei dazi porterà "inevitabilmente e inesorabilmente" verso la guerra tra le due super potenze "come avvenne nel 1914". 
Lui sta cercando di fermare questo processo e spiegare ai cinesi che gli americani non vogliono la guerra. 
E' una intervista interessante. 
Ne consiglio la lettura a chi è in grado di comprendere la lingua inglese. 
Buona fortuna a tutti.

Basta digitare "China Daily New" o "Times of India" e la trovate.



lunedì 18 novembre 2019

Who is in charge, here?



di Sergio Di Cori Modigliani

Nell'interminabile valanga di film, seriali, telefilm statunitensi (sez. polizieschi thriller di svariata natura) che vengono proiettati alla tivvù italiana, c'è sempre (a un certo punto) la stessa scena: si verifica un evento inatteso e drammatico, arriva la polizia e/o pompieri e/o ambulanza e/o FBI e infine si presenta qualcuno che si fa largo tra le macerie e i morti spappolati e, inesorabilmente, pone la domanda di rito:
"Who is in charge, here?" (trad.: chi comanda, qui?).
Si fa avanti qualcuno in divisa e dice: io.
A quel punto, lo spettatore ha capito che quello o quella sarà l'eroe vittorioso oppure finirà dentro con la vita rovinata, perchè lo hanno messo in mezzo e lui/lei paga.
Perchè c'è sempre un responsabile che paga.
E' per questo che si chiama "responsabile".

Al netto delle chiacchiere e piagnistei vari sulla modesta Italietta che noi amiamo tanto, il problema nazionale è questo: il nostro è un paese dove comandano tutti e non comanda mai nessuno, quindi non esiste mai la possibilità (anche legale) di individuare immediatamente un responsabile che risponde all'opinione pubblica, alla stampa, alla Legge. E se va male, finisce in carcere subito, perchè l'onere della responsabilità della carica è un elemento strutturale del funzionamento di una società.
Da noi esiste una forma di immunità circolare, collettiva e condivisa, basata sul riconosciuto consociativismo.
Quindi, il paese non funziona.
E seguiterà a non funzionare.
Un piccolo esempio: a Roma, dopo due anni, non è stato finora possibile appurare chi fosse la persona responsabile del funzionamento delle scale mobili sulla metro. Stanno ancora litigando tra una decina di soggetti e altrettante società che si accusano l'un l'altra declinando ogni addebito.
E' così.
E lo sappiamo tutti.
Per questo motivo il paese non cambierà mai.
Affrontiamo la realtà per ciò che essa è.

martedì 29 ottobre 2019

C'è Mondo e Mondo...........................












di Sergio Di Cori Modigliani


I pentavecchi e i sempregiovani rock.
                  Ciascuno ha il quartetto che si merita.
                                Noi italiani abbiamo prodotto questo.
                                                E la responsabilità è soltanto nostra.

Di tutti noi.
               Nessuno escluso (non facciamo i furbi).




martedì 22 ottobre 2019

I dati auditel lo confermano: è sempre Silvio Berlusconi a dettare la vera agenda del paese. E si vede.


di Sergio Di Cori Modigliani

Su un punto tutti i sociologi, economisti, (e storici specializzati nella storia sociale d'Italia contemporanea) concordano senza alcuna eccezione: dal 2001 a oggi, l'ascensore sociale si è bloccato e l'Italia ha iniziato un progressivo e inarrestabile declino.
Da quando Silvio Berlusconi ha assunto il potere esecutivo.
Si chiama per l'appunto "berlusconismo".

Chi pensava che una forza politica fondata da un mafioso come Dell'Utri, condannato in via definitiva dalla Cassazione e attualmente relegato ai domiciliari, potesse svolgere un ruolo dinamico e progressivo per il paese o è stupido o è ignorante o è in malafede o è complice di quel sistema criminale di corruttela strutturale che sta strozzando il paese.
Perchè di questo si tratta, e non di altro.
Certamente non delle sciocchezze inutili di cui si parla ogni giorno qui su facebook.
Finchè i movimenti progressisti italiani, la sinistra democratica, gli intellettuali e i professionisti mediatici, non decideranno di avere il pudore e la opportuna visione d'insieme dichiarando definitivamente chiuso il 25ennio berlusconiano "per necessità", l'Italia seguiterà a declinare in ogni suo aspetto, e non potrà che andare sempre peggio.
Non c'è alternativa.
Pensavate che 25 anni di berlusconismo finisse a pizza e fichi?

Il costo sta gli occhi di tutti.
E chi non lo vuol vedere e non lo denuncia a chiare lettere, è un irriducibile complice di chi ha assassinato la speranza di un futuro decente per i nostri figli, creando questa immonda palude italiana che spinge i giovani migliori e le eccellenze della nazione a emigrare e a scappare via dal paese sapendo che niente cambia e niente cambierà.
Perchè la realtà è che ha vinto l'idea di mondo di Silvio Berlusconi,
la sua ossessione marketing, il suo squallido mercatismo e la sua tragica imposizione dall'alto, messa in esecuzione da parte della classe dirigente politica e imprenditoriale (nessuno escluso) che aveva come obiettivo la sostituzione dell'apparenza alla sostanza, la cancellazione del merito, lo svilimento della cultura e il livellamento verso il basso: tutti elementi necessari e fondamentali per avere l'occasione di promuovere i picciotti necessari per fare business e farlo fare agli amici e agli amici degli amici.
Fatevene una ragione.
La realtà nuda e cruda sta sotto gli occhi di tutti.
Fintantochè non si cambia quell'idea di mondo, il mondo italiano resterà quello de il grande fratello e dell'isola dei famosi: i picchi dell'audience per queste due trasmissioni sono il più grande successo della criminalità organizzata italiana.
Hanno trovato il modo per impossessarsi delle risorse del paese, distruggerlo, promuovendo un'accozzaglia di cretini semi-analfabeti che produce il successo dei falliti.
Il tutto senza commettere neppure un reato.

sabato 12 ottobre 2019

Quando l'amore brucia, secondo l'affascinante gusto asiatico.






di Sergio Di Cori Modigliani

Chi ama (e conosce) il cinema non rimarrà affatto deluso.
Non solo.
E' un film da non perdere assolutamente.
"Burning-l'amore brucia" del regista coreano Lee Chang Dong è un favoloso film tratto (ufficialmente) da un racconto di Murakami ma soprattutto tratto (non ufficialmente) da un racconto di William Faulkner (citato nel film più volte, dato che Murakami è il traduttore di Faulkner in giapponese, oltre che esperto saggista di note sul geniale scrittore del sud degli Usa). E' la storia (apparentemente banale e già vista, per l'appunto soltanto "in apparenza") di un trio amoroso composto da lei, solare bellissima e struggente, un giovane poverissimo che non parla mai perchè troppo stravolto dal proprio disagio psico-sociale, e un altro giovane ricchissimo simpatico e affascinante. 

E' un film pieno di rimandi e citazioni, con chicche di ogni genere sparpagliate qua e là. Lento, molto lento, e qui sta il bello, perchè l'amore (che è il tema del film) non è un'ondata improvvisa che ci sommerge (come ha sempre sostenuto Hollywood) bensì (come sosteneva Faulkner) e poi Murakami "una continua risacca che con calma porta via poco a poco la sabbia, tutta la sabbia della spiaggia, finchè a un certo punto ci si accorge di non aver più la terra sotto i piedi".
Il film dura 140 minuti.
I primi 60 sono dedicati alla lenta descrizione della quotidiana deprivazione di tutto del protagonista, immerso in una realtà che non comprende.
Poi, al 61esimo minuto, il film vira e si trasforma (ufficialmente) in un noir classico.
Il regista ce lo annuncia nel più elegante dei modi, e lo dedica agli amanti del jazz
Dallo squallore di una borgata di reietti al confine tra le due coree ci troviamo all'improvviso nel lusso spietato di Seoul, e il passaggio viene sottolineato e presentato a noi spettatori dalla cornice sonora di Miles Davis in un brano epico, quando accettò di fare la colonna sonora per il film di Louis Malle del 1962 "ascensore per il patibolo" con Jeanne Moreau e Robert Hossein, il capolavoro francese considerato il simbolo storico del genere noir.
E così, poco a poco, ci si inoltra dentro quello che in occidente noi chiamiamo "il gioco della scatole cinesi", rappresentativo di quel gusto asiatico nel leggere la complessità, dove l'apparenza non è altro che una (splendida e luccicante) buccia di cipolla oppure ne è una versione altra (sciatta e squallida) che ne contiene sempre della altre. Ma la buccia (o la scatola cinese) che sta sotto, forse, non chiarisce la vicenda, perchè quando la complessità penetra la profondità del dolore umano non è detto che finisca per cogliere e definire la verità.
Film intrigante (da non spoilerare il finale) che lascia in bocca il dolce sapore del godimento estetico, dedicato a chi dal cinema pretende l'imbattibile fasccino della narrazione visiva dei sentimenti della vera esistenza. Soprattutto quando a farlo è il regista già visto in quanto autore del superbo "Poetry".
Come dire: il cinema nella sua essenza.
E di questi tempi plastificati, credetemi, davvero non è poco.

venerdì 6 settembre 2019

La fata turchina dei lavoratori (quelli veri).






di Sergio Di Cori Modigliani


Provo orrore per la demenziale volgarità degli strateghi da tastiera contro la neo-ministra dell'agricoltura Teresa Bellanova.
Ieri, e ancora oggi, è stata accusata da molti di essere (e lasciamo perdere l'ideologia trendy del #metoo mediatico, dato che -purtroppo- il numero di donne diffamanti è altissimo).
Proprio così.
Siamo ormai al delirio: la signora Bellanova e' stata accusata di essere una persona vera, di avere avuto una vita vera, di aver scelto di dare un senso concreto alla sua esistenza, invece che optare per le consuete scorciatoie delle furbette del quartierino che ben conosciamo.
Lei non va bene perchè è per bene e sta nel posto giusto.
Oscenamente accusata perchè non conosce la letteratura greca o latina e forse non ha mai letto nè Spinoza nè Kant, o perchè non è anoressica e non veste e non si imbelletta come ha stabilito Chiara Ferragni, i leoni e le leonesse da tastiera hanno dimenticato di raccontare che a 20 anni, invece di andare a fare la fila ad Arcore per elemosinare una comparsata televisiva (o un seggio in parlamento) faceva la bracciante agricola nelle campagne del sud perchè voleva essere indipendente e aveva bisogno di lavorare. Testimone oculare delle esistenze devastate dal caporalato, è rimasta orripilata nel constatare che ancora esisteva lo schiavismo, l'ha denunciato, ha perso il lavoro, ed è diventata sindacalista proprio per combattere per la dignità umana delle persone come lei, e far crescere la consapevolezza collettiva del paese.
E' la persona più indicata in assoluto per stare al ministero dell'agricoltura.
A differenza dei suoi denigratori disgustosi, la ministra Bellanova una vita sua ce l'ha, l'ha avuta, e l'avrà sempre.
Non ha bisogno di esibire alcun curriculum farlocco.
La sua biografia parla per lei.
E dice tante cose.
Così come la biografia delle leonesse e leoni da tastiera, oggi parla per loro.
Mi fate orrore e provo disgusto per voi.
#JesuisBellanova

mercoledì 4 settembre 2019

Il corriere della sera lancia l'idea di mondo della Casaleggio.






di Sergio Di Cori Modigliani


Leggendo con attenzione la prima pagina del giornale Corriere della sera (cioè Urbano Cairo) si comprende che il celeberrimo quotidiano milanese ha deciso di lanciare il suo sostegno e appoggio alla Casaleggio, evidenziando sulla prima pagina di oggi il fatto che sia il premier Giuseppe Conte che il presidente Sergio Mattarella sono diventati (secondo il corriere) due persone subalterne, esautorate e prive di potere decisionale. Senza neppure nominare i due più importanti e alti soggetti politici dell'esecutivo della repubblica italiana, il corriere sposa in toto -facendola propria- la posizione politica pentastellata, quella che attribuisce alla piattaforma Rousseau "il luogo pù alto di partecipazione della democrazia autentica, quella diretta, quello in cui i cittadini possono manifestare liberamente la propria capacità decisionale, stabilendo quali siano le leggi, i decreti e le scelte migliori per l'intera comunità".
Intendiamoci, e diciamolo con chiarezza: è molto probabile (forse potremmo dire: ne siamo quasi certi) che si tratti di un fatto inconscio.
L'hanno fatto, cioè, a loro insaputa, come sempre in Italia.
Senza neppure rendersi conto di ciò che stavano facendo, anzi, di ciò che stavano scrivendo. Lo voglio pensare.
Sono convinto che ci sia della buona fede.
Si tratta soltanto di ingenuità, pressapochismo e totale ignoranza culturale. Niente più di questo.
Questo è il punto.
Una prima pagina come questa, e su questo giornale, è la dichiarazione di resa culturale incondizionata delle istituzioni repubblicane di cui, in teoria, il Presidente della Repubblica dovrebbe essere la massima espressione. Ma soprattutto il degno e nobile custode della totale, assoluta, e indiscutibile egemonia della carta costituzionale, per scrivere la quale i nostri padri e nonni hanno combattuto nella resistenza contro la dittatura fascista.

La frase di apertura dell'editoriale: "La piattaforma Rousseau ha dato il via libera" non è soltanto una fake news, a quelle ormai ci abbiamo fatto il callo.
Non è neppure una volgare provocazione contro il Quirinale.
Anche a quelle siamo abituati.
E' l'inizio di una totale resa culturale.
Sono curioso di vedere se all'interno del mondo mediatico professionale si affermerà la consueta omertà italiana oppure ci saranno delle legittime reazioni, e quindi un dibattito.

Questo è ciò che penso dell'attuale stato dell'arte del mainstream giornalistico italiano.
Questi sono i tempi che ci attendono.
Platone aveva coniato una sua definizione esatta: la chiamò "oclocrazia" e la definì, 2400 anni fa come "la configurazione di uno stadio di governo deteriore nel quale la guida della pόlis è alla mercé della volizione delle masse".
Allora, ai suoi tempi, la definì "il più grande nemico della democrazia, perchè abbatte i valori della cultura, del sapere, dell'apprendimento, della saggezza relazionale, privilegiando gli istinti, bisogni e pulsioni più basse e retrive degli esseri umani, quelle che albergano nella mente di ciascuno di noi, e dalle quali ci si allontana e ci si evolve soltanto attraverso la conquista del sapere, attraverso l'esercizio della parte più nobile e alta dell'anima umana: la fame della conoscenza".
Buona fortuna a tutti.

martedì 3 settembre 2019

L'Italia di Conte che tanto piace a Donald Trump




di Sergio Di Cori Modigliani


Nei 20 punti programmatici del M5s presentati dall'on. Luigi Di Maio al paese, l'unico punto davvero rivoluzionario, cavallo di battaglia dei cinquestelle e di tutta la sinistra italiana ed europea, (sia quella liberal-democratica che quella più intensamente antagonista) era il punto numero 9.
Riguardava l'assetto istituzionale del sistema bancario italiano attraverso un accordo con la Abi (associazione bancaria italiana) che imponeva la distinzione tra banche commerciali, destinate ad operare esclusivamente sul mercato del lavoro, e banche finanziarie deputate agli investimenti speculativi, richiamandosi al celeberrimo "Glass Steagall Act" del maggio 1933, allora fortemente voluto (e varato) da Franklin Delano Roosevelt, John Maynard Keynes e Harry Truman, i tre politici autori della legge che cambiò il volto dell'America depressa e modificò il corso della storia del capitalismo nel '900.
L'obiettivo dichiarato del punto 9 consisteva nel dare un esempio e una indicazione di "pensiero forte" all'Europa e ai due grandi iper-liberisti dell'occidente, esponenti di punta della finanza criminale speculativa, Boris Johnson e Donald Trump.

E' notizia fresca e confermata che poche ore fa, il premier incaricato Giuseppe Conte, ha cassato quel punto, cancellandolo. E' stato sostituito da una frasetta vacua, priva di sostanza, che neppure accenna all'evento principe in questione.
Nasce così il governo della rivoluzione dei fiori del Bel Paese.
E' composto, infatti, d'acqua di rose.
Grazie dei fior!

Questo è quanto.
Fate vobis.



P.S. Così il sito investing.com, la più importante fonte di informazione sulla vita reale della Borsa di Milano e sulle questioni finanziarie presentava alle ore 13.30 del 3 settembre 2019 questa questione.


Banche, accordo governo: sparita divisione investimento e commerciale

Economia1 ora fa (03.09.2019 12:57)
 
© Reuters.  © Reuters.
Di Mauro Speranza
Investing.com - 
La riforma del settore bancario resta un punto di potenziale dissidio all’interno del possibile nuovo governo che potrebbe vedere la luce nelle prossime ore.
Dalle ore 9 di oggi, infatti, gli iscritti al Movimeto 5 Stelle stanno votando l’accordo di governo con il Partito Democratico e il loro voto sarà fondamentale per la formazione del nuovo esecutivo.
Nei giorni scorsi, il M5S aveva presentato al Premier incaricato, Giuseppe Conte, 20 punti che considerava fondamentali per appoggiare la seconda esperienza del professore a Palazzo Chigi.
Tra questi, il punto numero 9 specificava la necessità di “una riforma del sistema bancario” che doveva passare attraverso la separazione tra “le banche di investimenti dalle banche commerciali”.
Si tratta di una proposta che rientra in un quadro di riforma sel settore finanziario in cui si mette in dubbio quella che viene definita “l’ideologia della banca universale”, con l’obiettivo di speculazione tipica delle banche e rappresenta un vecchio ‘cavallo di battaglia’ per il Movimento 5 Stelle.
Tale punto era presente anche nell’accordo di governo del maggio 2018 tra M5S e la Lega, nel quale era specificato che “a tutela del risparmio e del credito, bisogna andare verso un sistema in cui la banca di credito al pubblico e la banca d’investimento siano separate sia per quanto riguarda la loro tipologia di attività sia per quanto riguarda i livelli di sorveglianza”.
Sul tema delle banche, è risaputo, tra Movimento 5 Stelle e Partito Democratico era in atto una forte polemica, con accuse reciproche durate fino a poco prima della crisi di governo estiva.
Con l’avvio delle trattative tra i due partiti, la ricerca del compromesso sembra aver attenuato gli obiettivi dei grillini e di Giuseppe Conte. Nella “bozza di programma” del possibile futuro governo presentato questa mattina, infatti, tale separazione tra tipologia di banche non era più indicata, restando un generico “porre in essere politiche per la tutela dei risparmiatori e del risparmio”, punto 18 del documento.
Inoltre, tale separazione non risulta essere presente anche nel documento che sta accompagnando il voto degli iscritti sull’accordo di governo sulla Piattaforma Rousseau, che risulta essere lo stesso del testo di Conte.
Seppur vero che una nota in testa al documento diffuso dallo staff di Conte specifica che il “testo riassume le linee programmatiche che Giuseppe Conte sta integrando e definendo”, il leader dei 5 Stelle annunciava oggi su Facebook (NASDAQ:FB) che “il programma di governo affronta tutti i 20 punti presentati” dai grillini.
Non è così.

venerdì 30 agosto 2019

La solitudine dell'animo femminile






di Sergio Di Cori Modigliani


In pratica, a proposito del festival di Venezia, in questi giorni, si parla di tutto tranne che di cinema.
Nel senso, quello vero, strutturale.
Leggendo decine di resoconti stampati non è stato possibile scovare (nè ascoltare da sedicenti critici alla tivvù) un rigo, una parola, un cenno, un vago accenno di sfuggita, alle immagini, a una specifica immagine, alla fotografia del film X realizzata dal regista Y della nazione vattelapesca.
Nulla.
L'Italia è stata per circa 40 anni maestra sublime nell'arte della fotografia nel cinema. 

I francesi morivano dall'invidia.
La più grande (e più lacerante) perdita culturale del nostro paese è stato l'affossamento della fotografia.
La fotografia è sempre stata e rimane la base strutturale del linguaggio cinematografico.
Senza fotografia non c'è film, non può esistere.
Oggi abbiamo paparazzi che hanno sostituito i fotografi.
Buona fortuna a tutti.

(l'immagine in bacheca è datata 20 settembre 1960. Nella didascalia è anche scritta la data esatta: ore 7.50 del mattino. La donna fotografata è l'attrice Jeanne Moreau.
Il fotografo è Michelangelo Antonioni.
Il titolo della fotografia è: "La solitudine dell'anima femminile".
sottotitolo: appunti di preparazione per il film La notte.
Venti giorni prima di iniziare le riprese, Antonioni telefonò a Jeanne Moreau e le disse. "Signora, se non le dispiace dovrei farle un centinaio di fotografie di prima mattina per comprendere fino in fondo con che tipo di donna mi devo confrontare. Saremo noi due da soli, io e lei.".

giovedì 22 agosto 2019

Non tutti sono in vendita. Ma Doanld Trump, questo, non lo sa.






di Sergio Di Cori modigliani


In Italia non ce la passiamo bene, questa è cosa nota.
Ma c'è chi davvero sta peggio di noi. Una volta tanto.
In questo caso gli statunitensi.
Rubricata in agenda (da cinque mesi) la visita ufficiale di Donald Trump nel Regno di Danimarca, all'ultimo minuto si è verificata una svolta clamorosa.
Il giorno prima della partenza dagli Usa (cioè l'altro ieri) il Donald è comparso in sala stampa alla Casa Bianca e con l'aria da sborone che fa la comparsa in un film di Coppola o Scorsese ha dichiarato: "Vado a Copenhagen ad acquistare la Groenlandia. Si tratta di business, il mio campo di eccellenza. Porto con me una proposta d'oro che i danesi non potranno rifiutare".
Non appena arrivato il video a Copenhagen, nonostante l'ora molto tarda -circa mezzanotte- la premier danese, Mette Frederiksen, ha chiamato il segretario reale e ha chiesto di essere ricevuta subito dalla regina Margrethe II.
Il che è accaduto.
Il giorno dopo (cioè ieri) alle ore 15 europee, la regina Margrethe II ha fatto recapitare all'ambasciatore americano una lettera nella quale si precisava che nel corso della visita ufficiale non sarebbe stato consentito neppure "accennare" alla Groenlandia e il tema non sarebbe stato all'ordine del giorno.
Un'ora dopo, la risposta della Casa Bianca. Sembra che il Donald, inferocito, girasse per il corridoio sbraitando contro quei proveri straccioni di danesi che non sanno fare affari.
Micidiale la risposta formale a Sua Maestà: "Il presidente ha deciso di sospendere, a data da destinare, la visita ufficiale nel Regno di Danimarca non avendo nulla di interessante da discutere".

Complimenti vivissimi alla premier danese e a Sua Mestà Margrethe II da parte di un comune cittadino della Ue.
Così si fa, così va trattato il Donald.

martedì 20 agosto 2019

Siamo finiti dentro una replica e vogliono farci credere che sia originale.






di Sergio Di Cori Modigliani

Nel 1940, Adolfo Bioy Casares, uno sconosciuto geniale scrittore argentino (di Buenos Aires) esordisce, pubblicando un libro di fantascienza "L'invenzione di Morel". Borges lo consacra definendolo il più grande scrittore sudamericano.
34 anni dopo, nel 1974, Emidio Greco, uno sconosciuto geniale regista italiano (di Taranto) esordisce con il film "L'invenzione di Morel" portando sullo schermo la storia raccontata da Bioy Casares. Leonardo Sciascia lo appoggia e lo sostiene (gli darà negli anni successivi i diritti di tre dei suoi romanzi da cui Greco trarrà una versione cinematografica). Marco Pannella si innamora del film definendolo la più azzeccata metafora sullo squallore partitico della nostra repubblica, che ci obbliga a essere testimoni di ignobili balletti basati sul gioco delle parti; iInvitato a un festival dell'Unità accetta a condizione che proiettino prima questo film.

La trama del libro la trovate raccontata molto bene dalla signorina wikipedia. Il film, non ne ho idea.

Diciamo che noi siamo finiti a vivere la stessa esperienza dei personaggi di questo libro.



Questa sì che è davvero la barbarie.





giovedì 18 luglio 2019

Sulla differenza di genere e su quella anagrafica.

Sergio Di Cori Modigliani

(estratto da un dialogo tra due attori maschi che interpretano il ruolo di due ufficiali di polizia in un seriale britannico tv. Siamo nel 2017)

I due escono da una casa dove hanno appena intervistato due giovani attraenti sorelle (intorno ai 25 anni). Tutto un ammiccare continuo, ma noi del pubblico (siamo esperti e furbi e siamo già stati informati) sappiamo che almeno una delle due è un'assassina o quantomeno coinvolta pesantemente.
I due camminano verso la macchina chiacchierando.
Parla il capitano (bell'uomo sulla sessantina):
"E' stato davvero un incontro molto interessante"
Risponde il tenente (affascinante sulla trentina):
"Direi proprio di sì, signore, non vi è alcun dubbio"
"Non dicevo in quel senso"
"Quale senso, signore?"
"Si dà il caso che tu abbia ancora il cervello incatenato dentro le mutande, il che è comprensibile data l'età. Io, a differenza di te, ho impiegato decenni di duro lavoro per raggiungere il cranio e quindi posso notare alcuni particolari e dettagli per te irrilevanti. Per non dire, incomprensibili".
"Invece ho visto tutto, signore".
"Sì certo. Avevi quasi le lacrime agli occhi e ti colava la bava".
"Pensa che saremo costretti a interrogarle ancora?'"
"Non te ne fai scappare neppure una, vero?"
"Il fatto è, signore, che sto ancora cercando la donna giusta per me, quindi devo darmi da fare. Non so se mi spiego, signore".
"Ti sei spiegato benissimo".
Dieci secondi di silenzio.
Il tenente cerca di metterci una pezza.
"Scusi se mi permetto, capo. Ma lei che è felicemente sposato da 20 anni, come ha fatto a sapere che era proprio la donna giusta?"
"Semplicissimo, me lo ha detto lei. Per noi maschi è facile, basta fidarsi. E' per le femmine che è difficile. Loro se la devono vedere con la complessità. In compenso, noi maschi, possiamo permetterci il lusso di essere superficiali. Loro no".

venerdì 28 giugno 2019

Il de profundis della sinistra italiana.






di Sergio Di Cori Modigliani


Quest'immagine è la sintesi iconica e il simbolo assoluto dell'evaporazione sistemica della sinistra progressista italiana.
E' così che è andata in fumo negli ultimi decenni.
Che rimanga impressa per sempre nelle coscienze degli italiani sensibili e pensanti.
All'inconcepibile dolore dei parenti, amici, amanti dei 43 innocenti assassinati dall'incuria, corruzione, sciatteria, menefreghismo, cinismo e indifferenza criminale, si affianca l'immagine della sconfitta della nostra generazione di ipocriti pusillanimi.
E' il simbolo del consociativismo diabolico e perverso tra finanza facile e sinistra compiacente, soddisfatta di aver aggiunto una "a" satanica alla propria storia: un tempo notoriamente schiva, ha scelto invece di virare diventando schiava della dittatura del denaro e degli interessi finanziari.
Fare nomi è ormai esercizio infantile e inutile.
Ma la memoria dei misfatti ci accompagna insieme al doveroso culto di quei 43 morti innocenti.

Una comunicazione, però, è necessaria.
Ed è da qui.
Da questo punto, e soltanto da questo punto, che i liberali progressisti italiani possono ripartire verso il cambiamento:
da oggi, la famiglia Benetton è eticamente espulsa per sempre dalla coscienza progressista delle persone libere, indipendenti e intellettualmente oneste.
La ferita del ponte Morandi si rimarginerà, ma non verrà mai dimenticata.
E chi non acceta questo principio, firma la propria resa complice.

In memoriam di quelle quarantatrè animucce.

mercoledì 26 giugno 2019

Le ragazze salveranno il mondo.






di Sergio Di Cori Modigliani


Un paese in cui i media riescono a insozzare tutto, è destinato al marciume che si merita.
Questa immagine si riferisce alla calciatrice Aurora Galli, astro nascente della nazionale italiana, dopo il bel goal che ha segnato ieri alla Cina, chiudendo la partita.
E' una atleta di 22 anni, legatissima sia al fratello che alla sorella, insieme ai quali è cresciuta stabilendo un fortissimo equilibrio dell'intimità emotiva, fondamentale per uno sportivo.
Dopo la rete è andata a baciare la sorella che era andata a Montpellier con un pullman di tifosi proveniente da Tromello, in quel di Brianza, provincia di Pavia.
Evento normale e consuetudinario, per chi segue il calcio.
Eppure, questa fotografia dell'Italia che vince, dei giovani che si affermano agli occhi del mondo non per i soldi, senza malleverie politiche, al di fuori dei circuiti egoici e narcisisti dei talk show, ha disturbato la serena idiozia di un numero eccessivo di importanti testate giornalistiche, che hanno scelto di lanciare un delirante allarme di surrealtà regressiva, sostenendo che le lesbiche vogliono prendere il potere in Italia, chiedendo di non sostenere il calcio femminile perchè è dannoso far vedere ai giovinetti le lesbiche innamorate che si baciano davanti a tutti.
Diffondendo una notizia non veritiera, quindi falsa.
Era un gesto di affettività parentale, essendo la sorella.
Sarebbe il caso di soprassedere, pensando "è meglio lasciar perdere, fa troppo caldo".
E invece no: è bene parlarne.

E' un indice dei nostri tempi bui.
Perchè l'odio livoroso contro l'irruzione del calcio femminile nell'agone della più vasta platea globale del mondo, non ha soltanto a che fare con lo scontro di genere (di per sè bastevole per giustificare una fresca indignazione) bensì con una piaga ben più purulenta: la distanza cosmica tra il calcio maschile (fatto di miliardi, perversioni, mafia, criminalità organizzata, corruzione a cielo aperto, scommesse truccate su partite decisive, appiattimento dei valori fondativi dello sport) e quello femminile, oggi ai suoi albori, fatto di agonismo, possanza atletica, fresca irruenza, passione condivisa.
Tutto ciò che il calcio maschile sta distruggendo (e a scrivere questo è un maschietto super tifoso) assassinando la festa di centinaia di milioni di persone al mondo.
Il calcio femminile rappresenta quindi un pericolo socio-politico per i poteri forti (quelli veri, quelli della finanza e della gestione delle scommesse farlocche on-line) perchè risveglia in tutti lo sbiadito ricordo dell'autentica passione calcistica, basato sull'atletismo identitario e non sulle mazzette.
Fa quindi venir voglia di rivedere il bel calcio pulito, quindi va penalizzato, e annacquato per evitare il contagio.
Perchè ci restituisce la cifra autentica della passione calcistica.
Il sito bufale.net, che di solito si occupa di questioni ben più serie, si è sentito costretto ad intervenire pubblicando la vera storia di quel bacio, denunciando il tutto.
Venti minuti dopo, i farlocchi bufalari (parlo qui anche di siti di testate pluri-decorate famosissime) si affrettavano a cancellare le tracce della loro infantile e stupida cattiveria ideologizzata.
Forse, chi lo sa, non tutto è perduto.
Forse, saranno le ragazze a salvare il mondo.

lunedì 24 giugno 2019

Vince a Istanbul la voglia del cambiamento. Grazie, anche, a questa coppia.




di Sergio Di Cori Modigliani

Questa coppia che vedete qui sotto (da noi, in Italia, ignota) sono il simbolo della costruzione del nuovo immaginario collettivo turco, basato su un'idea fortemente europeista, progressista, femminista, laica e libertaria.
Sono stati fondamentali nel nutrire l'humus che ha sedotto ed esaltato i giovani millennials votanti di Istanbul, una platea mediterranea dalla quale diversi tra i nostri giovani avrebbero molto da imparare.

Lei si chiama Hulya Ozkan.
Ha, oggi, una sessantina d'anni, ed è figlia di emigranti turchi.
Da sempre in Germania, a Dusseldorf e poi a Berlino, ha lavorato per molti anni nei media teutonici, prima come presentatrice televisiva in lingua turca e tedesca, poi divenuta produttrice. Agli inizi dei 2000 ha esordito con una serie di romanzi polizieschi fortunati e, nel 2008, ha conquistato sia le platee che il marketing mondiale con la sua mitica serie televisiva "Squadra Omicidi Istanbul", trasmesso anche in Italia (rai2 alle ore 14) dal 2014.

Lui si chiama Erol Sander, anche lui figlio di emigrati turchi in Germania. Pescato, circa 25 anni fa, dall'intelligenza degli scout di Giorgio Armani, come testimonial, per fare concorrenza a Hugo Boss nel mercato tedesco, è diventato il simbolo assoluto della grande casa di moda italiana e il più famoso modello maschile del mondo.
Nel 2008, accetta l'offerta (una vera sfida) da parte della televisione tedesca e diventa attore, interpretando il personaggio del commissario nella serie scritta dalla Ozkan.
E' un seriale televisivo bellissimo che regala l'immagine di una società turca complessa, variegata, multiforme, ricca di contraddizioni, scritta, girata e recitata con grande intelligenza, fascino e competenza.

Entrambi vengono studiati, come modelli simbolici, in tutti gli istituti di sociologia d'Europa.
Da noi sono sconosciuti.

La bella vittoria di Imamoglu è anche merito loro.
Bravissimi.
Noblesse oblige.

giovedì 20 giugno 2019

Quando l'ottusità ideologica rovina tutto il bello che c'è.







di Sergio Di Cori Modigliani

A proposito delle azurre di calcio.

Ieri mattina, l'ente ufficiale Auditel, che registra e segnala gli indici di gradimento delle trasmissioni televisive italiane, ha diffuso i dati relativi al n. di telespettatori per l'incontro dello scorso mercoledì tra Italia e Brasile: parliamo del calcio femminile.
Ed è subito record.
Supera del 15% l'indice dei telespettatori relativo alla partita ufficiale di calcio maschile Italia-Bosnia di qualche settimana fa, e si attesta intorno al 30% (circa 7 milioni di persone) massimo risultato storico mai raggiunto da un evento sportivo femminile.
Mi sembra una bellissima notizia per tutti.
E così andrebbe accolta in un paese civile, perchè si tratta di una vittoria "nazionale", quindi non divisiva, ma unificante.
E' ciò di cui ha bisogno oggi il paese.
Pessime le notizie, invece, nel campo dei media.
Tralasciamo "Libero", qui siamo nel folclore crozziano.
Sull'importante quotidiano "Il Foglio" (sedicente liberale, liberal e libertario) è comparso un editoriale firmato nel quale il giornalista gridava allo scandalo, definendo la performance delle azzurre un evento ignobile "essendo il calcio femminile un atto contro-natura" e identificando l'atto in sè come un segnale dell'inarrestabile declino del paese: un autentico delirio ideologico, forse dovuto a un colpo di calore. Le femmine, infatti (secondo la testata) dovrebbero stare a casa e non occuparsi di sport che è soltanto per noi maschietti.

Tranquilli, cari feisbucchiani anti-fascisti, ce n'è per tutti.
Sulla testata "corriere della sera" è apparso un articolo (sempre sullo stesso tema) a mio avviso di gran lunga peggiore e ben più pericoloso. Firmato da una donna, convinta di star esprimendo un pensiero femminista innovativo, senza rendersi conto, invece, che stava lanciando una campagna negazionista elencando uno sciocchezzaio ideologico, direi davvero atroce,
La malcapitata, invece, spiegava che le azzurre in campo sono in realtà le avanguardie dell'anti-fascismo militante, e quindi la partita in sè non doveva essere considerata come un gioco, bensì come l'ardente "risposta politica collettiva delle donne a nome di tutte" contro il maschilismo governativo: anche in questo caso siamo in pieno delirio ideologico, con l'aggravante di essere per davvero contro la libertà delle femmine, a tal punto ottusa da non rendersi conto di aver sottratto alle azzurre l'unica loro pretesa: avere il diritto di essere riconosciute come persone/atlete. Ma la nostra ideologa della sinistra festivaliera è andata anche oltre. Non contenta del pilotto anti-libertario, ci ha tenuto a specificare che le azzurre rappresentavano una bandiera dell'anti-fascismo dato che Mussolini era contro la libertà delle femmine. Sbagliato! Grave errore, anzi gravissimo, perchè si dice (e si scrive) il falso storico annebbiando quindi la mente di giovani spaesate. Non si fa il negazionismo ideologico.
Per il fascismo, la promozione della donna nello sport fu un evento fondamentale e perno fortissimo della propaganda del regime. Grazie al lavoro clandestino dell'intellettuale aristocratica ebrea Margherita Sarfatti (scrittrice, critica d'arte, maestra, musa, consigliera, editor e soprattutto amante fedele di Mussolini, (oggi si direbbe "la vera spin doctor del Duce, la sua guru personale") era stata istituita "l'Associazione Nazionale delle Giovani Italiane per lo sport", ente riconosciuto dal re, che nel 1932 godeva del più alto finanziamento e sovvenzione da parte dello stato. Nella celeberrima intervista radiofonica all'Eiar, nello stesso anno, il vate D'Annunzio così rispondeva alla domanda relativa alle donne nello sport "Amo la donna che guida l'automobile perchè non si fa trasportare, è lei a condurre e sa dove andiamo....amo la femmina che sempre corre, che sguscia via, che combatte e si batte, la femmina guerriera per antonomasia, la DIana dei boschi che ricorda alle giovani italiane di oggi che battersi a pallacorda e tirar di scherma porta in sè le vestigia e la memoria della grandezza eterna dell'Impero che fu. Giovani italiane: siate tutte Diana, scoccate le vostre frecce, e con i successi sportivi mostrate la grandezza del fascismo". Così erano, allora, così parlavano. Non raccontarlo, censurarlo e negarne l'esistenza, non aiuta la causa dell'anti-fascismo. Anzi, ne esaspera le sue pulsioni.
Infine, la rai: pessima, ma davvero pessima scelta.
Prendendo atto che viviamo in un regime di totale dittatura partitocratica che ci impone il politichese, nei 15 minuti precedenti l'incontro, quando la pubblicità fa il pienone, sarebbe stato intelligente e utile presentare al pubblico Maria Elena Boschi, Paola Taverna, Mara Carfagna, Lucia Bergonzoni e Giorgia Meloni, in rappresentanza, tutte e cinque, dell’intero arco parlamentare che conta, con l’accordo preventivo di non fare propaganda per la propria fazione, e parlare soltanto di questione femminile, sport delle donne, e diritto delle donne ad avere accesso alla diffusione, visibilità e sostegno sia finanziario che mediatico dell’attività sportiva agonistica.
E invece, chi c’era?
Pablito Rossi, un anziano ex calciatore (nessuno che abbia meno di 45 anni sa chi sia e chi sia stato) che per la milionesima volta parlava di se stesso e della sua impresa in Ispagna nel lontanissimo 1982 e dei maschi.
Come si fa essere così miopi e ottusi?

Questa è l'Italia, oggi.
A tutti questi giornalisti consiglio la lettura del libro fortemente voluto, editato, sponsorizzato e presentato da Monica Bertolini, allenatrice della squadra nazionale femminile italiana di calcio. E'uscito nel 2015. Si chiama "Giocare con le tette".
Ve lo consiglio caldamente.

domenica 16 giugno 2019

Quando l'Italia ci sapeva fare ed era leader nel mondo. In memoriam



di Sergio Di Cori Modigliani



In memoriam.

sottotitolo:
"quando l'Italia era davvero un grande paese e sapeva aprirsi i mercati mondiali a colpi di qualità, creatività, abilità, gusto.
Ma soprattutto: imbattibile talento".


E' morto Franco Zeffirelli.
Aveva 96 anni.
I giovani millennials di oggi, è molto probabile non sappiano neppure chi fosse.
E leggendo la valanga di elogi funebri ci si può fare l’idea di un artista molto famoso, pluripremiato dovunque, da noi (in Italia) accettato perché famoso, ma inviso alle direzioni galattiche della cultura gestite dalla sinistra festivaliera. Macchiato di indelebile colpa mediatica (non era di sinistra e detestava la cultura di massa) era stimato e riverito fino all’inverosimile molto di più all’estero che non in patria, dove –caso più unico che raro- non era accettato di buon grado neppure dalla destra, poiché detestava Berlusconi e aveva definito Gianfranco Fini “un cameriere che, secondo me, non sa neppure servire il thè”.
Se si parla della sua vasta e ricca produzione oggi, si corre il rischio di essere riduttivi e ridondanti: ha lasciato la sua indelebile firma dovunque.
E comunque.  
Io lo voglio ricordare oggi, condividendo con voi uno specifico momento della sua prestigiosa e lunga carriera, che è anche una citazione biografica, ma soprattutto una memoria di quando l’Italia era ancora una grande potenza economica che sapeva (e poteva) imporre nel mondo il prodotto made in Italy, grazie alla nostra migliore e imbattibile qualità, quella che stiamo perdendo giorno dopo giorno: il plusvalore della migliore sintesi europea tra competenza, talento, creatività e cultura dell’impresa.
L’evento cui mi riferisco si è verificato nella terza settimana del mese di settembre dell’anno 1997.
A New York, nel cuore della Manhattan che allora contava.
Era un anno decisivo. Ci si stava lanciando verso la globalizzazione e l’industria tessile cinese e l’industria della moda statunitense avevano deciso di scendere in campo in maniera massiccia lanciando la sfida (nel tessile) all’Italia e (nella moda) a Parigi e Milano, le uniche due capitali che contavano. A Manhattan, in quel mese, si stava svolgendo la fiera mondiale del tessile, e contemporaneamente la settimana della moda, la prima veramente importante per gli Usa.
Stavano tutti a New York.
Allora abitavo a Manhattan e lavoravo come giornalista; tra le mie varie collaborazioni ce n’era una per un meraviglioso settimanale del gruppo Rizzoli (“Il Mondo”) che non esiste più dove mi occupavo di geo-politica e cultura d’impresa.
Quel giorno, un mercoledì mattina, avevo un appuntamento alle ore 12 all’Ice (Istituto Italiano del Commercio con l’Estero) con il responsabile organizzativo dell’ente. Lo dovevo intervistare su due argomenti che avevamo già concordato: che cosa stava facendo l’industria della moda e del tessile italiana per vincere la concorrenza sia degli americani sia della novità cinese, e come l’Italia intendeva gestire l’immagine del proprio paese all’estero per mantenere la propria indiscussa leadership nel settore.
Era una splendida mattina di autunno, soleggiata, un po’ ventosa, il momento climatico migliore per passeggiare a New York. Poiché avevo delle piccole commissioni da sbrigare (posta, banca, commercialista) ero uscito di casa molto presto per evitare di arrivare tardi. Ero invece in netto anticipo. Alle 10.45 avevo già finito le mie incombenze. E così, invece di prendere il solito taxi, decisi di andarci a piedi attraversando il centro della città. Uscendo dall’ultimo appuntamento, a pochi metri da lì, vedo uscire una coppia molto elegante che aveva in mano una bandierina tricolore dell’Italia. L’immagine non mi colpì più di tanto. Dopo un centinaio di metri, vedo uscire da un lussuoso condominio un gruppo di giovani, vestiti molto alla moda, e tutti con una bandierina tricolore italiana che sventolavano con aria allegra e rumorosa. Mi sembrò davvero una curiosa coincidenza. Dopo dieci minuti, vedo la stessa scena con altre persone e dopo cinquecento metri, passando per caso davanti alla celeberrima agenzia di modelle Ford, vedo un nugolo di splendide ragazze ciacolanti che sventolavano delle bandierine tricolori italiane in attesa che arrivasse il pullmino limousine. Evidentemente, pensai, è accaduto (o sta accadendo) qualcosa che io non so. Accelerai il passo e il numero di persone che camminavano agitando bandierine tricolori italiane aumentava sempre di più. Morivo dalla curiosità di sapere che cosa stesse accadendo e quindi feci gli ultimi 200 metri quasi di corsa (a New York è normale, tutti corrono da qualche parte) per andare all’Ice e chiedere che cosa stesse accadendo. Arrivai con un anticipo di circa mezz’ora. Mi presentai alla segretaria e il direttore arrivò immediatamente. Portava con sé un voluminoso pacco malamente incartato. “Meno male che è qui in netto anticipo, è fantastico. Volevo avvertirla ma non sapevo come fare; l’ho chiamata a casa ma lei era già uscito”. Mi prende per il gomito e mi spinge verso l’ascensore. “Andiamo su, abbiamo fretta, dobbiamo correre”. Arriviamo giù al pianterreno e senza darmi il tempo per parlare mi spinge verso l’esterno. “Dobbiamo andare a piedi, è qui vicino, non più di 500 metri. E’ una sorpresa. Si fidi. Non faccia domande. Vedrà, vedrà!”. Lo seguo morendo dalla curiosità. Arriviamo nella zona del cosiddetto “garment centre” un mini quartiere dove sono concentrati tutti i magazzini, depositi, show room, di imprese e aziende operanti nel tessile. Arriviamo a un incrocio e giriamo per un vicolo. Entriamo attraverso una porticina di ferro pesante e saliamo su un enorme ascensore monta-carichi. “noi stiamo su, al 24 esimo piano, e un piano più su c’è la terrazza dove stiamo andando”.  Una volta arrivati, entriamo in un gigantesco loft, circa 400 metri quadri, pieno zeppo di casse di legno, la maggior parte delle quali erano aperte con una trentina di persone che andavano avanti e indietro prendendo i pacchi che c’erano dentro e portandoli verso un altro ascensore. “Questo è il nostro deposito, è proprietà del consolato, quindi siamo già in Italia. Qui arrivano tutte le merci degli espositori sia della fiera che delle sfilate di moda. Paghiamo tutto noi, abbiamo organizzato tutto noi”. Attraversiamo parte del loft e il direttore apre una piccola e pesante porta di ferro chiusa con pesanti chiavistelli. Oltre la porta c’era una scala a chiocciola. Ci inerpichiamo per la rampa e arriviamo sulla terrazza del palazzo. Usciamo all’aperto e il direttore mi fa: “Ha letto il Times, oggi?”. Gli rispondo “non ancora”. Prende il pacco voluminoso e lo appoggia per terra, lo apre e tira fuori due grossi involucri di pelle, dei porta binocoli, sui quali era stampato lo stemma della repubblica italiana. Prende una copia del giornale e me lo mostra. “Guardi qui, prima pagina” e mi mostra un articolo il cui titolo era “When Italians bring us to Paradise: the way things must be done” (trad.: “Quando gli italiani ci portano in Paradiso: questo è il modo in cui le cose vanno fatte”). Ed era un lungo articolo sulla prima al Metropolitan Opera House della Turandot di Puccini. Tenore: Luciano Pavarotti; regista, costumista e scenografo: Franco Zeffirelli; direttore d’orchestra della New York Symphonic Orchestra: Riccardo Muti. Era una lunghissima dichiarazione d’amore per il Bel Paese, con una speciale aggiunta relativa alla impeccabile e sontuosa messa in scena di Zeffirelli, la descrizione dei tessuti usati, il perché, da dove provenivano, chi li produceva, chi ci lavorava. Quella Turandot venne definita “la vetta sublime dell’arte del melodramma, coniugata al canto e alla direzione musicale prodotta da una nazione che oggi è leader nel mondo per gusto, cultura e stile”.
Il direttore mi strappa il giornale mentre sto leggendo. Mi mette in mano uno dei due porta binocoli. “Avanti su, è l’ora, andiamo”. Apro il contenitore di cuoio e tiro fuori un binocolo. Lui si avvia verso la fine della terrazza che dava proprio sulla Fifth Avenue, l’arteria che attraversa il centro di Manhattan. Una folla enorme di persone assiepata dietro le transenne, agitando le bandierine tricolori italiane. Il direttore guarda l’orologio “Ecco, stanno arrivando”. Sbuca da una curva una limousine scoperta dentro alla quale c’era il sindaco di New York che saluta con la mano. Dietro di lui un’automobile scoperta con il comandante dei vigili che saluta. Poi una ventina di poliziotti in motocicletta e infine, molto lentamente arriva una grande limousine scoperta. Davanti, accanto al guidatore, Luciano Pavarotti, in piedi, la mano sinistra  al tergi-cristallo, e l’altra che sventola un fazzoletto bianco salutando. Dietro, seduti, Riccardo Muti, immobile come una statua di pietra e Franco Zeffirelli con gli occhi gonfi come due cocomeri che piangeva spudoratamente con una copiosità che non pensavo potesse esistere. Dalle motociclette dei poliziotti c’erano degli altoparlanti che diffondevano l’aria “nessun dorma”.
La gente sembrava impazzita.
Il direttore aspetta che l’automobile sia sgusciata via, mi tocca il braccio e mi fa: “Questa è la risposta per l’intervista. Questo è ciò che facciamo e come lo facciamo. Questa è l’Italia: tre artisti, uno settentrionale, uno centrale e uno meridionale che hanno messo su tutto ciò. Oggi, l’Italia che produce ha Manhattan e il mondo che conta ai propri piedi, in adorazione. Grazie a loro stiamo ricevendo ordini e prenotazioni superiori del 350% alle più rosee previsioni. Abbiamo fatto un rapido calcolo: tutto ciò produrrà almeno un 10% del pil nel 1998. Questo gigantesco casino l’ha messo in piedi Franco Zeffirelli.  Sono 4 mesi che sta qui a rompere i coglioni a mezzo mondo, ci ha fatto diventare matti, ma valeva la pena. Pensi che ha fatto venire da Prato e da Arezzo 25 giovani operaie per far cucire a mano le gonne delle figuranti con tessuti molto pregiati non facili certo da vendere. Le sei aziende che producono quei tessuti, tutte qui presenti, hanno ricevuto ordini per il prossimo triennio e hanno già chiuso perché più di così non si può vendere. Eccolo, il nostro plusvalore. Ecco come si fa”.

In memoriam per la morte di un grande maestro.