Sulla comunicazione e sui fascisti.
Qualche decina di anni fa, quando uno ascoltava parlare Giorgio Almirante, era naturale pensare “è un fascista”, così come era naturale pensare -quando si ascoltava Enrico Berlinguer- commentare con il proprio vicino “mi sa proprio che questo tipo è un comunista”. Anche quando si leggeva sul Corriere della Sera una intervista a Giulio Andreotti, era naturale pensare “secondo me, questo è davvero un democristiano” e così via dicendo.
I più giovani è bene che non corrano subito a trarne un ragionamento errato, del tipo “ma allora era diverso, era più semplice”.
A quei tempi era tanto difficile quanto lo è oggi, o quanto lo fosse stato venti anni prima di allora.
La complessità, da sempre chiave suprema per cogliere e accogliere le contraddizioni del reale, esiste da diecimila anni, pressappoco da quando Caino prese a sassate suo fratello Abele uccidendolo. Da quel momento (pagina 3 della Bibbia) il nostro percorso sociale -quanto meno di noi occidentali che da quella cultura proveniamo- si è immerso nella complessità di fattori polivalenti perché fu chiaro, ahimè fin da subito, che perfino la più solida, salda e rassicurante istituzione sociale, la famiglia patriarcale, non era immune da possibili varianti, perfino criminali.
Nella realtà di oggi, se una novità esiste, consiste nel fatto che la prima grande vittima del genocidio culturale messo a segno in Europa sia stata, per l’appunto, la complessità.
E’ scomparsa dal dibattito reale dell’attualità quotidiana, per essere sostituita dallo sdoganamento della semplificazione, un diabolico trucco per selezionare una classe dirigente, un pubblico, una platea di ascoltatori, in base all’appartenenza e aderenza a concetti elementari, quindi regressivi, di fatto primitivi, e non più discriminando sull’intelligenza, il merito, la cultura di chi ascolta e accoglie.
Oggi, noi viviamo una realtà nella quale la sostanza è stata sostituita dall’apparenza, un concetto marketing liberista, applicato dall’industria della pubblicità.
In inglese si chiama “packaging”.
So di averne già parlato ma il tema è ancora attuale.
Fu teorizzato nel lontano 1956 e spiega i fondamenti della seduzione dei consumatori arrivando al punto di sostenere che “l’adeguata forma estetica, di colore, di sapore, di suono, di forma, e prima di ogni altra cosa, di presentazione del prodotto, sono in grado di attribuire un plusvalore alla sostanza stessa del prodotto, estendendosi al punto tale che il consumatore non investe più energie nel porsi domande sulla qualità del prodotto, perchè ricava la sua intima soddisfazione libidica dal fatto di aver acquistato un oggetto per lui iconico, una autentica reliquia, anche se costa un dollaro. Il pacchetto diventa l’ambito feticcio dei suoi desideri. Se il pacchetto è sbagliato, il consumo sarà negato”.
Nel 1957, un grande sociologo statunitense, Vance Packard, ci regalava un testo storico, pilastro della antropologia sociale moderna (in italiano è stato pubblicato dalla Einaudi editore di Torino, nel 1962, con il titolo “I persuasori occulti”) nel quale riportava, per l’appunto, questo brano che ho citato.
Nei nostri tempi mediatici, oltre al packaging è stato aggiunto il concetto di “titolazione” che sostituisce il contenuto. Conseguenza dell’analfabetismo di ritorno pianificato, il messaggio politico -qualunque esso sia- non risiede più in una argomentazione (è irrilevante che sia conservatrice o progressista) bensì “nell’effetto prodotto dalla reazione chimica determinata dalla reazione viscerale sollecitata dalla titolazione e dall'annuncio di uno specifico evento, il cui obiettivo consiste nell’abolire il senso andando subliminalmente all’attacco della ragione per provocare una reazione istintiva in cui la mente raziocinante viene esclusa” come acutamente ci spiega il grande sociologo Richard Sennett (nel suo ultmo capolavoro, “Insieme” pubblicato in italiano dalla Feltrinelli editore di Milano nel 2012, purtroppo letto in Italia (forse non a caso) da pochissime persone, poco reclamizzato né presentato, né promosso).
L’abolizione del Senso è il pilastro solido dell’iper-liberismo conservatore.
L’economia, il debito pubblico, i conti, l’euro, tutta la consueta brodaglia che la cupola mediatica cucina ogni giorno per noi, è un effetto e un prodotto della sistematica e scientifica pianificazione dell’abolizione del Senso e dei punti di riferimento.
La destra estrema italiana ha capito, decenni fa, che era molto più utile e vincente seguire questa strada invece che quella della violenza armata: si arrivava prima all’obiettivo senza spargimento di sangue, senza testimoni, senza reazioni.
Impossessandosi della comunicazione linguistica alla quale è stato sottratto il valore del Senso e la potenza della Sostanza, il gioco è stato facile.
Ed è stato quindi elementare diffondere e divulgare falsi ideologici, presentati come novità.
Tra questi, al primo posto c’è la seguente espressione: “Non esistono più né la destra né la sinistra, sono categorie arcaiche" e di seguito, “il fascismo e il comunismo sono soltanto parole vuote prive di significato, sono vecchie categorie sorpassate”; “oggi viviamo in un’epoca post-ideologica”.
E’ il cavallo di battaglia -e il cavallo di Troia- del pensiero conservatore dell’estrema destra.
Anche una persona dotata di pochi strumenti è in grado di poter comprendere il seguente assunto, per quanto paradossale possa suonare: se la destra sostiene perentoriamente, battendo di continuo su questa frase, che la destra e la sinistra non esistono, mentre la sinistra sostiene invece che esiste una forte differenza, allora il solo fatto che questa frase venga compilata rivela una matrice sostanzialmente di destra, che corrisponde a un’idea del mondo totalitaria, fondativa del pensiero Unico, il cui obiettivo consiste nell’impedire che possa manifestarsi una qualsivoglia forma di opposizione perché nega e abbatte le differenze e le distanze.
Se si sottrae l’oggetto del contendere, al soggetto vengono sottratte tutte le armi logiche del ragionamento.
Non esiste nessun soggetto politico attivo, in tutto l’emisfero occidentale -che appartenga al mondo progressista- disposto e disponibile a firmare la locuzione “la destra e la sinistra non esistono più”.
Così come l’espressione “mondo post-ideologico” promuove un nuovo concetto (oggi di moda) che si chiama “comunitarismo” (chi è interessato può andare a leggere i filosofi Richard Rorty, Bernard Henry Levy, Hillary Putnam, Zygmunt Bauman che hanno prodotto pagine fondamentali sulla “produzione di Falso Ideologico della destra conservatrice per distruggere il patrimonio intellettuale della sinistra” la frase è di Richard Rorty, Berkeley 2000).
Il comunitarismo è un concetto marketing dell’iper-liberismo applicato alla socio-politica.
Promuove e lancia nell’agone della Politica la variante del centro commerciale. Si tratta di un gigantesco iper-mercato delle cosiddette idee in cui il messaggio è il contenitore e non il contenuto. Si accoglie chiunque – quindi si abolisce il concetto meritocratico basato sul “conta chi vale”- promuovendo soltanto i manager di un gigantesco iper-mercato che funge da contenitore e quindi applicando alla lettera la base della conservazione neo-aristocratica del “vale chi conta”, come avveniva nella società occidentale prima della rivoluzione francese.
Il comunitarismo è un prodotto iper-liberista che nasce dopo la fine della guerra fredda.
E viene confuso con il “post ideologico” al quale darei un significato esclusivamente temporale che facilita, in quanto tale, la produzione di un “pensiero laico”.
La strategia del pensiero laico, liberale, libertario e radicale, è ben altra cosa. Serve per evitare, in maniera surrettizia, che il pensiero progressista, ridotto al’angolo, possa manifestarsi e venga bloccato da frasi come “sei ideologico, quindi sei vecchio, oggi viviamo in un mondo post-ideologico in cui la destra e la sinistra sono categorie obsolete”.
E’ così che il fascismo si incunea e getta i semi del Pensiero Unico Totalizzante.
Il comunitarismo è stato promosso e lanciato dai consulenti della comunicazione di Marie Le Pen in Francia nel 2009 (in testa Craig Paul Roberts, ex ministro degli esteri di Ronald Reagan) con il termine “movimento identitario” ma è stato tradotto in spagnolo e in italiano con il termine “comunitarismo”; che rappresenta la rinuncia all’espressione della individualità e dell’originalità dell’essere umano, qui inteso come Persona Sociale.
L’iper-mercato comunitario impone il collante unificante: un nemico comune. Che sia l’euro, le banche, Draghi, l’Ue, Juncker, poco importa perché nulla ha più senso. Ciò che conta è la propria disponibilità a rinunciare alla specificità delle proprie idee e far quadrato contro un nemico comune.
Così facendo si apre la strada alla perdita di creatività, di attività propositiva, perché ciò che conta è crescere insieme costruendo una massa di facitori di odio. Quando sarà necessario, sarà un gioco elementare trasformare i clienti dell’iper-mercato in soldati volontari.
Il comunitarismo non ha niente a che fare con il concetto di comunità.
La “comunità” è un concetto solido, opposto.
E’ un nucleo collettivo composto da persone che non stanno insieme perché odiano qualcuno o sono contro qualcuno o contro qualcosa, bensì perché sono a favore di qualcosa, hanno una idealità comune basata su un progetto fattuale che neppure contempla l’esistenza del nemico esterno.
La comunità degli ambientalisti non va nel contenitore iper-mercato del comunitarismo ecologico -dove il collante è l’odio la denuncia e la minaccia contro, che ne so, i petrolieri- ma propone se stesso (e tutti i componenti di quella comunità) come un soggetto attivo che, ad esempio, sceglie di non buttare plastica in mare e di non incendiare i boschi. L’appartenenza alla comunità nasce da usi e costumi condivisi, identici bisogni, idee collettive il cui fine è il bene comune. Non stanno insieme né per difesa né per offesa. Una comunità di frati francescani non sta in convento per far comunella contro Satana. Loro stanno lì a far la marmellata di fichi tutti contenti perché -questa è la loro idea e progettualità- ritengono che mangiando un cibo sano e genuino spinga le persone a sentirsi più disponibili e aperti a comprendere la magnitudine di Fratello Sole e Sorella Luna e così il mondo sarà migliore. Se uno lo capisce, loro sono contenti. Se uno non lo capisce, a loro non interessa poi mica tanto, dispiace un po’ essere testimoni del suicidio degli innocenti.
Essere progressisti, esiste.
Lo si evince dal linguaggio, dalle reazioni, dalle scelte, dalla propria biografia.
E nel mondo di oggi, gli autentici progressisti sono intolleranti. Assolutamente.
Sono severi. Implacabili.
Perché la posta in gioco è la loro stessa esistenza.
Essere progressisti vuol dire accollarsi -nella percentuale consentita dalla propria individualità- la responsabilità collettiva del mondo intero e lavorare per migliorarlo.
Perché il progressista parte dal presupposto lanciato dal più grande intellettuale progressista europeo della seconda metà del secolo scorso, Jean Paul Sartre: “Certamente che sono un progressista. Per me è inconcepibile pensare un mondo in cui non siano tutti felici e faccio ciò che posso per lavorare per quello, sapendo che felice è soltanto una esigua minoranza planetaria. Fintanto che ci sarà al mondo un solo bambino che muore di fame, perché qualcuno deve lucrare un profitto sulla sua esistenza, io nego a chiunque la sola idea di aspirare alla propria felicità. Arrivo al punto di sostenere che non può neppure esistere una comunità che aspiri a godere di rispetto sociale, se non contempla l’idea di lavorare, l’intero pianeta, per debellare la povertà, l’analfabetismo e l’indigenza. L’unica comunità che conta è quella che si conta sulla sua esistenzialità, che trova il suo corollario nell’ingigantire sempre di più l’accesso al più alto numero di persone del loro diritto ad avere una casa, accesso alla sanità, all’istruzione, strumenti adeguati per lavorare, produrre arte e scienza. Chi non lavora per questo, vuol dire che si è accomodato nello status quo. Ne va della sua coscienza. Se ne ha una”. E’ una parte della lettera che inviò al Re di Svezia, agli inizi degli anni’60 per spiegargli il motivo per cui rinunciava al Premio Nobel, il cui ammontare lo pregava di versarlo in beneficenza all’Unicef per sostenere la ricerca scientifica. “Non voglio premi nè medaglie perchè sono un progressista. C’è poco da celebrare quando il 64% del pianeta non ha ancora nè acqua nè elettricità. Andate a costruire dei pozzi per loro invece di premiare gli intellettuali senza alcun beneficio per la collettività”.
La confusione dei generi, il finto buonismo, la piattola della tolleranza, il comunitarismo, la demagogia, soprattutto la comunella nel nome dell’odio, sono tutte modalità usate dai fascisti post-moderni per abbattere definitivamente il Senso.
Nel 2010 (in tempi, quindi, non sospetti) uno scrittore italiano, che si chiama Valerio Evangelisti, molto famoso tra i cultori di fantascienza e di romanzi epic, scrisse un articolo spiegando la diffusione del pensiero neo-nazista in Italia, la proliferazione del nuovo fascismo che sta avanzando. Lo pubblicò sul suo sito.blog (Carmilla) che si occupa di letteratura e arte e poi venne ripreso da una rivista dei “rifondaroli” che si chiamava “Su la testa” e pubblicato qualche mese dopo sul sito Controinformazione. L’aspetto inquietante, direi allarmante, di questo articolo consiste nel fatto che quasi otto anni dopo è diventato di stringente attualità
Ve lo ripropongo all’attenzione.
Vale la pena per pensarci su.
http://www.carmillaonline.com/2010/07/21/i-rosso-bruni-vesti-nuove-per/
L’ultimo, sconcertante prodotto della strana famiglia che sto per descrivere ha per nome “autonomi nazionalisti sovranisti”. Si tratta in effetti di giovani neonazisti che fanno propri alcuni simboli esteriori non tanto dell’autonomia, quanto dell’anarchismo più radicale.
Vestono le tutine nere dei “Black Bloc”, si fregiano della A cerchiata. Di recente hanno occupato una casa rurale abbandonata nei pressi di Pavia, con l’intento di farne un centro sociale. Inalberano l’insegna del movimento internazionale “Antifa Aktion”, rappresentata da una bandiera rossa giustapposta a una nera, se i militanti sono in prevalenza marxisti, o una nera su una rossa, se prevalgono gli anarchici. L’emblema vuole comunque indicare l’unità di anarchici e marxisti contro il fascismo.
Non è così per gli “autonomi nazionalisti”. Nella loro versione, la bandiera nera copre la rossa, ma la scritta attorno è “Anti-Antifa Aktion”. Il nemico è dunque l’antifascismo militante.
Si tratta, in Italia, di un pugno di giovanotti, per di più invisi a Casa Pound, che li ha trattati a male parole. In realtà il piccolo movimento è nato in Germania, dove, visto il successo degli “Antifa”, alcuni militanti di estrema destra hanno pensato che fosse solo questione di look; poi il nucleo iniziale si è ramificato, raggiungendo persino l’Australia. Prassi di questi gruppi? Infiltrarsi nelle manifestazioni degli Antifa e causare il maggior numero possibile di danni insensati, con obiettivi certamente diversi da quelli dei Black Bloc propriamente detti.
Restano comunque un’esigua minoranza, come gli “anarchici nazionalisti” che li avevano preceduti. Ben diverso — anche se numericamente ancora marginale — il peso esercitato dalla tendenza fascista detta “rosso-nera”, o “comunitarista”, o “nazional-bolscevica”, o “socialista nazionale”. In Italia è una lunatic fringe, eppure può contare su un quotidiano, qualche rivista, diverse case editrici e molti siti web, che alcuni, in buona fede, credono di estrema sinistra. Il fatto è che questo filone ha una sua storia e, qui e là per l’Europa, persino un suo radicamento.
Un recente numero del Bollettino Aurora di Alex Lattanzio — pubblicazione “rosso-bruna” in rete molto ben dissimulata, tanto che prende nome dal famoso incrociatore che appoggiò gli insorti della Rivoluzione d’Ottobre — rievocava i “padri nobili” in quei comunisti nazionalisti che negli anni ’20, in Germania, ebbero un qualche seguito, fino a venire cancellati dai nazisti hitleriani. In realtà, l’origine della corrente è più recente. Il fondatore autentico è il belga Jean-François Thiriart (1922-1992), ex combattente delle SS valloni, collaborazionista in nome di gruppuscoli provenienti dall’estrema sinistra approdati al sostegno al Terzo Reich. Nel dopoguerra, Thiriart pagò le sue scelte con alcuni anni di carcere. Tornato in libertà, fondò alla fine degli anni ’50 il movimento Jeune Europe (avente per simbolo la croce celtica, poi divenuta di uso comune a destra), che si opponeva alla decolonizzazione del Congo belga, dell’Algeria e degli altri possedimenti europei in Africa. In Italia, Jeune Europe ebbe quale primo referente Ordine Nuovo, mentre all’interno dell’OAS (Organisation Armée Sécrète) franco-algerina, trovò un discepolo brillante e intelligente in Jacques Susini, l’ideologo del gruppo terroristico.
Lentamente, tuttavia, le idee di Thiriart, inizialmente tanto antiamericane quanto antisovietiche e centrate sulla nozione di Europa quale culla della civiltà, mutarono. Cominciò a leggere l’URSS quale baluardo nazionalista, specialmente nella figura di Stalin, e a considerare con simpatia la Cina. Formulò la nozione di “Eurasia”, entità politica e culturale in fieri capace di dare scacco all’imperialismo americano, ormai quasi il solo nemico (con la sua appendice ebraica, Israele). Accantonò il filocolonialismo per appoggiare i movimenti di resistenza dell’America Latina e del Medio Oriente.
In Italia i referenti cambiarono. Per i dettagli rimando a un saggio di Claudia Cernigoi, La strategia dei camaleonti: comunitarismo e nazimaoismo, apparso nel 2003 sulla rivista triestina La Nuova Alabarda e facilmente reperibile sul web. Vi si trova anche un dizionario con i nomi più significativi, sempre ricorrenti. Riassumendo almeno tre decenni, chi traspose in Italia le nuove idee di Thiriart fu in primo luogo “Lotta di popolo”, il più noto gruppo detto nazi-maoista. Seguirono “Lotta Studentesca”, in parte “Terza Posizione”, la rivista “Orion” di Milano (facente capo alle edizioni Barbarossa e alla Libreria del Fantastico di viale Plinio), fino all’ala estrema e armata, i NAR di Giusva Fioravanti. Più raggruppamenti minori, misticheggianti o aventi radicamento locale, in forma di circoli e associazioni culturali.
Più interessante vedere gli sviluppi attuali. Non senza avere notato che quella componente, sicuramente minoritaria, del fascismo “di sinistra”, ha comunque contagiato l’intero arco della destra extraparlamentare, o parzialmente extraparlamentare in quanto associata elettoralmente ai partiti del centrodestra. Se ne trovano tracce in Fiamma Tricolore, in Forza Nuova, in Casa Pound-Blocco Studentesco (l’espressione più “moderna” e originale) e in molte formazioni assenti dalla scena nazionale.
Una rassegna dei gruppi e dei siti che sto per citare è compresa in un saggio, L’arcipelago della destra radicale, presente nel sito web L’Avamposto degli Incompatibili (ora qui). Quello che tento ora è un rapido aggiornamento.
Anzitutto è d’obbligo il rimando a una delle maggiori formazioni che agiscono a livello europeo, a dimostrazione che siamo di fronte a una piccola Internazionale. Si tratta delPartito Comunitario Nazional-Europeo, i più diretti eredi di Jean-François Thiriart. Quando si accede in rete al loro sito, si è accolti dall’inno sovietico. Si passa poi a una pagina fitta di ritratti di Stalin e Che Guevara. Il partito sembra avere molte filiazioni soprattutto nell’Est europeo, e, quanto all’Europa occidentale, in Francia. Qui pubblica un periodico, Les Causes du Peuple. Fa il verso a La Cause du Peuple, il noto settimanale maoista francese diretto, negli anni successivi al ’68, da Jean-Paul Sartre. Per comprendere l’ispirazione autentica basta esaminare il dossier dedicato a Thiriart, in termini osannanti.
Il PCN non sembra avere relazioni dirette con il russo Partito Nazional-Bolscevico fondato dal poeta e scrittore Eduard Limonov (eccellente, va detto, in entrambe le sue espressioni artistiche). Questo è un partito slavofilo, aggressivo, trasgressivo, che di comunista non ha molto, a parte il solito richiamo alla grandezza di Stalin. Raccoglie giovanissimi sotto bandiere curiose: falce e martello in un cerchio rosso (o nero) che ricorda le insegne naziste, o, addirittura, l’immagine di Jean Marais con maschera verde nel film “Fantomas ’70”.
Gli italiani sono più seri e, pur condividendo in certa misura le idee dei loro confratelli dell’Europa orientale, sono più abili a camuffarsi. Prima di catalogarli, vediamone le idee di fondo (non comuni a tutti i nuclei, ma alla maggior parte):
– L’unione di Europa e Asia (“Eurasia”) è in grado di sconfiggere l’imperialismo statunitense. Chiaramente, l’attuale Unione Europea non è un passo avanti in quella direzione (e qui mi sento di concordare);
– A questo fine, va bene l’alleanza con tutti gli Stati e le forze che perseguono il medesimo obiettivo, dagli integralisti islamici, ai nazionalisti slavi, a paesi socialisti o socialisteggianti come Cuba, il Venezuela o altri dell’America Latina;
– Il capitalismo è aborrito, ma identificato in sostanza con le banche e i grandi fondi di investimento. Nella maggior parte dei casi nelle mani di ebrei;
– Il conflitto di classe è taciuto o considerato “superato”. Non rientra negli schemi interpretativi. I rapporti di forza sono diventati “geopolitici”, e la Russia di Putin, la Cina o il Vietnam che promuovono il neocapitalismo, l’Iran ecc. sono oggettivamente oppositori del sistema globale. Le classi escono dal quadro. Si parla di “stati”, “etnie” o “popoli” come surrogato delle classi.
– Nessun “comunitarista” si definirebbe razzista. Ogni comunità deve mantenere la sua identità culturale, e nel proprio ambiente va più che bene. Gli esodi di massa verso i paesi più ricchi sono dovuti non a miseria, ma un piano americano per piegare l’Europa — e la futura Eurasia. Ovviamente con l’appoggio della finanza internazionale e dei suoi organi di controllo, che mirano a soffocare la nostra cultura e ad averci in pugno per debolezza di fronte all’invasione.
– Israele è identificato con gli ebrei in toto, e comanda in pratica il mondo intero. La resistenza alla politica del governo israeliano è indifferenziata. Contro gli israeliani, per i rosso-bruni, va bene di tutto: i palestinesi veri e propri (in tutte le loro componenti, spesso assai diverse), i talebani, gli estremisti islamici, il califfo Al Bagdadi, fino ai naziskin di quartiere. Il nemico sono “gli ebrei” in genere. Controllano il sistema finanziario, si sono inventati l’Olocausto per tenerci sotto ricatto perenne. Ciò li coinvolge come “genus” potenzialmente pericoloso, a prescindere da età, sesso, cultura, fede religiosa o non religiosa effettiva, ecc.
Questo “corpus” di idee, condiviso in larga misura ma raramente in ogni punto, connota vari piccoli gruppi esistenti in Italia, maestri di confusione.
Il sito Aurora, già citato, è apparentato con la rivista Eurasia, che fin dal nome denuncia i suoi riferimenti nascosti. Quando Arcoiris TV trasmetteva via satellite, dedicò a Eurasia anche una rubrica settimanale, forse senza sospettare che si trattasse di “rosso-bruni”. Sia Aurora che Eurasia svolgono una cospicua attività editoriale. Sono fascisti almeno quanto a estrazione, ma lo nascondono con notevole abilità.
Ancora meglio lo nasconde il sito Comedonchisciotte. Chi lo seguì dalla nascita, ricorda che in principio offriva di scaricare I protocolli dei Savi di Sion. Adesso pare un sito di estrema sinistra, che colleziona articoli di ogni tendenza. Fulvio Grimaldi, la cui collocazione a sinistra non è in discussione, lo linka sul suo blog, quasi fosse affidabile. In effetti converge su molte valutazioni. Ma questo è un suo problema. In equivoci analoghi cade abbastanza spesso Giulietto Chiesa, che con i rosso-bruni condivide l’interpretazione — fondata o meno che sia — degli attentati dell’11 settembre 2001 come complotto maturato all’interno degli Stati Uniti. Antiamericanismo viscerale e antisionismo (da leggersi come detto sopra) sono i punti di forza di Comedonchisciotte, un sito che gode di una certa popolarità.
Qui va detto, per inciso, che non riconoscere il conflitto di classe come centrale priva la destra “nazional-bolscevica” della filosofia della storia propria della sinistra. A ciò sopperisce cercando il motore degli eventi in cospirazioni raffinate (a volte credibili in parte, altre volte no), e in gruppi di potere che nascostamente guidano le scelte palesi di Stati e coalizioni tra nazioni (Gruppo Bildeberg, Club di Roma, ecc.). Se l’11 settembre è il cavallo di battaglia, attraverso “personalità” come il saggista americano di estrema destra Webster Griffin Tarpley (autore tra l’altro di un libro contro Toni Negri, visto, tanto per cambiare, come manovratore delle BR), in siti che costeggiano l’area senza appartenervi integralmente, come Luogo Comune, ciò si estende anche a eventi come la spedizione dell’Apollo 11 sulla luna, frutto di manipolazione cine-televisiva. L’importante è che ci sia qualcuno che complotta nell’ombra, dai banchieri ai Savi di Sion attualizzati.
Malgrado simili bizzarrie, alcuni transfughi della sinistra sono finiti per approdare alle sponde rosso-brune, con maggiore o minore consapevolezza. E’ il caso dell’economista Gianfranco La Grassa, allievo di Antonio Pesenti (firmò con lui un cospicuo Manuale marxista di economia politica), sempre citato dai “nazional-bolscevichi”; di un altro economista radicale, Vittorangelo Orati, che a suo tempo collaborava alla Monthly Review (1); ma soprattutto è il caso del “filosofo marxista” Costanzo Preve, divenuto un autentico teorico del “comunitarismo”. Ha un suo sito, Comunismo e Libertà (prima si chiamava Comunitarismo.it), da cui divulga il nuovo verbo, sempre richiamandosi a Marx.
Tornando all’ala “militante” dei rosso-bruni, ecco Socialismo Nazionale e Gerarchia, vincolati a Militia, gruppuscolo (un tempo denominato Movimento Politico Occidentale) che di recente ha avuto guai giudiziari, anche per le sue connessioni con alcune curve calcistiche di tifosi; ed ecco Rinascita — Quotidiano di Sinistra Nazionale (da non confondere, è chiaro, con La Rinascita del PdCI). Il giornale ha una versione cartacea, non facile da reperire in edicola. Accanto al titolo riporta una citazione di Nietzsche; i contenuti sembrano di estrema sinistra. In realtà i fondatori hanno vecchi percorsi che ben poco hanno a che fare con la storia del movimento operaio. Rimandano invece al terribile vecchietto ex SS, Jean Thiriart, e alla sua Jeune Europe.
Potrei continuare pagine e pagine con l’elencazione. Mi limito invece a fare un breve riferimento a un’altra corrente rosso-bruna, di origini differenti. Si tratta dei seguaci, che si potrebbero definire “fascisti ecologisti”, del filosofo francese di destra Alain de Benoist. Costoro hanno circoli, siti e riviste, nonché una casa editrice di dimensioni non piccole, con sede a Bologna: Arianna Editrice (appoggiata a una catena distributiva, Macrolibrarsi). Arianna pubblica testi di medicina alternativa, libri su cospirazioni varie, saggi sulla decrescita e su forme di illuminazione interna, pamphlet contro il “signoraggio bancario”. Diffonde quotidianamente un bollettino in rete, in cui hanno ampio spazio il negazionismo dell’Olocausto, le tesi sul superamento delle distinzioni tra destra e sinistra, la geopolitica di impostazione “eurasiatica”.
Cosa pensare di tutto ciò? Ho inteso limitarmi a una semplice, sommaria rassegna. La mia idea è che la “crisi delle ideologie” non si sia abbattuta solo sulle forze del movimento di classe, ma abbia lasciato orfana anche parte della destra più aggressiva, desiderosa di scendere sul terreno del sociale a occupare le piazze lasciate vuote da una sinistra sfiancata. Lo fa ripescando teorie ambigue e tutt’altro che nuove, come si è visto. Vi riuscirà? Non ci si faccia illusioni sui numeri, i “rosso-bruni” sono pochi ma non mancano di potenziale di crescita. L’unico modo per impedirlo è che quelle piazze tornino a riempirsi di bandiere rosse.
Erich Fromm: La democrazia può resistere alla minaccia autoritaria soltanto a patto che si trasformi, da -democrazia di spettatori passivi-, in -democrazia di partecipanti attivi-, nella quale cioè i problemi della comunità siano familiari al singolo e per lui importanti quanto le sue faccende private.
RispondiEliminaAxel
A questo proposito interessante e incoraggiante è stata la trasmissione Presa diretta -Rai tre- di Riccardo Iacona dello scorso lunedì ( http://www.presadiretta.rai.it/dl/portali/site/puntata/ContentItem-af513c86-4030-458c-9bb5-9faced4fdf7c.html ) sulla partecipazione di numerose associazioni di cittadini attivi in collaborazione con le istituzioni comunali (Bologna e Roma principalmente) al fine di gestire il territorio e la comunità sociale in modo più ricco e integrato.
EliminaQuanto al pensiero di Sartre riportato nel post di Sergio è molto idealista, il massimo dell'idealismo se è consentita questa espressione, e questo serve ad aver fiducia nell'umanità.. quanto ai movimenti citati nell'articolo di Valerio Evangelisti pnso che siano destinati a rimanere marginali. Sproporzionati sono, e lo dico da profana o semi analfabeta, i mezzi posseduti dal capitale finanziario in concordanza con i governi più potenti del pianeta. Se l'ONU non è riuscita a portare avanti la sconfitta della fame e della povertà nei paesi ex colonizzati e neocolonizzati anche oggi nel XXI secolo, E a imporre tra i diritti primari l'istruzione nel mondo più ricco, questo è il disastro principale di cui dovremmo preoccuparci e meglio ancora occuparci per almeno limitarlo.
Sinistra, destra, guelfi, ghibellini, maoisti, tutte etichette. Niente di tutto ciò "esiste". Solo le condizioni storiche sono rilevanti e queste condizioni derivano da sentimenti ben precisi che nel corso dei secoli sono sempre gli stessi: la sopravvivenza, il decoro, il benessere. uesti sentimenti basici amano rivestirsi di un'ideologia e pescano sempre a quella temporalmente più vicina. Oggi il fascismo.
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